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LA MISTAGOGIA DELLA CONFESSIONE

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2008 18:53
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05/11/2008 18:53

ANALISI MISTAGOGICA DELLA PRIMA PREGHIERA DI ASSOLUZIONE

La fonte, o la radice, di ogni peccato è la dimenticanza o l’ignoranza di Dio e delle verità battesimali, come abbiamo esaminato, ma la realtà in cui il peccatore vive è l’alienazione. La vita nel peccato rappresenta un’alienazione da Dio e dalla parte sana di noi stessi.
La prima preghiera di assoluzione rappresenta un’ottima mistagogia sull’alienazione prodotta dal peccato "fontale". Essa così è formulata:
" Dio che per mezzo del profeta Natan ha perdonato a Davide che aveva confessato le proprie colpe; che ha perdonato Pietro che piangeva amaramente il suo rinnegamento, e la prostituta che bagnava di lacrime i suoi piedi; che ha perdonato il pubblicano e il prodigo; Dio stesso per mezzo di me peccatore, perdoni te nel secolo presente e in quello futuro, e ti faccia comparire irreprensibile davanti al suo tremendo tribunale; Lui che è benedetto nei secoli dei secoli. Amín ".
Abbiamo detto che la metánoia richiede la coscienza dello stato di peccato, quali personaggi biblici potrebbero allora esprimere meglio tale stato se non quelli su citati?
Davide
: rappresenta l’alienazione dal potere come servizio. Egli abusando del suo potere di re, è diventato adultero e omicida (cf. 2 Sam 11-12)
Pietro
: rappresenta l’alienazione dalla fede-fiducia e i compromessi col mondo. Rinnegando il suo Signore, si è alienato nella paura. Ha avuto spavento di testimoniare il Cristo, perché non ha avuto fiducia in Lui. Si è alienato dalla vera testimonianza (cf. Mt 26, 69-75).
La prostituta
: rappresenta l'alienazione dell’eros-amore; l'immaturità nell'amare e la perdita della coscienza della dignità del proprio corpo come tempio di Dio (cf. Lc 7, 36-50).
Il pubblicano
(Zaccheo): rappresenta l’alienazione del cuore nell’idolatria del denaro; lo sfruttamento del prossimo (cf. Lc 18, 9-14).
Il figlio perduto
: rappresenta l’alienazione nella falsa emancipazione; il permissivismo; la sregolatezza; l'abuso della libertà (cf. Lc 15, 11-32).

Tutta l'opera di Dio, nell'Antico e nel Nuovo Testamento, altro non è allora se non la ricerca dell'uomo, fino al suo ritrovamento. L’uomo è un "ricercato –ritrovato"! Un alienato che ritorna in sé e quindi in Dio (cf. Lc 15, 17).
L'atteggiamento veterotestamentario di Dio nei confronti di Israele che si perde, peccando di idolatria, è quello di uno sposo tradito che esige giustizia (cf. Ez 16, 38; Os 2,4 ecc.), un padre che punisce e quindi reintegra nella sua comunione (Ger 3) ma anche quello di un pastore che cerca le sue pecore, e che ne ha cura (Ez 34, 11-16).
L'atteggiamento di Gesù nel Nuovo Testamento non è mutato ma perfezionato. Non è più lo sposo ingelosito dal tradimento della sua sposa, o il padre che ferisce e che risana, o il pastore che ha cura del suo gregge; è colui invece che viene piagato per la sua sposa, che purifica col suo sangue (cf. At 20,28 e paralleli); è colui che attende il figlio perduto e sta in ansia per la sua sorte, e una volta ritrovatolo gioisce più per lui che per l’altro figlio che non s’è mai mosso di casa (cf. Lc 15, 11-32); è l’agnello che prende su di sé il peccato del mondo (Gv 1,36) ; è colui che va in cerca della pecora smarrita, e che fa festa quando la ritrova (Lc 15, 1-7); è colui che è venuto nel mondo, non per condannarlo, ma per salvarlo (Gv 3,17).
La sua missione è di addossarsi i nostri peccati e le nostre malattie e di distruggerli, distruggendo se stesso sul legno della Croce (cf. Is 53, 4-7 e paralleli).
L'esperienza personale ci dimostra che aver rinunziato a satana, aver aderito a Cristo, aver creduto in Lui, aver ricevuto lo Spirito, essere stati nutriti con le carni immacolate dell'Agnello, non ci hanno assicurato automaticamente e magicamente la salvezza: la dimenticanza, che genera il peccato, è sempre in agguato nella realtà quotidiana.
La fedeltà giurata a Dio costa. La perseveranza nella fedeltà è faticosa. La dimenticanza e l’ignoranza di Dio si riscontrano abitualmente nella vita dei cristiani.
Bisogna riconoscere la nostra incoerenza e la nostra malattia, e ricorrere, come ci esorta a fare il Crisostomo, alla clinica dell'anima: la Chiesa, per ricevere la medicina della remissione dei peccati .
Il Signore Gesù ha previsto il muro tenebroso che avrebbe penosamente oscurato lo splendore del mistero del Battesimo, e ha voluto, che il perdono dei peccati si perpetuasse nei secoli, fino alla sua venuta nella gloria.
Agli Apostoli, che si sono resi colpevoli d’aver abbandonato il Maestro nei suoi tormenti, egli risorto, volge loro il saluto pasquale: " Pace a voi " (Gv 20,19). E affida ad essi il potere incondizionato di rimettere i peccati e di offrire la pace ai peccatori: " Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi " (Gv 20, 22 - 23).
La pace è frutto, dunque, della presenza del Risorto tra gli apostoli, e la stessa pace è frutto della presenza di Dio nell’anima nostra. Dove c’è la coscienza della presenza, lì non c’è la dimenticanza. E dove non c’è dimenticanza non c’è peccato, perché l’attenzione, anche inconsapevolmente, sarà sempre rivolta a Dio.

(tratto dal libro "Mistagogia dei Misteri Sacramentali della Liturgia Bizantina di Papas Vincenzo Marco Sirchia - Piana degli Albanesi, 2001)

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