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DOMANDE E RISPOSTE SULLE ICONE

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2008 19:41
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DOMANDE E RISPOSTE SULLE 
ICONE  
dal sito:
Ikthys   
A cura del PATRIARCATO DI MOSCA DIOCESI DI CHERSONESO - DECANATO D'ITALIA 
PARROCCHIA CRISTIANA ORTODOSSA "SAN MASSIMO, VESCOVO DI TORINO"
1. Che cos'è un'Icona?

Un'icona (dal termine greco eikòna, "immagine") è un'immagine - di solito bidimensionale - di Cristo, dei Santi, degli Angeli, o di importanti eventi biblici, parabole, o eventi nella storia della Chiesa. San Gregorio il Dialogo (Papa di Roma attorno agli anni 590-604), parla delle Icone come di Sacra Scrittura per gli analfabeti: "Ciò che uno scritto presenta ai lettori, una raffigurazione lo presenta agli illetterati che la contemplano, poi che in essa anche gli ignoranti vedono ciò che dovrebbero seguire; in essa gli analfabeti leggono" (Epistola al Vescovo Sereno di Marsiglia, NPNF 2, Vol. XII, p. 53). A quanti vorrebbero suggerire che ciò non ha più alcuna rilevanza nella nostra era illuminata, vorremmo far considerare quanto è alto il nostro tasso di "analfabetismo di ritorno", e il fatto che anche le società più colte hanno un notevole segmento di analfabeti: i loro bambini piccoli!
Le icone elevano le nostre menti dalle cose terrene a quelle celesti. San Giovanni Damasceno scrive: "siamo condotti da Icone percettibili alla contemplazione di quelle divine e spirituali" (PG 94:1261a). E mantenendo di fronte a noi la loro memoria attraverso le Icone, siamo pure ispirati a imitare la santità di quanti vi sono raffigurati. San Gregorio di Nissa (ca. 330-395) parlava di come non potesse passare "senza lacrime" di fronte a un'Icona di Abramo che sacrifica Isacco (PG 46: 572). Commentando su questo passo, fu notato nel Settimo Concilio Ecumenico, "Se a un simile Dottore l'immagine era d'aiuto e procurava lacrime, quanto più nel caso di persone ignoranti o semplici porterà compunzione e beneficio." (NPNF2, Vol.4, p. 539).

2. I cristiani ortodossi pregano le Icone?

I cristiani pregano in presenza di Icone (così come gli Israeliti pregavano in presenza di Icone nel Tempio), ma noi non preghiamo "le" immagini. (anche i cattolici NON pregano "le immagini")

3. Le Icone fanno miracoli?

Per mettere questa domanda nella giusta prospettiva, consideriamo alcune altre domande:

L'Arca dell'Alleanza faceva miracoli? (Gs 3: 15s; 1 Sam 4-6; 2 Sam 11-12)

Il Serpente di Bronzo guariva chi era stato morso dai serpenti? (Num 21 :9)

Le ossa del Profeta Eliseo risuscitarono un uomo dai morti? (2 Re 13:21)

L'ombra di San Pietro guariva i malati? (At 5:15)

I grembiuli e fazzoletti toccati da San Paolo guarivano gli infermi e scacciavano gli spiriti maligni? (At 19:12)

La risposta a queste domande è: sì, in un certo senso. Nondimeno, per essere precisi, era (ed è) Dio che operava miracoli attraverso queste cose. Nel caso dell'Arca e del Serpente di Bronzo, abbiamo immagini che vengono usate per operare miracoli. Dio operò miracoli attraverso le reliquie del Profeta Eliseo, attraverso l'ombra di un Santo, e attraverso oggetti che avevano appena toccato un santo. Perché? Perché Dio onora quanti lo onorano (1 Sam 2:30), e perciò si compiace di operare miracoli attraverso i suoi Santi, anche attraverso questi mezzi indiretti. Il fatto che Dio possa santificare oggetti materiali non dovrebbe sorprendere alcuna persona che sia familiare con le Scritture. Per esempio, non solo l'Altare del Tempio era santo, ma pure tutto ciò che lo toccava era santo (Eso 29:37). Rifiutare la verità che Dio opera attraverso le cose materiali significa cadere nello gnosticismo.
Perciò sì, in senso lato, le icone possono fare miracoli -ma per essere precisi, è Dio che opera miracoli attraverso le Icone, perché Egli onora quanti lo hanno onorato.

