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La Vergine Maria...

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2008 19:18
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La Madre di Dio nella liturgia orientale

di GIORGIO GHARIB

Il Monastero di Ivíron e la Panaghía Portaítissa

Dedicato alla Dormizione della Vergine, Ivíron è il terzo dei Monasteri athoníti. - Ricco di affreschi e di icone, da esso si diffuse in tutto il mondo la venerazione per la Portaítissa.

Il Monastero di Ivíron, situato in un pittoresco avvallamento in prossimità del mare, occupa il terzo posto nella scala gerarchica dei Monasteri athoníti; è dedicato alla Dormizione della Vergine, la cui ricorrenza cade il 15 di agosto; ospita attualmente una cinquantina di monaci di nazionalità greca e dal 1673 segue la regola idioritmica.

Nel monastero vige ancora la consuetudine, unica in tutto l'Athos, di contare le ore secondo il sistema detto 'caldeo', che assume quale ora zero il sorgere del sole. Negli altri Monasteri vige invece il sistema 'bizantino', secondo cui le ore vengono conteggiate a partire dal tramonto. Il nome del Monastero è legato all'Iberia, regione a sud del Caucaso, corrispondente pressappoco all'odierna Repubblica di Georgia. Il nome Ivíron significa quindi 'Monastero degli Iberi' ossia Georgiani.

La costruzione dell’insieme degli edifici che lo compongono risale agli anni tra il 979 ed il 984, sul luogo ove sorgeva un tempo l'antica città pelasgica di Kleone.

Come tutti gli altri Monasteri athoníti, quello di Ivíron alternò periodi di floridezza economica a periodi di crisi. Nel 1259 venne assalito dai pirati franchi, disertori della IV Crociata, che ne distrussero un'ala. Al tempo di Michele VIII Paleologo (1259-1282) e di Giovanni Bekkos, patriarca di Costantinopoli, fautori dell'unione tra la Chiesa Ortodossa e quella di Roma, Ivíron venne fatto oggetto di rapine e distruzioni da parte dei filolatini. In quella occasione il suo igumeno e tredici monaci contrari all’unione furono assassinati e gettati in mare. Ivíron dovette subire poi altre distruzioni nei primi anni del XIV secolo, quando fu attaccato da pirati catalani, disertori di Andronico II.

Le cose migliorarono nel corso del XIV secolo, quando il Monastero fu oggetto delle attenzioni di Giovanni V Paleologo (1341-1391), di Giovanni VI Cantacuzeno (1347-1354), del principe georgiano Gorgorane e del re serbo Stefano Dusan (1331-1355), il quale, dopo aver esteso il proprio regno sino alla Macedonia ed all'Athos (1334), si autoproclamò nel 1345 "Imperatore dei Greci e dei Romani". Fu in questo stesso secolo, però, che il numero del monaci georgiani si ridusse a tal punto che, su pressione del prótos Arsenio, il patriarca Callisto II (1355-1363) con un sighíllion datato 1351 rimise la direzione del Monastero nelle mani di un greco ed elevò la lingua greca a rango di lingua ufficiale della liturgia di Ivíron. Di conseguenza i monaci georgiani, legittimi proprietari del Monastero, vennero estromessi dalla gestione e relegati nella Cappella della Panaghía Portaítissa.

In seguito, anche molti patriarchi di Costantinopoli si presero cura del Monastero di Ivíron, facendo larghe elargizioni.

Tra i grandi benefattori del Monastero non possiamo dimenticare lo zar di Russia Alessio Michailovic (1645-1676); egli aveva sollecitato l'invio a Mosca della taumaturgica icona della Portaítissa, tuttora venerata ad Ivíron, in occasione di una grave malattia occorsa a sua figlia. I monaci non spedirono però l'originale, bensì una copia, che sortì comunque lo straordinario e desiderato effetto di guarire l'illustre inferma. Per la grazia ricevuta, Alessio nel 1669 donò ad Ivíron il Monastero di S. Nicola a Mosca, uno dei più ricchi della capitale, insieme ad alcuni metóchia (= proprietà fondiarie di un monastero al di fuori del proprio territorio).

Gran parte degli edifici di Ivíron, tranne il katholikón, ampliato nel 1513, sono costruzioni piuttosto recenti. Nel 1845 e nel 1865, infatti, due furiosi incendi devastarono parte delle costruzioni, senza però danneggiare il tesoro e la ricchissima biblioteca, seconda soltanto a quella della Grande Laura. Grazie alle floride condizioni economiche, alla generosità di molti benefattori anche anonimi, i1 Monastero poté sempre essere prontamente ricostruito.

La Cappella e l’icona della Panaghía Portaítissa

La chiesa principale del monastero, detta katholikón, è riccamente ornata di affreschi e di icone. La biblioteca possiede più di 1500 manoscritti di cui alcuni riccamente miniati. Ma fra i tesori del Monastero spicca l'icona della Panaghía Portaítissa, venerata in una piccola Cappella, detta "Cappella della Portaítissa". La Cappella attuale, sita a sinistra dell'entrata del Monastero, è stata edificata nel 1680 ed affrescata nel 1683. È preceduta da un nartece affrescato nel 1774 con dipinti che rappresentano tra l'altro figure dell'antichità classica che, secondo la tradizione, annunciano la Natività di Cristo.

Secondo la tradizione, largamente diffusa dai monaci dell'Athos, l'immagine sarebbe opera autentica di San Luca. Apparteneva ad una vedova di Nicea - città e sede del primo Concilio ecumenico (anno 325) -, la quale viveva al tempo della lotta iconoclastica (secc.VIII-IX) e per questo tenuta nascosta nel timore di vederla distrutta dai nemici delle icone. Nell'anno 829, l'icona fu scoperta da un soldato che, proprio per distruggerla, la colpì con la sua spada. La Panaghía, colpita al volto, sgorgò sangue dalla ferita. Il soldato, sconvolto dal prodigio, si convertì e permise alla donna di conservare il suo prezioso tesoro…

Il quadro attuale della Panaghía Portaítissa è letteralmente ricoperto da ex-voto e da doni, i quali si sovrappongono a loro volta alla lamina metallica che nasconde quasi completamente l'immagine. Occorre tempo e molta pazienza prima di arrivare a distinguere i volti della Panaghía e del Bambino, anneriti dal fumo esalato dalle lampade ad olio che da secoli ardono davanti all'icona. Attorno ai volti, il resto della pittura è ricoperto, come già detto, da un rivestimento in argento dorato e sbalzato, ornato di pietre preziose grosse come noci. Sul capo della Madre e del Bambino sono poste due corone tempestate di brillanti che emettono bagliori di luce. Alcune catenine nelle quali sono appese monete d'oro e medaglie, sono fissate in corrispondenza della Panaghía. Questi e altri preziosi doni quasi sommergono la sacra immagine, davanti alla quale ardono perennemente venti lampade, anch'esse cariche di gemme e di gioielli.

I calogeri, gelosi della loro icona taumaturgica, raramente lasciano vedere per intero la tavola dipinta. Ciò spiega la difficoltà di apprezzare la sua giusta datazione. A giudizio degli specialisti, l'icona attuale apparterrebbe al XIV secolo o al più tardi al XV secolo. Ciò contrasta però con l'origine, storica o leggendaria, che avvolge l'icona.

Appoggiandoci su ciò che si vede dell'originale e sulle numerose repliche di quest'immagine che sono state fatte nel corso dei secoli, si può dire con certezza che l'icona è del tipo dell'Odigítria; da ciò si può facilmente comprendere come l'immagine sia attribuita a San Luca. La Madonna, raffigurata in busto, il volto leggermente rivolto verso il Bambino, regge il divin Figlio sul braccio sinistro e lo mostra con la mano destra sollevata come per indicare ai fedeli che le stanno di fronte: "E' lui la via". Il Bambino benedice alla greca, con la mano destra leggermente alzata e tiene un rotolo di pergamena con la sinistra. Veste tunica colore blu-verde e mantello (mafórion) rosso porpora riccamente ornato. L'icona è contrassegnata dalle due iscrizioni obbligatorie: MP Q Y, per Madre di Dio, e IC XC, per Gesù Cristo.

Le repliche dell'icona Portaítissa

La Madonna Portaítissa è molto diffusa in tutto il mondo ortodosso. Sul Monte Athos, ad esempio, esistono due altre Cappelle della Portaítissa dove si venerano copie dell'icona originale: la prima si trova nella Grande Laura, la seconda invece nel Monastero Konstamonitu.

La venerazione dell'icona è molto diffusa anche nel mondo slavo. Nel secolo XVII il patriarca Nicon aveva dato ordine agli iconografi del Monte Athos di fare due copie dello stesso formato dell'icona originale. La prima replica, mandata dall'archimandrita Pacomio allo zar Alessio, fu accolta a Mosca con grande solennità e trasferita in processione nel monastero Novodievitchi dove fu custodita in una cappella appositamente costruita dallo Zar. Presto, alla fine del secolo XVII, si prese l'abitudine di portare l'icona nelle case per benedirle e per guarire i malati. Gli zar e loro famiglie non si recavano mai a Mosca senza andare a pregare davanti ad essa.

La seconda copia, eseguita nel 1655, era anch'essa oggetto di grande venerazione. Era custodita a Novgorod, nella grande chiesa del monastero detto Iverskij Bogoroditchnij Sviatoezerski e venerata come taumaturgica dai fedeli. La sua festa si celebra il 31 marzo.

In seguito, le copie Iverskaja si diffusero in tutta la Russia. La sua festa si celebra per ben tre volte: il 12 febbraio, a ricordo del prodigioso arrivo dell'icona originale al monastero athonita; il 13 ottobre, a ricordo dell'arrivo dell'icona a Mosca, ed anche il martedì di Pasqua.

La venerazione dell'icona della Portaítissa è frequente anche in Occidente.

I monaci hanno fatto conoscere la loro Panaghía anche fuori del Monte Athos, come in Canada, Francia, Germania, Stati Uniti, e ovunque esista una diaspora ortodossa, cosicché le repliche dell'originale athoníta sono numerosissime.

Di recente una replica dell'icona originale è pervenuta in Canada. Alcuni mesi dopo l'arrivo si segnalarono fenomeni straordinari, come l'olio profumato che trasudava dall'icona. Il fenomeno durò a lungo, accompagnato da guarigioni spettacolari. Più straordinario ancora è il fatto che gli stessi fenomeni si manifestarono in Europa e in Francia tramite repliche dell'icona canadese. I fedeli ortodossi e non della Francia, uniti dagli stessi sentimenti di venerazione, hanno dato all'immagine il titolo di "Nostra Signora della Porta del Cielo". Il fenomeno ha destato non poca perplessità tra le Autorità ecclesiastiche, fino ad indurre nel 1991 il Vescovo cattolico di Tolosa a mettere in guardia contro ogni eccesso che non si inquadri con l'insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica.

Giorgio Gharib


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La Madre di Dio nella liturgia orientale

di GEORGE GHARIB

Kariès e l’icona dell’Axión estin
   

Kariès, capitale amministrativa dell’Athos, e l’icona mariana detta dell’Axión estin sono due delle principali attrattive del Santo Monte. – Il fatto prodigioso della Panaghía dell’Axión estin.

Il santo Monte dell’Athos, oltre a possedere i venti Monasteri di cui abbiamo presentato solo alcuni ai nostri lettori, dispone anche di un grande centro abitativo in cui sono concentrate le istituzioni che presiedono all’amministrazione della Repubblica monastica dell’Athos: si tratta di un grosso villaggio che si adagia in una verde conca a 330 metri dal livello del mare e di un grosso centro formato da vecchi edifici e viuzze lastricate che gli conferiscono un aspetto ridente di borgata medioevale. La vegetazione che lo circonda e che scende fino al mare è intercalata da casette isolate fra cipressi, querce ed alberi da frutta.

L’insieme, dotato di servizi pubblici (infermeria, posta, telegrafo, telefono), di locande gestite da laici e di botteghe (oggetti religiosi, libri, generi alimentari) gestite da monaci, costituisce il punto nodale da cui si irradiano i sentieri e le mulattiere per i Monasteri e le loro dipendenze.

In questo villaggio, che porta il nome di Kariès, presso un moderno edificio che sorge sulla piazza principale, hanno sede la Sacra Comunità e la Sacra Epistassía (= Sovrintendenza): è qui che occorre recarsi per ottenere il permesso di soggiorno. Vi sono anche disseminate le cosiddette konákia, ossia le succursali o rappresentanze di 19 Monasteri (il monastero di Kutlumussiu, che dista soltanto 10 minuti da Kariès, non possiede una propria konáki). In tali edifici risiedono i rappresentanti dei Monasteri presso la Sacra Comunità e sono ospitati i monaci del relativo monastero di passaggio o in temporaneo soggiorno. A Kariès vi è inoltre la residenza del Governatore greco ed un Ufficio di Polizia.

Veduta panoramica di Kariès, centro amministrativo, politico e culturale del Monte Athos.
Veduta panoramica di Kariès, centro amministrativo, politico e culturale del Monte Athos.

Storia dell’insediamento

Il primo tentativo di organizzazione monastica dell’Athos risale al IX secolo. In seguito, con l’arrivo dei monaci e la formazione di Comunità monastiche, si sentì il bisogno di ospitare i rappresentanti dei monaci ed il loro Prótos, o Primate. Si iniziò così a costruire, in una località al centro della penisola detta appunto Méssos (di mezzo), una nuova Lavra che conseguentemente prese il nome di "Lavra di Méssi". A partire dal secolo XI tale agglomerato incominciò ad essere chiamato "Lavra di Karié", forse per l'abbondanza di alberi di noci (in greco karié) che tuttora crescono nei dintorni; più tardi il nome del luogo venne definitivamente trasformato in "Kariès". Questo raggruppamento di abitazioni di monaci indipendenti era riunito intorno ad una chiesa detta "Protáton" (cioè, "del prótos dell'Athos") che fu consacrata alla Dormizione della Vergine (festa il 15 agosto) e che oggi è la più antica costruzione esistente sulla Santa Montagna. In essa si tennero originariamente le riunioni delle Assemblee (Sínaxis) dei monaci, e si finì per identificare con il nome di "Protáton" anche l'organizzazione centrale stessa della collettività.

La chiesa del Protáton e i suoi tesori d’arte e di fede

La chiesa metropolitana del Protáton è senza alcun dubbio la costruzione più antica del Monte Athos. Fondata nella prima metà del X secolo, essa ha assunto la sua struttura architettonica attuale nel 965 quando il prótos Atanasio ampliò le dimensioni dell'edificio originario. I rinnovamenti e i restauri fatti eseguire dall'imperatore Andronico II Paleologo agli inizi del XIV secolo non ne hanno infatti alterato significativamente l'originaria configurazione; tali restauri furono la conseguenza dei danni prodotti intorno al 1275-1280 dai cosiddetti enotici, ossia fautori dell'unione con la Chiesa di Roma, e dall'incendio causato dalle milizie in rivolta dell'imperatore Andronico II Paleologo. Nel 1802 fu sopraelevato il tetto della navata, modifica che ha permesso, mediante l'apertura di numerose nuove finestre, di dare maggiore luminosità al naós, o corpo centrale della basilica.

Il Palazzo della Sacra Comunità di Kariès, sede degli organi legislativi ed amministrativi della Comunità monastica athonita.
Il Palazzo della Sacra Comunità di Kariès, sede degli organi legislativi
ed amministrativi della Comunità monastica athonita.

La pianta dell'edificio è profondamente diversa non solo da quelle dei katholiká dell'Athos ma anche della maggior parte delle chiese bizantine. L'aspetto esterno è del tipo basilicale, a tre absidi. Il nartece è una aggiunta posteriore risalente al 1507, mentre il portico sul lato nord ed il campanile a est sono stati edificati dal Protos Serafino nel 1534. Il tetto dell'edificio, originariamente in legno, è a capanna, con la copertura corrispondente alla navata centrale sopraelevata rispetto a quelle laterali.

La chiesa offre all'interno ampie pareti che hanno permesso a Manuele Pansélinos di Salonicco, massimo esponente della scuola pittorica macedone, di esprimere nel primo quarto del XIV secolo il proprio capolavoro. Le composizioni principali sono disposte lungo la seconda fascia (dall'alto): le Dodici Feste (Dodekáorton) dell'anno liturgico bizantino nella navata, la Passione di Cristo nei transetti ed i miracoli nelle quattro Cappelle laterali. Gli affreschi della navata sono suddivisi in quattro fasce sovrapposte che rappresentano, dall'alto in basso, gli antenati di Cristo (da Adamo a Giuseppe), le Feste della Chiesa (Natività di Maria, Presentazione al Tempio, Battesimo, Trasfigurazione, Crocifissione, Discesa al Limbo, Ascensione, Pentecoste), i quattro Evangelisti e una galleria di Santi guerrieri e di asceti famosi.

Sulla parete ovest, al di sopra della porta di ingresso dal nartece alla navata, Pansélinos ha realizzato l'enorme composizione della Dormizione della Vergine a cui la chiesa è dedicata; vi sono rappresentati gli Apostoli e gruppi di donne che assistono piangenti al trapasso della Vergine, mentre è ormai andata perduta l'immagine del Cristo che, in piedi presso il letto funebre, ne regge fra le braccia l'anima raffigurata sotto l'aspetto di un bambino neonato.

L'iconostasi in marmo, dalle caratteristiche decorazioni geometriche, risale agli anni della fondazione della chiesa (X secolo).

Chiesa metropolitana del Protáton a Kariès (sec. X).
Chiesa metropolitana del Protáton a Kariès (sec. X).

La storia della Panaghía dell’Axión estin

Nel Protáton si venerano numerose icone di Cristo, della Madonna e di diversi Santi. Ci fermeremo qui sulla sola icona che è fra le più venerate e le più celebri dell'Athos, quella detta dell'Axión estin (= cosa degna…"), così chiamata dalle due parole che iniziano un noto inno alla Madonna, conosciuto e cantato da tempo immemorabile da tutti i fedeli della Chiesa bizantina. L’icona, che rappresenta la Vergine che tiene fra le braccia il Bambino Gesù, è ricoperta di un rivestimento in argento a sbalzo che permette di ammirare unicamente i volti anneriti dal fumo delle candele della Vergine e del Bambino. Ogni anno, il giorno successivo alla Pasqua, l'icona viene condotta con solenne processione per le strade di Kariès.

Alla base della fama dell'icona mariana sta il seguente fatto prodigioso narrato dai monaci, che si sarebbe verificato nel 980, quando il Monte era già costellato di Monasteri e di eremitaggi. In uno di questi, sito a fondo valle tra Kariès e Pantocrátor e dedicato alla Dormizione della Madre di Dio, viveva, insieme con un giovane discepolo, un monaco di grande virtù. Un giorno, dovendo il vecchio recarsi nella chiesa del Protáton per prendere parte alla veglia notturna, disse al giovane: "Tu rimani qui e sforzati di recitare l'Ufficio meglio che puoi". Venuta la notte, il giovane novizio sentì bussare alla porta e, apertala, si trovò davanti un bel vegliardo in abito monastico che chiedeva ospitalità. A mezzanotte, il giovane e il suo ospite si misero a cantare insieme l'Ufficio. Arrivati al momento di cantare l’inno mariano che inizia con le parole "Tín timiotéran…": – "Tu, che sei più onorabile dei Cherubini / e incomparabilmente più gloriosa dei Serafini, / che in modo immacolato partoristi il Verbo di Dio: / te magnifichiamo come vera Madre di Dio…" –, il misterioso ospite prevenne il novizio nel canto, facendolo precedere dal seguente inno le cui iniziali sono appunto, in greco, Axión estin: "E' veramente giusto proclamare beata te, o Deipara, che sei beatissima, tutta pura e Madre del nostro Dio…".

Il giovane non conosceva l'inno. Disse perciò al compagno: "Qui cantiamo solo il "Tín timiotéran"; e mai noi e i nostri padri abbiamo conosciuto l' Axión estin. Ti prego, scrivimi le parole, affinché sappia cantarlo anch'io".

Lo sconosciuto acconsentì e scrisse col dito le parole su una tavoletta e aggiunse: "E' così che voi e tutti gli ortodossi canterete d'ora in poi questa preghiera". Detto ciò, scomparve.

Icona della Panaghía dell’Axión estin.
Icona della Panaghía dell’Axión estin.

Ritornato il vecchio eremita, il novizio gli mostrò la tavoletta e cantò l'inno che aveva imparato. Il vegliardo si affrettò a portare il meraviglioso documento agli anziani del monastero vicino e raccontò il prodigioso evento. Si diffuse così la convinzione che il Cielo stesso fosse disceso ad insegnare un nuovo inno in onore della Theotókos, poiché l'ospite misterioso altri non poteva essere che il messaggero dell'Annunciazione, l'Arcangelo Gabriele. La preziosa tavoletta fu allora portata a Costantinopoli. Il patriarca e l'imperatore, informati dell'accaduto, prescrissero di cantare l' Axión estin in tutte le chiese assieme al "Tín timiotéran". I monaci della Santa Montagna trasportarono solennemente nella chiesa primaziale di Kariès l'icona mariana davanti alla quale il nuovo inno fu cantato per la prima volta. Perciò questa icona porta il nome di Madonna dell'Axión estin.

Anche l'eremitaggio in cui ebbe luogo l'evento ricevette nome Axión estin, e la vallata quello di Adein, o "del cantare". I libri liturgici bizantini riportano il giorno 11 giugno la memoria della "Sinassi dell'Arcangelo Gabriele del cantare". In questo giorno i monaci di Kariés si recano a celebrare la divina liturgia nell'eremitaggio dell'Adein, e ricordano, insieme alla Panaghía dell'Axión estin, il misterioso melode, Gabriele.

L’icona stessa è stata fatta conoscere dai monaci dell’Athos a tutte le Chiese ortodosse del mondo che la celebrano con molti inni.

La Sacra Epistassía, o Sovrintendenza, organo cui è affidato il potere esecutivo della Repubblica dell’Athos.
La Sacra Epistassía, o Sovrintendenza, organo cui è affidato il potere esecutivo della Repubblica dell’Athos.

Riportiamo qui solo alcuni tratti dall’Ufficio di questa festa:

"Popolo monastico dell'Athos,
rallegrati in questo giorno ed esulta,
canta riconoscenza alla Vergine,

perché fu Lei che per mezzo dell'Angelo
volle farti conoscere questo inno angelico
: //
"E' veramente giusto lodarti
e glorificarti
quale Madre di Cristo,
Dio e nostro Creatore.
Tu sei più eccelsa dei Cherubini,
più santa dei Serafini,
e sei tu che salvi le nostre anime
da ogni pericolo. //

Gabriele ha lasciato le volte celesti ed è apparso al monaco
in una forma insolita
e gli cantò la tua lode, o Vergine,
in una formula a lui sconosciuta,
premettendo così un prologo
all'inno
che Cosma un tempo aveva modulato. //

Un giorno, Gabriele era disceso dal cielo
per annunciare alla Vergine
la buona novella e dirle: Ave.
Oggi, egli insegna alla Santa Montagna
il canto di questo ammirevole inno:
E’ veramente giusto glorificare l'Immacolata!"
.

