suocero di Caifa. Questo Caifa era quello che aveva dato ai giudei il consiglio: «
nostra memoria quella profezia? Per farci intendere che tutto questo è accaduto per la
nostra salvezza. E tanto grande era la forza di questa verità, che anche i nemici la
preannunciavano. Perché, sentendo che Gesù viene incatenato, qualcuno non ne resti
turbato, l'Evangelista ricorda questa profezia, cioè, che la sua morte significava la
ha scritto questo Vangelo. E perché non dice il suo nome? Infatti, quando, prima, ha
reclinato il capo sul petto di Gesù, giustamente ha tenuto nascosto il suo nome; ma
perché ora si comporta allo stesso modo? Certamente per l'identica ragione. Anche
qui sta narrando un fatto che tornava a sua lode, perché, mentre tutti gli altri
discepoli fuggivano, egli lo seguiva. Per questo tace il suo nome e mette al primo
posto Pietro, anche se è costretto a far menzione di se medesimo, affinchè tu
apprenda che egli ha narrato più diligentemente degli altri come si svolsero le cose
nell'atrio, per esservi entrato anche lui. Osserva come evita di tessere le proprie lodi.
Perché non si dicesse: « Come mai, mentre tutti gli altri si erano allontanati, egli
vicino Gesù e non lodi il suo coraggio. C'è invece da stupirsi che Pietro,
timoroso com'era, mentre gli altri si erano allontanati, giungesse fino all'atrio. Fu
il suo affetto che lo spinse fin là; ma la paura lo trattenne dall'inoltrarsi più
all'interno. Proprio questo scrisse l'Evangelista, per preparare la strada a scusare la
sua negazione. Non dice infatti come se fosse una cosa importante, a proposito di sé,
che lui era conosciuto dal sommo sacerdote; poiché aveva narrato che solo lui era
entrato nell'atrio con Gesù, perché tu non attribuisca tale gesto al suo grande
12 Gv. 18, 12-13.
13 Gv. 18, 14.
14 Gv. 18, 15.
15 Gv. 18, 16.