4. I cristiani ortodossi adorano le icone? Qual'è la differenza tra "adorazione" e "venerazione"?

I cristiani ortodossi non adorano le icone nel senso in cui la parola "adorazione" si usa comunemente in italiano. In traduzioni antiche (e in alcune traduzioni più recenti in cui i traduttori insistono a usare questa parola nel senso originale), si trova la parola "adorare" usata per tradurre il verbo greco proskyneo (letteralmente, "prosternarsi"). Nondimeno, bisogna comprendere che tale uso era molto più ampio di quello odierno. Spesso si usava questo verbo per indicare l'atto di onorare, venerare, riverire. Oggi si restringe il temine "adorazione" al senso del termine greco latrìa (che il Settimo Concilio Ecumenico aveva precisamente stabilito come culto che si deve solo a Dio, a differenza della venerazione dovuta ai santi). I cristiani ortodossi venerano le icone, vale a dire, rendono loro rispetto poiché sono oggetti santi, e poiché onorano ciò che le icone raffigurano. Noi non adoriamo le icone più di quanto un patriota non adori la sua bandiera. Il saluto alla bandiera non è esattamente lo stesso tipo di venerazione che diamo alle Icone, ma è proprio un tipo di venerazione. E così come non veneriamo il legno e la vernice, ma piuttosto le persone dipinte nelle Icone, i patrioti non venerano il tessuto e le tinture, ma piuttosto il paese rappresentato dalla bandiera. Queste furono le conclusioni del Settimo Concilio Ecumenico, che stabilì nel proprio Oros (decreto) quanto segue: "Poiché questo è il caso in questione, seguendo il sentiero regale e l'insegnamento divinamente ispirato dei nostri santi Padri e della Tradizione della Chiesa cattolica - poiché sappiamo che essa è ispirata dal Santo Spirito che in essa vive - decidiamo in tutta correttezza e dopo un completo esame che, così come la santa e vivifica Croce, allo stesso modo le sante e preziose Icone dipinte con colori, ornate con piccole pietre o con quant'altro è utile a questo scopo (epitedeios), debbano essere poste nelle sante chiese di Dio, sui vasi e paramenti sacri, su muri e tavole, nelle case e nelle strade, sia che esse siano Icone del nostro Dio e Salvatore, Gesù Cristo, o della nostra intemerata Signora e Sovrana, la santa Madre di Dio, o dei santi angeli e di santi e pii uomini. Ogni volta, infatti, che vediamo le loro rappresentazioni in immagine, siamo condotti, mentre le contempliamo, a rammentare i prototipi, progrediamo nell'amore per loro, e siamo indotti a venerarli ulteriormente baciando le icone e testimoniando la nostra venerazione (proskenesin), non la vera adorazione (latreian) che, secondo la nostra fede, è appropriata solo per l'unica natura divina, ma nello stesso modo in cui veneriamo l'immagine della preziosa e vivifica Croce, il santo Vangelo e gli altri oggetti sacri che onoriamo con incenso e lumi di candela secondo la pia usanza dei nostri antenati. L'onore reso all'immagine va infatti al suo prototipo, e la persona che venera un'Icona venera la persona che vi è rappresentata. Invero, tale è l'insegnamento dei nostri santi Padri e della Tradizione della santa Chiesa cattolica che ha propagato il Vangelo da un capo all'altro della terra."
Gli ebrei capiscono la differenza tra venerazione e adorazione. Un pio ebreo bacia la Mezuzà sugli stipiti della sua porta, bacia il suo scialle da preghiera prima di indossarlo, bacia i tallenin (filatteri), prima di legarli alla fronte e al braccio. Bacia la Torah prima di leggerla nella Sinagoga. Senza dubbio Cristo fece le stesse cose, quando leggeva le Scritture in Sinagoga. Anche i primi cristiani capivano questa distinzione.
(Da notare che in questo, essendo uno dei Concili ai quali partecipò la Chiesa ancora unita....è quanto insegna l'attuale Catechismo Cattolico.....)
continua........

