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La Vergine Maria...

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2008 19:18
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05/11/2008 19:12

Il Monastero di Filothéu
e l’icona della
Panaghía Glykofilússa
   

Ha una storia antica e tra le più interessanti dei Monasteri dell’Athos. – Vi si conserva la celebre icona della Glykofilússa, il cui gesto amorevole ha suscitato meraviglia nell'animo di poeti e melodi che vi scorgono il mistero della Madre-vergine, e di essa hanno scritto parole di contemplazione estatica.
  

Il Monastero greco Filothéu occupa il dodicesimo posto nella gerarchia dei monasteri athoniti. Sito in una verdeggiante pianura a 330 metri dal livello del mare, nell'entroterra del versante est della penisola dell’Athos, è consacrato all'Annunciazione. Questa solenne festività, insieme cristologica e mariana, è considerata dalla liturgia bizantina come "l’inizio della nostra salvezza e la manifestazione del mistero che è dall’eternità, in cui il Figlio di Dio diviene Figlio della Vergine…", come canta il Tropario principale della festa. La ricorrenza dà luogo a grandi festeggiamenti che attirano molti monaci dai vicini monasteri e altra gente venuta in pellegrinaggio sul Sacro Monte.

Il Monastero ospita attualmente un centinaio di monaci che seguono la regola cenobitica. Fra i ricordi mariani più notevoli si segnala l’icona della "Panaghía Glykofilússa", ossia "dal dolce amore", miracolosamente approdata dal mare, come si vedrà.

L’interessante storia del Monastero

L’insediamento monastico di Filothéu risale alla fine del X secolo, ad opera di un santo monaco di nome Filothéo, che, insieme ai compagni Arsenio e Dionisio, avrebbe ampliato una preesistente abitazione monastica (kellíon), forse edificata da un altro Filothéo circa cent'anni prima. L’insediamento, che aveva inizialmente portato il nome di ‘monastero di Fterí’, per l’arrivo nei primi secoli dell'era volgare di alcuni profughi della città di Fterí, in Tessaglia, cambiò nome e prese quello del nuovo fondatore.

Il primo documento ufficiale dell’esistenza del Monastero è l'atto del prótos Niceforo del 1015, in cui si menziona un certo Giorgio, ‘monaco ed ígumeno di Filothéu’. Una lettera redatta nel 1016 per conto di Paolo di Xeropotamu ed indirizzata allo stesso Giorgio, ne è un'ulteriore conferma; infine un documento del 1021 stabilisce i confini tra le proprietà della Grande Lavra e quelle del ‘Monastero di Fterí’. Nel secondo typikón del Monte Athos (1045) troviamo la firma di Luca, ‘igumeno del Monastero della Vergine’ o di Filothéu, sempre all'undicesimo posto.

Visione panoramica del Monastero di Filothéu.
Visione panoramica del Monastero di Filothéu.

Il Monastero dagli inizi ebbe numerosi benefattori, fra cui sono degni di ricordo gli Imperatori Niceforo III Botaniate (1078-1081) ed i Paleologhi Andronico II (1282-1328), che fece dono della reliquia della mano destra di San Giovanni Crisostomo, tuttora conservata nel Monastero, Andronico III (1328-1341) e Giovanni V (1341-1391). Nel secolo XIV la crisobolla del re di Serbia Stefano Dušan del 1346 aprì il Monastero all'afflusso di monaci serbi e bulgari, favorendone così la crescita. Questi raggiunsero presto la maggioranza, tanto che nel 1483 troviamo la prima firma di un ígumeno serbo. La loro prevalenza durò, con qualche interruzione, fino al XVI secolo. Quando nei primi anni del 1500 venne nominato ígumeno il greco Dionisio, che era stato prima eremita alle Meteore e poi monaco a Karakalu, si tentò di riportare il Monastero all'antica tradizione, reintroducendo la regola cenobitica ed imponendo nuovamente il greco come lingua ufficiale. Ma la reazione dei monaci bulgari, numerosi a quel tempo, fu violenta ed immediata, tanto da costringere Dionisio a lasciare il Monastero ed a rifugiarsi in Tessaglia, dove ne fondò un altro, quello della ‘Santa Trinità’, tuttora esistente sotto il nome di ‘San Dionisio dell'Olimpo’.

