a. Roma nella Pentarchia secondo Niceforo il Confessore
Anche se il ruolo di Roma appare in Niceforo indubbiamente ridimensionato,
la Pentarchia presuppone comunque un primato di Roma. La sua ecclesiologia
tradisce però una concezione sostanzialmente egualitaria della Pentarchia,
implicita nella sottolineatura che nella Chiesa non si dà priorità di sedi e che i
cinque patriarcati hanno tutti, nella dinamica conciliare, un ruolo di presidenza.
deliberazione, vera regola della fede, rappresentano il criterio essenziale per la
legittimità canonica di un concilio, entro un quadro normativo fatto globalmente
risalire a tutte le fonti del diritto ecclesiastico. Niceforo contempla la possibilità
che su uno dei cinque troni possa insediarsi un titolare eterodosso. In tal caso
egli ritiene sufficiente il consenso degli altri quattro patriarchi per
anatematizzarlo e quindi privarlo di legittimità. Quando poi non si registra tra le
sedi patriarcali l'unanimità di consenso in ambito dottrinale, valido di per sé a
definire la retta fede anche al di fuori del contesto conciliare, è la fede romana a
costituire il parametro dell'ortodossia e a diventare normativa, in quanto
della posizione primaziale riconosciuta a Roma in ambito dottrinale, Niceforo
novità consiste semmai nel fatto che egli fonda tale prerogativa sulla dignità di
cui gode l'apostolo Pietro all'interno del collegio apostolico. È così stretta
che anche Niceforo indulge alla "prolessi dei titoli": il rapporto di Pietro con gli
altri apostoli viene infatti anche da lui espresso con termini propri del lessico
ecclesiastico. Pietro è il primate (cioè presidente nel senso di presedente,
proedros) dei discepoli, colui che fruisce, nei loro confronti, del primo rango.