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5. Il secondo comandamento non proibisce le icone?

il problema relativo al secondo comandamento dipende da com'è tradotta la parola che indica le immagini. Se essa significa mere raffigurazioni, allora le immagini nel Tempio sarebbero violazioni di questo comandamento. La nostra guida migliore al significato della parola ebraica, tuttavia, è ciò che essa significava per gli ebrei: quando gli ebrei tradussero la Bibbia in greco, tradussero questo termine semplicemente come "eidoloi" , ovvero "idoli." Per di più, la parola ebraica pesel non viene mai usata in riferimento a qualsivoglia immagine nel Tempio. Perciò è chiaro che qui ci si riferisce a immagini pagane piuttosto che alle immagini in generale. Guardiamo più attentamente il passo scritturale in questione: "Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prosternerai davanti a loro e non li servirai." (Eso 20:4-5a).
Ora, se prendiamo questo passo come riferimento a immagini di ogni genere, allora chiaramente i cherubini nel tempio violano questo comandamento. Se ci limitiamo ad applicarlo solo agli idoli, non esiste alcuna contraddizione. Inoltre, se il termine si applica a tutte le immagini - allora anche la foto sulla carta d'identità viola il comandamento, ed è un idolo. Così, o tutti i protestanti con la carta d'identità sono idolatri, oppure le icone non sono idoli.
Lasciando da parte, per il momento, le sfumature del termine "immagini", limitiamoci a osservare che cosa ne dice il testo. Non farai x, non ti prosternerai a x, non adorerai x. Se x = immagini, allora il Tempio stesso viola il comandamento. Se x = idoli e non tutte le immagini, allora questo verso non contraddice le Icone nel Tempio, né le Icone ortodosse.

6. Deuteronomio 4:14-19 non vieta forse le immagini di Dio? Come potete allora avere Icone di Cristo?

Questo passo istruisce gli ebrei a non farsi immagini (false) di Dio, poiché essi non hanno visto Dio. Come cristiani, tuttavia, noi crediamo che Dio si è incarnato nella persona di Gesù Cristo, e così possiamo raffigurare "ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi" (1 Gv 1:1). Come disse San Giovanni Damasceno: "Fin dai tempi antichi, Dio l'incorporeo e l'incircoscritto non fu mai raffigurato. Ora, tuttavia, Quando Dio è stato visto rivestirsi di carne, e conversare con gli uomini, io faccio un'immagine del Dio che io vedo. Io non adoro la materia, adoro il Dio della materia, che per me è divenuto materia, e si è degnato di abitare nella materia, e ha portato la mia salvezza attraverso la materia. Non cesserò di onorare quella materia che opera la mia salvezza. La venero, seppure non come Dio. Come potrebbe Dio essere nato nel mondo da cose senza vita? E se il corpo di Dio è Dio per unione, allora è immutabile. La natura di Dio rimane la stesa di prima, mentre la carne creata nel tempo è vivificata da un'anima logica e razionale."

7. Ma considerata la violenta opposizione che gli ebrei avevano per le immagini, come è possibile che i primi cristiani abbiano accettato le icone?