George Gharib

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La Madre di Dio nella liturgia orientale

di GIORGIO GHARIB

Atanasio dell'Athos e la fondazione
del primo Monastero, la 'Grande Laura'

   

Iniziatore della vita cenobitica sulla Santa Montagna, Atanasio è venerato come "gloria e vanto di tutti i Monaci e loro guida". - Fra i prodigi che segnano la sua vita, occupa un posto di riguardo quello dell'apparizione della Madre di Dio, qui venerata come 'Panaghìa Portaitíssa', e 'Panaghìa Iconomíssa', custode e amministratrice della 'Grande Laura'.

I monaci dell’Athos venerano con grandi onori due figure ascetiche prese a modello di vita monastica: Pietro l’Athonita e Atanasio, considerando modello di vita eremitica nella solitudine il primo, modello della vita cenobitica il secondo. Atanasio, infatti, dopo essere vissuto lunghi anni nella solitudine, trovò più utile raccogliere i fratelli in comunità, divenendo così il fondatore del primo grande Monastero della Santa Montagna, quello detto "Grande Laura".

Questo, che ha celebrato nel 1963 il millenario della sua fondazione, possiede in seno alla federazione athonita dei 20 Monasteri, un primato incontestabile di antichità e di autorità. Essa possiede un grande tesoro di architettura, di affreschi, di icone e altri oggetti preziosi di arte bizantina. La sua biblioteca è la più ricca dell’Athos e custodisce diecimila libri stampati e più di duemila manoscritti, fra cui Evangelari, Salteri, Menologi (libri liturgici bizantini che illustrano le vite dei Santi e dei Martiri) e crisobolle imperiali (bolle d'oro, forme solenni di privilegio).

Nel Santuario (vima) del katholikón (chiesa principale) si conservano numerose reliquie, fra cui il cranio di S. Basilio Magno, alcune ossa dell’Apostolo Andrea e dell’Evangelista Luca, dell’Imperatore Costantino e di sua madre Elena, la mano destra di S. Giovanni Crisostomo, la macella di S. Teodoro Stratilate e, dono dell’imperatore Niceforo Foca, un frammento della vera Croce.

Sant'Atanasio l'Athonita, affresco di scuola macedone del prótaton di Karies, XVI secolo.
Sant'Atanasio l'Athonita, affresco di scuola macedone del prótaton di Karies, XVI secolo.

Vita di Atanasio

Atanasio è nato verso il 925-930 a Trebisonda da una famiglia originaria di Antiochia di Siria, e fu battezzato col nome di Abramios. Avendo perso presto i genitori, compì gli studi nella città natale prima, a Costantinopoli poi, dove strinse una viva amicizia con l'abate del Monastero di Kiminas, Michele Meleinos, e con il nipote di questi, Niceforo Foca destinato, quest'ultimo, a diventare Imperatore di Bisanzio. Volendo farsi monaco, si mise sotto la direzione di Meleinos, cambiando il nome di Battesimo in quello di Atanasio. Per non essere eletto abate, si rifugiò l'anno 959 circa sul Monte Athos, già popolato da molti eremiti. Egli fu però presto scoperto dall'amico Niceforo che lo colmò di doni per la costruzione di un Monastero sulla Santa Montagna.

Atanasio si mise al lavoro iniziando la costruzione di quello che sarà il maggiore dei Monasteri dell'Athos al quale fu dato il nome di "Grande Laura", dall'inizio dedicato alla Vergine. Egli stabilì un 'Tipicon', ossia una Regola monastica, di natura cenobitica, pur annettendo attorno al Monastero degli eremitaggi. Nel 963 Niceforo divenne Imperatore e si dimostrò davvero generoso con Atanasio, colmandolo di molti aiuti e donazioni e gratificando la sua Laura con il titolo di 'imperiale', mettendola così sotto la sua propria giurisdizione e sottraendola persino all'autorità del Patriarca di Costantinopoli.

Atanasio ebbe non poche difficoltà ad imporre la sua regola ma, con tatto e saggezza, si dimostrò illuminato legislatore, consumato amministratore e ispirato direttore non solo per i suoi monaci, ma anche per gli altri Monasteri che via via andavano sorgendo sulla Santa Montagna. La sua fama, frattanto, aumentava con i prodigi da lui operati; numerose sono infatti le guarigioni miracolose a lui attribuite, tramandateci dal suo biografo. L'impulso dato alla fondazione di nuovi Monasteri fu così valido da meritare ad Atanasio l'appellativo di 'Fondatore del cenobitismo athonita'.

Veduta panoramica del Monastero della Grande Laura.
Veduta panoramica del Monastero della Grande Laura.

Morte e culto del Santo

La morte di Atanasio avvenne tragicamente: egli fu travolto da una trave assieme a cinque monaci durante la costruzione del tetto della chiesa principale (katholikón). Era il 7 luglio di un anno non meno precisato, tra il 1001 e il 1004. La sua morte fece grande scalpore e vide radunati tutti i monaci del Santo Monte per i funerali. Le sue spoglie mortali furono deposte in una cappella nella chiesa principale della Laura, dove sono tuttora custodite.

Atanasio fu molto presto proclamato Santo; e la sua memoria liturgica fu fissata al 7 luglio, giorno della sua morte. Per la stessa occasione egli divenne patrono della 'Grande Laura', dedicata ora alla sua dormizione, o morte. Il Proprio della festa del Santo è del tutto anonimo, ma sembra sia stato composto subito dopo la sua morte.

Egli vi è celebrato come "colonna splendida della divina contemplazione, padre teoforo, fiaccola della temperanza, intercessore presso Cristo, guaritore delle anime e dei corpi, amico di Cristo e suo vero discepolo, eponimo dell'immortalità, gloria e vanto di tutti i Monaci e loro guida, regola e modello dei veri buoni Pastori, tesoro di comprensione, colonna luminosa che poggia sulle virtù e conduce verso il Cielo i Monaci del Sacro Monte, gioiello dei Santi Padri, gloria degli asceti di Cristo, fonte divina di miracoli, caloroso intercessore dei Monaci presso Dio". Gli inni sono lunghi e prolissi ma vi traspare la grande ammirazione dei Monaci athoniti per il loro padre fondatore ed un immenso, sconfinato amore.

Il Tropario cantato in tutte le ore dell'Ufficio così lo celebra: "Le schiere degli Angeli furono ammirate della tua vita nella carne, o degno di ogni lode. Con il corpo, infatti, tu hai condotto lotte invisibili e messo in rotta le falange dei demoni. Per questo, o padre Atanasio, Cristo ti ha dato in compenso doni senza numero. Supplica Cristo Dio di salvare le nostre anime".

La tradizione locale mostra ancora i luoghi santificati dalla sua presenza sul Santo Monte: la grotta dove amava ritirarsi per pregare, il luogo dove sconfisse definitivamente il demonio, la tomba oggetto di grande venerazione; infine, i luoghi dell'apparizione mariana di cui vogliamo ora parlare.

Interno del refettorio della Grande Laura, che risale alla fondazione del Monastero.
Interno del refettorio della Grande Laura, che risale alla fondazione del Monastero.

Il racconto dell'apparizione mariana

Fra i prodigi che riempiono la vita di Atanasio, occupa un posto di riguardo quello dell'apparizione della Madre di Dio. Il fatto, che avrà grande risonanza sulla storia del sacro Monte, non si trova nella più antica "Vita" del Santo, scritta subito dopo la sua morte, ma è riferito in molti altri documenti scritti posteriormente e viene ricordato nei luoghi stessi dove la visione ebbe luogo.

Secondo il racconto, durante un periodo di siccità (molto frequenti sull'Athos), la cui data non viene precisata, la carestia provocò la dispersione dei Monaci che in diversi periodi si erano riuniti attorno ad Atanasio. Atanasio stesso, al colmo della disperazione, non poté resistere alla prova e decise a malincuore di fare altrettanto e di abbandonare il suo Monastero. Strada facendo e mentre si era fermato per riposare, vide venirgli incontro una bella giovane, molto dolce e graziosa. Per Atanasio un incontro del genere in un luogo interdetto alle donne, poteva essere interpretato solo come apparizione diabolica.

Atanasio si sentì chiedere: "Dove vai, vegliardo?"

Stupefatto, Atanasio chiese a sua volta, con timore e rispetto: "Chi sei tu, e donde vieni? Perché stai qui, in questo luogo vietato alle donne?"

Quella rispose: "Ma tu, perché mi apostrofi in questo modo? Tu sei monaco e dunque diverso dagli altri, tu dovresti praticare la dolcezza e la modestia. Chi sei e dove vai così in fretta?"

Atanasio sbottò: "Sono un semplice monaco, questo ti deve bastare".

Monaci della Grande Laura al lavoro nei campi.
Monaci della Grande Laura al lavoro nei campi.

La donna insistette: "So da dove vieni: tu sei in fuga perché non sopporti la carestia. Dov'è la tua fede? Torna indietro. Io voglio venirti in aiuto".

Il dialogo proseguiva; alla fine la giovane comandò ad Atanasio di tornare nella propria cella, di non dubitare più della grazia di Dio, e di riporre la propria fiducia nel Signore.

"Ma chi sei?" - egli chiese ancora, con insistenza.

"Sono colei al cui nome tu hai consacrato il tuo Monastero; sono colei alla quale tu hai affidato il tuo destino e la tua propria salvezza. Sono la Madre del tuo Signore".

Neppure così, però, il cuore dell'asceta si placava; egli rimaneva in preda al dubbio.

"Anche i demoni - rispose - possono tramutarsi in Angeli di luce".

Allora, compassionevole, Maria gli dette una prova molto semplice: "Vedi questa roccia? colpiscila con il tuo bastone e riconoscerai colei che ti parla. Ormai sarò io stessa l'economa della Laura". Atanasio colpì la roccia, che si frantumò e ne sgorgò un getto d'acqua che si diresse verso il mare vicino. Il Santo si gettò ai piedi della sconosciuta la quale però sparì e non fu più visibile al suo sguardo. Atanasio, rincuorato, ritornò al Monastero e costatò che i vasi che vi aveva lasciato vuoti erano ricolmi di olio e di farina.

Il katholikón della Grande Laura.

Il Monte Athos e la Torre degli Amalfitani, situata a circa tre ore di cammino dalla Grande Laura.

Il katholikón della Grande Laura.

Il Monte Athos e la Torre degli Amalfitani,
 situata a circa tre ore di cammino
dalla Grande Laura.

La presenza della Madonna nella 'Grande Laura'

A tutt'oggi i calogeri della Grande Laura (nome che designa i Monaci e che significa "bei vegliardi") mostrano con devozione e soddisfazione i luoghi del miracolo. In questo stesso luogo dell'apparizione è stata costruita una piccola Cappella; all'interno è dipinta una icona che riproduce il fatto miracoloso: davanti è posta una lampada ad olio che arde giorno e notte. Inoltre, sulla strada che conduce al Monastero, vi è una specie di galleria che permette ai pellegrini ed ai devoti della Madonna di ripararsi, specie in estate quando il caldo da queste parti è soffocante.

Inoltre, all'entrata del Monastero esiste a tutt'oggi una piccola Cappella che i calogeri chiamano della 'Panaghìa Portaitíssa', o della 'Portinaia Tuttasanta': il nome è dato alla Madonna, considerata come portinaia preposta alla guardia del Monastero. Nella stessa Cappella troneggia una icona della Madonna chiamata 'Panaghìa Iconomíssa', o 'Economa', come la Madonna stessa si era chiamata durante l'apparizione al Santo. Infatti, i Monaci considerano Maria come la vera 'economa' o 'amministratrice' del Monastero, mentre al monaco incaricato di questo ufficio viene dato il nome di 'Intendente dell'Iconomíssa'. Nell'icona si vede la Madre di Dio seduta su un trono; essa mostra il suo divin Figlio appoggiato sulle sue ginocchia; alla sua destra è raffigurato Sant'Atanasio dell'Athos che le offre il suo Monastero; alla sinistra della Madonna c'è l'Arcangelo Michele.

Scena di vita quotidiana del Monte Athos: un monaco con il suo mulo da carico.
Scena di vita quotidiana del Monte Athos: un monaco con il suo mulo da carico.

Da ricordare anche che nella stessa Cappella si venera un'altra icona taumaturgica della Madonna, detta 'Panaghìa Kukuzélissa', o di Giovanni Kukuzelis. Questi, vissuto nel secolo XIII, era un cantore del palazzo imperiale di Costantinopoli che rinunciò alla sua alta carica per ritirarsi da monaco e fare da cantore nella 'Grande Laura'.

La leggenda narra che un giorno, essendosi addormentato in chiesa di fronte all'icona della Vergine, questa uscì dalla tavola dipinta e gli si avvicinò, mettendogli nella mano una moneta d'oro che il cantore trovò al suo risveglio. Circondata da numerose altre leggende l'icona, insieme a quella dell'Iconomíssa, è una delle più venerate dell'Athos.



 

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La Madre di Dio nella liturgia orientale

di GEORGE GHARIB

Il Monastero athonita di Dionissíu,
patrimonio monastico artistico e mariano

   

È forse il più bello e pittoresco degli insediamenti dell'Athos. - La sua arte è preziosa testimonianza della fede in Dio.

Il Monastero Dionissíu, dedicato alla nascita di Giovanni Battista, occupa il quinto posto fra i venti insediamenti monastici dell’Athos. Fondato verso la fine del secolo XIV, porta il nome del suo fondatore Dionisio, un greco originario di Korissos presso Kastoria. Il Monastero, caratterizzato da un piano architettonico originale, possiede un grande tesoro fatto di reliquie, opere d’arte, affreschi e icone. Il katholikón è affiancato da una cappella detta della Vergine dell’Acatisto; nella cripta dello stesso si conserva in un'urna il corpo di Nifone II, patriarca di Costantinopoli.

Veduta panoramica del Monastero di Dionissíu, con le ardite balconate a sbalzo.
Veduta panoramica del Monastero di Dionissíu, con le ardite balconate a sbalzo.

Dionissíu, dal nome del fondatore

Dioniso, fondatore del Monastero, è nato a Korissos, presso Kastoria nella Grecia, fra il 1308 ed il 1316 da una famiglia di media condizione sociale, ma rivelò presto la sua vocazione, e non appena ne ebbe l'età, si fece monaco. Successivamente si votò alla vita ascetica e contemplativa ritirandosi in una grotta sul pendio meridionale dell'Antiathos, raccogliendo intorno a sé numerosi proseliti che lo aiutarono a costruire prima una cappella e poi una chiesa più grande, dedicate entrambe a San Giovanni Battista. Durante una delle frequenti preghiere comunitarie notturne, presso l'imbarcadero di quella spontanea Comunità religiosa, Dionisio ebbe la visione di una fiamma immobile su di uno sperone di roccia a picco sul mare, e là dove era avvenuto il prodigio volle costruire un nuovo Monastero, cui diede il nome di "Nea Petra".

Il terreno, di proprietà del Monastero Chilandari, venne ceduto dal suo igumeno Doroteo, che in seguito fu prótos tra il 1356 ed il 1366, ed è quindi intorno a questi anni che si dovrebbe collocare la data della sua fondazione, anche perché la conferma da parte di Giovanni V Paleologo della donazione è datata 1366. Il Monastero venne detto anche di Kír Dioníssios e del Grande Comneno. Quest'ultimo nome gli derivò dal fatto che alla sua costruzione molto contribuì la donazione e poi la sovvenzione annuale di 1000 aspra (monete oro) che l'imperatore di Trebisonda Alessio III Comneno (1350-1390) non faceva mancare, grazie anche alla intercessione di Teodosio, fratello di Dionisio, metropolita di Trebisonda ed igumeno del Monastero athonita Filotheu. Alessio III emanò tra l'altro la crisobolla di fondazione del Monastero nel settembre del 1374: il documento, raffigurante l’Imperatore e la sua moglie ai lati di Cristo, si conserva con cura fra i documenti di fondazione del Monastero.

Qualche anno più tardi, tra il 1382 ed il 1389, Dionisio morì e fu proclamato santo. La sua memoria liturgica ricorre il 25 giugno, l’indomani quindi della festa della nascita del Battista, patrono del Monastero. I testi dell’ufficiatura che lo celebra è dovuta al monaco Gerasimo Mikragiannitis, innografo ufficiale del Patriarcato di Costantinopoli nella seconda metà del secolo scorso.

Il Tropario principale che ricorre ai Vespri così canta:

"Senza sporcarti, tu hai attraversato la tempesta di questa vita, sapientemente guidato dalla mano del Precursore; egli fu la tua guida verso Dio nel respingere i marosi delle tentazioni; ti preghiamo con lui: salvaci dalle nostre miserie".

Il Kondakion, che si canta al mattutino, lo celebra invece così:

"Noi tuoi servitori cantiamo Te, che hai somigliato al Precursore imitandolo, quale modello dei monaci e loro guida. Essendo tu vissuto sull’Athos come incorporeo, illumini ogni giorno a quanti a te inneggiano: Rallegrati, venerato padre Dionisio".

I tetti in ardesia e la torre del Monastero.
I tetti in ardesia e la torre del Monastero.

I tesori del Monastero

Molti pellegrini sostengono che il Monastero di Dionissíu, a circa un'ora da quello di Aghíou Pavlou, sia il più bello e pittoresco di tutti gli altri insediamenti dell'Athos. La sua architettura, secondo loro, costituisce una vera testimonianza della fede in Dio.

Il Monastero sorge poco discosto dal mare, nella parte sud-ovest della penisola. Le mura altissime poggiano su una roccia alta circa cento metri sul mare e da esse sporgono balconi e loggiati come sospesi nel vuoto. Data la ristrettezza della base, tutti gli edifici, anche all'interno, sono addossati attorno al cortile quasi inesistente e al katholikón non molto grande e dipinto di rosso.

Fino alla caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi (1453) il Monastero godette dei benefìci derivati dalla protezione dei Paleologhi e in seguito il patriarca Nifone II, che vi era stato monaco e che aveva soggiornato a lungo in Valachia, si adoperò affinché assumessero il ruolo di mecenati i Voiovadi di Valachia Radu il Grande (1495-1508) e il suo successore Negaoe Basarab. Distrutto dopo un disastroso incendio nel 1534 e ricostruito grazie all'intervento economico dei principi rumeni, l'edificio appare ancora oggi come una fortezza. Nel secolo XVI Dionissíu, da cenobitico (che privilegia la vita comune), passò al sistema idiorritmico (che privilegia la vita individuale); divenne di nuovo cenobitico nel 1616; quindi, ritornato all’idiorritmia alla metà del secolo XVIII, rimase tale fino al 1805, quando fu definitivamente introdotta la vita cenobitica. Il numero dei monaci si aggira attualmente intorno alla cinquantina.

Alessio III Comneno e la moglie Teodora (nella crisobolla di fondazione del Monastero Dionissíu).
Alessio III Comneno e la moglie Teodora (nella crisobolla di fondazione del Monastero Dionissíu).

Il katholikón

Il katholikón, costruito fra il 1537 e il 1547 per volontà del principe di Moldavia Giovanni Pietro IV Rares e dedicato alla nascita di San Giovanni Battista, è dipinto esternamente nel tradizionale colore rosso vermiglio ed occupa gran parte del piccolo cortile del Monastero. Fu realizzato a seguito della distruzione del precedente edificio, causata dall’incendio del 1534.

Gli affreschi che decorano l'interno della chiesa a pianta centrale sono opera del pittore Zorzis, uno dei principali rappresentanti della cosiddetta 'scuola cretese' ed allievo di Teofane, che li realizzò nel 1547. L'iconostasi, ossia la parete coperta di icone che separa la navata centrale dal santuario, in legno scolpito, ricoperta di foglie d'oro, è barocca e appartiene agli inizi del XIX secolo. All’interno sono conservate altre icone di grande interesse, risalenti, le più antiche, al XIV secolo, nonché pregevoli opere in legno e avorio quali il trono episcopale (despotikón), i diversi leggii per sostenere le icone e i libri liturgici, come anche l'altare, realizzato nel 1685.

Nel santuario (vima) sono custoditi oggetti sacri e reliquie di Santi: il celebre reliquiario a forma di chiesa a cinque cupole di San Nifone, patriarca di Costantinopoli, opera del 1515 e dono del voivoda Neagoe Basarab; frammenti della Vera Croce; il braccio destro del Battista; reliquie di San Basilio di Cesarea, di San Gregorio di Nazianzo, del patriarca di Costantinopoli Fozio, della Maddalena e degli Apostoli Giacomo e Filippo. Vi si conserva anche un anello della catena usata per imprigionare l'Apostolo San Pietro, come riferito negli Atti degli Apostoli.

L'Ultima Cena, affresco del refettorio.
L'Ultima Cena, affresco del refettorio.

La Cappella della Vergine Akathistos

La Madre di Dio è presente e venerata, come in tutte le chiese del Monte Athos, in numerose icone di tutti i formati e di tutte le epoche. A Maria vengono riservati i maggiori onori e segni di culto e devozione in una propria Cappella, detta della Vergine dell'Acatisto, la quale rappresenta il gioiello più prezioso del Monastero. Alla Cappella, sita all'angolo nord-ovest del katholikón, si accede dal nartece. E’ decorata da affreschi realizzati nel 1615 dal pittore Macario e restaurati alla fine del XIX secolo. Gli affreschi mostrano alcune scene dell'Apocalisse: le potenze infernali, rappresentate dai devastatori del Monastero, Crociati e Turchi insieme, riportano alla mente le terribili immagini delle apocalissi moderne, come Dresda e Hiroshima.

La Cappella deve il suo nome alla icona taumaturgica che vi è conservata e che è oggetto di profonda venerazione sull’Athos e in tutto il mondo ortodosso. È dono di Alessio III Comneno, imperatore di Trebisonda (1375), a Dionisio, fondatore del Monastero. Secondo la tradizione, questa sarebbe una delle tante repliche dell’originale ritratto della Madonna dipinto dall'Evangelista Luca, e più precisamente quella che il patriarca di Costantinopoli Sergio portò in processione durante l'assedio della città da parte degli Avari nel 625. Scampato il pericolo, Sergio fece cantare, per gratitudine alla Vergine, l'inno cosiddetto Acatisto, che significa "in piedi", ossia da recitarsi alzati in piedi. L'icona fu portata da Costantinopoli a Trebisonda, e poi donata dall'imperatore Alessio al Monastero.

L’icona attuale, molto danneggiata e nascosta da una pesante lastra preziosa decorata da innumerevoli gioielli, appartiene al tipo mariano dell’Eleousa in cui Maria e il Bambino portato sul braccio sinistro della Madre si scambiano gesti di affetto; all’icona viene anche dato il nome di Myrrovlítissa, titolo che deriva da un miracolo compiuto dall'icona nel 1592 quando, rubata dai pirati, scatenò una violenta tempesta ed esalò un penetrante profumo di mirra. I pirati, terrorizzati, la riportarono nel monastero dove si fecero monaci.

L'ala meridionale dell'artistico refettorio.
L'ala meridionale dell'artistico refettorio.

