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La Vergine Maria...

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2008 19:18
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05/11/2008 19:09

Il Monastero bulgaro Zográfu
e le sue icone taumaturgiche

   

Imponente e monumentale, sorge su una valle lussureggiante dell’Athos. – È dedicato a San Giorgio e conta attualmente una trentina di Monaci, tutti di origine bulgara.

Il  Monastero Zográfu è un insediamento monastico di origine bulgara e occupa attualmente la nona posizione nell’ordine gerarchico dei Monasteri athoniti, immediatamente dopo quello di Xiropotámu, che abbiamo omesso perché non presenta oggetti o ricordi specificamente mariani. Il Monastero, sito sulla sponda occidentale della penisola athonita, di stile cenobitico dal 1840, conta attualmente una trentina di monaci, tutti di origine bulgara. La sua fondazione risale agli inizi del secolo X ed è dedicato a San Giorgio Martire, in seguito ad un fatto meraviglioso che riporteremo più avanti.

In questo Monastero, ricco di reliquie e di opere d’arte, si venerano non meno di quattro icone di origine taumaturgica.

Il porticciolo del Monastero di Zográfu.
Il porticciolo del Monastero di Zográfu.

Storia tormentata del Monastero

La fondazione del Monastero presenta ancora molti lati oscuri. Secondo una tradizione scarsamente documentata, le sue origini risalgono all'epoca dell'imperatore Leone VI, detto il Filosofo (886-912): tre fratelli di nobile stirpe provenienti dalla città di Ochrida, sull'omonimo lago dell'odierna Jugoslavia, ai confini con l'Albania, essendosi fatti monaci, ne avrebbero deciso la costruzione. I tre fratelli, che si chiamavano Mosè, Aronne e Giovanni, non riuscivano ad accordarsi sul nome di un patrono a cui dedicare il Monastero. Lasciando la scelta alla volontà divina, questa si rese manifesta con la miracolosa apparizione di un ritratto di San Giorgio, dichiarato così patrono del Monastero, che da allora prese il nome Zográfu, ossia "del pittore".

Va anche notato che la prima carta di fondazione (Typikon) dell’Athos (972) reca in calce, al ventesimo posto tra le cinquantasette firme di igumeni e religiosi, anche quella di un monaco di nome Giorgio, pittore di professione. Forse la versione più attendibile circa le origini di Zográfu è che, non molto tempo prima di quella data, alcuni discepoli si sono radunati intorno a questo autorevole monaco per aiutarlo a costruire un nuovo Monastero.

Pertanto, dall’inizio Zográfu fu abitato da numerosi monaci bulgari, tanto che intorno al 1200 veniva chiamato anche con il nome di "Monastero dei Bulgari". Nel XIII secolo ricevette donazioni da parte di Michele VIII Paleologo (1259-1282), il che non impedì allo stesso Imperatore di perseguitarne i monaci, attraverso l'operato del Patriarca di Costantinopoli Giovanni Bekkos (1275-1282), favorevole all'énosis, ossia all'unione delle Chiese latina e greca. In quella situazione, il 10 ottobre 1276 si è compiuto il sacrificio di ventisei suoi religiosi, che furono arsi vivi per mano dei partigiani di Bekkos, nella torre dove si erano rinchiusi in cerca di un rifugio alle loro angherie.

Il cortile del Monastero.
Il cortile del Monastero.

Alcuni anni più tardi Zográfu, in seguito ad una scorreria di pirati catalani, venne spogliato e semidistrutto da un incendio, mentre i suoi monaci furono in gran numero massacrati. Dopo questo sfortunato avvenimento, fu rapidamente ricostruito grazie ai contributi degli Imperatori Paleologi, da Andronico II (1282-1328) a Giovanni V (1341-391).