Non solo si trova iconografia in tutte le catacombe cristiane, ma anche nelle catacombe ebraiche dello stesso periodo. Abbiamo anche le Icone ebraiche ben conservate di Dura-Europos, in una città distrutta dai persiani a metà del III secolo (cosa che mette ovviamente un limite a quanto recenti potessero essere queste icone). Spesso si prendono le vedute di Giuseppe Flavio sull'iconografia come la norma delle vedute ebraiche in materia, ma questo è scorretto e chiaramente inappropriato. Un testo specifico che è solitamente citato è un passo che si riferisce a un tumulto scoppiato quando i romani posero un'aquila imperiale sul cancello del Tempio. Questa storia non è così bianca e nera come alcuni vorrebbero pensare. Questi erano zeloti. Giuseppe Flavio, anche lui un ribelle, per quanto in seguito avesse cambiato bandiera e aiutato i romani, ne narra gli eventi. Giuseppe racconta come i romani avessero montato l'aquila sopra l'ingresso del Tempio, e il popolo la strappò come sacrilega - ma erano le immagini di animali per se a essere in questione, o piuttosto l'aquila romana sull'ingresso del Tempio? Il punto di vista di Giuseppe a proposito era così estremista che egli pensò che le statue di animali connesse al Tempio di Salomone fossero un peccato (Antichità, VIII, 7,5).
L'attitudine globale degli ebrei verso l'arte religiosa non era neppure in parte così iconoclasta. Il Talmud Palestinese narra (in Abodah Zarah 48d) "Nei giorni di Rabbi Jochanan gli uomini incominciarono a dipingere figure sulle pareti, ed egli non lo impedì," e "Nei giorni di Rabbi Abbun gli uomini incominciarono a fare disegni a mosaico, ed egli non lo impedì." Inoltre, il Targum dello Pseudo-Gionata ripete il comandamento contro gli idoli, ma poi dice "nei vostri santuari potete tuttavia fare colonne di pietra incise con immagini e figure, ma non per adorarle." Inoltre, i libri sacri degli ebrei sono stati illustrati fin dai più antichi esemplari che abbiamo. Essi contengono illustrazioni di scene bibliche, molto simili a quelle ritrovate nella Sinagoga di Dura-Europos (e anche nella chiesa cristiana che si trovava nelle vicinanze).
È importante notare che le più antiche Icone delle catacombe erano per la maggior parte scene dell'Antico Testamento, e Icone di Cristo. Il predominio di scene dell'Antico Testamento mostra come questa non era una pratica pagana cristianizzata dai convertiti, ma una pratica ebraica adottata dai cristiani.

8. Se le Icone sono così importanti, perché non le troviamo nelle Scritture ?

Ah, ma noi le troviamo davvero nelle Scritture: e ne troviamo un sacco! Considerate quante se ne trovano nel Tabernacolo e quindi nel Tempio. C'erano immagini di cherubini:

Sull'Arca - Eso 25:18

Sui veli del Tabernacolo - Eso 26: 1

Sul velo del Santo dei Santi - Eso 26:31

Due grandi Cherubini nel Santuario - 1 Re 6:23

Sulle pareti - 1 Re 6:29

Sulle porte - 1 Re 6:32

E sul mobilio - 1 Re 7:29,36

In breve, c'erano Icone dovunque uno si girasse.

9. Perché c'erano solo Icone di Cherubini, e non di Santi?

Il Tempio era un'immagine del Cielo, come rende chiaro San Paolo: "[i sacerdoti che servono nel tempio di Gerusalemme] attendono a un servizio che è una copia e un'ombra delle realtà celesti, secondo quanto fu detto da Dio a Mosè, quando stava per costruire la Tenda: Guarda, disse, di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte." (Eb 8:5; cfr. Eso 25:40). Prima che Cristo venisse nella carne trionfando sulla morte con la sua Risurrezione, i Santi dell'Antico Testamento non erano in presenza di Dio nel Cielo, ma erano nello Sheol (spesso tradotto come "la tomba", e tradotto "hades" (Ade) in greco). Prima della Risurrezione di Cristo, lo Sheol era il destino dei giusti e degli ingiusti (Gen 37:35; Is 38:10), anche se le loro condizioni non erano in alcun modo le stesse. Le possiamo vedere nella parabola raccontata da Cristo del ricco e di Lazzaro (Lc 16:19-31) e in Enoch 22: 8-15 (anche se il Libro di Enoch non è incluso nel Canone delle Sacre Scritture, è una parte venerabile della Santa Tradizione, ed è citato nell'Epistola di San Giuda, oltre che in molti scritti dei santi Padri): c'era un abisso che separava i giusti dagli ingiusti, e i giusti erano in uno stato di beatitudine, i malvagi erano (e sono) in uno stato di tormento - i giusti aspettavano la loro liberazione attraverso la Risurrezione di Cristo, mentre i malvagi aspettavano con paura il loro giudizio. E così, sotto l'antica alleanza, si dicevano preghiere solo per i dipartiti, poiché essi non erano ancora in cielo a intercedere per noi. Come disse San Paolo agli Ebrei mentre parlava dei Santi dell'Antico Testamento, "Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi" (Eb 11:39-40). In Ebrei 12, San Paolo procede a mettere in contrasto la natura dell'Antica Alleanza (12:18s) con quella della Nuova (12:22s) - e tra le distinzioni che fa, dice che nella Nuova Alleanza "Voi vi siete invece accostati... agli spiriti dei giusti portati alla perfezione" (12:22-23). Come ci dicono sia le Scritture che il resto della Santa Tradizione, mentre il corpo di Cristo giaceva nella tomba, il suo spirito discese nello Sheol e proclamò la libertà ai prigionieri (Ef 4:8-10; 1 Pt 3:19,4:6; cfr. Mt 27:52-53). E questi Santi che hanno trionfato su questo mondo, ora regnano con Cristo nella Gloria (2 Tim 2: 12), e offrono continuamente preghiere per noi di fronte al Signore (Ap 5:8; cfr. il Martirio di Sant'Ignazio, cap 7: Sant'Ignazio era uno dei discepoli dell'Apostolo Giovanni, e fu fatto da lui Vescovo di Antiochia). E così, mentre nell'Antico Testamento il Tempio era immagine del cielo con i soli Cherubini a servire il Signore, nella Nuova Alleanza, i nostri Templi sono immagini del cielo con la grande nube dei testimoni che ora vi risiedono nella gloria.
continua......