Santi, monaci di Dionissíu

Il Monastero, secondo la tradizione athonita, è stato un vivaio di Santi, monaci vissuti in diverse epoche nel Monastero. Si citano i nomi di Gennadio, di Giuseppe 'il saggio in Dio', di Gioasaf e di Macario, di Leonzio, la cui tomba emana sempre miracolosamente un profumo di buon odore, di Filoteo, celebrato come gioiello degli asceti che la Madre di Dio ha liberato dal carcere. Molti di questi sono venerati attraverso le loro reliquie conservate nel Monastero. Fra i Santi più celebrati vissuti nel Monastero vi è il patriarca di Costantinopoli Nifone II il quale, dopo due elezioni (nel 1486-1488 e 1497-1498), rifiutò una terza elezione al Patriarcato, ritirandosi all'Athos senza farsi riconoscere e visse nell'umile condizione di semplice monaco. Solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1508, se ne scoprì l'identità e, per l'esempio delle sue virtù, fu proclamato Santo.

I monaci dell’Athos celebrano la sua memoria l’11 agosto, ritenuto giorno della morte. Per l’occasione si canta una lunga ufficiatura, opera del monaco Gerasimo Mikragiannitis sopra menzionato.

Il Tropario dei Vespri così lo esalta:

"Ti sei illustrato con le opere della fede facendo risplendere tutta la Chiesa di Cristo, per cui tu sei stato esaltato per la tua umiltà; glorificato tramite la tua ascesi sull’Athos, tu sei divenuto il gioiello dei Patriarchi, o glorioso Nifon. Colma di grazie divine quanti con fede e amore a te inneggiano".

George Gharib



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Il Monastero Kutlumussíu 
e la Cappella della Foverá Prostasía

   

Ricco di storia, è celebre per l'icona della Madonna della Passione, venerata in tutto l'Oriente cristiano.

Il  Monastero Kutlumussíu, che sorge a 340 metri dal livello del mare, è situato a poca distanza da Karyès, ed occupa dal 1574 il sesto posto nella scala gerarchica dei monasteri. Ospita attualmente una cinquantina di monaci che seguono la regola cenobitica; è consacrato alla Trasfigurazione di Cristo la cui ricorrenza, che cade il 6 agosto, è celebrata con grande solennità. E’ un complesso quadrangolare di modeste proporzioni, dove fanno bella mostra di sé tre piani di loggiati simili a chiostri sovrapposti. Dal monastero dipendono la skíti (centro monastico minore) di San Panteleimon, 18 kellía (abitazioni monastiche singole), fra cui il kellíon Estavroménos (del Crocifisso) e quello di S. Giovanni Battista a Karyès, e tre issichastíria (luoghi di ritiro eremitico) a Kapsala.

La Madonna occupa un posto privilegiato non solo nelle numerose sue icone, dappertutto presenti, ma anche in una speciale Cappella dove si venera l’icona miracolosa detta Foverá Prostasía, ossia della "Terribile Presentazione".

Accesso al Monastero di Kutlumussíu dalla via di Karyès.
Accesso al Monastero di Kutlumussíu dalla via di Karyès.

Storia del Monastero

È opinione comune che la fondazione del Monastero Kutlumussíu sia da far risalire, sul finire del XIII secolo, all’iniziativa di un turco, imparentato con i sultani selgiuchidi di Konya, in Asia Minore. Questi, figlio di Azz ed-Din Kutlumush (o Ketelmush) e della cristiana Anna, si convertì al Cristianesimo nel 1283 assumendo il nome di Costantino e si recò sul Monte Athos, dove fondò il monastero. Ma un documento conservato in San Panteleimon, datato agosto 1169 e contenente tra le 28 firme anche quella di Isaia, "ieromonaco e kathigúmenos del monastero Kutlumussíu", sembra contraddire questa tesi, fornendo la prova dell’esistenza di un Monastero di tale nome sull'Athos già nel XII secolo, e suggerendo altre ipotesi, come quella che il suo fondatore non fosse un turco, bensì un arabo dell' XI secolo.

Nel XII secolo Kutlumussíu occupava soltanto il ventesimo rango fra i Monasteri del monte Athos; ma un atto del 1316, che reca la firma dell'igúmeno Teodoro, dimostra l'avvenuta risalita del Monastero nell'ordine gerarchico, dovuta ad alcune donazioni ricevute nel secolo precedente, tra cui i Monasteri abbandonati del Profeta Elia intorno al 1260-1265 e di Stavronikíta nel 1287. Le cose successivamente peggiorarono, soprattutto in conseguenza dei saccheggi dei pirati catalani.

In tale periodo contribuirono al sostentamento del Monastero Teodora Cantacuzena, madre del più famoso Giovanni, che con un atto del 1338 donò a Kutlumussíu alcuni domíni importanti nella regione di Serres, ed il voivoda di Valacchia Alessandro Basarab (1352-1364), che fece ricostruire la grande torre.

Nella seconda metà del XIV secolo Kutlumussíu tornò a vivere un momento di ripresa economica sotto l'igúmeno Caritone, nativo di Imbros, isola all'imbocco dei Dardanelli. Uomo attivo ed intraprendente nonché viaggiatore infaticabile, egli ebbe come unico obiettivo quello di fare di Kutlumussíu un monastero ricco e prospero. A tale scopo iniziò una politica di ricerca di sovvenzioni nelle zone balcaniche, ottenendo successo presso i principati danubiani, il che gli permise di far costruire il porto e di rinnovare quasi tutto il monastero, che da allora fu chiamato anche Monastero di Caritone.

Il principe rumeno Giovanni Vladislav (1364-1374) detto anche «Vlaiku Voda», figlio di Alessandro Basarab, fu il più sensibile fra tutti i benefattori, tanto da venir considerato il «secondo fondatore di Kutlumussíu», che da allora fu anche chiamato Monastero del Voivoda o Lavra dei Rumeni, essendo popolato per lo più da Monaci provenienti dalla Romania.

Il katholikón di Kutlumussíu, edificato nel 1540. - Al suo interno c'è la Cappella mariana della Foverá Prostasía.
Il katholikón di Kutlumussíu, edificato nel 1540.
Al suo interno c'è la Cappella mariana della
Foverá Prostasía
.

Ma la regola cenobitica era troppo rigida per i rumeni, e fu lo stesso Giovanni Vladislav che chiese, anche attraverso il metropolita di Valacchia Giacinto, che i religiosi potessero vivere secondo quella idiorritmica. Caritone convinse i Monaci greci ad accettare ed il voivoda emanò una carta di fondazione del Monastero, in cui si dichiarava suo proprietario e fondatore, riconoscendolo peraltro come greco.

Nel 1372 Caritone divenne metropolita di Ungarovalacchia, pur rimanendo igúmeno di Kutlumussíu, e nel 1376 fu eletto prótos dell'Athos; ciò contribuì al prestigio del Monastero, le cui buone fortune continuarono nonostante la morte di Caritone, avvenuta intorno al 1381, e la cattura da parte dei Turchi del valacco Melchisedec, suo successore. L'epoca di maggior splendore, infatti, Kutlumussíu la visse qualche anno più tardi, quando nel giugno del 1393 il Patriarca di Costantinopoli Antonio lo elesse a rango di Monastero patriarcale e stavropegiaco.

Nel 1428 i Monaci ottennero dal patriarca Giuseppe II una carta che sanciva l'unione di Kutlumussíu e di Alipios; essi lo interpretarono come assorbimento da parte di Kutlumussíu del Monastero di Alipios, che venne pertanto ridotto ad un kellíon ancor oggi esistente e chiamato "dei Santi Apostoli". I due Monasteri attraversarono però ben presto un periodo di crisi durante il quale furono completamente abbandonati. Kutlumussíu fu rioccupato verso il 1475 da monaci bulgari e verso il 1527 da monaci greci.

Nel 1497 un terribile incendio lo distrusse quasi completamente: venne ricostruito grazie agli aiuti dei voivodi Radu il Grande, che fece restaurare il lato nord-est e la torre (1508), e Neagoe Basarab. Nel 1767 un altro incendio distrusse il lato est, che venne fatto ricostruire da Matteo III, patriarca di Alessandria, il quale non solo seguì personalmente i lavori di riedificazione del refettorio e di decorazione di parte del katholikón, ma alla sua morte, avvenuta nel 1775, donò al monastero le sue fortune.

Kutlumussíu subì un terzo incendio nel 1856, ed un quarto nel 1870 che danneggiarono gravemente le costruzioni dei lati nord, ovest e sud, successivamente restaurate ad opera dell'igúmeno Meletios di Leucade, ma che risparmiarono miracolosamente il katholikón, la biblioteca e il tesoro.

Durante il secolo scorso, nel 1856, il Monastero ritornò al cenobitismo sotto l'igúmeno Nikandros, come testimonia il sighíllion di Cirillo VII, patriarca di Costantinopoli.

Madre di Dio della Passione, sec. XIX (coll. privata, Italia).
Madre di Dio della Passione, sec. XIX (coll. privata, Italia).

Il katholikón dedicato alla Trasfigurazione di Cristo

Il bellissimo katholikón è stato edificato dall'igúmeno Massimo nel 1540 sulle rovine di una chiesa preesistente. La pianta è quella tradizionale agiorita a trifoglio e litì (nartece), con la sola particolarità di possedere una próthessis (altare adibito alla preparazione dei doni eucaristici) e diakonikón (locale adibito a sacrestia) sporgenti ed a forma semicircolare.

Particolare grazia conferiscono alla struttura esterna le ceramiche intercalate ai mattoni negli spazi intercorrenti fra le arcate dell'atrio.

Gli affreschi che decorano le pareti, coevi alla costruzione o di poco posteriori, sono di scuola cretese ed esprimono particolare intensità spirituale; rappresentano i tradizionali cicli devozionali sulla cupola e nel catino absidale, quello delle Grandi Feste nelle volte e nelle conche dei cori e quello della Passione di Cristo nel braccio ovest del transetto (naós). Malauguratamente, la maggior parte degli affreschi ha subìto negli anni maldestri restauri.

Nel santuario (víma) sono conservate numerose reliquie, tra cui il piede destro di Sant'Anna, madre della Vergine, la mano sinistra di San Gregorio di Nazianzo, ed altre di San Panteleimon, Sant'Anastasia, Santa Barbara e Santa Maria Maddalena.

La Cappella mariana della Foverá Prostasía

In una Cappella (parekklíssion) laterale, a sinistra della lití, edificata nel 1733 da un certo Niceforo, è venerata un'icona taumaturgica della Vergine denominata Foverá Prostasía, ossia della Terribile Presentazione. Essa rappresenta la Vergine con il Bambino Gesù fra le braccia che si ritrae alla vista degli strumenti della Passione presentati dagli Angeli in volo. L’icona appartiene al tipo iconografico detto Madonna della Passione, che ha conosciuto grande diffusione nei più svariati paesi dell'Oriente cristiano: Grecia, Cipro, Creta, Serbia, Monte Athos, Russia, Paesi slavi, ecc. Il tipo iconografico, introdotto in Italia a partire del secolo XV, ha riscontrato grandi favori presso i Madonnari di Venezia, Ravenna e Italia Meridionale. Roma ne possiede una celebre replica venerata con il nome di "Madonna del Perpetuo Soccorso", che i Padri Redentoristi (che l'hanno in custodia) hanno fatto conoscere in tutto il mondo.

La Madonna della Passione, detta anche "Madonna con i simboli della Passione", è una comune Madonna con Bambino. Il tipo iconografico a cui appartiene è quello della Odigítria, austero e ieratico, che per gli Orientali è quello del ritratto originale della Madonna dipinto dall'Evangelista Luca. Il tipo però tende ad avvicinarsi a quello della Eléousa, nel quale sono espressi sentimenti di affetto e di tenerezza fra Madre e Bambino. Questi sentimenti dell'Eléousa si colorano nella Madonna della Passione di altri sentimenti: l'affetto di Maria si riveste di apprensione, mentre quello del Bambino si carica di paura e di spavento.

La torre sud-ovest (1508), le fiáli (1814) e il refettorio (1767) del Monastero.
La torre sud-ovest (1508), le fiáli (1814) e il refettorio (1767) del Monastero.

Questi nuovi sentimenti sono provocati dall'aggiunta ai lati del capo della Vergine di due Angeli che portano gli strumenti della Passione: il Bambino si gira e, spaventato, lascia cadere uno dei suoi sandali. La Madre, a sua volta, si china con apprensione verso il Bambino sorretto sul braccio sinistro e cerca di calmarlo prendendone le manine nella sua mano destra rimasta libera.

In molte icone di questo tipo è presente una iscrizione in greco, composta dei seguenti quattro versi giambici:

"Colui che prima aveva fatto
l'annuncio alla Vergine,
mostra i simboli della Passione.
Cristo rivestito di corpo mortale,
a questa vista
è preso da spavento".

In molte icone del tipo la Madonna è indicata con l'attributo Amolyntos: il termine significa Immacolata, Incontaminata.

L'iconografia della Madonna della Passione ha trovato grande favore anche in Russia e nel mondo slavo. L'icona porta il nome di "Strastnaja", o dei dolori. La Chiesa russa venera l'icona della Madre di Dio Strastnaja nel suo calendario due volte: il 13 agosto e la VI Domenica dopo Pasqua.

Altro titolo dato alla Madonna della Passione è, appunto, quello di "Foverá Prostasía", o della "Terribile Presentazione". L’icona, secondo la tradizione athoníta, sarebbe venuta da Creta, dove era custodita e dove era sfuggita ad un incendio. Custodita preziosamente a Kutlumussíu, la Madonna sarebbe intervenuta contro i Turchi che avevano assalito il Monastero. Durante l’incendio da loro appiccato, la Madonna li avrebbe accecati e costretti a fuggire. Ciò spiega il titolo dell’icona, scritto in greco sull’original.

George Gharib

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Il Monastero Pantokrátoros
e la icona mariana della Gheróntissa

   

Ricco di storia, di devozione e di arte, è celebre per le tante icone, particolarmente quella detta dell'Anziano, scarsamente conosciuta in Occidente, ma molto famosa nel mondo ortodosso.

Il  monastero Pantokrátoros è il settimo insediamento monastico del Sacro Monte in ordine gerarchico; il termine significa "del Pantokrátor", uno dei principali nomi di Cristo, generalmente tradotto con "Onnipotente". Il mistero a cui è consacrato il Katholikón è però quello della Trasfigurazione, la cui festa ricorre con grandissima solennità il 6 agosto. Per l’occasione c’è un grande concorso di monaci e laici che vi giungono in battello, a dorso di mulo o a piedi. Fra loro vi sono i cantori dei Monasteri vicini che aiutano a celebrare l’agrypnía, ossia veglia di tutta la notte, in mezzo ad una infinità di ceri e di lampade ad olio che creano un'atmosfera quasi irreale che lascerà un ricordo indimenticabile, specie nei rari turisti venuti da lontano. Il Monastero è greco e segue la regola idiorritmica. Fra le numerose icone mariane venerate dai Monaci si segnala quella detta "Panaghía Gheróntissa", ossia dell'Anziano, per la ragione che vedremo.

Vista panoramica dal mare del Monastero Pantokrátoros.
Vista panoramica dal mare del Monastero Pantokrátoros.

Origine e breve storia del Monastero

Il Monastero Pantokrátoros, che somiglia a una fortezza, sorge su di un promontorio roccioso lungo il litorale nord-est della penisola athonìta, praticamente a metà strada fra il confine settentrionale e la punta meridionale. Il Monastero è di piccole dimensioni e ospita attualmente una cinquantina di monaci; possiede numerose dipendenze, fra cui la skíti russa del Profeta Elia, e 16 kellía, o celle monastiche: tra queste, quella della Dormizione della Vergine, chiamata anche dell’Axión estin, da cui proviene la famosa icona miracolosa dallo stesso nome, ora conservata nel prótaton di Karyes. Da Pantokrátoros dipendono anche 36 kalíve, cioè singoli edifici facenti parte dell'agglomerato monastico di Kapsala, lungo la strada per Karyes.

La fondazione del monastero si fa risalire all’anno 1357, data attestata dal sighíllion di Callisto, patriarca di Costantinopoli, ad opera dei fratelli Alessio e Giovanni, due monaci di origine greca. Il Monastero deriva il suo nome da quello di un insediamento preesistente, che forse prendeva a sua volta il nome dalla località in cui era stato costruito, Pantokrátor.

I due fratelli ingrandirono a poco a poco il piccolo kellíon fino a dargli le dimensioni di un vero e proprio monastero, e lo abitarono fino alla morte. Alessio, a suo tempo grande stratopedarca (= generale imperiale), e Giovanni, grande primicerio (= cancelliere), erano imparentati con Giovanni V Paleologo (1341-1391), Imperatore di Bisanzio, che fece al nuovo Monastero alcune importanti donazioni sull’isola di Lemnos, dando così avvio alla sua autonomia economica. I suoi successori continuarono in seguito con la pratica delle donazioni: così l’Imperatore Manuele II (1391-1425) ed il Patriarca di Costantinopoli Antonio contribuirono nel 1393 al restauro del Monastero, colpito da un disastroso incendio. Anche Giovanni VIII (1425-1448) si distinse per le sue elargizioni.

Pantokrátoros visto dal lato sud-ovest.
Pantokrátoros visto dal lato sud-ovest.

Verso la fine del XIV secolo, Pantokrátoros ottenne anche la competenza sugli eremitaggi di Fakinos, Falakros, Sotiros, San Demetrio, Sant'Ausenzio e su Ravdúchu. I primi quattro erano già noti nel X secolo, mentre l’ultimo, consacrato alla Presentazione della Vergine al Tempio, agli inizi del XIV secolo occupava la quattordicesima posizione nella gerarchia dei Monasteri athonìti, e oggi è sopravvissuto come kellíon di Pantokrátoros.

Come tutti i Monasteri del Monte Athos, anche Pantokrátoros attraversò una lunga crisi economica sotto il dominio turco, che superò grazie agli aiuti dei principi delle regioni danubiane e dei benefattori greci. Degni di menzione sono Vlad III Kalogheros, che elargì al monastero una sovvenzione annuale, ed il voivoda di Valacchia Neagoe Basarab. Tali aiuti gli permisero di risalire rapidamente di rango; dal 1574 Pantokrátoros occupa infatti il settimo posto nell’ordine gerarchico della teocrazia athonìta. Nel 1631 gli fu annesso il Monastero di Kastsoarele di Valacchia, che fu fonte di notevole apporto economico; altri consistenti aiuti ebbe in seguito da parte di Giovanni Mavrocordatos (1716-1719) e dalla zarina Caterina la Grande di Russia, la quale autorizzò tra l’altro i monaci di Pantokrátoros a raccogliere le elemosine entro i confini del suo Impero. Il Monastero venne in seguito ancora devastato dalle fiamme, dapprima nel 1773, quando fu distrutto in gran parte e quindi restaurato, e successivamente nel 1948, quando fu ridotta in cenere l’ala nord-est. Pantokrátoros è stato rinnovato recentemente con i finanziamenti dello Stato greco per la tutela del patrimonio culturale e artistico, dopo che il Monastero, nel 1950, fu interamente distrutto da un nuovo e violento incendio.

Cortile del Monastero, la torre ed il katholikón, entrambi del XIV secolo.
Cortile del Monastero, la torre ed il katholikón, entrambi del XIV secolo.

Il katholikón e l’icona della Panaghía Gheróntissa

Il katholikón, dedicato alla Trasfigurazione, è stato edificato a trifoglio nel 1363, secondo la tradizionale tipologia agiorita, ma con la particolarità che lo spazio fra i due cori ed il santuario (víma) è maggiore rispetto alla consuetudine e che le due Cappelle laterali che lo affiancano: la próthesis destinata alla preparazione dei doni eucaristici, ed il diakónikon assegnato a sacrestia, sono a forma di torri culminanti a cupola. Nel 1847 i due narteci sono stati riuniti per comporre la lití, locale destinato alle processioni liturgiche, ed è stato realizzato un atrio a vetrate, sormontato dal campanile.

I grandi affreschi che ornano i muri sono stati eseguiti da maestri di scuola macedone nel XIV secolo, ma hanno subìto a più riprese, nel 1536, 1847 e 1854, restauri e rimaneggiamenti. Alcuni affreschi sono fortunatamente rimasti integri; è il caso, ad esempio, di quello della Dormizione della Vergine situato, come di solito nelle chiese bizantine, sulla parete ovest della navata (naós) al di sopra della porta principale d'entrata.

Nel katholikón sono sepolti i due fondatori del Monastero, Alessio e Giovanni, e sono conservate numerose reliquie, quali una cospicua porzione della Santa Croce, e alcune antiche, preziose e venerate icone. Fra queste spicca l'icona miracolosa detta Panaghía Gheróntissa, ossia dell'Anziano, così denominata in quanto, secondo la tradizione, avrebbe apostrofato l'officiante della liturgia, chiedendogli di accelerare i tempi della celebrazione al fine di poter portare la Comunione ad un confratello anziano morente. Della Madonna raffigurata nell’icona i calogeri raccontano diversi prodigi: si narra, ad esempio, che in un periodo di carestia riempì un'intera giara di olio, che accecò un turco che l'aveva gettata in un pozzo e che nel 1950 protesse il Monastero dal violento incendio, estinguendone miracolosamente le fiamme.

Madre di Dio 'Bogoljubskaja', del tipo iconografico della deoméne (l'orante), come l'icona della Gheróntissa venerata nel katholikón del Monastero Pantokrátoros.
Madre di Dio 'Bogoljubskaja', del tipo iconografico della deoméne (l'orante)
,
come l'icona della Gheróntissa venerata nel katholikón del Monastero Pantokrátoros.

Si narra che tutti gli sforzi per spegnere il fuoco furono vani, finché i Monaci, in pericolo di vita, presero l'icona della Madre di Dio, la elevarono al cielo, e poi, cantando, attraversarono illesi le fiamme. La Madre di Dio li avrebbe così salvati!

In realtà, sembrerebbe che i Monaci, in passato, non avessero agito così bene nei confronti dell'icona: un'antica leggenda narra infatti di quando, attaccati dai pirati, i Monaci si erano nascosti nella torre. Pensando che i religiosi avessero nascosto la cassa del Monastero e volendo farli uscire, i briganti presero l'icona dalla chiesa e andarono vicino ad un pozzo. I Monaci, però, non si mossero affatto per salvare l'immagine della Vergine; così i pirati, irritati, gettarono l'icona nel pozzo e se ne andarono via. Molti anni dopo, tormentato dalla coscienza, il capo dei predoni inviò un parente al Monastero e fece chiedere dell'icona: l'avevano tutti dimenticata miseramente nel pozzo! Quando la trassero fuori, constatarono con sorpresa che l'immagine della Vergine non aveva subìto alcun danno dall'acqua. Un monaco russo la restaurò e la rivestì con una lamina d’argento che la ricopre tuttora.

