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La Vergine Maria...

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2008 19:18
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05/11/2008 19:08

Il Monastero Kutlumussíu 
e la Cappella della Foverá Prostasía

   

Ricco di storia, è celebre per l'icona della Madonna della Passione, venerata in tutto l'Oriente cristiano.

Il  Monastero Kutlumussíu, che sorge a 340 metri dal livello del mare, è situato a poca distanza da Karyès, ed occupa dal 1574 il sesto posto nella scala gerarchica dei monasteri. Ospita attualmente una cinquantina di monaci che seguono la regola cenobitica; è consacrato alla Trasfigurazione di Cristo la cui ricorrenza, che cade il 6 agosto, è celebrata con grande solennità. E’ un complesso quadrangolare di modeste proporzioni, dove fanno bella mostra di sé tre piani di loggiati simili a chiostri sovrapposti. Dal monastero dipendono la skíti (centro monastico minore) di San Panteleimon, 18 kellía (abitazioni monastiche singole), fra cui il kellíon Estavroménos (del Crocifisso) e quello di S. Giovanni Battista a Karyès, e tre issichastíria (luoghi di ritiro eremitico) a Kapsala.

La Madonna occupa un posto privilegiato non solo nelle numerose sue icone, dappertutto presenti, ma anche in una speciale Cappella dove si venera l’icona miracolosa detta Foverá Prostasía, ossia della "Terribile Presentazione".

Accesso al Monastero di Kutlumussíu dalla via di Karyès.
Accesso al Monastero di Kutlumussíu dalla via di Karyès.

Storia del Monastero

È opinione comune che la fondazione del Monastero Kutlumussíu sia da far risalire, sul finire del XIII secolo, all’iniziativa di un turco, imparentato con i sultani selgiuchidi di Konya, in Asia Minore. Questi, figlio di Azz ed-Din Kutlumush (o Ketelmush) e della cristiana Anna, si convertì al Cristianesimo nel 1283 assumendo il nome di Costantino e si recò sul Monte Athos, dove fondò il monastero. Ma un documento conservato in San Panteleimon, datato agosto 1169 e contenente tra le 28 firme anche quella di Isaia, "ieromonaco e kathigúmenos del monastero Kutlumussíu", sembra contraddire questa tesi, fornendo la prova dell’esistenza di un Monastero di tale nome sull'Athos già nel XII secolo, e suggerendo altre ipotesi, come quella che il suo fondatore non fosse un turco, bensì un arabo dell' XI secolo.

Nel XII secolo Kutlumussíu occupava soltanto il ventesimo rango fra i Monasteri del monte Athos; ma un atto del 1316, che reca la firma dell'igúmeno Teodoro, dimostra l'avvenuta risalita del Monastero nell'ordine gerarchico, dovuta ad alcune donazioni ricevute nel secolo precedente, tra cui i Monasteri abbandonati del Profeta Elia intorno al 1260-1265 e di Stavronikíta nel 1287. Le cose successivamente peggiorarono, soprattutto in conseguenza dei saccheggi dei pirati catalani.

In tale periodo contribuirono al sostentamento del Monastero Teodora Cantacuzena, madre del più famoso Giovanni, che con un atto del 1338 donò a Kutlumussíu alcuni domíni importanti nella regione di Serres, ed il voivoda di Valacchia Alessandro Basarab (1352-1364), che fece ricostruire la grande torre.

Nella seconda metà del XIV secolo Kutlumussíu tornò a vivere un momento di ripresa economica sotto l'igúmeno Caritone, nativo di Imbros, isola all'imbocco dei Dardanelli. Uomo attivo ed intraprendente nonché viaggiatore infaticabile, egli ebbe come unico obiettivo quello di fare di Kutlumussíu un monastero ricco e prospero. A tale scopo iniziò una politica di ricerca di sovvenzioni nelle zone balcaniche, ottenendo successo presso i principati danubiani, il che gli permise di far costruire il porto e di rinnovare quasi tutto il monastero, che da allora fu chiamato anche Monastero di Caritone.