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10. Va bene, ammettiamo che vi siano Icone di un certo tipo nelle Scritture, ma dov'è che agli Israeliti viene detto di venerarle?

Le Scritture comandano agli Israeliti di prosternarsi di fronte all'Arca, che aveva due prominenti immagini di cherubini. Nel Salmo 99:5, c'è il comando: "inchinatevi di fronte allo sgabello dei suoi piedi..." Dovremmo notare prima di tutto che la parola usata per "inchinarsi" qui, è la stessa parola usata in Esodo 20:5, dove di dice di non prosternarsi agli idoli. E che cos'è lo "sgabello dei suoi piedi"? In 1 Cronache 28:2, Davide usa questa frase in riferimento all'Arca dell'Alleanza. Il Salmo 99 [98 nella Septuaginta] inizia parlando del Signore che "dimora sui Cherubini" (99:1), e termina con un invito ad "adorare sul suo monte santo" - cosa che rende ancora più chiaro che in tale contesto si sta parlando dell'Arca dell'Alleanza. Questa frase appare di nuovo nel Salmo 132:7, dove è preceduta dalla frase: "Andremo ai suoi tabernacoli" ed è seguita dalla frase: "Sorgi, Signore, nel luogo del tuo riposo; tu e l'Arca della tua forza." Curiosamente, questa frase si applica alla Croce negli offici della Chiesa, e la connessione non è accidentale - infatti era sull'Arca, sul seggio della grazia tra i Cherubini, che il sangue sacrificale era asperso per i peccati del popolo (Eso 25:22, Lev 16:15).

11. Ma che dire del Serpente di bronzo? Non fu distrutto precisamente perche il popolo iniziò a venerarlo?

Se guardate il passo in questione (2 Re 18:4), vedrete che il Serpente di bronzo non fu distrutto solo perché il popolo lo onorava, ma perché lo aveva trasformato in un dio serpente, chiamato "Nehushtan."

12. Non vi furono iconoclasti nella Chiesa, ben prima che venissero alla luce i protestanti?

È importante tenere a mente, quando si considera la questione delle Icone (e pertanto anche l'iconoclasmo), che questa comprende due questioni separate, che spesso vengono confuse:

1) È ammissibile fare o avere icone?

2) È ammissibile venerarle?