Nell’icona, appartenente al tipo iconografico della Deoméne, od Orante, la Madonna è rappresentata sola e senza il Bambino; è a pieno corpo e in piedi, le mani alzate in atto di supplica; ai suoi piedi è raffigurata una giara più o meno grande, che allude al miracolo narrato sopra. Questa icona, scarsamente conosciuta in Occidente, gode di grande fama nel mondo ortodosso e in tutti gli ambienti raggiunti dai monaci athonìti nel mondo.

Cristo Pantokrátor tra la Madre di Dio e San Giovanni Battista - Icona su legno, Ufficio Archeologico dell'Accademia Ecclesiastica di Mosca.
Cristo Pantokrátor
tra la Madre di Dio e San Giovanni Battista - Icona su legno,
Ufficio Archeologico dell'Accademia Ecclesiastica di Mosca.

Come un museo di opere d'arte

Fra le numerose icone conservate e venerate nel Monastero, particolarmente pregevoli sono due 'portative' dipinte sui due lati, raffiguranti la prima il Cristo Pantokrátor risalente agli anni 1350-1360 e recante sul retro (oggi separato dal verso) la figura di Sant'Atanasio Athoníta; la seconda rappresenta invece la Vergine in conversazione con il Battista. Quest'ultima, soggetto molto raro nell’iconografia bizantina, è resa con grande maestria e forte estro mistico, proponendo un incontro inconsueto dei due personaggi. Per i conoscitori, l’opera costituisce il capolavoro di un grande artista del secolo XIV, vissuto a Costantinopoli.

Il refettorio (trápesa) è situato al primo piano dell'ala ovest del Monastero. L’edificio attuale, realizzato nel 1741 e affrescato nel 1749, ha pianta rettangolare. Oggi il refettorio è utilizzato unicamente in occasione di particolari feste, in quanto il Monastero segue la regola idiorritmica.

Il Monastero Pantokrátoros è dominato da una grande Torre di pietra risalente alla sua fondazione e possiede numerose Cappelle: otto all’interno delle mura e sette all'esterno. Fra queste, le più pregevoli sono quella della Dormizione della Vergine, a nord della lití del katholikón, decorata da affreschi del 1538 ridipinti nel 1868, e quella di San Giovanni Battista, nell'ala sud del Monastero.

La Biblioteca, i cui locali si trovano al piano terra dell'ala nord-est, custodisce 350 manoscritti, di cui 68 su pergamena, e 3.500 volumi stampati. Le opere di maggior pregio sono un salterio del IX secolo, ricco di immagini, e il tetravangelo di San Giovanni il Kalivita, del XII secolo.

Nel tesoro (skevofilákion) sono conservati oggetti e paramenti sacri, reliquari, croci, ególpia (medaglioni che porta il vescovo sul petto), ecc.; vi è anche un prezioso epitáfios, drappo liturgico finemente ricamato su cui è rappresentato il Cristo morto vegliato dagli Angeli e dall’Addolorata. Vi sono custoditi, fra l'altro, un frammento dello scudo di San Mercurio (III secolo), il braccio dell'Apostolo Andrea, reliquie di San Teodoro Stratilate e dei Santi Cosma e Damiano ed un frammento della Vera Croce, dono dell'imperatore Andronico Paleologo.

George Gharib

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Il Monastero bulgaro Zográfu
e le sue icone taumaturgiche

   

Imponente e monumentale, sorge su una valle lussureggiante dell’Athos. – È dedicato a San Giorgio e conta attualmente una trentina di Monaci, tutti di origine bulgara.

Il  Monastero Zográfu è un insediamento monastico di origine bulgara e occupa attualmente la nona posizione nell’ordine gerarchico dei Monasteri athoniti, immediatamente dopo quello di Xiropotámu, che abbiamo omesso perché non presenta oggetti o ricordi specificamente mariani. Il Monastero, sito sulla sponda occidentale della penisola athonita, di stile cenobitico dal 1840, conta attualmente una trentina di monaci, tutti di origine bulgara. La sua fondazione risale agli inizi del secolo X ed è dedicato a San Giorgio Martire, in seguito ad un fatto meraviglioso che riporteremo più avanti.

In questo Monastero, ricco di reliquie e di opere d’arte, si venerano non meno di quattro icone di origine taumaturgica.

Il porticciolo del Monastero di Zográfu.
Il porticciolo del Monastero di Zográfu.

Storia tormentata del Monastero

La fondazione del Monastero presenta ancora molti lati oscuri. Secondo una tradizione scarsamente documentata, le sue origini risalgono all'epoca dell'imperatore Leone VI, detto il Filosofo (886-912): tre fratelli di nobile stirpe provenienti dalla città di Ochrida, sull'omonimo lago dell'odierna Jugoslavia, ai confini con l'Albania, essendosi fatti monaci, ne avrebbero deciso la costruzione. I tre fratelli, che si chiamavano Mosè, Aronne e Giovanni, non riuscivano ad accordarsi sul nome di un patrono a cui dedicare il Monastero. Lasciando la scelta alla volontà divina, questa si rese manifesta con la miracolosa apparizione di un ritratto di San Giorgio, dichiarato così patrono del Monastero, che da allora prese il nome Zográfu, ossia "del pittore".

Va anche notato che la prima carta di fondazione (Typikon) dell’Athos (972) reca in calce, al ventesimo posto tra le cinquantasette firme di igumeni e religiosi, anche quella di un monaco di nome Giorgio, pittore di professione. Forse la versione più attendibile circa le origini di Zográfu è che, non molto tempo prima di quella data, alcuni discepoli si sono radunati intorno a questo autorevole monaco per aiutarlo a costruire un nuovo Monastero.

Pertanto, dall’inizio Zográfu fu abitato da numerosi monaci bulgari, tanto che intorno al 1200 veniva chiamato anche con il nome di "Monastero dei Bulgari". Nel XIII secolo ricevette donazioni da parte di Michele VIII Paleologo (1259-1282), il che non impedì allo stesso Imperatore di perseguitarne i monaci, attraverso l'operato del Patriarca di Costantinopoli Giovanni Bekkos (1275-1282), favorevole all'énosis, ossia all'unione delle Chiese latina e greca. In quella situazione, il 10 ottobre 1276 si è compiuto il sacrificio di ventisei suoi religiosi, che furono arsi vivi per mano dei partigiani di Bekkos, nella torre dove si erano rinchiusi in cerca di un rifugio alle loro angherie.

Il cortile del Monastero.
Il cortile del Monastero.

Alcuni anni più tardi Zográfu, in seguito ad una scorreria di pirati catalani, venne spogliato e semidistrutto da un incendio, mentre i suoi monaci furono in gran numero massacrati. Dopo questo sfortunato avvenimento, fu rapidamente ricostruito grazie ai contributi degli Imperatori Paleologi, da Andronico II (1282-1328) a Giovanni V (1341-391).

In seguito, durante l'occupazione turca, il Monastero attraversò un periodo di decadenza fino ad essere quasi abbandonato; tornò ad essere abitato a partire dal 1502, in seguito agli sforzi fatti dal principe Stefano III il Buono di Ungaro-Valacchia, che molto si adoperò per renderlo nuovamente funzionale. Nel XVIII secolo ospitava, oltre a monaci bulgari, anche serbi e greci, e nella seconda metà dello stesso secolo dimorò tra le sue mura il monaco Paisij, autore, fra l’altro, di una Storia della nazione bulgara.

Le costruzioni attuali sono opera piuttosto recente: l'ala di sud-est è stata restaurata nei primi anni del XVIII secolo, il Katholikón venne ricostruito nel 1801, mentre il grandioso ingresso del Monastero, il lato nord e quello ovest, che è il più maestoso, sono opera successiva al 1862, quando Zográfu godette di un periodo di notevole prosperità. Dal 1841 i monaci si sono riconvertiti al sistema cenobitico e dal 1845 l'elemento bulgaro è tornato ad essere nuovamente preponderante.

Il Monastero possiede numerose abitazioni monastiche da affittare ai monaci (Kathísmata) e diverse kellía, fra cui il kellíon della Trasfigurazione a Karyes, ove risiede il rappresentante presso la Sacra Comunità.

Possenti mura ottocentesche di Zográfu.
Possenti mura ottocentesche di Zográfu.

Il Katholikón

Il Monastero, che sorge imponente e monumentale in una lussureggiante valle, a circa un'ora di cammino dalla costa sud-ovest della penisola athonita, possiede un refettorio spazioso ma privo di affreschi, una fiáli marmorea, un monumento antiunionista, un Katholikón ricco di arte e reliquie, una Biblioteca e diverse Cappelle.

L'attuale chiesa principale (Katholikón), dedicata a San Giorgio, è stata edificata nel 1801 secondo la tradizionale pianta agiorita, a triconco e nartece (lití). Il suo aspetto esterno è gradevole per la sua realizzazione in pietre da taglio di colore chiaro, intercalate da fasce di mattoni rossi. L'atrio a vetrate è più recente e risale al 1840, mentre gli affreschi che decorano il naós sono del 1817.

Addossate alle colonne davanti all'iconostasi vi sono due icone miracolose raffiguranti entrambe San Giorgio. La più venerata è quella di destra, denominata achiropíitos (= non fatta da mano umana): la leggenda narra, infatti, che i tre fondatori del Monastero, essendo in disaccordo sulla personalità a cui consacrarlo, se alla Vergine, a San Nicola o a San Giorgio, avevano preparato una tavola bianca, ponendola all'interno della chiesa, chiudendone successivamente le porte e pregando Dio che manifestasse loro la propria volontà. Il giorno successivo rinvennero la tavola dipinta con l'immagine di San Giorgio, a cui pertanto fu dedicato il Monastero, da allora denominato Zográfu o "del pittore".

Un'altra leggenda racconta che un Vescovo di Iérissos, incredulo sulla storia dell'icona, avendola toccata con un dito, non riuscì più a staccarlo: il dito gli fu pertanto tagliato e lo si può vedere ancora oggi sulla guancia di San Giorgio, sotto l'occhio sinistro.

La seconda icona raffigurante San Giorgio, sulla colonna di sinistra, è coperta da una ricca decorazione in argento del 1822: secondo la tradizione, sarebbe giunta dall'Arabia galleggiando sul mare e dalla baia di Vatopédi a dorso d'asino.

Sull'iconostasi del Katholikón è custodita un'altra icona taumaturgica: quella della Panaghía Epakúussa (= Vergine che esaudisce le preghiere). Secondo la leggenda, un monaco bulgaro del XVI secolo, chiamato Kosmas, un giorno pregava davanti a quest'icona, domandando alla Vergine come avrebbe potuto ottenere la salvezza della propria anima, quando d'un tratto intese una voce: era la Vergine che si faceva interprete di tale richiesta presso il Figlio. La risposta fu: "Kosmas deve lasciare il Monastero e diventare eremita"; e così avvenne.

Nel víma sono conservate reliquie di San Giorgio, Sant’Atanasio patriarca di Alessandria, San Nestore, San Teodoro Tirone, San Procopio, San Matteo l'Evangelista, San Varlaam, San Giacomo il Persiano e San Teodosio Cenobiarca.

Lo zar Giovanni e il voivoda di Moldovalacchia Stefano, in un affresco del katholikón (1817).
Lo zar Giovanni e il voivoda di Moldovalacchia Stefano, in un affresco del katholikón (1817).

L’Inno Acatisto

Il Monastero possiede non meno di sedici Cappelle, otto delle quali al suo interno; queste ultime sono: quella della Dormizione della Vergine, quella dei Santi Cirillo e Metodio, Apostoli dei Slavi; quella della Trasfigurazione; quella di San Giovanni Battista; quella dei Santi medici anargiri Cosma e Damiano; quella degli Arcangeli Michele e Gabriele; quella, infine, dei 26 Martiri del Monastero. Ognuna di queste Cappelle ha il suo corredo di icone e di arredi.

Nella Cappella della Dormizione della Vergine, sita a fianco del Katholikón, edificata tra il 1758 e il 1764 e affrescata nel 1780, è custodita un'icona taumaturgica della Panaghía del tipo acátisto e denominata in serbo Khairóvo (= Colei che si saluta con "Salve a te", o "Vergine del saluto"). L'icona ha anche la denominazione di Paranghelloméni (= Colei che dà l'avvertimento), per la seguente leggenda che viene tramandata.

Un giorno, un asceta che conduceva vita solitaria, mentre stava leggendo come di consuetudine l'inno Acatisto davanti all'icona, fu interrotto dalla Vergine che gli rivelò che i soldati latinofrónes (= unionisti) di Michele VIII avrebbero attaccato il Monastero, e che occorreva pertanto avvertire i monaci non preparati al martirio di abbandonarlo e di mettersi al sicuro. Il monaco corse subito al Monastero ad avvertire i confratelli che riuscirono quasi tutti a mettersi in salvo; solo un gruppo di 26 monaci si rifiutò di fuggire e si rifugiò nella torre, portando con sé l'icona. La torre fu incendiata e i 26 monaci morirono nel fuoco. Solo l'icona rimase miracolosamente integra.

I monaci di questo Monastero, per onorare la Madonna durante la celebrazione della divina liturgia (messa), invece del canto abituale di Comunione (Kinonikón), leggono l'Inno Acatisto: l’inno, come già sanno i nostri lettori, è tra i più belli che celebrano la Madonna; composto in greco nella seconda metà del secolo V, si compone di 24 stanze o strofe contenenti un totale di 144 salutazioni, ispirate al saluto dell’Angelo dell’Annunciazione.

Riportiamo qui di seguito il testo della prima stanza, nella classica versione italiana di Padre Ermanno Toniolo:

"Il più eccelso degli Angeli fu mandato dal cielo per dir «Ave» alla Madre di Dio. Al suo incorporeo saluto, vedendoti in lei fatto uomo, Signore, in estasi stette, acclamando la Madre così:

Ave, per te la gioia risplende;
Ave, per te il dolore s'estingue.
Ave, salvezza di Adamo caduto;
Ave, riscatto del pianto di Eva.
Ave, tu vetta sublime a umano intelletto;
Ave, tu abisso profondo agli occhi degli Angeli.
Ave, in te fu elevato il trono del Re;
Ave, tu porti Colui che tutto sostiene.
Ave, o stella che il sole precorri;
Ave, o grembo del Dio che s'incarna.
Ave, per te si rinnova il creato;
Ave, per te il Creatore è Bambino.
Ave, Vergine e Sposa!
".

Segnaliamo, per finire, che il Monastero dispone di una vasta Biblioteca che occupa alcuni locali della torre: essa contiene 126 manoscritti in greco e 388 in slavo, di cui 26 su pergamena; nonché circa 10.000 volumi stampati, di cui gran parte in lingua bulgara.

George Gharib

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Il Monastero di Dochiaríu 
e l’icona della Madre di Dio
Gorgoepíkoos

   

Fondato nel secolo decimo, ad opera di un monaco di Costantinopoli discepolo e compagno di ascesi di Sant'Atanasio l’Athonita, il Monastero ha nove Cappelle, la più nota delle quali è detta della Vergine "che esaudisce rapidamente" ed appartiene alla categoria delle cosiddette «icone di terrore».
  

Storia del monastero

Il Monastero ebbe nel corso della sua lunga storia numerosi benefattori, fra cui spicca il nome dell'Imperatore Michele VII Ducas (1071-1078), che fece considerevoli elargizioni a cui seguirono nel 1092, ad opera dell'igumeno Neofito, di origine patrizia, rinnovi ed ampliamenti del Monastero stesso. Nel corso del XIV secolo fu oggetto della generosità dell'Imperatore Giovanni V Paleologo (1341-1391) e delle attenzioni del re di Serbia Stefano Dušan (1331-1355), e poté anche assorbire il Monastero di Kalligrafos, oggi scomparso. Le incursioni piratesche contro il Monastero continuarono, ma il crollo definitivo avvenne a seguito dell'invasione turca del secolo XV. Durante i primi anni di quella dominazione Dochiaríu attraversò una fase di vera e propria decadenza che durò fino alla seconda metà del XVI secolo quando, intorno al 1560, il prete Giorgio di Adrianopoli fece la sua comparsa nel Monastero semiabbandonato. Egli era stato guarito miracolosamente da una grave infermità per intercessione, a suo dire, degli Arcangeli Michele e Gabriele, cui Dochiaríu è consacrato, e per riconoscenza verso di loro aveva deciso di dedicare la propria vita e le proprie sostanze al servizio del Monastero. Fu così che iniziarono le opere di restauro, e con esse la rinascita di Dochiaríu.

Qualche anno più tardi, il voivoda di Moldavia Alessandro IV Lapušneanu (1564-1568) e la moglie Roxandra Domna, grandi benefattori dei Monasteri athoniti, si interessarono a Dochiaríu. Essi riscattarono e restituirono al Monastero alcuni domìni che erano già stati di sua proprietà, e fecero costruire l'attuale katholikón, del tradizionale tipo agiorita, uno dei più grandi dell'Athos.

In seguito, il Monastero poté agevolmente sopravvivere grazie alle donazioni di altri benefattori, nei primi anni del XVII secolo. È di quell'epoca l'attuale ala meridionale e la poderosa torre che lo fa assomigliare ad una fortezza medioevale. Nel XVIII secolo fu poi eretto il campanile e l'ala nord-orientale. Durante la guerra di indipendenza greca (1821) al Monastero furono confiscati i beni ed una parte dei suoi Monaci perdette la vita per mano delle truppe turche di Mehemet Pascià.

Il Monastero di Dochiaríu visto dal mare.
Il Monastero di Dochiaríu visto dal mare.

La tradizione fa risalire la fondazione del Monastero di Dochiaríu al secolo decimo, ad opera di un monaco di Costantinopoli, di nome Eutimio, discepolo e compagno di ascesi di Sant'Atanasio l’Athonita. Il nome Dochiaríu risale allo stesso Eutimio che era stato il dochiáris, ossia magazziniere o custode dell'olio e del vino del Monastero della Grande Lavra, mansione che gli venne attribuita come soprannome. In seguito, egli stesso fondò un piccolo Monastero dedicato a San Nicola presso il porto di Dafni, presto scomparso. I suoi monaci, guidati dallo stesso Eutimio, lo ricostruirono poco lontano, in posizione più difendibile, ed il nuovo Monastero prese il nome di Dochiaríu, dal soprannome del suo fondatore. Il primo Tipikón (carta di fondazione) del Monte Athos del 972 ne conferma l'esistenza, con la firma del suo igumeno Eutimio che compare al ventiquattresimo posto fra le cinquantasette presenti. Il secondo Tipikón, risalente al 1045, colloca l’insediamento monastico al decimo posto fra i 180 monasteri di quel tempo. Tali elementi indicano chiaramente che Dochiaríu godette di una certa prosperità dalla sua fondazione fin verso la fine del XIII secolo, epoca in cui le scorrerie dei pirati interruppero il suo momento felice.

Il Katholikón

Il katholikón, consacrato agli Arcangeli Michele e Gabriele, è stato edificato nel 1568 per volontà dei principi moldavi Alessandro IV e sua moglie Roxandra, i cosiddetti secondi fondatori di Dochiaríu. La pianta è quella tradizionale agiorita a trifoglio e lití; quest'ultima è sorretta da quattro colonne ed è particolarmente ampia. All'esterno la straordinaria altezza dei muri, il carattere massiccio della costruzione e l'impiego di contrafforti, hanno le caratteristiche delle chiese della Moldavia e confermano pertanto l'intervento di architetti provenienti da tali zone, patrocinati dai prìncipi suddetti.

Gli affreschi che ne decorano le pareti sono opera di artisti ignoti di scuola cretese che li realizzarono nel 1568, riallacciandosi all'arte e alla tecnica di Teofane di Creta, maestro incontrastato di tale scuola. I temi sono quelli tradizionali: la Vergine nella conca absidale, il Pantokrátor nella cupola, gli Evangelisti sui pennacchi, le Grandi Feste nei cori e sulle volte, la Passione di Cristo nel braccio ovest della croce e i Miracoli. Le composizioni più grandiose sono quelle dell'albero di Iesse e del Giudizio Universale. L'albero di Iesse rappresenta la genealogia del Cristo, da Iesse a Davide, a Maria da cui germogliò Cristo. Il Giudizio Universale è rappresentato secondo lo schema tradizionale con il Cristo giudice al centro, circondato da una schiera di Angeli, dalla Vergine e il Battista in déissis ai suoi lati, dagli Apostoli, assistenti al Giudizio seduti su scranni, e dai gruppi degli eletti e dei reprobi.

Particolarmente pregevoli sono l'iconostasi in legno scolpito del 1783 e il ciborio in legno sovrastante l'altare.

La maestosa torre del Monastero di Dochiaríu, sede della ricca Biblioteca.
La maestosa torre del Monastero di Dochiaríu, sede della ricca Biblioteca.

La fiáli e la biblioteca

Il Monastero possiede una fiáli particolarmente suggestiva e del tutto insolita, sita a nord del katholikón. La costruzione, a pianta rettangolare, è aperta da arcate a colonne su due lati; al suo interno, accanto all'edicola per la benedizione dell'acqua, vi è un grazioso pozzo a carrucola. Sulla cupola sono tra l'altro affrescate scene di una leggenda che illustra la dedica del Monastero agli Arcangeli Michele e Gabriele.

Secondo la leggenda, un giovane pastore si era recato dai Monaci informandoli del ritrovamento di un tesoro su Sithonia, l'altra striscia rocciosa della penisola calcidica. L’abate Neofito inviò con lui due Monaci per nascondere il tesoro. Rimasti come accecati dallo splendore dell'oro, i due confratelli lo nascosero e gettarono in mare il ragazzo; poi rientrarono al Monastero e raccontarono all'abate che il pastore era fuggito via con il tesoro. Dopo l'Ufficio liturgico della sera, mentre i Monaci stavano chiudendo la chiesa, sentirono piagnucolare qualcuno e videro sull'altare il giovane pastore grondante d'acqua. Egli disse che gli Arcangeli lo avevano tirato fuori dall'acqua salvandogli la vita: così tutto fu chiaro e l'oro era stato preservato per il Monastero.

La sede della biblioteca è nell'alta torre del Monastero. Vi sono conservati 441 manoscritti, di cui 62 su pergamena, e circa 3.000 volumi stampati. Nel tesoro sono custoditi arredi e paramenti sacri, reliquie di Santi ed un frammento della Vera Croce.

La fiáli del Monastero.
La fiáli del Monastero.

Cappella della Vergine Gorgoepíkoos

Il Monastero possiede nove Cappelle di cui sei si trovano entro le mura, dedicate rispettivamente: alla Vergine Gorgoepíkoos, ai Quaranta Martiri, alla Dormizione della Vergine, all'Annunciazione, a San Giorgio e ai Santi Taxiarchi; le altre tre sono fuori le mura, dedicate a Sant’Onofrio, a San Nicola e a San Trifone.

La più nota è la Cappella detta della Vergine Gorgoepíkoos (= colei che esaudisce rapidamente), che sorge di fronte all'entrata del katholikón. Quivi è custodita l’omonima veneratissima icona della Vergine.