In seguito, durante l'occupazione turca, il Monastero attraversò un periodo di decadenza fino ad essere quasi abbandonato; tornò ad essere abitato a partire dal 1502, in seguito agli sforzi fatti dal principe Stefano III il Buono di Ungaro-Valacchia, che molto si adoperò per renderlo nuovamente funzionale. Nel XVIII secolo ospitava, oltre a monaci bulgari, anche serbi e greci, e nella seconda metà dello stesso secolo dimorò tra le sue mura il monaco Paisij, autore, fra l’altro, di una Storia della nazione bulgara.

Le costruzioni attuali sono opera piuttosto recente: l'ala di sud-est è stata restaurata nei primi anni del XVIII secolo, il Katholikón venne ricostruito nel 1801, mentre il grandioso ingresso del Monastero, il lato nord e quello ovest, che è il più maestoso, sono opera successiva al 1862, quando Zográfu godette di un periodo di notevole prosperità. Dal 1841 i monaci si sono riconvertiti al sistema cenobitico e dal 1845 l'elemento bulgaro è tornato ad essere nuovamente preponderante.

Il Monastero possiede numerose abitazioni monastiche da affittare ai monaci (Kathísmata) e diverse kellía, fra cui il kellíon della Trasfigurazione a Karyes, ove risiede il rappresentante presso la Sacra Comunità.

Possenti mura ottocentesche di Zográfu.
Possenti mura ottocentesche di Zográfu.

Il Katholikón

Il Monastero, che sorge imponente e monumentale in una lussureggiante valle, a circa un'ora di cammino dalla costa sud-ovest della penisola athonita, possiede un refettorio spazioso ma privo di affreschi, una fiáli marmorea, un monumento antiunionista, un Katholikón ricco di arte e reliquie, una Biblioteca e diverse Cappelle.

L'attuale chiesa principale (Katholikón), dedicata a San Giorgio, è stata edificata nel 1801 secondo la tradizionale pianta agiorita, a triconco e nartece (lití). Il suo aspetto esterno è gradevole per la sua realizzazione in pietre da taglio di colore chiaro, intercalate da fasce di mattoni rossi. L'atrio a vetrate è più recente e risale al 1840, mentre gli affreschi che decorano il naós sono del 1817.

Addossate alle colonne davanti all'iconostasi vi sono due icone miracolose raffiguranti entrambe San Giorgio. La più venerata è quella di destra, denominata achiropíitos (= non fatta da mano umana): la leggenda narra, infatti, che i tre fondatori del Monastero, essendo in disaccordo sulla personalità a cui consacrarlo, se alla Vergine, a San Nicola o a San Giorgio, avevano preparato una tavola bianca, ponendola all'interno della chiesa, chiudendone successivamente le porte e pregando Dio che manifestasse loro la propria volontà. Il giorno successivo rinvennero la tavola dipinta con l'immagine di San Giorgio, a cui pertanto fu dedicato il Monastero, da allora denominato Zográfu o "del pittore".

Un'altra leggenda racconta che un Vescovo di Iérissos, incredulo sulla storia dell'icona, avendola toccata con un dito, non riuscì più a staccarlo: il dito gli fu pertanto tagliato e lo si può vedere ancora oggi sulla guancia di San Giorgio, sotto l'occhio sinistro.

La seconda icona raffigurante San Giorgio, sulla colonna di sinistra, è coperta da una ricca decorazione in argento del 1822: secondo la tradizione, sarebbe giunta dall'Arabia galleggiando sul mare e dalla baia di Vatopédi a dorso d'asino.

Sull'iconostasi del Katholikón è custodita un'altra icona taumaturgica: quella della Panaghía Epakúussa (= Vergine che esaudisce le preghiere). Secondo la leggenda, un monaco bulgaro del XVI secolo, chiamato Kosmas, un giorno pregava davanti a quest'icona, domandando alla Vergine come avrebbe potuto ottenere la salvezza della propria anima, quando d'un tratto intese una voce: era la Vergine che si faceva interprete di tale richiesta presso il Figlio. La risposta fu: "Kosmas deve lasciare il Monastero e diventare eremita"; e così avvenne.