Il principe rumeno Giovanni Vladislav (1364-1374) detto anche «Vlaiku Voda», figlio di Alessandro Basarab, fu il più sensibile fra tutti i benefattori, tanto da venir considerato il «secondo fondatore di Kutlumussíu», che da allora fu anche chiamato Monastero del Voivoda o Lavra dei Rumeni, essendo popolato per lo più da Monaci provenienti dalla Romania.

Il katholikón di Kutlumussíu, edificato nel 1540. - Al suo interno c'è la Cappella mariana della Foverá Prostasía.
Il katholikón di Kutlumussíu, edificato nel 1540.
Al suo interno c'è la Cappella mariana della
Foverá Prostasía
.

Ma la regola cenobitica era troppo rigida per i rumeni, e fu lo stesso Giovanni Vladislav che chiese, anche attraverso il metropolita di Valacchia Giacinto, che i religiosi potessero vivere secondo quella idiorritmica. Caritone convinse i Monaci greci ad accettare ed il voivoda emanò una carta di fondazione del Monastero, in cui si dichiarava suo proprietario e fondatore, riconoscendolo peraltro come greco.

Nel 1372 Caritone divenne metropolita di Ungarovalacchia, pur rimanendo igúmeno di Kutlumussíu, e nel 1376 fu eletto prótos dell'Athos; ciò contribuì al prestigio del Monastero, le cui buone fortune continuarono nonostante la morte di Caritone, avvenuta intorno al 1381, e la cattura da parte dei Turchi del valacco Melchisedec, suo successore. L'epoca di maggior splendore, infatti, Kutlumussíu la visse qualche anno più tardi, quando nel giugno del 1393 il Patriarca di Costantinopoli Antonio lo elesse a rango di Monastero patriarcale e stavropegiaco.

Nel 1428 i Monaci ottennero dal patriarca Giuseppe II una carta che sanciva l'unione di Kutlumussíu e di Alipios; essi lo interpretarono come assorbimento da parte di Kutlumussíu del Monastero di Alipios, che venne pertanto ridotto ad un kellíon ancor oggi esistente e chiamato "dei Santi Apostoli". I due Monasteri attraversarono però ben presto un periodo di crisi durante il quale furono completamente abbandonati. Kutlumussíu fu rioccupato verso il 1475 da monaci bulgari e verso il 1527 da monaci greci.

Nel 1497 un terribile incendio lo distrusse quasi completamente: venne ricostruito grazie agli aiuti dei voivodi Radu il Grande, che fece restaurare il lato nord-est e la torre (1508), e Neagoe Basarab. Nel 1767 un altro incendio distrusse il lato est, che venne fatto ricostruire da Matteo III, patriarca di Alessandria, il quale non solo seguì personalmente i lavori di riedificazione del refettorio e di decorazione di parte del katholikón, ma alla sua morte, avvenuta nel 1775, donò al monastero le sue fortune.

Kutlumussíu subì un terzo incendio nel 1856, ed un quarto nel 1870 che danneggiarono gravemente le costruzioni dei lati nord, ovest e sud, successivamente restaurate ad opera dell'igúmeno Meletios di Leucade, ma che risparmiarono miracolosamente il katholikón, la biblioteca e il tesoro.

Durante il secolo scorso, nel 1856, il Monastero ritornò al cenobitismo sotto l'igúmeno Nikandros, come testimonia il sighíllion di Cirillo VII, patriarca di Costantinopoli.

Madre di Dio della Passione, sec. XIX (coll. privata, Italia).
Madre di Dio della Passione, sec. XIX (coll. privata, Italia).

Il katholikón dedicato alla Trasfigurazione di Cristo

Il bellissimo katholikón è stato edificato dall'igúmeno Massimo nel 1540 sulle rovine di una chiesa preesistente. La pianta è quella tradizionale agiorita a trifoglio e litì (nartece), con la sola particolarità di possedere una próthessis (altare adibito alla preparazione dei doni eucaristici) e diakonikón (locale adibito a sacrestia) sporgenti ed a forma semicircolare.

Particolare grazia conferiscono alla struttura esterna le ceramiche intercalate ai mattoni negli spazi intercorrenti fra le arcate dell'atrio.