L’icona, del tipo dell’Odigítria, appartiene alla cosiddetta categoria delle «icone di terrore» ed è oggetto di una leggenda di cui i calogeri vanno fieri: secondo questa, nel 1644 un monaco di nome Nilo, allora addetto al refettorio, passava frequentemente davanti all'icona con una torcia accesa per rischiarare l'oscurità del passaggio; un giorno udì una voce che gli diceva: «La prossima volta non passare più con una torcia perché mi annerisci il viso». Il monaco non vi fece caso, credendo trattarsi della voce di un confratello, e continuò a comportarsi allo stesso modo. L'icona allora lo rese cieco, così come il monaco - aggiungono i calogeri - aveva resa cieca l'icona.

Nilo comprese la propria colpa e pregò la Vergine di perdonarlo; così, dopo qualche tempo, l'icona gli parlò dicendogli che era stato perdonato, in quanto la Vergine «esaudisce rapidamente» le preghiere, e la vista gli ritornò. Un documento athonita che commenta il prodigio mette in bocca alla Madonna il seguente discorso:

"O monaco, le mie orecchie
hanno udito la tua preghiera
e il tuo desiderio sarà esaudito:
tu vedrai come prima. Ma annuncia
anche agli altri Monaci, ai Padri
e fratelli della Comunità, che io sono
la Madre di Dio e che, dopo Dio,
io sono il sostegno, il soccorso
e la potente Patrona di questo santo
Monastero degli Arcangeli, e che me
ne prendo cura a protezione e difesa.
Accorrano i Monaci a me da ora in
poi, quando si troveranno in affanno:
io li esaudirò prontamente;
così come anche i Cristiani ortodossi
che ricorreranno a me in spirito
di pietà. Il mio nome difatti sarà:
‘Colei che esaudisce prontamente’ ".

Grazioso pozzo a carrucola all’interno della fiáli, accanto all'edicola per la benedizione dell'acqua il giorno dell’Epifania e ad ogni prima domenica del mese.
Grazioso pozzo a carrucola all’interno della fiáli, accanto all'edicola per la benedizione dell'acqua
il giorno dell’Epifania e ad ogni prima domenica del mese.

Diffusione della Gorgoepíkoos nel mondo

La devozione alla Gorgoepíkoos è di origine bizantina, come risulta dall’esistenza a Costantinopoli di un Cenobio dallo stesso nome, risalente al secolo XI. Ad Atene esiste tuttora un tempietto che porta questo nome, molto noto ai turisti con il nome di mikrá metrópolis (= piccola cattedrale): la chiesa, di dimensioni ridotte, a forma di croce con cupola risalente al XII secolo, è situata a ridosso della moderna cattedrale di Atene ed è adornata da bellissimi fregi e bassorilievi.

In Russia l’icona è celebrata il 9 novembre con il nome di "Skoroposlusinka", titolo equivalente, che significa appunto: "colei che aiuta presto".

Il titolo mariano si segnala anche in Asia Minore, in Bulgaria, a Tripolitza nel Peloponneso, in Egitto e anche in Italia. A Palmi, ad esempio, si venera una icona che porta l’iscrizione Gorgoepíkoos, risalente molto probabilmente al secolo XVII, e apparentata, secondo studiosi locali, ai quadri della Madonna della Lettera, venerati a Tropea e a Messina.

Dal Canone Paracletico (o di supplica)

Da notare, per finire, che la Madonna Gorgoepíkoos è stata celebrata con un ‘Canone Paracletico’ dal celebre monaco Nicodemo Agiorita (+1801), autore della Filocalia. Dalla lunga composizione, composta sulla falsariga dell’Ufficio mariano della Paráklesis, traduciamo ai nostri lettori le strofe finali che portano il nome di Megalinaria (inno ispirato al Magnificat).

George Gharib
  
 
      

Megalinaria alla Madre di Dio Gorgoepíkoos

"Fratelli, chiniamoci davanti alla taumaturgica
e santa immagine della Gorgoepíkoos:
essa zampilla e compie guarigioni;
baciamola quindi con amore.

Possedendo la tua santa icona,
o Vergine immacolata, quale torre fortificata,
noi ci rifugiamo nel tempo dei pericoli.

È tempo di invocazione di aiuto per noi,
abbiamo bisogno ora del tuo soccorso, o Immacolata;
liberaci nelle necessità e da ogni pericolo
e porgi in fretta una mano soccorritrice.

Il Cielo, o Vergine, ha il tuo corpo e la tua anima;
il Monastero di Dochiaríu possiede invece
la tua immagine, venerata col titolo di Gorgoepíkoos.

Alza i tuoi occhi, o Maria, mira con compassione
quanti sostano davanti alla tua santa icona e ti invocano;
dà compimento, o piena di ogni lode, alle loro richieste.

Possa io vedere, o Vergine, nell'ora della morte
la tua santa icona che, guardandomi,
allontana da me la visione dei demoni.

Io sono colpito dal tuo amore, o Maria; il mio desiderio
si accende davanti la bellezza e la fama della tua santa icona,
o Vergine; io non mi sazio di magnificarti.

Cosa daremo noi infelici tuoi servi, o Vergine,
in cambio delle numerose tue grazie a noi concesse?
Tu ci hai lasciato in dono la tua santa icona
come celeste e ricco tesoro.

O voi tutte le schiere angeliche, o Precursore del Signore,
o Dodici Apostoli e Santi tutti, con la Madre di Dio
supplicate per la nostra salvezza!".

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Il Monastero di Filothéu
e l’icona della
Panaghía Glykofilússa
   

Ha una storia antica e tra le più interessanti dei Monasteri dell’Athos. – Vi si conserva la celebre icona della Glykofilússa, il cui gesto amorevole ha suscitato meraviglia nell'animo di poeti e melodi che vi scorgono il mistero della Madre-vergine, e di essa hanno scritto parole di contemplazione estatica.
  

Il Monastero greco Filothéu occupa il dodicesimo posto nella gerarchia dei monasteri athoniti. Sito in una verdeggiante pianura a 330 metri dal livello del mare, nell'entroterra del versante est della penisola dell’Athos, è consacrato all'Annunciazione. Questa solenne festività, insieme cristologica e mariana, è considerata dalla liturgia bizantina come "l’inizio della nostra salvezza e la manifestazione del mistero che è dall’eternità, in cui il Figlio di Dio diviene Figlio della Vergine…", come canta il Tropario principale della festa. La ricorrenza dà luogo a grandi festeggiamenti che attirano molti monaci dai vicini monasteri e altra gente venuta in pellegrinaggio sul Sacro Monte.

Il Monastero ospita attualmente un centinaio di monaci che seguono la regola cenobitica. Fra i ricordi mariani più notevoli si segnala l’icona della "Panaghía Glykofilússa", ossia "dal dolce amore", miracolosamente approdata dal mare, come si vedrà.

L’interessante storia del Monastero

L’insediamento monastico di Filothéu risale alla fine del X secolo, ad opera di un santo monaco di nome Filothéo, che, insieme ai compagni Arsenio e Dionisio, avrebbe ampliato una preesistente abitazione monastica (kellíon), forse edificata da un altro Filothéo circa cent'anni prima. L’insediamento, che aveva inizialmente portato il nome di ‘monastero di Fterí’, per l’arrivo nei primi secoli dell'era volgare di alcuni profughi della città di Fterí, in Tessaglia, cambiò nome e prese quello del nuovo fondatore.

Il primo documento ufficiale dell’esistenza del Monastero è l'atto del prótos Niceforo del 1015, in cui si menziona un certo Giorgio, ‘monaco ed ígumeno di Filothéu’. Una lettera redatta nel 1016 per conto di Paolo di Xeropotamu ed indirizzata allo stesso Giorgio, ne è un'ulteriore conferma; infine un documento del 1021 stabilisce i confini tra le proprietà della Grande Lavra e quelle del ‘Monastero di Fterí’. Nel secondo typikón del Monte Athos (1045) troviamo la firma di Luca, ‘igumeno del Monastero della Vergine’ o di Filothéu, sempre all'undicesimo posto.

Visione panoramica del Monastero di Filothéu.
Visione panoramica del Monastero di Filothéu.

Il Monastero dagli inizi ebbe numerosi benefattori, fra cui sono degni di ricordo gli Imperatori Niceforo III Botaniate (1078-1081) ed i Paleologhi Andronico II (1282-1328), che fece dono della reliquia della mano destra di San Giovanni Crisostomo, tuttora conservata nel Monastero, Andronico III (1328-1341) e Giovanni V (1341-1391). Nel secolo XIV la crisobolla del re di Serbia Stefano Dušan del 1346 aprì il Monastero all'afflusso di monaci serbi e bulgari, favorendone così la crescita. Questi raggiunsero presto la maggioranza, tanto che nel 1483 troviamo la prima firma di un ígumeno serbo. La loro prevalenza durò, con qualche interruzione, fino al XVI secolo. Quando nei primi anni del 1500 venne nominato ígumeno il greco Dionisio, che era stato prima eremita alle Meteore e poi monaco a Karakalu, si tentò di riportare il Monastero all'antica tradizione, reintroducendo la regola cenobitica ed imponendo nuovamente il greco come lingua ufficiale. Ma la reazione dei monaci bulgari, numerosi a quel tempo, fu violenta ed immediata, tanto da costringere Dionisio a lasciare il Monastero ed a rifugiarsi in Tessaglia, dove ne fondò un altro, quello della ‘Santa Trinità’, tuttora esistente sotto il nome di ‘San Dionisio dell'Olimpo’.

Tra i benefattori di questo periodo ricordiamo i prìncipi di Iberia (l'odierna Georgia) Leonzio ed il figlio Alessandro, che nel 1492 ne finanziarono il restauro, facendo costruire anche l'attuale refettorio. Da un documento del 1574 risulta che Filothéu era passato al dodicesimo posto nella gerarchia athonita, rango che tuttora conserva. La dominazione turca fu però fatale per le sue finanze: per contribuire al suo recupero economico lo zar di Russia Michele Teodorovich nel 1641 concesse ai monaci l'autorizzazione di recarsi in Russia ogni sette-otto anni per organizzare sottoscrizioni, ma ciò non fu sufficiente.

Icona della Madre di Dio Eleoússa (= la Misericordiosa), del tipo iconografico della Glykofilússa di Filothéu.
Icona della Madre di Dio Eleoússa (= la Misericordiosa), del tipo iconografico della Glykofilússa di Filothéu.

Solo nel 1734 le cose volsero al meglio; in quell'anno il voivoda di Valacchia Giovanni Gregorio Guikas concesse una consistente sovvenzione periodica ai monaci di Filothéu a condizione che nei suoi territori venisse annualmente portata in processione la reliquia della mano benedicente di San Giovanni Crisostomo. Ciò valse a risollevare le condizioni economiche del Monastero, che poté vivere questo periodo come il migliore della sua storia. Fu così possibile restaurare e ricostruire numerosi edifici, come il katholikón nel 1746, e la rinascita favorì l'avvento di molti nuovi monaci, tra cui Cosma l'Etolico, personalità di spicco nella lotta contro l'islamizzazione della Grecia.

Nel corso del XIX secolo i monaci russi, molto numerosi a quel tempo, tentarono, senza successo, di impadronirsi del Monastero. Il 26 settembre 1871 un incendio, che si era sviluppato durante la notte, lo distrusse quasi interamente; furono risparmiati dalla furia delle fiamme il katholikón, il refettorio e la biblioteca. Grazie a numerose donazioni provenienti da tutto il mondo ortodosso, il Monastero poté essere successivamente ricostruito nell'arco di quindici anni. Solo recentemente (1973) Filothéu è ritornato alla originale regola cenobitica.

Il Monastero possiede un grande refettorio (trápesa) a pianta rettangolare che misura 23 metri di lunghezza per 7,50 di larghezza e le cui pareti sono decorate con interessanti affreschi del XVI secolo (probabilmente del 1540) attribuibili alla scuola cretese.

Nella biblioteca posta nell'ala est del Monastero sono custoditi 250 manoscritti, di cui 54 su pergamena, per lo più a carattere religioso, fra cui un Tetravangelo del X secolo, uno dei più antichi dell'Athos, nonché circa 20.000 volumi stampati.

Il katholikón del Monastero.
Il katholikón del Monastero.

Il katholikón e l’icona della Panaghía Glykofilússa

Il katholikón, sito nel cuore del Monastero e dedicato all'Annunciazione, è stato edificato nel 1746 sulle rovine di quello più antico, secondo la tradizionale forma agiorita a trifoglio. Vi si segnalano preziosi affreschi: quelli del naós sono del 1752, mentre quelli della lití e dell'atrio del 1765; la pavimentazione in marmo è del 1848; l'iconostasi invece, ricca di icone di grande pregio, è del 1853. Ai due lati del nartece vi sono due Cappelle affrescate, quella degli Arcangeli Michele e Gabriele del 1752 a sud, e quella di San Giovanni Battista del 1776 a nord.

Nel santuario (víma) si conserva un prezioso tesoro costituito da vari oggetti e arredi liturgici, paramenti sacri, reliquari contenenti resti di Santi, fra cui quello della mano destra di San Giovanni Crisostomo, nonché un frammento della Vera Croce, dono nel 1347 del re di Serbia Stefano Dušan.

Presso la colonna nord-est del naós si trova la celebre icona miracolosa della Panaghía Glykofilússa (= Vergine dal dolce amore), raffigurante Maria che, sorreggendo il Bambino Gesù con il braccio destro e stringendolo al petto, lo abbraccia teneramente. L'icona, considerata dai monaci come una delle settanta dipinte dall'Evangelista Luca, è coperta da una placca di metallo prezioso e da vari oggetti che lasciano vedere solo i volti e le mani. Il tipo iconografico è quello tipico dell’Eleoússa (= la Misericordiosa) il quale esprime, come sanno i nostri lettori, il reciproco affetto dei due personaggi.

Il gesto, insieme a quello dell’allattamento, ha suscitato meraviglia nell'animo dei Padri della Chiesa, specie in quella dei poeti e dei melodi che vi scorgono il mistero della Madre-vergine, e di esso offrono una contemplazione estatica. Sant'Efrem Siro (+373), il grande poeta mariano del secolo IV, ad esempio, si ferma spesso davanti a questo mistero. Egli, tra l'altro, rivolgendosi al Bambino Gesù, esclama: "Sta Maria, tua Madre, tua Sorella, tua Sposa, tua Ancella, e ti partorisce; e subito accarezza, abbraccia, bacia, loda, prega e ringrazia; poi ti dà il latte, quindi ti stringe, ti fa la ninna-nanna e sorride alla tua infanzia. Ed ecco che tu sorridi e succhi il latte...".

L’Ultima Cena, affresco di scuola cretese nel refettorio di Filothéu.
L’Ultima Cena, affresco di scuola cretese nel refettorio di Filothéu.

San Giacomo di Sarug (+ 521), altro grande poeta mariano della Chiesa Sira, paragonando il Cielo con Maria, così esclama: "Il cielo non dette il latte a Lui che divenne fanciullo, ma sorbì le mammelle nel petto di Maria, che fu sua Madre. Il Cielo non lo concepì e non lo generò, né l'allattò. Costei invece lo portò, abbracciò, nutrì; e sia a lei felicità!".

Altrove egli fa dire a Maria, rivolta al Figlio: "Agli Ignei comanda, e facciano sì che mi avvicini a te. Ai Serafini ordina di sollevare le ali, perché venga a te. Fa' giungere il virgineo latte alla tua bocca; i seni guarda, che il tuo comando alimentò, perché ti cibassero!".

San Giovanni Damasceno (+749), l'ultimo grande Padre della Chiesa Greca, a sua volta così esclama: "Sei divenuta, in realtà, più preziosa di ogni creatura. Da te sola il Creatore ha ricevuto in eredità le primizie della nostra natura; la sua carne dalla tua carne, il sangue dal tuo sangue; Dio ha succhiato il latte dalle tue mammelle, e le tue labbra hanno toccato le labbra di Dio. Meraviglie inafferrabili e inesprimibili!".

L'icona miracolosa, come quella della Panaghía Portaitíssa, appartiene al gruppo di icone che si salvarono dalla lotta iconoclastica e furono trasportate in modo miracoloso sul Sacro Monte dell’Athos.

Per quanto riguarda la nostra icona della Glykofilússa, la tradizione athonita racconta che una certa Victoria, la moglie di un senatore della capitale bizantina, di nome Simeone, era proprietaria dell'icona durante il periodo dell'iconoclastia, sotto l'imperatore Teofilo (829-842), e che per proteggerla dai furori iconoclasti e dalla distruzione la affidò alle onde del mare, dalle quali fu condotta, perfettamente integra, approdando poi al porto di Filothéu. I monaci del monastero la raccolsero e la conservarono con profonda devozione. Da allora l’icona fu artefice di numerosi miracoli, preziosamente raccolti dai monaci che hanno fatto conoscere l’icona in tutto il mondo ortodosso.

George Gharib



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La Madre di Dio nella liturgia orientale

di GEORGE GHARIB

Il Monastero Xenofóntos
e l’icona della
Panaghía Odighítria
   

Consacrato a San Giorgio ‘megalomartire’, il Monastero è noto per il singolare rito della "elevazione della Panaghía" che i monaci compiono nelle grandi feste di Cristo e della Madonna, come a voler rendere visibilmente presente la Madre di Dio nella Comunità monastica e nella loro stessa vita.

Il Monastero Xenofóntos, che ospita attualmente una cinquantina di monaci di nazionalità greca, segue la regola cenobitica ed occupa il sedicesimo posto nella gerarchia dei Monasteri dell'Athos. Si tratta del secondo insediamento monastico che si incontra lungo la costa sud-occidentale della penisola athonita. Il Monastero è consacrato a San Giorgio Megalomartire, la cui festa cade il 23 di aprile, occasione che attira numerosi monaci e fedeli dalla Grecia per venerare le numerose reliquie custodite nel Monastero, fra cui le due icone taumaturgiche: quella di San Giorgio e quella della Panaghía Odigítria: queste due icone fanno parte della leggenda riguardante la lotta iconoclastica, come si vedrà.

Storia del Monastero

Una incerta tradizione vuole che il Monastero sia stato fondato da Xenofonte, senatore bizantino vissuto nel VI secolo. È più probabile però che la fondazione risalga ad un monaco dello stesso nome che, con l’aiuto dall'Imperatore Basilio II Bulgaroctono (976-1025), intraprese agli inizi del secolo XI la costruzione dei primi edifici, che consacrò a San Giorgio. Questo Xenofonte viene citato anche, come igumeno, nella ‘Vita di Atanasio’, per averne guarito il fratello Teodoro, gravemente ammalato. La sua firma, con la medesima grafia, si ritrova su tre atti, uno del 998, un secondo del 1001 ed un altro ancora del 1007, ed è citato anche in due documenti, rispettivamente del 1035 e del 1071.

Qualche anno più tardi, il drugarios (= ammiraglio) Stefano, che era stato al servizio di Niceforo III Botaniate (1078-1081), mutato il nome in quello di Simeone, volle ritirarsi a vita monastica a Xenofóntos, e decise di ampliarlo. L'attività e l'energia dell'ex ammiraglio lo resero però inviso agli ígumeni di altri Monasteri, che lo consideravano troppo invadente, e che riuscirono a farlo deporre. Egli fu in seguito reintegrato al suo posto dall’Imperatore Alessio I Comneno (1081-1118), che, come il suo predecessore, in più di una occasione accordò il proprio benevolo favore ai monaci.

Madre di Dio Odighítria (con riza in argento, del XVIII sec.), icona russa del tipo della Panaghía Odighítria venerata nel Monastero di Xenofóntos.
Madre di Dio Odighítria (con riza in argento, del XVIII sec.), icona russa del tipo
della Panaghía Odighítria venerata nel Monastero di Xenofóntos.

Nel 1225 il Monastero fu danneggiato da una incursione di pirati; in seguito, le sue condizioni economiche migliorarono tanto che nel 1394 si trovò ad occupare l'ottavo posto nella gerarchia athonita. Verso la fine del XV secolo, per l’occupazione turca, iniziò la crisi: oberato di tasse, vide ridursi la sua popolazione ad una decina di elementi soltanto. Successivamente, con il flusso di sostanziosi aiuti da parte del nobile valacco Bornikos e di suo fratello Radolos, si ripopolò soprattutto di monaci serbi e bulgari.

Verso la fine del XVIII secolo il Monastero incominciò a rifiorire, specialmente per opera di Paissios di Mitilene, ieromonaco di Kafsokalívia, che lo rinnovò ed ampliò con l'aiuto del tesoriere Costantino e dell'archimandrita Zaccaria, i quali compirono numerosi viaggi per raccogliere fondi a questo scopo. Paissios ottenne anche nel 1784 dal patriarca di Costantinopoli Gabriele IV (1780-1785) un sighíllion che lo autorizzava a riconvertire Xenofóntos, primo fra tutti i Monasteri dell'Athos, alla regola cenobitica propria della tradizione athonita. Nel 1808 il metropolita Filotheos di Lesbo si ritirò come semplice monaco a Xenofóntos, dove tra il 1809 ed d 1819 si impegnò alla costruzione di un secondo katholikón, destinato a diventare uno dei più ampi del Monte Athos. Nel 1817 un grande incendio distrusse quasi completamente il Monastero, risparmiando tra l'altro il refettorio con gli affreschi del XVI secolo e l'antico katholikón. In questa occasione fu ancora Filotheos che trovò il denaro necessario alla rapida ricostruzione, opera continuata poi dall'ígumeno Niceforo di Kimi (Eubea).

Il Monastero di Xenofóntos e il suo porticciolo.
Il Monastero di Xenofóntos e il suo porticciolo.

Il doppio katholikón

Il Monastero Xenofóntos dispone tuttora di un duplice katholikón. L'antico katholikón si trova nell'ala sud del Monastero ed occupa il centro del vecchio cortile. Edificato probabilmente tra la fine dell'XI secolo e gli inizi del XII e dedicato a San Giorgio, è uno dei più piccoli dell'Athos; il doppio coro e la lití, che gli conferiscono la caratteristica pianta agiorita, sono aggiunte post-bizantine del 1545. Sul lato sud è fiancheggiato da due Cappelle, quella di San Demetrio (uno degli edifici più antichi del Monastero) e quella di San Lazzaro.

Il nuovo katholikón, come quello antico dedicato a San Giorgio, è stato edificato tra il 1809 e il 1819 nell'ala nuova del Monastero. È uno dei più maestosi e vasti dell'Athos; vi sono conservate alcune antiche e pregevoli icone fra cui quelle musive di San Giorgio e di San Demetrio, appese a due colonne all'ingresso del naós, che rappresentano i due Santi militari in piedi, vestiti con gli abiti sontuosi degli alti dignitari imperiali: sono ritratti in atteggiamento di preghiera, rivolti uno a destra (San Giorgio) e uno a sinistra (San Demetrio) del Cristo, raffigurato nell'angolo alto di ciascuna icona. Si ritiene che i due mosaici, realizzati probabilmente nel XIII secolo, siano dei frammenti di un mosaico murale che decorava l'antico katholikón.