Tra i benefattori di questo periodo ricordiamo i prìncipi di Iberia (l'odierna Georgia) Leonzio ed il figlio Alessandro, che nel 1492 ne finanziarono il restauro, facendo costruire anche l'attuale refettorio. Da un documento del 1574 risulta che Filothéu era passato al dodicesimo posto nella gerarchia athonita, rango che tuttora conserva. La dominazione turca fu però fatale per le sue finanze: per contribuire al suo recupero economico lo zar di Russia Michele Teodorovich nel 1641 concesse ai monaci l'autorizzazione di recarsi in Russia ogni sette-otto anni per organizzare sottoscrizioni, ma ciò non fu sufficiente.

Icona della Madre di Dio Eleoússa (= la Misericordiosa), del tipo iconografico della Glykofilússa di Filothéu.
Icona della Madre di Dio Eleoússa (= la Misericordiosa), del tipo iconografico della Glykofilússa di Filothéu.

Solo nel 1734 le cose volsero al meglio; in quell'anno il voivoda di Valacchia Giovanni Gregorio Guikas concesse una consistente sovvenzione periodica ai monaci di Filothéu a condizione che nei suoi territori venisse annualmente portata in processione la reliquia della mano benedicente di San Giovanni Crisostomo. Ciò valse a risollevare le condizioni economiche del Monastero, che poté vivere questo periodo come il migliore della sua storia. Fu così possibile restaurare e ricostruire numerosi edifici, come il katholikón nel 1746, e la rinascita favorì l'avvento di molti nuovi monaci, tra cui Cosma l'Etolico, personalità di spicco nella lotta contro l'islamizzazione della Grecia.

Nel corso del XIX secolo i monaci russi, molto numerosi a quel tempo, tentarono, senza successo, di impadronirsi del Monastero. Il 26 settembre 1871 un incendio, che si era sviluppato durante la notte, lo distrusse quasi interamente; furono risparmiati dalla furia delle fiamme il katholikón, il refettorio e la biblioteca. Grazie a numerose donazioni provenienti da tutto il mondo ortodosso, il Monastero poté essere successivamente ricostruito nell'arco di quindici anni. Solo recentemente (1973) Filothéu è ritornato alla originale regola cenobitica.

Il Monastero possiede un grande refettorio (trápesa) a pianta rettangolare che misura 23 metri di lunghezza per 7,50 di larghezza e le cui pareti sono decorate con interessanti affreschi del XVI secolo (probabilmente del 1540) attribuibili alla scuola cretese.

Nella biblioteca posta nell'ala est del Monastero sono custoditi 250 manoscritti, di cui 54 su pergamena, per lo più a carattere religioso, fra cui un Tetravangelo del X secolo, uno dei più antichi dell'Athos, nonché circa 20.000 volumi stampati.

Il katholikón del Monastero.
Il katholikón del Monastero.

Il katholikón e l’icona della Panaghía Glykofilússa

Il katholikón, sito nel cuore del Monastero e dedicato all'Annunciazione, è stato edificato nel 1746 sulle rovine di quello più antico, secondo la tradizionale forma agiorita a trifoglio. Vi si segnalano preziosi affreschi: quelli del naós sono del 1752, mentre quelli della lití e dell'atrio del 1765; la pavimentazione in marmo è del 1848; l'iconostasi invece, ricca di icone di grande pregio, è del 1853. Ai due lati del nartece vi sono due Cappelle affrescate, quella degli Arcangeli Michele e Gabriele del 1752 a sud, e quella di San Giovanni Battista del 1776 a nord.

Nel santuario (víma) si conserva un prezioso tesoro costituito da vari oggetti e arredi liturgici, paramenti sacri, reliquari contenenti resti di Santi, fra cui quello della mano destra di San Giovanni Crisostomo, nonché un frammento della Vera Croce, dono nel 1347 del re di Serbia Stefano Dušan.