Nel víma sono conservate reliquie di San Giorgio, Sant’Atanasio patriarca di Alessandria, San Nestore, San Teodoro Tirone, San Procopio, San Matteo l'Evangelista, San Varlaam, San Giacomo il Persiano e San Teodosio Cenobiarca.

Lo zar Giovanni e il voivoda di Moldovalacchia Stefano, in un affresco del katholikón (1817).
Lo zar Giovanni e il voivoda di Moldovalacchia Stefano, in un affresco del katholikón (1817).

L’Inno Acatisto

Il Monastero possiede non meno di sedici Cappelle, otto delle quali al suo interno; queste ultime sono: quella della Dormizione della Vergine, quella dei Santi Cirillo e Metodio, Apostoli dei Slavi; quella della Trasfigurazione; quella di San Giovanni Battista; quella dei Santi medici anargiri Cosma e Damiano; quella degli Arcangeli Michele e Gabriele; quella, infine, dei 26 Martiri del Monastero. Ognuna di queste Cappelle ha il suo corredo di icone e di arredi.

Nella Cappella della Dormizione della Vergine, sita a fianco del Katholikón, edificata tra il 1758 e il 1764 e affrescata nel 1780, è custodita un'icona taumaturgica della Panaghía del tipo acátisto e denominata in serbo Khairóvo (= Colei che si saluta con "Salve a te", o "Vergine del saluto"). L'icona ha anche la denominazione di Paranghelloméni (= Colei che dà l'avvertimento), per la seguente leggenda che viene tramandata.

Un giorno, un asceta che conduceva vita solitaria, mentre stava leggendo come di consuetudine l'inno Acatisto davanti all'icona, fu interrotto dalla Vergine che gli rivelò che i soldati latinofrónes (= unionisti) di Michele VIII avrebbero attaccato il Monastero, e che occorreva pertanto avvertire i monaci non preparati al martirio di abbandonarlo e di mettersi al sicuro. Il monaco corse subito al Monastero ad avvertire i confratelli che riuscirono quasi tutti a mettersi in salvo; solo un gruppo di 26 monaci si rifiutò di fuggire e si rifugiò nella torre, portando con sé l'icona. La torre fu incendiata e i 26 monaci morirono nel fuoco. Solo l'icona rimase miracolosamente integra.

I monaci di questo Monastero, per onorare la Madonna durante la celebrazione della divina liturgia (messa), invece del canto abituale di Comunione (Kinonikón), leggono l'Inno Acatisto: l’inno, come già sanno i nostri lettori, è tra i più belli che celebrano la Madonna; composto in greco nella seconda metà del secolo V, si compone di 24 stanze o strofe contenenti un totale di 144 salutazioni, ispirate al saluto dell’Angelo dell’Annunciazione.

Riportiamo qui di seguito il testo della prima stanza, nella classica versione italiana di Padre Ermanno Toniolo:

"Il più eccelso degli Angeli fu mandato dal cielo per dir «Ave» alla Madre di Dio. Al suo incorporeo saluto, vedendoti in lei fatto uomo, Signore, in estasi stette, acclamando la Madre così:

Ave, per te la gioia risplende;
Ave, per te il dolore s'estingue.
Ave, salvezza di Adamo caduto;
Ave, riscatto del pianto di Eva.
Ave, tu vetta sublime a umano intelletto;
Ave, tu abisso profondo agli occhi degli Angeli.
Ave, in te fu elevato il trono del Re;
Ave, tu porti Colui che tutto sostiene.
Ave, o stella che il sole precorri;
Ave, o grembo del Dio che s'incarna.
Ave, per te si rinnova il creato;
Ave, per te il Creatore è Bambino.
Ave, Vergine e Sposa!
".

Segnaliamo, per finire, che il Monastero dispone di una vasta Biblioteca che occupa alcuni locali della torre: essa contiene 126 manoscritti in greco e 388 in slavo, di cui 26 su pergamena; nonché circa 10.000 volumi stampati, di cui gran parte in lingua bulgara.

George Gharib

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