Le icone taumaturgiche di San Giorgio e della Panaghía Odighítria

Il Monastero venera non meno di due icone considerate taumaturgiche. Presso la colonna sud-est del naós è conservata l'icona miracolosa di San Giorgio che, secondo la tradizione, sarebbe stata gettata in mare durante il periodo iconoclastico da un uomo devoto, affinché non subisse profanazioni, e sarebbe stata condotta integra dalle onde al litorale di Xenofóntos; raccolta dai monaci, fu posta nella Cappella appositamente costruita.

Nel katholikón è venerata inoltre l'icona miracolosa della Panaghía Odighítria, pittura su legno coperta da una spessa lastra dorata ornata di numerosi gioielli, in maggioranza ex-voto per grazie ricevute. Come sanno i nostri lettori, l’Odighítria (che significa "Colei che indica la via") è il nome che nel mondo bizantino viene dato all’originale ritratto di Maria fatto da San Luca e venerato nell’omonimo Santuario mariano di Costantinopoli. Secondo la leggenda, l’icona athonita apparteneva al Monastero di Vatopédi da cui sparì misteriosamente nel 1730 per riapparire, altrettanto misteriosamente, a Xenofóntos. Riportata a Vatopédi, il fenomeno si ripeté nuovamente nonostante misure severe di custodia; ciò indusse i monaci di Xenofóntos a custodirla definitivamente, convinti che la Madonna fosse a conoscenza di una colpa commessa da qualche monaco di Vatopédi.

Il cortile e l’antico katholikón (in restauro) del Monastero.
Il cortile e l’antico katholikón (in restauro) del Monastero.

Nel santuario (víma) sono conservati arredi ed oggetti sacri, abiti sacerdotali e reliquari, fra cui un frammento della Vera Croce, reliquie di San Giorgio, una parte del cranio di Santo Stefano protomartire, il piede destro di San Teodoro Tirone, i crani di San Trifone e Sant’Arcadio, le mascelle degli apostoli Barnaba e Filippo, varie reliquie di San Giovanni Crisostomo e di San Modesto. Degna di nota è una piccola icona a rilievo in steatite, raffigurante la Trasfigurazione, risalente al XII secolo.

A Xenofóntos vi sono tre torri degne di nota, due di difesa ed una campanaria. Le prime due sono state edificate e protezione dell'ingresso al Monastero, una verso l'esterno (1667-68), in cui ha sede la Cappella dei Santi Apostoli, ed una verso l'interno (1660-61), in cui ha invece sede la Cappella di Santo Stefano. La torre campanaria, edificata nel 1814, si erge isolata nell'ala nord presso l'ingresso del nuovo katholikón.

Nella Biblioteca, situata nell'ala sud-ovest del Monastero, sono conservati circa 300 manoscritti, di cui 8 su pergamena, e 2 rotoli lunghi complessivamente più di 16 metri. I volumi stampati sono più di 4.000.

Il rito della ‘elevazione della Panaghía’

I monaci, in occasione delle grandi feste di Cristo e della Madonna, compiono un commovente rito che rende effettivamente presente la Madre di Dio nella comunità monastica e nella vita degli stessi monaci. Il rito, chiamato "elevazione della Panaghía", si svolge nel refettorio nel seguente modo: alla fine della liturgia eucaristica, durata parecchie ore, i monaci si recano in refettorio cantando e portando l’icona della Madonna; giunti ai loro posti l'ígumeno pone sulla mensa un frammento di pane triangolare riservato alla Madre di Dio che era stato tolto dal pane eucaristico (prósfora) durante l'Ufficio. Alla fine del pasto, il superiore si rivolge ai presenti e dice: "Benedite, padri santi, e perdonate al peccatore che sono".

Il nuovo katholikón, edificato tra il 1809 e il 1819.
Il nuovo katholikón, edificato tra il 1809 e il 1819.

Tutti rispondono: "Dio ti dia e faccia misericordia". Il superiore, prendendo tra le dita il pane della Panaghía, lo eleva dicendo ad alta voce: "Grande è il nome della SS.ma Trinità". E, rivolto verso l’icona della Madre di Dio, traccia un segno di croce con il pane e dice: "Santissima Madre di Dio, vieni in nostro aiuto". I monaci rispondono: "Madre di Dio, abbi pietà di noi e salvaci!". E proseguono dicendo: "Tutte le generazioni ti proclameranno beata, o Vergine Madre di Dio". E si canta il seguente inno, molto caro alla pietà dei fedeli:

"E' veramente giusto proclamare beata te, o Madre di Dio, che sei beatissima, tutta pura e Madre del nostro Dio. Tu, che sei più venerabile dei Cherubini ed incomparabilmente più gloriosa dei Serafini; tu che senza ombra di corruzione hai generato il Verbo di Dio, te magnifichiamo come vera Madre di Dio".

L'abate spezza quindi il pane e lo distribuisce ai monaci che, prima di consumarlo, lo profumano con le volute d’incenso che escono dall’incensiere acceso e bevono un sorso di vino alla coppa. Il superiore termina dicendo: "Per l’intercessione di nostra Signora immacolata Madre di Dio e sempre vergine Maria". Tutti rispondono: "Per le sue preghiere, o Dio, abbi pietà di noi e salvaci".

Il rito ha una storia non del tutto chiarita e viene così spiegato in una nota del Libro delle Ore:

"Dopo l'Ascensione di Cristo e la discesa dello Spirito Santo, quando gli Apostoli chiusi nel Cenacolo consumavano i pasti, essi lasciavano il posto di Gesù vuoto e vi ponevano un cuscino sul quale mettevano un pezzo di pane. Finito il pasto e dopo la preghiera di ringraziamento, prendevano il pezzo di pane riservato a Cristo, lo elevavano e, al posto della dossologia trinitaria, dicevano: "Signore Gesù Cristo, vieni in nostro aiuto". Continuarono a fare in questo modo anche dopo essersi dispersi per predicare il Vangelo. Quando il Signore li riunì per la dormizione della Vergine, mentre cenavano dopo la sepoltura, essi come al solito fecero la benedizione del pane in onore di Cristo. E... prodigio! La Vergine vivente apparve in una nube di Angeli luminosi e disse loro: "Salve! Io sono con voi tutti i giorni". Sorpresi per questo miracolo, gli Apostoli allora, alla fine della cena, invece della preghiera: "Signore Gesù Cristo, vieni in nostro aiuto!", presero a dire: "Santissima Madre di Dio, vieni in nostro aiuto!". Recatisi alla tomba, la trovarono vuota, persuasi con ciò che la Vergine era veramente risuscitata dai morti come suo Figlio, ed era salita al Cielo con Cristo, per regnarvi per i secoli dei secoli".

George Gharib

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La Madre di Dio nella liturgia orientale

di GEORGE GHARIB

Símonos Petra, edificato sulla roccia
   

Il Monastero di Símonos Petra, denominato "Nuova Betlemme", deve la sua origine ad una apparizione della Madre di Dio. – L’Ufficio delle Ore del monaco athonita.

Il Monastero athonita Símonos Petra, che occupa il tredicesimo posto nella gerarchia dei Monasteri dell’Athos, è chiamato "Nuova Betlemme" ed è dedicato alla Natività di Cristo. La costruzione si erge maestosa su uno sperone roccioso a 270 metri dal livello del mare, costituendo una delle più audaci costruzioni della Santa Montagna, simile a quella altrettanto grandiosa dei Monasteri del Tibet. La Comunità, che pratica dal 1801 la regola cenobitica, ospita oggi una cinquantina di monaci di differenti nazionalità. Il complesso monastico porta un doppio nome: quello del monaco Simone che lo ha fondato e quello dello sperone roccioso (petra) sul quale è costruito. Il Monastero non possiede speciali icone taumaturgiche, ma la stessa sua fondazione è attribuita ad uno speciale intervento della Madre di Dio, come si vedrà.

Lato occidentale del Monastero di Símonos Petra, con il Monte Athos sullo sfondo.
Lato occidentale del Monastero di Símonos Petra, con il Monte Athos sullo sfondo.

L’interessante vita del monaco Simone

Simone, vissuto nel secolo XIV, periodo storico reso difficile dall’occupazione latina di Costantinopoli e dal trasferimento della capitale dell’Impero bizantino a Nicea, volendo fuggire le vanità del mondo, finì per recarsi nel "Giardino della Madre di Dio", sulla Santa Montagna dell’Athos, con l’intento di conquistare la salvezza della sua anima sotto la guida di un padre spirituale. La sua scelta cadde su un asceta severo ed esigente, al quale si sottomise corpo e anima, come a Dio stesso. La sua obbedienza, la sua umiltà, il suo amore per il padre spirituale, lo portarono ben presto ad un alto grado di virtù, e gli valsero l’ammirazione dei Monaci dell’Athos e il rispetto del suo stesso anziano. Ma non stimando questi segni d’onore confacenti a chi aveva scelto di soffrire per Gesù, Simone chiese e ottenne di poter vivere nella solitudine. Dopo ripetute ricerche, egli scelse di vivere in una grotta stretta e umida, sita sul pendìo occidentale dell’Athos, a 300 metri dal mare. Vi rimase giorno e notte, esposto agli assalti dei demoni, avendo per sole armi la fede, la speranza e l’invocazione del nome onnipotente di Gesù.

Una notte, prima della festa di Natale, vide un astro staccarsi dal cielo, scendere e stabilirsi sopra uno sperone roccioso che si trovava di fronte alla grotta. Sospettando un nuovo stratagemma del Maligno, egli non vi prestò fede. A Natale però, l’astro luminoso scese sulla roccia, come la stella di Betlemme, e Simone udì la voce della Madre di Dio proveniente dal cielo che diceva: "Non dubitare, Simone, fedele servo di mio Figlio. Guarda questo segno e non lasciare questo luogo per cercare una maggiore solitudine, come era tuo intento, perché è qui che voglio che stabilisca il tuo cenobio per la salvezza di un gran numero di anime". Così rassicurato dalla voce della Madre di Dio, egli fu trasportato in estasi a Betlemme, davanti al Cristo Bambino circondato da Angeli e pastori. Ritornato in se stesso, egli intraprese senza più tardare la costruzione di quello che chiamerà la Nuova Betlemme.

Poco dopo, tre giovani fratelli di una ricca famiglia di Tessaglia (Macedonia) che avevano sentito elogiare le virtù di Simone, vennero da lui, deposero ai suoi piedi tutti i loro beni, come tre nuovi Re Magi, e gli chiesero di accoglierli come discepoli. Furono allora fatti venire operai i quali però, alla vista del luogo ripido e pericoloso, rifiutarono di prendersi i seri rischi della costruzione, accusandolo di aver perso la testa. In quel momento uno dei fratelli che serviva da bere scivolò e cadde in un vertiginoso precipizio. La morte era certa e l’evento sembrava confermare i rimproveri; ma quale non fu il loro stupore quando videro che, grazie alla preghiera di San Simone, il monaco era risalito sano e salvo dall’altro versante, reggendo nelle mani il vaso di vino e i bicchieri che egli si apprestava a servire. Convertiti, i costruttori si fecero monaci e poterono a più riprese rendersi conto del gran potere che Dio conferiva al suo servitore.

Finita la costruzione, la Nuova Betlemme vide affluire un gran numero non solo di monaci ma anche di malintenzionati.

Un giorno ebbe luogo uno sbarco di pirati saraceni che infestavano i mari circostanti. Simone andò loro incontro con regali, nella speranza di impedire la spoliazione del Monastero. Non contenti dell’offerta, essi si gettarono brutalmente su Simone, ma furono accecati e uno di loro, che aveva la spada estratta, ebbe il braccio paralizzato. Guariti per la preghiera dell’uomo di Dio, essi si pentirono, ricevettero il Battesimo e si fecero tutti monaci.

Simone visse gli ultimi anni della vita circondato dai favori divini e dall’amore dei fratelli. Alla sua morte, avvenuta il 28 dicembre di un anno imprecisato, fu canonizzato; poco dopo il Monastero venne ribattezzato con il nome del suo fondatore Símonos e quello della roccia (petra). Anche il sepolcro del Santo si segnalò in seguito con il flusso, come da fonte d’acqua viva, di un balsamo profumato dalle proprietà miracolose: questo spiega il soprannome di Miroblita dato al Santo. Però le ripetute distruzioni del Monastero non hanno lasciato traccia della sua sepoltura e delle sue reliquie. Non di meno, il Santo continuò ad essere visibilmente presente, guidando e proteggendo la Comunità monastica e altri bisognosi di cura e aiuto. Nel giorno della sua festa annuale, alcuni poterono talvolta vedere uscire una luce dalla grotta e ricoprire la sua icona come in un padiglione.

Le ardite e suggestive balconate su sette piani di Símonos Petra.
Le ardite e suggestive balconate su sette piani di Símonos Petra.

Vicende storiche di Símonos Petra

Della complessa storia di Símonos Petra segnaliamo solo alcuni eventi.

Nel secolo XV la figlia del despota Giovanni Uglesh, Principe serbo di Macedonia (capitale Serres) fu liberata, per l’intercessione di San Simone, da uno spirito maligno che la possedeva. Come ringraziamento, suo padre trasformò il piccolo Monastero in una ricca fondazione dotata di numerose proprietà. Ciò spiega come Símonos Petra sia uno dei Monasteri più ricchi dell'Athos, potendo contare sulle rendite derivategli dai suoi metóchia (= possedimenti) a Salonico, nella penisola Calcidica e in altre Isole greche.

In quello stesso secolo il Monastero era già proprietario di qualche dominio al di fuori dell'Athos, e per mezzo delle relative rendite godette di una discreta prosperità fin verso la fine del XVI secolo, quando un violento incendio lo distrusse in gran parte, prima nel 1580 e poi nel 1626.

Nel sec. XIX, dal 1821 al 1830, i Monaci presero parte attiva alle lotte per l'indipendenza della Grecia, ed in tale periodo Símonos Petra restò pressoché deserto. Il 28 maggio 1891 il Monastero fu nuovamente distrutto da un incendio che mandò in fumo anche l'importante Biblioteca. Solo i monaci riuscirono a sottrarsi alle fiamme, salvando le reliquie e pochi documenti preziosi.

Il Monastero, proprio perché ebbe a soffrire diverse calamità nel corso dei secoli, è quasi privo di opere d’arte, di manoscritti e di codici miniati. L’incendio del 1891, infatti, ha distrutto la totalità dei manoscritti fino ad allora conservati, fra cui numerosi su pergamena e miniati.

All'attuale Biblioteca restano solo un migliaio di volumi, di recente pubblicazione.

Il Monastero possiede 15 Cappelle, di cui 4 entro le mura ed 11 fuori le mura; quelle interne, tutte prive di affreschi, sono dedicate a San Giorgio, a Santa Maria Maddalena, a San Caralampo di Tessalonica e agli Arcangeli Michele e Gabriele. Delle Cappelle esterne al Monastero solo quella dedicata a San Giovanni Crisostomo è decorata con affreschi del 1702.

L'attuale katholikón, consacrato alla Nascita di Cristo e situato al centro del piccolo cortile del Monastero, risale al 1893 ed è stato edificato dall'igumeno Neofito a seguito del violento incendio che nel 1891 aveva distrutto la costruzione precedente. Realizzato secondo lo schema tradizionale agiorita, ha il nartece incorporato nell'ala ovest del Monastero ed è privo di affreschi. La costruzione attuale è dovuta alla munificenza dell'ultimo zar Nicola II (1894-1917).

Madre di Dio ‘Allattante’ – icona del katholikón di Símonos Petra.
Madre di Dio ‘Allattante’icona del katholikón di Símonos Petra.

Liturgia mariana del monaco athonita

La giornata del monaco athonita è divisa grosso modo in tre parti: otto ore di preghiera liturgica, otto ore di lavoro, per lo più manuale, e otto ore per il riposo. La preghiera liturgica si svolge in chiesa dove si legge e si cantano le Ore dell’Ufficio così composto: Messoniktikón (= di Mezzanotte), Mattutino, le cosiddette ‘Piccole Ore’ (ossia Prima, Terza, Sesta e Nona), Vespro e Compieta.

Il testo dell’Ufficio, composto di Salmi, Preghiere e Inni, è ricco di spunti spirituali che, attraverso la poesia, la musica e il canto, sintonizza l’anima e la mette all’unisono con l’insieme del mistero cristiano. Nei testi abbondano gli Inni e le invocazioni alla Madre di Dio che danno alla celebrazione una vera dimensione mariana.

Abbiamo già proposto ai nostri lettori gli Inni e le Preghiere che il monaco recita ogni giorno a Compieta, l’ora che prelude al sonno. Proponiamo ora qualche brano di Inni mariani che giornalmente ricorrono nelle Ore minori (o Piccole Ore), ispirate ai maggiori misteri della vita di Cristo.

Simpatici volti gioiosi di Monaci dell’Athos.

Nell’Ora Prima, all’inizio del giorno, vengono recitati, tra l’altro, due Tropari, ispirati alla lode mariana. Il primo recita così:

  • "Come chiamare te, o Piena di grazia?
  • Cielo: poiché hai fatto sorgere il Sole di giustizia.
  • Paradiso: ché in te è sbocciato il Fiore dell'immortalità.
  • Vergine: perché sei rimasta inviolata.
  • Madre pura: ché hai portato in braccio un Figlio, Dio di tutti.
  • Pregalo di salvare le nostre anime".

Nell’Ora Terza, recitata in ricordo della discesa dello Spirito Santo sui discepoli riuniti nel Cenacolo, il Libro delle Ore offre tre Tropari, nei quali Maria è chiamata Vite, Speranza, Porto, Avvocata. Eccone un brano:

"O Madre di Dio, tu sei la Vera Vite che dette il frutto della vita.
Ti supplichiamo: intercedi, o Sovrana, con gli Apostoli e tutti i Santi, ché si abbia pietà delle nostre anime"
.
"Speranza, protezione, rifugio dei Cristiani, muro inespugnabile, porto tranquillo per i naufraghi sei tu, o pura Madre di Dio.
Come tu salvi il mondo per la tua incessante intercessione, così ricordati anche di noi, o Vergine degna di lode"
.

Nell’Ora Sesta, che rievoca l’ora della crocifissione di Cristo, i Monaci cantano antifone mariane, contenenti commoventi invocazioni all’intercessione della Madre di Dio. Ne ricordiamo una:

"Poiché non abbiamo alcuna confidenza per i nostri numerosi peccati, supplica tu colui che è nato da te, o Vergine Madre di Dio; molto può difatti la preghiera di una madre per ottenere la benevolenza del Maestro.
Non disprezzare le suppliche dei peccatori, o Venerata.
Egli è infatti misericordioso e può salvare, lui che ha accettato di soffrire per noi nella carne"
.

L’Ora Nona, infine, che rievoca la morte di Cristo sulla Croce, contiene il seguente "Stavrotheotókion", nome dato ai numerosi Inni mariani che evocano la presenza e i sentimenti provati dalla Madre di Dio ai piedi della Croce:

"La Madre, alla vista dell'Agnello, Pastore e Salvatore del mondo appeso alla Croce, diceva lacrimando: ‘Il mondo si rallegra per la salvezza ricevuta, ma le mie viscere bruciano alla vista della crocifissione che tu sopporti per tutti, Figlio e Dio mio!’ ".

George Gharib

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La Madre di Dio nella liturgia orientale

di GEORGE GHARIB

Il Monastero della Grande Lávra
   

La Grande Lávra, fondata da Sant’Atanasio, è il più prestigioso dei Monasteri dell’Athos. – La storia di Giovanni Koukouzélis e della Panaghía Koukouzélissa.

Il Monastero della Grande Lávra, sito all'estremità sud-est della penisola athonita, ai piedi dei contrafforti del Monte Athos, occupa il primo posto nella gerarchia dei Monasteri. Lo destina a questo posto il prestigio di essere stato fondato da Sant’Atanasio, il primo grande organizzatore della vita monastica sul santo Monte. Il termine lávra che lo distingue non indicava in origine un Monastero, ma un insieme di abitazioni monastiche indipendenti che facevano capo a una chiesa comune. Quando Sant'Atanasio iniziò la sua fondazione già esistevano all'Athos numerosi di questi raggruppamenti; ma solo a quello di Atanasio fu dato il nome di Meghísti Lávra, ossia "la lávra più grande ", benché in seguito sia rimasta la sola a conservare questo nome.

L'origine della Grande Lávra coincide con le origini stesse della vita monastica organizzata all'Athos per opera di Sant'Atanasio (+ 1003), che godette dell'appoggio degli imperatori Niceforo II Foca (963-969) e Giovanni I Zimisce (969-976). La costruzione della chiesa principale (katholikón) fu ultimata nel 1004, un anno dopo la morte di Sant'Atanasio. Anche il successore di Giovanni I Zimisce, Basilio II (976-1025), favorì la Grande Lávra, assegnandole in proprietà vasti territori. Il voivoda di Valacchia Neagoe Basarab (1512-1521) procurò la copertura di piombo del katholikón. Alla fine del XVI secolo il Monastero, come altri, attraversò un periodo di decadenza e di povertà, che ridusse di molto il numero dei monaci. La sua ripresa data dal 1655, in seguito a un cospicuo lascito. Nel 1744 il patriarca di Costantinopoli Paisios II, al suo terzo mandato (fu patriarca quattro volte), aiutò finanziariamente il Monastero e lo restituì al suo antico grado, il primo posto nell'ordine gerarchico. Ciò favorì la venuta di nuovi monaci e dette luogo ad un forte impulso finanziario. Il rilancio del Monastero subì una breve interruzione solamente all'epoca delle lotte per l'indipendenza greca; ma l'offuscamento durò soltanto un decennio, dal 1821 al 1830. Dal 1980 la Grande Lávra ha ripreso la regola cenobitica.

Essa gode la fama di essere non solo il più antico ma anche il più bello dei Monasteri athoniti, dotato persino di un piccolo porto dal quale una strada, fiancheggiata da folti oleandri, in venti minuti di salita conduce davanti al suo ingresso, costituito da una specie di pronáo coperto da una cupola e protetto in alto da grandi vetrate colorate. Oltre i portoni blindati e chiodati si arriva in un cortile quasi rettangolare: questa è l'area occupata dal katholikón, dalla fontana (fiáli) e dal refettorio (trápesa). Gli edifici del Monastero sono quasi tutti racchiusi dentro mura merlate, munite di terrazzi coperti e vegliate dall'alta torre, pure merlata, dalla parte della montagna. Ciò dà al Monastero un aspetto di castello fortificato. Due cipressi altissimi occupano gli angoli del cortile davanti al refettorio; secondo la tradizione, furono piantati mille anni fa dallo stesso Sant'Atanasio.

Veduta panoramica del Monastero della Grande Lávra.
Veduta panoramica del Monastero della Grande Lávra.

Il katholikón e il refettorio

Il katholikón della Grande Lávra costituisce la più antica chiesa conventuale dell'Athos. Edificato nel 963 da Atanasio l'Athonita e dedicato all'Annunciazione, è servito da modello per tutti quelli della Santa Montagna; qualche anno più tardi, probabilmente intorno all'anno mille, quand'era ancora in vita Atanasio, la cupola crollò, forse a causa dell'eccessiva ampiezza del quadrato di appoggio, e venne ricostruita secondo la configurazione odierna; le sue dimensioni (6,25 metri di diametro) sono le maggiori di tutto l'Athos. Nel corso del XV secolo la chiesa fu consacrata, in onore del suo fondatore, alla Dormizione di Sant’Atanasio l'Athonita.