Gli affreschi che decorano le pareti, coevi alla costruzione o di poco posteriori, sono di scuola cretese ed esprimono particolare intensità spirituale; rappresentano i tradizionali cicli devozionali sulla cupola e nel catino absidale, quello delle Grandi Feste nelle volte e nelle conche dei cori e quello della Passione di Cristo nel braccio ovest del transetto (naós). Malauguratamente, la maggior parte degli affreschi ha subìto negli anni maldestri restauri.

Nel santuario (víma) sono conservate numerose reliquie, tra cui il piede destro di Sant'Anna, madre della Vergine, la mano sinistra di San Gregorio di Nazianzo, ed altre di San Panteleimon, Sant'Anastasia, Santa Barbara e Santa Maria Maddalena.

La Cappella mariana della Foverá Prostasía

In una Cappella (parekklíssion) laterale, a sinistra della lití, edificata nel 1733 da un certo Niceforo, è venerata un'icona taumaturgica della Vergine denominata Foverá Prostasía, ossia della Terribile Presentazione. Essa rappresenta la Vergine con il Bambino Gesù fra le braccia che si ritrae alla vista degli strumenti della Passione presentati dagli Angeli in volo. L’icona appartiene al tipo iconografico detto Madonna della Passione, che ha conosciuto grande diffusione nei più svariati paesi dell'Oriente cristiano: Grecia, Cipro, Creta, Serbia, Monte Athos, Russia, Paesi slavi, ecc. Il tipo iconografico, introdotto in Italia a partire del secolo XV, ha riscontrato grandi favori presso i Madonnari di Venezia, Ravenna e Italia Meridionale. Roma ne possiede una celebre replica venerata con il nome di "Madonna del Perpetuo Soccorso", che i Padri Redentoristi (che l'hanno in custodia) hanno fatto conoscere in tutto il mondo.

La Madonna della Passione, detta anche "Madonna con i simboli della Passione", è una comune Madonna con Bambino. Il tipo iconografico a cui appartiene è quello della Odigítria, austero e ieratico, che per gli Orientali è quello del ritratto originale della Madonna dipinto dall'Evangelista Luca. Il tipo però tende ad avvicinarsi a quello della Eléousa, nel quale sono espressi sentimenti di affetto e di tenerezza fra Madre e Bambino. Questi sentimenti dell'Eléousa si colorano nella Madonna della Passione di altri sentimenti: l'affetto di Maria si riveste di apprensione, mentre quello del Bambino si carica di paura e di spavento.

La torre sud-ovest (1508), le fiáli (1814) e il refettorio (1767) del Monastero.
La torre sud-ovest (1508), le fiáli (1814) e il refettorio (1767) del Monastero.

Questi nuovi sentimenti sono provocati dall'aggiunta ai lati del capo della Vergine di due Angeli che portano gli strumenti della Passione: il Bambino si gira e, spaventato, lascia cadere uno dei suoi sandali. La Madre, a sua volta, si china con apprensione verso il Bambino sorretto sul braccio sinistro e cerca di calmarlo prendendone le manine nella sua mano destra rimasta libera.

In molte icone di questo tipo è presente una iscrizione in greco, composta dei seguenti quattro versi giambici:

"Colui che prima aveva fatto
l'annuncio alla Vergine,
mostra i simboli della Passione.
Cristo rivestito di corpo mortale,
a questa vista
è preso da spavento".

In molte icone del tipo la Madonna è indicata con l'attributo Amolyntos: il termine significa Immacolata, Incontaminata.

L'iconografia della Madonna della Passione ha trovato grande favore anche in Russia e nel mondo slavo. L'icona porta il nome di "Strastnaja", o dei dolori. La Chiesa russa venera l'icona della Madre di Dio Strastnaja nel suo calendario due volte: il 13 agosto e la VI Domenica dopo Pasqua.

Altro titolo dato alla Madonna della Passione è, appunto, quello di "Foverá Prostasía", o della "Terribile Presentazione". L’icona, secondo la tradizione athoníta, sarebbe venuta da Creta, dove era custodita e dove era sfuggita ad un incendio. Custodita preziosamente a Kutlumussíu, la Madonna sarebbe intervenuta contro i Turchi che avevano assalito il Monastero. Durante l’incendio da loro appiccato, la Madonna li avrebbe accecati e costretti a fuggire. Ciò spiega il titolo dell’icona, scritto in greco sull’original.

George Gharib

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