E chiaro, a partire dall'Antico Testamento, che la risposta a entrambe le domande è . Mentre i protestanti, comunque, hanno obiezioni alla venerazione delle Icone, tipicamente non hanno da ridire sulla creazione o il possesso di immagini. Se lo facessero, non avrebbero opuscoli biblici illustrati, televisioni, o quadri... ma a parte gli Amish, si farebbe fatica a trovare un altro gruppo di protestanti che esclude regolarmente le immagini. I protestanti tipicamente hanno obiezioni alla venerazione delle immagini, ma curiosamente il tipo di argomentazioni e prove che usano si ritorcono quasi sempre contro ogni tipo di immagine, se la logica della loro linea di argomenti viene portata fino in fondo.
Gli iconoclasti, spesso citati dai protestanti come sostenitori della loro posizione in materia, di fatto hanno argomenti che si oppongono ai loro. Da un lato, gli iconoclasti scomunicavano tutti quanti "si azzardavano a rappresentare con colori materiali..." Cristo o i Santi - una cosa che quasi tutti i protestanti fanno a loro volta. D'altro canto, scomunicavano anche tutti quanti "non confessano la santa e semprevergine Maria, veramente e realmente Madre di Dio, come più alta di ogni creatura visibile e invisibile, e non cercano con fede sincera le sue intercessioni, come colei che ha confidenza con Dio per averlo partorito..." e scomunicavano anche tutti quanti "negano il profitto dell'invocazione dei Santi..." (NPNF2, Vol. 14, p. 545s). Così, di fatto, i protestanti si trovano sotto un maggior numero di anatemi degli iconoclasti di quanti ne abbiano gli ortodossi.
I protestanti potrebbero desiderare di trovare un certo sollievo nel fatto che per lo meno gli iconoclasti erano opposti alla venerazione delle immagini, ma la venerazione non fu mai una questione a se stante per gli iconoclasti. Essi erano opposti alla venerazione delle icone, solo perché erano opposti alle icone. Non si opponevano alla venerazione di oggetti sacri: gli iconoclasti veneravano la Croce, e non ne facevano mistero.
I protestanti citano anche alcuni altri primi padri e primi scrittori ecclesiastici in sostegno della loro posizione. La maggior parte di queste citazioni sono semplici denuncie dell'idolatria, e non hanno nulla a che fare con le Icone. In quei pochi casi in cui le citazioni potrebbero essere plausibilmente interpretate come condanne delle Icone (e alcune delle quali, si può argomentare, sono interpolazioni iconoclastiche successive), una interpretazione coerente richiederebbe che non siano fatte immagini di alcun tipo... poiché, ancora una volta, l'obiezione che si trova in questi testi è rivolta alla creazione e al possesso di immagini. Nessuno di questi testi prende neppure in considerazione il tema della venerazione.
I Canoni del Sinodo di Elvira sono spesso citati a sostegno di una posizione iconoclasta. Nel suo Canone 36, il concilio decretava: "Si ordina che non vi siano pitture nelle chiese, così che ciò che è venerato e adorato non sia raffigurato sulle pareti." Ma anche gli studiosi protestanti riconoscono che il significato del canone non è così chiaro come gli apologeti protestanti spesso suggeriscono: non è chiaro quale fosse l'occasione di questo canone, e non è chiaro che cosa cercasse di prevenire. A causa delle parole stesse del canone, è quasi certo che non si tratti di un bando assoluto alle immagini. Non è chiaro che cosa si proibisce, e soprattutto a quale fine. Le interpretazioni plausibili vanno da un mero divieto di immagini in chiesa, a una misura di precauzione per proteggere le Icone dai pagani (dato che il canone fu composto in tempi di persecuzione, ciò è certamente possibile). In ogni caso, il fatto è che le Icone erano in uso nelle chiese della Spagna prima del Sinodo di Elvira, e continuarono a essere usate in seguito, senza alcuna ulteriore prova di controversie. Inoltre, questo Sinodo ebbe un carattere meramente locale e non venne mai menzionato a livello ecumenico.