Nel 1535 la chiesa venne affrescata da Teofane, il maggior rappresentante della scuola pittorica cretese, che espresse qui il proprio capolavoro. Le considerevoli dimensioni delle pareti e delle volte gli consentirono di sviluppare in fasce parallele sui muri delle navate, su quelli dei transetti e dei cori, i temi iconografici della vita di Cristo, dei miracoli, delle parabole e delle teorie dei Santi, mentre nella calotta della cupola riprese i tradizionali temi del Cristo Pantocrátor, delle Potenze celesti e dei Profeti. Lo stile sobrio e austero, i toni scuri degli affreschi e la severità delle composizioni che caratterizzano la scuola "cretese", si contrappongono al dinamismo ed ai toni chiari delle composizioni degli affreschi della scuola "macedone".

Nel santuario (víma) sono conservate numerose reliquie, fra cui il cranio di San Basilio di Cesarea, alcune ossa dell'apostolo Andrea e dell'evangelista Luca, dell'imperatore Costantino e di sua madre Elena, la mano destra di San Giovanni Crisostomo, la mascella di San Teodoro Stratilate nonché, dono dell'imperatore Niceforo Foca, un frammento della Vera Croce.

Di fronte al katholikón si trova il refettorio, senza dubbio il più antico dell'Athos, essendo stato eretto probabilmente da Sant’Atanasio: è uno dei più vasti, potendo contenere fino a 400 monaci (24 tavoli da 12 a 18 posti ciascuno). Di pianta cruciforme e arredato di sobri e monolitici tavoli in marmo risalenti con ogni probabilità all'epoca della sua costruzione, è stato nel corso della prima metà del XVI secolo affrescato da maestri cretesi, a capo dei quali figura lo stesso Teofane. I cicli pittorici comprendono il Giudizio Universale, scene della vita della Vergine e del Battista, l'inno Acátisto con le sue 24 ‘stanze’ o strofe di grande effetto estetico e teologico, scene del Menologio, teorie di Santi asceti ed altri temi iconografici.

Interno del refettorio della Grande Lávra.
Interno del refettorio della Grande Lávra.

Manifestazioni di venerazione alla Madre di Dio

La Grande Lávra vanta molte manifestazioni di culto e di venerazione alla Madre di Dio. Le prime provengono dalla vita dello stesso fondatore del Monastero, Sant’Atanasio.

Apparendogli in un momento di profondo scoraggiamento, la celeste Patrona gli avrebbe promesso di avere cura lei stessa dei bisogni materiali del monastero: per questo la Madonna è venerata come "Iconomíssa", o Amministratrice del Monastero.

Altra manifestazione di culto si ritrova nelle innumerevoli sue icone che si possono vedere in tutti gli angoli del grande insediamento monastico. Fra queste ve ne sono alcune miracolose e ricche di interventi della Madre di Dio in favore dell’uno o dell’altro degli innumerevoli monaci che hanno trascorso la loro vita ascetica sotto l’occhio vigile della Patrona del monastero. Di questi ricordiamo solo alcuni, iniziando dai due che sono stati ricompensati dalla Madonna per il loro talento musicale.

Il katholikón della Grande Lávra.
Il katholikón della Grande Lávra.

Giovanni Koukouzélis e la Vergine Koukouzélissa

Presso l'ingresso del Monastero si trova la Cappella della Vergine Portaítissa (= Portinaia, custode della porta) in cui è venerata l'icona della Panaghía Koukouzélissa o di Giovanni Koukouzélis. Questi, vissuto a cavallo fra secolo XIII e XIV, era un cantore molto apprezzato del Palazzo imperiale di Costantinopoli; ma rinunciò al matrimonio con la figlia dell'Imperatore per ritirarsi nella Grande Lávra. Essendosi presentato all’igumeno senza svelare la sua identità, ricevette lì l'incarico di pascolare i caproni nelle montagne. Lontano così da tutti, egli trascorreva il giorno intero nella preghiera ed elevava a Dio tante dolci melodie che il gregge smetteva di pascolare e tutta la creazione sembrava fermarsi per non distrarlo. Un giorno però fu udito da un monaco il quale, colpito da un talento così straordinario, andò a rivelare la cosa all'igumeno. Giovanni dovette così svelare la sua vera identità. Grazie però all'intervento dell'igumeno presso l'Imperatore (che l'aveva fatto cercare dappertutto), egli poté rimanere sul Monte Athos. Si sistemò in prossimità della Laura, in una cella dedicata ai Santi Arcangeli, dove egli dimorava nella solitudine per sei giorni alla settimana, ritornando nel Monastero solo la domenica, per cantare in chiesa e far rapire al cielo le schiere dei numerosi monaci.

In un sabato dell'Acátisto, mentre egli si sforzava di cantare degnamente la santa Madre di Dio, questa gli apparve e gli dette una moneta d'oro, dicendo: "Rallegrati, o Giovanni, figlio mio, canta per me e io non ti abbandonerò". Fu così che la Tuttasanta lo guarì miracolosamente dalla cancrena che aveva colpito le sue gambe, a causa delle lunghe ‘stazioni’ in piedi nel Coro. Egli trascorse il resto della sua vita nel digiuno, la penitenza e la preghiera continua. Avendo appreso in anticipo il giorno della morte, radunò i monaci, chiedendo loro perdono e raccomandando di deporre il suo corpo nella cella dei Santi Arcangeli.

Il Monastero conserva e mostra a tutti i pellegrini la moneta d’oro, dono della Madre di Dio. L’icona stessa del prodigio, detta Panaghía Koukouzélissa, completamente coperta da una ricca lastra d’oro e tempestata di gioielli, è una delle più venerate dell'Athos ed è circondata da numerose altre leggende.

Il Koukouzélis è festeggiato come santo il primo ottobre, assieme al famoso altro cantore del secolo VI, San Romano il Melode. Il Sinassario, o calendario dei Santi della Chiesa bizantina, celebra lo stesso giorno la memoria di un altro poeta sacro, vissuto nella Grande Lávra ai tempi di Giovanni Koukouzélis: si tratta di Gregorio, che porta il nome di Domestico, titolo equivalente a quello di capocoro. Di lui si racconta che, un giorno vigilia della festa dell’Epifania, improvvisamente ispirato, egli non cantò durante la santa Liturgia l'inno Àxion éstin (= È veramente giusto…), ma lo sostituì con quello di San Giovanni Damasceno, che comincia con le parole "Epì sòi chairéi…" (= In te si rallegra…). La Madre di Dio gli apparve per ringraziarlo e gli dette in pegno del suo favore, come a San Giovanni Koukouzélis, una moneta d'oro, ancora custodita dai monaci della Grande Láura.

San Nicola – frammento di affresco del XIV sec. conservato nello scholíon della Grande Lávra.
San Nicola – frammento di affresco del XIV sec. conservato nello scholíon della Grande Lávra.

Questo inno è conosciuto a memoria da tutti i fedeli della Chiesa bizantina. Eccone il testo:

"In te si rallegra, o Piena di grazia, tutto il creato:
le schiere degli angeli e il genere umano.
O tempio santificato e paradiso spirituale,
vanto delle vergini, per la quale Dio si è incarnato
divenendo bambino, lui nostro Dio di prima dei secoli.
Del tuo seno egli ha fatto un trono
e lo ha reso più vasto dei cieli.
In te, o Piena di grazia, si rallegra tutta la creazione.
Gloria a te!".

L’inno, di grande effetto poetico e musicale, esalta con immagini splendide la maternità divina di Maria, e ha ispirato molte icone già conosciute ai nostri lettori. Più o meno gli stessi accenti ha trovato uno dei grandi teologi del secolo XIV, Gregorio Palamas: egli è vissuto lunghi anni nella Grande Lávra, prima di diventare Arcivescovo della vicina città di Salonicco (+1359). Egli esalta così la spirituale bellezza di Maria:

"Volendo creare un’immagine assoluta della bellezza e manifestare chiaramente agli angeli e agli uomini la potenza della sua arte, Dio ha fatto veramente tutta bella Maria.

Egli, infatti, ha riunito in lei tutte le bellezze particolari distribuite tra le altre creature e l'ha costituita come comune ornamento di tutti gli esseri visibili e invisibili; o piuttosto ha fatto di lei come una sintesi di tutte le perfezioni divine, angeliche e umane, una bellezza sublime che abbellisce i due mondi, che si eleva dalla terra fino al cielo e che sorpassa anche quest’ultimo...".

George Gharib

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La Madre di Dio nella liturgia orientale

di GEORGE GHARIB

L’icona "Madre di Dio consola la mia pena"
   

Presentiamo in questo mese l’icona mariana celebrata dalla Chiesa russa il 25 gennaio con Ufficio liturgico proprio, proponendone il relativo Inno Acatisto.

L'icona che qui ricordiamo porta il nome di "Madre di Dio consola la mia pena", nome che sembra ispirarsi alla stanza Vª dell’Inno Acatisto nella sua versione originale greca, dove Maria è così invocata:

"Ave, perdono soave del mondo,
Ave, clemenza di Dio verso l’uomo,
Ave, fiducia dell’uomo con Dio!".

L’icona "Consola la mia pena" si trova attualmente a Mosca, nella chiesa di San Nicola. Secondo la tradizione, sarebbe stata portata dai Cosacchi nel 1640, al tempo dello zar Alexei Micailovic (morto nel 1676) e donata alla chiesa di San Nicola nella via Bolsaja Ordynka.

Attraverso la sua icona, la Madre di Dio ha operato numerosi miracoli e divenne popolare durante la peste dell'anno 1771. Una testimonianza scritta attesta che la sacra immagine, durante un incendio, rimase intatta. Si ricorda in particolare un miracolo che rese famosa l'icona nella seconda metà del XVII secolo: una donna gravemente inferma fu avvertita di farsi trasportare a Mosca presso l'icona mostratale in visione. Sebbene si trovasse lontana da tale città e in pericolo di morte, riuscì a giungervi e la miracolosa forza dell'icona "Consola la mia pena" la guarì istantaneamente. Ciò avvenne un 25 gennaio, giorno conservato per l'annuale festeggiamento dell'icona. Ciò spiega la presenza attraverso l’immenso Paese di un gran numero di chiese consacrate all’immagine venerata sotto questo titolo.

L’icona possiede un Ufficio completo per celebrare la Madre di Dio il 25 gennaio, contenente inni per il Vespro della vigilia, e altri per il Mattutino e la Messa nel giorno della festa. Le prime edizioni dell’Ufficio risalgono alla metà del secolo XIX. Ad una data probabilmente posteriore risale l’Acatisto qui di seguito tradotto, destinato alla pietà dei fedeli. Il lungo Inno si compone di 13 stanze brevi, dette "Kondak", il cui ritornello è Alleluia; e di 12 stanze lunghe dette "Ikos", il cui ritornello è "Rallegrati, o nostra gioia, tu che consoli la nostra pena".

L’Autore, anonimo, per cantare la divina Madre, si ispira al famoso inno Acatisto greco ed eccelle nel tessere una lunga litania di titoli mariani che offrono al fedele che recita l’Inno davanti all’icona un vivissimo ritratto di Maria, presente con i suoi prodigi nella Chiesa e nella Comunità dei fedeli bisognosa di soccorso e aiuto. Conclude l’Inno una breve preghiera.

Ora, non potendo – per ragioni di spazio – riportare qui di seguito per intero tutti i Kondak e gli Ikos che lo compongono, ci limiteremo alle parti essenziali dello stesso.

Kondak 1

"Invincibile e mirabile la liberazione a noi data dalla venerata tua icona, o Vergine benedetta, sovrana Madre di Dio, che ci salvi dai mali con la tua apparizione; verso di te si elevano i nostri occhi, a te sale l’azione di grazia dei tuoi servitori; nella tua forza invincibile, liberaci da ogni pericolo, ché possiamo inneggiare a te, come a colei che preserva da ogni male, cantando: Alleluja".

Ikos 1

"Il coro degli Angeli e tutte le Potenze celesti ti glorificano, o Madre di Dio e Sovrana dell’universo; tu difatti hai colmato di gioia le nostre anime con la benigna apparizione della tua santa icona, o Vergine oggetto della scelta divina. Prostràti davanti ad essa, noi ti rivolgiamo umili preghiere, implorando il tuo soccorso benevolo per noi, e con timore a te noi ci rivolgiamo:

[…] Rallegrati, tu che ci guarisci da ogni dolore; rallegrati, tu che consoli le nostre pene per la tua intercessione […].

Rallegrati, o nostra gioia, tu che consoli la nostra pena".

Icona della Madre di Dio in quattro parti.
Icona della Madre di Dio in quattro parti, dall’alto a sinistra, in senso orario:
 -Raddolcimento dei cuori cattivi; - Consola la mia pena;
- Liberazione dei sofferenti dai mali; - Colei che ricerca i perduti. –
 Al centro: Crocifissione di Gesù. - Ufficio Archeologico presso l’Accademia Ecclesiastica di Mosca (sec. XIX).

Kondak 2

"Te contemplano, Ancella eletta da Dio: tutte le celesti Potenze costantemente presenti davanti al trono di gloria del Re dei Cieli, tu che sei la Sovrana che preghi per tutti gli uomini il tuo Figlio e nostro Dio. Noi invece peccatori, alla vista della tua immagine sacra e prostràti davanti ad essa, ti veneriamo con gioia, cantando: Alleluia".

Ikos 2

"Donaci intelligenza, o Protettrice dal cuore tenero: come possiamo difatti inneggiare a te con labbra impure? Tu sei colei che ci procuri ogni sorta di beni, tu sei capace di venirci in aiuto in tutti i nostri bisogni, così che amorevolmente noi ti possiamo inneggiare:

Rallegrati, tu che per nostra consolazione preghi tuo Figlio e Dio; rallegrati, tu che da eterne lacrime hai liberato per le tue preghiere i nostri occhi […].

Rallegrati, tu che metti fine alle nostre afflizioni; rallegrati, tu che vieni in nostro aiuto nei malori e le difficoltà […].

Rallegrati, o nostra gioia, tu che consoli la nostra pena".

Kondak 3

"La potenza dell’Altissimo ti ha coperta della sua ombra, per il soccorso pronto e caloroso ai fedeli che accorrono verso di te e si chinano davanti alla tua santa icona. A te sola difatti, come alla Madre purissima di Dio, è dato il potere di esaudire ogni buona richiesta che a te rivolgiamo, e solo tu puoi venirci in aiuto come a te è gradito; per questo ogni essere glorifica il tuo Figlio e nostro Dio a lui cantando: Alleluia".

Ikos 3

"Avendo tu un inesausto tesoro di misericordia, sul mondo intero tu stendi la tua mano soccorritrice, procurando ai malati la guarigione, a quanti soffrono il sollievo, ai ciechi la vista e ad ognuno secondo il suo bisogno; noi invece in azione di grazia a te così inneggiamo:

Rallegrati, unica Madre che manifesti misericordia verso di noi; rallegrati, tu che della tua compassione ci apri il prezioso tesoro; rallegrati, tu che ci manifesti una premura infinita; rallegrati, tu che ispiri ai savi sapienti propositi.

Rallegrati, tu che nell’intelligenza fai progredire i giovani; rallegrati, tu che cicatrizzi le ferite dei nostri peccati […].

Rallegrati, o nostra gioia, tu che consoli la nostra pena".

Kondak 4

"A noi circondati dalla tempesta di numerosi malori, o Regina dei Cieli, tu non cessi di venire in aiuto di noi fedeli che accorriamo verso di te e ci prosterniamo davanti alla tua icona miracolosa […].

Esaudisci le preghiere di quanti invocano il tuo santo nome e cantano al tuo Figlio: Alleluia".

Ikos 4

"[…] Rallegrati, tu che ti affretti a consolarci nelle pene e nelle tristezze; rallegrati, tu che salvi da una triste morte i fedeli che invocano il tuo nome […].

Rallegrati, o nostra gioia, tu che consoli la nostra pena".

Icona della Madre di Dio di Vladimir, con scene. – Ufficio Archeologico presso l’Accademia Ecclesiastica di Mosca (sec. XVIII).
Icona della Madre di Dio di Vladimir, con scene. – Ufficio Archeologico
 presso l’Accademia Ecclesiastica di Mosca (sec. XVIII).

Kondak 6

"Gli Apostoli, questi teofori predicatori, consacrando a te una chiesa dopo l’Ascensione del loro Signore, trovarono sulla parete tracciata e inscritta in un cerchio da una mano invisibile, la tua immagine, o Madre di Dio; al Figlio da te nato essi cantarono: Alleluia".

Ikos 6

" […] Rallegrati, tu guarisci le nostre infermità corporali e spirituali; rallegrati, tu procuri l’eloquio ai balbuzienti e ai muti; rallegrati, perché procuri ogni bene a te richiesto; rallegrati, tu che apri a tutti graziosamente l’istruzione.

Rallegrati, o nostra gioia, tu che consoli la nostra pena".

Kondak 9

"Tutti gli Angeli del cielo ti rivolgono i loro canti di lode, o divina Madre, protettrice di quanti si prosternano davanti a te e implorano il tuo aiuto; difatti, tu rallegri con la tua efficace protezione i giusti e assisti i peccatori, liberandoci dal male, dissipando le nostre pene e pregando per tutti i fedeli che cantano: Alleluia".

Ikos 9

"I retori chiacchieroni, muti come pesci, stentano a venerare la tua gloriosa icona; noi stessi, per le nostre labbra impure, non siamo degni di indirizzarti le nostre lodi; alla vista però degli innumerevoli benefici a noi procurati dalla tua icona, nella gioia dell’anima e del cuore a te inneggiamo:

Rallegrati, tu che nella nostra fame ci hai nutriti del pane di vita; rallegrati, tu che dall’abisso della morte ci hai riportati all’immortalità; rallegrati, tu che dal sisma del peccato ci hai protetti; rallegrati, tu la cui potente mano ci ha salvati dal diluvio della morte […].

Rallegrati, o nostra gioia, tu che consoli la nostra pena".

Kondak 10

"Volendo salvare il genere umano dall’errore del nemico, il Signore amico degli uomini ti ha donata quale Madre per aiutare il genere umano, dicendo: ‘O figli degli uomini, ecco la mia Madre che sarà per voi rifugio e protezione, consolazione nella pena, gioia degli afflitti, ausilio degli oppressi, così che dall’abisso del peccato tutti si alzino per cantare: Alleluia’ ".

Il Vescovo ortodosso benedice solennemente i fedeli con l’icona.
Il Vescovo ortodosso benedice solennemente i fedeli con l’icona.

Ikos 10

"O Re celeste, è così che prega per noi la Regina del Cielo: ‘Accogli tutti gli uomini che ti glorificano e invocano il tuo nome, laddove si fa memoria del tuo santo nome e che rendono gloria anche a me; non respingerli lontano dal tuo volto, ma fa’ loro grazia liberandoli da ogni male e esaudendo le loro richieste’.

Noi invece che speriamo nella tua materna intercessione a te così inneggiamo:

[…] Rallegrati, tu che guarisci i nostri dolori corporali e spirituali; rallegrati, tu che consoli la nube delle nostre passioni; rallegrati, tu che scacci prontamente le nostre afflizioni; rallegrati, perché tutto quanto è utile la tua preghiera ce lo ottiene.

Rallegrati, o nostra gioia, tu che consoli la nostra pena".

Kondak 12

"La grazia di Dio chiedila per noi al Maestro del cielo, tuo Figlio e nostro Dio; stendi su di noi la tua mano soccorritrice e dissipa le nostre pene per la tua intercessione; coprici dal velo della tua protezione, allontana da noi ogni nemico e avversario; pacifica la nostra vita, accoglici sotto il tuo tetto eterno, ché nella gioia possiamo cantare: Alleluia".

Ikos 12

"Esaltandoti come sovrana ausiliatrice noi ti lodiamo; pregando umilmente noi riconosciamo con fede i benefìci temporali ed eterni che tu chiedi per noi; e nell’azione di grazia noi a te inneggiamo:

Rallegrati, tu che tramite le tue preghiere procuri al mondo la salvezza ; rallegrati, tu le cui intercessioni proteggono tutta la nostra terra abitata ; rallegrati, tu che proteggi il tuo popolo dalla barbarie; rallegrati, tu che ci mantieni nella vera fede […].

Rallegrati, o nostra gioia, tu che consoli la nostra pena".

Kondak 13

"Vergine degnissima di essere cantata, Regina del Cielo e sovrana Madre di Dio, tu che hai messo al mondo il Verbo, il Santo dei santi, ricevi le preghiere che a te rivolgiamo, dissipa le nostre pene, liberaci da ogni prova e afflizione, dall’eterna condanna e dai tormenti futuri, per permetterci, come tuoi servitori, di abitare nelle dimore del paradiso e di cantare: Alleluia".

Preghiera

"Regina di ogni bontà, Madre di Dio, mia speranza, nutrice degli orfani, protettrice dei senza dimora, gioia degli afflitti, guarda alla mia pena e vedi il mio malore, vieni in aiuto alla mia debolezza, sostieni la mia povertà; tu che conosci la mia indigenza, mettici fine; difatti, al di fuori di te io non ho altro soccorso, altra protezione; io non possiedo nessuna consolazione al di fuori di te, buona Madre di Dio, per custodirmi e proteggermi, nei secoli dei secoli. Amen".

George Gharib

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05/11/2008 19:17

La Madre di Dio nella liturgia orientale

di GEORGE GHARIB

http://www.stpauls.it/madre/0402md/0402md17.htm

L’icona "Madre di Dio, Ricerca dei perduti"
   

Davanti a questa icona la Vergine Maria presta soccorso a peccatori dati già per perduti. – Ad essa si rivolgono le giovani nella speranza di trovare un buon marito, e le madri chiedono aiuto per i bambini orfani.

Fra le numerose icone miracolose venerate in Russia con giorno di festa e Ufficio completo, ve n’è una che porta il nome di "Ricerca dei perduti". La festa dell’icona, presente in molte chiese e case dell’immenso territorio della Santa Russia, si celebra il 5 febbraio, attirando folle numerose. Attraverso questa sua icona la Madre di Dio ha mostrato la sua benevolenza e prestato il suo soccorso a peccatori che sembravano già perduti. Ad essa si rivolgono anche le fidanzate nella speranza di un felice matrimonio; i fedeli implorano la liberazione da vizi e malattie; le madri chiedono l'aiuto per i bambini, specie per quelli che hanno perduto i genitori.