Presso la colonna nord-est del naós si trova la celebre icona miracolosa della Panaghía Glykofilússa (= Vergine dal dolce amore), raffigurante Maria che, sorreggendo il Bambino Gesù con il braccio destro e stringendolo al petto, lo abbraccia teneramente. L'icona, considerata dai monaci come una delle settanta dipinte dall'Evangelista Luca, è coperta da una placca di metallo prezioso e da vari oggetti che lasciano vedere solo i volti e le mani. Il tipo iconografico è quello tipico dell’Eleoússa (= la Misericordiosa) il quale esprime, come sanno i nostri lettori, il reciproco affetto dei due personaggi.

Il gesto, insieme a quello dell’allattamento, ha suscitato meraviglia nell'animo dei Padri della Chiesa, specie in quella dei poeti e dei melodi che vi scorgono il mistero della Madre-vergine, e di esso offrono una contemplazione estatica. Sant'Efrem Siro (+373), il grande poeta mariano del secolo IV, ad esempio, si ferma spesso davanti a questo mistero. Egli, tra l'altro, rivolgendosi al Bambino Gesù, esclama: "Sta Maria, tua Madre, tua Sorella, tua Sposa, tua Ancella, e ti partorisce; e subito accarezza, abbraccia, bacia, loda, prega e ringrazia; poi ti dà il latte, quindi ti stringe, ti fa la ninna-nanna e sorride alla tua infanzia. Ed ecco che tu sorridi e succhi il latte...".

L’Ultima Cena, affresco di scuola cretese nel refettorio di Filothéu.
L’Ultima Cena, affresco di scuola cretese nel refettorio di Filothéu.

San Giacomo di Sarug (+ 521), altro grande poeta mariano della Chiesa Sira, paragonando il Cielo con Maria, così esclama: "Il cielo non dette il latte a Lui che divenne fanciullo, ma sorbì le mammelle nel petto di Maria, che fu sua Madre. Il Cielo non lo concepì e non lo generò, né l'allattò. Costei invece lo portò, abbracciò, nutrì; e sia a lei felicità!".

Altrove egli fa dire a Maria, rivolta al Figlio: "Agli Ignei comanda, e facciano sì che mi avvicini a te. Ai Serafini ordina di sollevare le ali, perché venga a te. Fa' giungere il virgineo latte alla tua bocca; i seni guarda, che il tuo comando alimentò, perché ti cibassero!".

San Giovanni Damasceno (+749), l'ultimo grande Padre della Chiesa Greca, a sua volta così esclama: "Sei divenuta, in realtà, più preziosa di ogni creatura. Da te sola il Creatore ha ricevuto in eredità le primizie della nostra natura; la sua carne dalla tua carne, il sangue dal tuo sangue; Dio ha succhiato il latte dalle tue mammelle, e le tue labbra hanno toccato le labbra di Dio. Meraviglie inafferrabili e inesprimibili!".

L'icona miracolosa, come quella della Panaghía Portaitíssa, appartiene al gruppo di icone che si salvarono dalla lotta iconoclastica e furono trasportate in modo miracoloso sul Sacro Monte dell’Athos.

Per quanto riguarda la nostra icona della Glykofilússa, la tradizione athonita racconta che una certa Victoria, la moglie di un senatore della capitale bizantina, di nome Simeone, era proprietaria dell'icona durante il periodo dell'iconoclastia, sotto l'imperatore Teofilo (829-842), e che per proteggerla dai furori iconoclasti e dalla distruzione la affidò alle onde del mare, dalle quali fu condotta, perfettamente integra, approdando poi al porto di Filothéu. I monaci del monastero la raccolsero e la conservarono con profonda devozione. Da allora l’icona fu artefice di numerosi miracoli, preziosamente raccolti dai monaci che hanno fatto conoscere l’icona in tutto il mondo ortodosso.

George Gharib



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