13. Come sapete che non fossero gli iconoclasti quelli che mantenevano la più antica tradizione cristiana sulle icone?

Da un lato, l'iconoclasmo avrebbe dovuto fiorire nei territori a dominio islamico... ma non lo fece. Il primo scoppio di iconoclasmo iniziò in territorio musulmano, anche se non si trattava di cristiani che distruggevano immagini, ma di musulmani che distruggevano immagini cristiane. C'è anche ragione di pensare che un'influenza musulmana ispirò gli imperatori iconoclasti (tutti provenivano da aree dell'impero in cui i musulmani avevano preso il sopravvento), ma il fatto è che le uniche parti della Chiesa in cui l'iconoclasmo prese piede furono quelle in cui gli imperatori iconoclasti poterono imporre la loro eresia sul popolo. In tutte le aree della Chiesa al di fuori della portata degli eserciti imperiali, la Chiesa si oppose agli iconoclasti e ruppe la comunione con loro. Uno degli oppositori più aperti degli iconoclasti fu San Giovanni Damasceno, che visse sotto il dominio musulmano, e per conseguenza ebbe a soffrire persecuzioni. Se la visione degli iconoclasti fosse stata davvero quella tradizionale, ci saremmo dovuti aspettare di vedere tale opinione come dominante tra i cristiani che vivevano sotto il dominio musulmano. Per lo meno, ci saremmo aspettati qualche iconoclasta sorto in mezzo a questi cristiani, ma di fatto era vero il contrario - non si udirono voci iconoclastiche dai territori sotto il dominio musulmano, nonostante gli ovvi vantaggi che tali cristiani avrebbero avuto con i loro governanti.
Inoltre, prima della controversia iconoclasta, abbiamo ampie prove archeologiche che le Icone erano usate ovunque nella Chiesa, e se questa fosse stata una deviazione dalla Tradizione apostolica, ci dovremmo aspettare di trovare un'ampia controversia in materia dal primo momento in cui le Icone entrarono in uso, e che avrebbe dovuto intensificarsi mentre il loro uso diventava più comune.
Tuttavia, non troviamo niente del genere. Di fatto, trenta anni prima della controversia iconoclasta, il Concilio Quinisesto stabilì un canone (Canone 82) riguardo a ciò che dovrebbe essere dipinto in certe Icone, ma senza il più pallido accenno a una controversia sulle Icone per se.
Vi sono molte altre cose che mostrano la completa novità dell'eresia degli iconoclasti: essi si opponevano al monachesimo, nonostante il fatto che esso fosse stato indiscutibilmente accolto dalla Chiesa per secoli, si dilettavano a derubare i monaci, prendere le loro terre, forzarli a sposarsi, a mangiare carne, e a partecipare agli spettacoli pubblici (e quanti resistevano spesso erano gli spettacoli pubblici), contrariamente alle pratiche monastiche ben stabilite. Anche gli storici protestanti sono forzati ad ammettere che i santi uomini e donne del tempo erano sostenitori della venerazione delle Icone, e che gli Iconoclasti erano un partito piuttosto immorale e spietato.
Si può essere iconoclasti solo se si crede - contrariamente a quanto dicono le Scritture - che la Chiesa possa cessare di esistere, poiché non c'è dubbio che la Chiesa abbia respinto l'iconoclasmo e usato icone da tempi remoti almeno come quelli dell'uso delle catacombe (che sono piene di icone cristiane). E questa opzione della Chiesa che cessa di esistere è di solito rifiutata dagli Evangelici ragionevoli.

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Come abbiamo approfondito più volte il vero scisma con l'Oriente NON avvenne nel 1054, ma ufficialmente dopo il Concilio di Firenze.....proviamo a vedere ora uno spaccato storico in cui vengono citati I PROTESTANTI INSIEME AGLI ORTODOSSI in un difficile cammino storico......

L'Unione di Firenze cessò ogni effetto appena i turchi occuparono Costantinopoli (1453). Nel 1484 un concilio di vescovi la condannò ufficialmente. Né il sultano né la maggioranza degli ortodossi greci erano favorevoli alla continuazione di legami politici con la cristianità occidentale. Il risveglio culturale "bizantino" del periodo dei paleologi fu il primo a sperimentare gli effetti avversi dell'occupazione. Il dialogo intellettuale con l'Occidente divenne impossibile. Attraverso il culto liturgico e la tradizionale spiritualità dei monasteri, la fede ortodossa fu mantenuta negli antichi territori dell'impero. Alcuni autodidatti svilupparono una notevole abilità nello sviluppo della tradizione ortodossa attraverso scritti e pubblicazioni, ma erano eccezioni isolate. Probabilmente il più notevole di tutti fu San Nicodemo del Monte Santo, l'Agiorita (1748-1809), che compilò la famosa Filocalia, un'antologia di scritti spirituali, e tradusse pure, adattandoli, gli scritti spirituali occidentali (tra cui quelli del fondatore dei gesuiti, Ignazio di Loyola) in greco moderno.

Il solo modo per i greci, slavi o romeni ortodossi di acquisire un'istruzione più elevata del livello elementare era di andare in Occidente. Molti di loro furono in grado di farlo, ma in tale processo si distaccarono dalla propria tradizione teologica e spirituale.

L'Occidente, a dispetto di molta ignoranza e pregiudizi, ebbe un costante interesse per la Chiesa orientale. In certi periodi c'era una genuina e rispettosa curiosità; in altri casi, prevalsero preoccupazioni legate alla politica e al proselitismo (conversioni).