Tipo iconografico e breve storia dell'icona

Nella raffigurazione dell’icona, Maria si presenta generalmente in busto, avvolta dai soliti abiti: tunica e maforio, o velo-mantello, che le copre il capo e il resto del corpo. Essa regge però il Bambino in un modo alquanto insolito che la differenzia visibilmente dai due principali tipi mariani conosciuti, quello ieratico dell'Odigítria e quello tenero dell’Eléousa. Infatti, in queste icone Gesù Bambino, raffigurato a pieno corpo, non siede sul braccio della Madre ma si tiene in piedi sulle sue ginocchia, con il volto accostato a quello della Vergine. Inoltre, con una mano le cinge il collo e con l'altra si regge alla sua veste e – dettaglio alquanto insolito nell'iconografia orientale – il suo vestito lascia vedere le gambe nude fin sopra le ginocchia. Altro dettaglio insolito che si incontra in alcune repliche è costituito da tre ciocche di capelli visibili che escono da sotto il velo della Madre e le cadono sulle spalle.

L'esempio più antico di questo modello iconografico è attestato nell'icona che un tempo si trovava nella chiesa di San Georgio a Bolchov, nel distretto di Orel. Secondo la tradizione, l'icona è stata dipinta nel 1707, ma la sua venerazione ha avuto inizio verso la metà del XVIII secolo per aver miracolosamente salvato dalla morte Feodor Obuchov, un devoto contadino abitante a Bor nel distretto di Kaluga.

L'icona "Madre di Dio, ricerca dei perduti".
L'icona "Madre di Dio, ricerca dei perduti".

Il fatto è così riferito: nel giorno di festa del Battesimo del Signore, mentre stava tornando dalla città di Bolchov, egli fu sorpreso da una forte tempesta di neve. Persa la strada, i suoi cavalli si fermarono. Il contadino, senza alcuna speranza di salvezza, sciolse un cavallo e lo attaccò alla slitta, dove egli stesso si mise a giacere, coprendosi il volto. Rendendosi conto di poter morire congelato, egli invocò la Madre di Dio e fece il voto di commissionare una copia dell'icona ‘Ricerca dei perduti’, conservata nel tempio di Bolchov.

La sua fervente preghiera fu ascoltata: nel vicino villaggio, sotto la finestra della casa di un contadino, improvvisamente si era sentita una voce: "Andate a prenderlo!". Il contadino uscì in cortile e vide l'amico perduto giacente sulla slitta e lo mise in salvo. Guarito, Feodor Obuchov adempì la sua promessa alla Madre di Dio e da allora l'icona ‘Ricerca dei perduti’ cominciò ad essere venerata dal popolo credente.

Ufficio della festa

La Chiesa, spinta dai tanti miracoli operati dalla Madonna per mezzo di questa sua icona, non tardò a solennizzarne la festa con la composizione di un Ufficio liturgico composto di numerosi inni destinati alla celebrazione dei Vespri nel giorno di vigilia, del Mattutino e della Messa nel giorno della festa. Da notare che il testo è anonimo e vi manca ogni riferimento che permetta di precisare la data della composizione.

Non potendo pubblicare tutto l’Ufficio, proponiamo ai nostri lettori tre diversi testi: il Tropario cantato in tutte le Ore dell’Ufficio, il lungo Canone del Mattutino e le tre Preghiere recitate dai fedeli davanti all’icona.

L’icona riunisce quattro immagini della Vergine. In alto, da sinistra: Madonna "Gioia inaspettata" 
[= Un uomo peccatore, nel vedere l’immagine animarsi e le piaghe di Cristo che emanano sangue,
si converte e cambia vita]. – A destra: l’icona "Madre di Dio, Ricerca dei perduti". – In basso, a sinistra: "Madonna d’Arabia" [= l’icona si riferisce alla predicazione dell’apostolo Tommaso in Etiopia, Arabia e India: da notare che, al posto delle tre stelle tradizionali, ci sono tre teste d’Angelo]. – 
A destra: "Madonna delle sette spade", meglio conosciuta in Occidente come ‘Vergine Addolorata’.

Tropario

Il Tropario, formato da una sola strofa, costituisce un piccolo capolavoro che sintonizza la mente e il cuore dei fedeli, e mette sulle loro labbra sentimenti di lode capaci di intenerire la divina Madre. Esso così suona:

"Rallegrati, Piena di grazia, Vergine Madre di Dio, che hai portato tra le braccia come bambino il Dio di prima dei secoli. Supplicalo di largire al mondo la pace e alle nostre anime la salvezza. Il tuo Figlio, o Madre di Dio, ci fa sapere che tutte le tue richieste vengono esaudite. Chini noi ti preghiamo e invochiamo il tuo nome con la speranza di non perire: tu sei difatti, o nostra Signora, la ‘Ricerca delle anime perdute’ " .

Canone

Il lungo Canone destinato al Mattutino si divide in nove Odi, ognuna delle quali composta da quattro strofe. L’Autore anonimo ci offre dei contrappunti meditativi pieni di umili sentimenti di lode e di penitenza che cercano di commuovere il cuore della divina Madre verso i figli bisognosi di aiuto e di consolazione.

Ne riportiamo alcune.

Ode I

Di noi che siamo sul punto di soccombere abbi pietà, santissima Madre di Dio; al posto delle angosce donaci la gioia, così da poter inneggiare a te, o Signora. Consola le nostre anime piene di tristezza; su di noi infatti si sono rovesciate molte pene e tristezze; possiamo non perire travolti dal malessere.

Tu sei la nostra forza, il nostro sostegno e difesa contro i demoni; per questo noi non abbiamo paura dagli assalti del nemico e senza sosta a te cantiamo e ti glorifichiamo.

Sofferenze, miserie e afflizioni in gran numero sono cadute su di noi; per questo noi ti preghiamo con tutto il cuore: ‘Divina Genitrice, liberaci dalle colpe che ci affliggono e colmaci di gioia’ ".

Ode III

"Santissima Sovrana, tu sei la nostra ardente protezione e nostro forte soccorso: liberaci dalle prove che ci affliggono, o tu che medichi i caduti.

O Tuttapura, liberaci dalle prove e dal malessere, da ogni tristezza e disperazione; allontana da noi le passioni, e noi non smetteremo di glorificarti. Presso di te, o Purissima, noi accorriamo; non disdegnare i nostri pianti e gemiti; guarda invece a noi che siamo al collasso, e trasforma, o Beata, la nostra tristezza in gioia.

Guarda, o nostra Signora, i nostri tormenti e la nostra afflizione mentre il nemico cerca di ingoiarci; smaschera le sue perfide macchinazioni affinché, salvati, possiamo glorificare la tua solida protezione".

Ode VI

"Ascolta il pianto dei tuoi servi bisognosi del tuo soccorso, o Madre di Dio; tu sei infatti la nostra speranza: affrettati a cambiare in gioia il nostro lutto.

O Sovrana, liberaci dalla lingua dell’inganno e dall’uomo iniquo proteggici: tu che sei la Madre del nostro Dio e Creatore. Tu sei la pronta ‘Ricerca delle anime perdute’, o Piena di grazia; tu infatti sei la forza dei deboli e loro sostegno; noi a te gridiamo con bocca e cuore: ‘Sovrana nostra, libera da ogni disperazione noi che ci rifugiamo presso di te’.

Divina Sposa, liberaci dalle prove e dal disagio: Dio ti ha stabilita come mediatrice, soccorso e aiuto; anche a noi, malgrado la nostra indegnità, procura la liberazione da ogni angoscia".

Ode IX

"Per la disperazione la nostra forza come argilla si è prosciugata ed è vicina alla morte per la lingua dei nostri oppressori: o Madre di Dio, affrettati e liberaci da quanti ci affliggono con la tua mano soccorritrice, ché ti possiamo glorificare, o Vergine immacolata.

O Vergine immacolata, potente ausilio dei credenti e speranza dei Cristiani, intercedi per noi presso il tuo divin Figlio, ché possiamo essere preservati dalle minacciose ingiustizie, e possiamo inneggiare a te: ‘Rallegrati, o Madre pura e sempre vergine’.

Tu sei la nostra forza, o Madre di Dio, nostro rifugio e nostro incrollabile baluardo; e tu intercedi con forza presso Dio: liberaci da ogni prova e malessere, o sola fra le donne benedetta; così potremo inneggiare: ‘Rallegrati, divina Madre beata e sempre Vergine’ ".

George Gharib

Processione con l'Icona della Dormizione della Madre di Dio (1521).
Processione con l'Icona della Dormizione della Madre di Dio (1521).
  

Le tre Preghiere L’Ufficio della festa contiene anche tre diverse Preghiere che i fedeli recitano davanti all’icona. Anche queste sono anonime. Mettono in bocca ai fedeli espressioni di tenera devozione e illimitata fiducia di ottenere le grazie necessarie per la guarigione del corpo e dell’anima, "una fine di vita cristiana, pacifica e senza rimprovero".

Preghiera I

"Vergine santa e benedetta, sovrana Madre di Dio, con occhio pietoso guarda a noi presenti davanti alla tua santa icona e che ti preghiamo umilmente: ‘Liberaci dall’abisso del peccato, illumina la nostra mente ottenebrata dalle passioni, guarisci le ferite dell’anima e del corpo; noi infatti non abbiamo altra speranza al di fuori di te; tu conosci le nostre debolezze e mancanze, presso di te noi ci rifugiamo e gridiamo: non togliere da noi il tuo aiuto celeste, ma sii sempre presente a noi e, nella tua ineffabile tenerezza e misericordia, abbi pietà di noi che soccombiamo e salvaci’.

Donaci di ravvederci dai peccati della nostra vita, preservaci da ogni dolore, da ogni male e afflizione, dalla morte improvvisa, dall’Inferno e dai castighi eterni. Tu sei infatti, o Regina e Sovrana, il pronto soccorso e la protezione di tutti coloro che accorrono presso di te, il potente rifugio dei peccatori pentiti; donaci nella tua bontà, o Vergine immacolata, una fine di vita cristiana, pacifica e senza rimprovero, e per la tua mediazione rendici degni di abitare nelle celesti dimore, dove l’incessante voce di festa magnifica con gioia la santissima Trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen".

Preghiera II

"Amorevole protettrice, misericordiosa Madre del Salvatore, verso di te mi rifugio, io misero e più di tutti peccatore. Sii attenta alla mia preghiera; ascolta i miei gemiti e sospiri, perché le mie iniquità hanno superato la mia testa, e come uno scafo nell’oceano io affondo nell’abisso dei miei peccati.

Ma tu, o Sovrana pietosa, nella tua bontà non disprezzare me sconsolato, perduto a causa dei miei peccati; abbi pietà di me pentito delle mie cattive azioni, fa’ ritornare la mia anima sulla via dritta. In te, sovrana Madre di Dio, io depongo tutta la mia speranza; all’ombra delle tue ali custodiscimi, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen".

Preghiera III

"Santissima Signora, Madre di Dio, che superi in onore i Cherubini e i Serafini, Vergine prediletta da Dio, ricerca delle anime perdute e gioia di tutti gli afflitti, dona la consolazione a noi che siamo nella perdizione e l’afflizione; noi non abbiamo altro rifugio e soccorso al di fuori di te.

Tu sei la sola mediatrice della nostra gioia e, come divina Madre della misericordia, tu sei davanti al trono della Santissima Trinità e puoi soccorrerci.

Nessuno, infatti, di quanti accorrono verso di te ritorna deluso.

Anche ora, esaudiscici nel giorno della perdizione e della tristezza, mentre ci inchiniamo davanti alla tua icona e in lacrime ti preghiamo: ‘Allontana da noi i mali e le afflizioni che ci minacciano in questo momento della nostra vita; e non privarci della tua potente mediazione e della gioia senza fine nel regno di tuo Figlio e nostro Dio’. Amen".


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La Madre di Dio nella liturgia orientale

di GEORGE GHARIB

L’Inno Akátisto alla Madre di Dio, 
Ricerca dei perduti e Gioia di tutti gli afflitti

   

Il singolare caso di un comune Akátisto alla Madre di Dio, venerata in due diverse icone molto care alla devozione degli Ortodossi della Russia.

La Chiesa Russa, che celebra [come abbiamo visto nel numero precedente della rivista] l’icona mariana della "Madre di Dio, Ricerca dei perduti" con un Ufficio completo, offre ai suoi fedeli anche un inno Acatisto per celebrare insieme due icone mariane: la "Ricerca dei perduti" e la "Gioia di tutti gli afflitti".

L’associazione delle due icone resta un enigma, non offrendo i testi alcun appoggio per poter indovinare l’autore e la data della composizione. La cosa è tanto più strana quando si scopra che la seconda icona, la "Gioia di tutti gli afflitti", possiede un suo proprio giorno di festa e un suo proprio Ufficio liturgico che ricorre il 24 ottobre: giorno, questo, della apparizione soprannaturale dell’icona, come si vedrà.

Icona "Ricerca dei perduti"
Icona "Ricerca dei perduti"
.

L’ìcona della Madre di Dio "Gioia di tutti gli afflitti"

L’icona oggetto della festa è tipicamente russa, senza precedenti greci o bizantini, e per questo diffusa solo nel mondo slavo. L'originale, dipinto probabilmente verso la fine del 1500, risale al periodo della diffusione delle cosiddette "icone di preghiera", con illustrazioni dell'Acatisto o di altri testi liturgici: le composizioni si distinguono per la presenza di molte piccole figure che circondano il personaggio principale, nel nostro caso la figura della Madre di Dio.

In questa icona russa, infatti, domina la Madre di Dio al centro, rappresentata a figura intera: talvolta regge su un braccio il divin Figlio (tipo prevalentemente moscovita); più spesso è sola (tipo pietroburghese), magari con in mano uno scettro e, talvolta, un globo terrestre. Le figure della Madre e del Bambino si trovano spesso dentro una ‘mandorla’, segno di gloria. Sui loro capi di solito vi è una corona; i colori della mandorla variano da una tonalità di rosso tendente all'arancione a un rosa.

Le figure che attorniano la Vergine ricordano la sua instancabile azione soccorritrice: in basso e ai lati vi sono malati, affamati, minorati, sofferenti d'ogni categoria, spesso aiutati da Angeli, quali messaggeri della sua materna benevolenza. Talvolta vi sono, rette dai personaggi, anche diverse scritte che precisano i diversi tipi di "affitti" di cui la Vergine è "gioia".

Tra la folla sventurata si vedono Angeli che invitano alla preghiera e confortano gli afflitti. Talvolta si hanno, attorno alla figura di Maria, raffigurazioni di Santi. In quasi tutte le immagini, Dio Padre si affaccia dalle nubi con i segni della sovranità cosmica: il sole e la luna.

Il potere taumaturgico di questa icona si è rivelato, secondo una insistente tradizione, dapprima a Mosca in favore della sorella dello stesso Patriarca della Chiesa russa, Efimia, nel 1648. Questa, da tempo sofferente per una malattia che sembrava mortale, mentre invocava ardentemente la Vergine, udì una voce che le prometteva la guarigione se avesse pregato davanti all'icona "Gioia di tutti gli afflitti", che si trovava nella chiesa della Trasfigurazione, sulla strada Ordinka. Il miracolo accade mentre lì si svolgeva una funzione (moleben ) in onore della Madonna e la malata veniva aspersa con acqua benedetta. Era il 24 ottobre, giorno che rimase poi come "festa" di questa icona.

Attorno al 1720 lo zar Pietro il Grande fece portare l'icona da Mosca alla nuova capitale, Pietroburgo, dove fu venerata nella Cappella privata della famiglia imperiale.

Da notare che anche oggi la chiesa della Trasfigurazione in via Ordinka a Mosca è una delle meglio officiate, frequentata da molte persone che accorrono per venerare la icona mariana ed ascoltare un coro famoso, che ha anche inciso dischi di musica religiosa. Le più complete edizioni del libro liturgico (meneon) di Ottobre hanno una ufficiatura propria in onore della Madre di Dio onorata, appunto, nell’icona "Gioia di tutti gli afflitti".

Icona della Madre di Dio, "Gioia di tutti gli afflitti" – Russia centrale, 1841.
Icona della Madre di Dio, "Gioia di tutti gli afflitti" – Russia centrale, 1841.

Un Acatisto per due icone

L’Inno che proponiamo ai nostri lettori – in due successive puntate, data la sua lunghezza – è l’Acatisto destinato a celebrare insieme le due icone sopramenzionate. Il testo è anonimo, ma figura nei libri liturgici slavi. Si compone, come al solito, di tredici kondak e di dodici "ikoi" (plurale di ikos). I primi, più brevi, si chiudono con l’Alleluja ripreso in coro dai fedeli; gli ikoi, invece, sono più lunghi, contengono una serie di "chairetismoi" (= salutazioni) e terminano con un ritornello comune indirizzato ad ambedue le icone: "Rallegrati, Ricerca delle anime perdute e Gioia di tutti gli afflitti".

Il testo, che si ispira a molti inni mariani della Chiesa bizantina, contiene anche numerose espressioni e invocazioni che si ritrovano tali e quali in molte preghiere occidentali, a conferma che la Vergine Maria è Madre di tutti, Regina dell'Oriente e dell'Occidente, Ausilio dei Cristiani e Promotrice di unità.

Ed ecco la 1ª parte dell’Inno Acatisto alla Madre di Dio, in onore delle icone "Ricerca dei perduti" e "Gioia di tutti gli afflitti".

Kondak 1

"Echeggino i nostri accenti di vittoria in tuo onore, Regina invincibile che ci salvi da una morte eterna, Madre di Dio, Vergine sovrana, per mezzo della grazia che sparge Cristo da te nato; verso di te salgono le lodi, i canti di azione di grazia dei tuoi servitori. Col tuo braccio potente innalza intorno a noi il più solido dei baluardi. Salvaci da ogni pericolo, affrettati a soccorrere i fedeli che cantano:

‘Rallegrati, o nostra Signora,
Ricerca delle anime perdute
e Gioia di tutti gli afflitti’.

Ikos 1

Dal cielo fu mandato un Angelo di alto rango per dire alla Madre di Dio: ‘Rallegrati, o benedetta fra le donne, Genitrice di Cristo il Figlio di Dio!’.

Per questo, malgrado le nostre colpe noi speriamo in te e con affetto ti acclamiamo:

‘Rallegrati, benevolenza di Dio verso i peccatori; rallegrati, potente avvocata dei penitenti presso il Signore nostro Dio; rallegrati, richiamo di Adamo caduto; rallegrati, perché anche Eva non piange più.

Rallegrati, tu rimuovi l’impurità dai peccatori; rallegrati, tu hai messo al mondo il Redentore che purifica le nostre iniquità; rallegrati, mirabile riconciliazione di tutti con Dio.

Rallegrati, ponte che conduce dalla morte alla vita; rallegrati, tu salvi il mondo dal diluvio del peccato; rallegrati, scala celeste che il Signore discese fino a noi; rallegrati, causa dell’universale divinizzazione.

Rallegrati, Ricerca delle anime perdute e Gioia di tutti gli afflitti’.

Altra versione dell’icona "Gioia di tutti gli afflitti" – Coll. privata, Mosca.
Altra versione dell’icona "Gioia di tutti gli afflitti" – Coll. privata, Mosca.

Kondak 2

Alla vista del flusso dei prodigi che zampillano dalla tua santa icona, o divina Genitrice, noi comprendiamo che sei l’aiuto di quanti ti pregano, la protettrice degli oppressi, la speranza di chi confida in te, la consolatrice degli afflitti, la ricerca degli smarriti, la nutrice degli affamati, l’abito dei denudati, la castità delle vergini, la difesa degli stranieri, il soccorso di quanti sono nella pena, la vista dei ciechi, l’udito dei sordi e la guarigione dei malati, per cui noi ti rivolgiamo le nostre azioni di grazia, cantando a Dio: Alleluja.

Ikos 2

Cercando di capire, o Madre di Dio, il mistero del soccorso che porti agli afflitti, o Vergine, noi verso di te ci rifugiamo. Nella tua bontà aiutaci a scoprire la misericordia e il favore di tuo Figlio che ci protegge e perdona i nostri peccati, affinché possiamo inneggiare a te con gioia:

‘Rallegrati, porto di pace per i naufraghi; rallegrati, per i dubbiosi sicuro rifugio; rallegrati, sola Madre capace di compassione; rallegrati, pronto soccorso di quanti si trovano nel malessere […].

Rallegrati, tu dall’amore della terra ci trascini verso il cielo; rallegrati, tu nelle nostre sofferenze ci doni grazia e consolazione; rallegrati, promessa dei beni eterni; rallegrati, sovrintendente della gioia che nessuno potrà strappare.

Rallegrati, Ricerca delle anime perdute e Gioia di tutti gli afflitti’.

Kondak 3

Fortifica il malato di anima e corpo, armami con la potenza dall’alto, rendimi degno della tua visita, o nostra Signora; nella tua bontà, e nella tua benevolenza rinfrancami dissipando le tenebre della disperazione e afflizione, affinché, salvato per tuo tramite, io possa cantare a Dio: Alleluja.

Ikos 3

Tu che possiedi l’ineffabile tesoro della misericordia, porgi a tutti gli afflitti la tua mano caritatevole, curando le malattie e guarendo le passioni. Non disprezzare, o Sovrana, nella tua bontà, me che giaccio sul mio letto di infermità e che a te grido:

‘Rallegrati, prezioso tesoro della grazia di Dio; rallegrati, sola speranza dei disperati; rallegrati, tu procuri al mio corpo la guarigione; rallegrati, tu procuri alla mia anima la salvezza […].

Rallegrati, occhio dei ciechi e udito dei sordi; rallegrati, tu fai camminare gli zoppi e parlare i muti; rallegrati, visitatrice che ridona ai malati la speranza; rallegrati, tu procuri ad ogni infermo la guarigione nella misura della sua fede.

Rallegrati, Ricerca delle anime perdute e Gioia di tutti gli afflitti’.

Processione ortodossa con icone, nella "Santa Russia" di altri tempi.
Processione ortodossa con icone, nella "Santa Russia" di altri tempi.

Kondak 4

Il turbinio di tanti malesseri mi circonda e non posso più sopportarne le spire; ma tu, o Madre compassionevole del mio Salvatore, alza la mano verso il tuo Figlio, pregandolo di vagliare l’afflizione del mio cuore e di sottrarmi all’abisso della disperazione, affinché io possa a lui cantare: Alleluja.

Ikos 4

Santa Vergine e Madre, avendo ascoltato la profezia del giusto Simeone, quando disse che una spada ti avrebbe trafitto l’anima, tu hai conservato tutte queste parole nel tuo cuore, ben sapendo che la gioia di una madre per i suoi tanti figli in questo mondo comporta anche numerose tribolazioni; per questo noi ti rivolgiamo i seguenti saluti:

‘Rallegrati, tu hai messo al mondo la gioia, il Cristo nostro Salvatore; rallegrati, tu hai liberato il mondo dell’afflizione; rallegrati, tu hai sopportato gli oltraggi inflitti a tuo Figlio; rallegrati, tu hai preso parte alle sue sofferenze.

Rallegrati, consolazione delle madri afflitte; rallegrati, dolce custode dei loro figli; rallegrati, pronta ausiliatrice nei nostri disagi; rallegrati, ritrovamento degli smarriti.

Rallegrati, nutrice dei piccolissimi; rallegrati, educatrice degli adolescenti; rallegrati, seconda madre degli orfani; rallegrati, soccorso delle vedove.

Rallegrati, Ricerca delle anime perdute e Gioia di tutti gli afflitti ".

George Gharib
[1 – continua]

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