Così, nel 1573-81, una lunga corrispondenza fu avviata dagli studiosi luterani di Tubinga (in Germania). Per quanto interessante come evento storico, questa corrispondenza, che include le risposte del Patriarca Geremia II (patriarca negli anni 1572-95), mostra quanto poca mutua comprensione era possibile a quel tempo tra i Riformatori e il cristianesimo tradizionale dell'Est.

Le relazioni con l'Occidente, specialmente dopo il XVIII secolo, furono spesso viziate in Oriente dall'incredibile corruzione del governo turco, che promuoveva costantemente intrighi diplomatici. Un esempio eclatante di tale manipolazione era il kharaj, una sostanziosa tassa richiesta dalla Porta a ogni elezione patriarcale. I diplomatici occidentali erano spesso pronti a fornire la somma necessaria, per potersi assicurare l'elezione di candidati favorevoli alle loro cause. Gli ambasciatori francese e austriaco, per esempio, sostenevano candidati che avrebbero favorito l'instaurazione dell'influenza cattolico-romana nel ghetto cristiano, mentre gli inviati britannici e olandesi sostenevano patriarchi aperti alle idee protestanti. Così, un patriarca di talento educato in Occidente, Cirillo Lucaris, fu eletto e deposto cinque volte tra il 1620 e il 1638. Il suo regno tempestoso fu marcato dalla pubblicazione a Ginevra di una Confessione di Fede (1629), che era, a grande stupore di tutti i contemporanei, puramente calvinista (ovvero, conteneva vedute protestanti riformate). L'episodio terminò in tragedia.

Cirillo fu strangolato da soldati turchi per istigazione del partito filo-francese e filo-austriaco. Sei successivi concili ortodossi condannarono la Confessione: Costantinopoli, 1638; Kiev, 1640; Iasi, 1642; Costantinopoli, 1672; Gerusalemme, 1672; e Costantinopoli, 1691. Per confutare le sue posizioni, il metropolita di Kiev, Pietro Mogila, pubblicò la sua Confessione di Fede Ortodossa (1640), seguita nel 1672 dalla Confessione del Patriarca di Gerusalemme, Dosìteo Notaras. Entrambi, specialmente Pietro Mogila, erano sotto forti influenze latine.

Questi episodi furono seguiti, nel XVIII secolo, da una forte reazione anti-occidentale. Nel 1755 il Sinodo di Costantinopoli decretò che tutti gli occidentali - latini o protestanti - avevano sacramenti invalidi e dovevano essere ammessi nella Chiesa Ortodossa solo tramite il battesimo. Questa pratica della Chiesa greca è caduta in disuso solo nel XX secolo.

Ci domandiamo...se tale pratica è venuta meno, poteva veramente dirsi che fosse di matrice apostolica?

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Alcune risposte dirette
sulla Chiesa Ortodossa


Perché non ho mai sentito parlare della Chiesa Ortodossa?

Ma guarda un po'! La trovi in giro fin dal giorno di Pentecoste. Probabilmente non ne avrai sentito parlare perché siamo una Chiesa un po' conservatrice, che non suona le trombe in spettacoli sociali, ma che piuttosto cerca di guidare le persone, ciascuna nelle proprie circostanze, alla comunione con Dio, che è lo scopo dell'esistenza stessa della Chiesa. Che tu ci creda o no, esistono più di 200 milioni di ortodossi nel mondo.

Siete come i Cattolici o i Protestanti?

La Chiesa Ortodossa è "cattolica" nel senso più pieno del termine: "completa e non confinata." Ma circa 500 anni prima che la Riforma spaccasse in due l'Europa occidentale tra protestanti e cattolici romani, i cristiani ortodossi protestarono contro il Papa di Roma e i suoi tentativi di supremazia sulla Chiesa nell'Undicesimo secolo, così come contro alcune innovazioni dottrinali. La Chiesa Ortodossa rimane immutata nella dottrina e nella fede sin dal tempo dell'antica Chiesa degli Apostoli (sì, è fin da quei tempi che siamo in giro).

È una pretesa un po' grossa, non trovi?

È una grande pretesa, ma quando consideri che Gesù Cristo promise che avrebbe fondato la sua Chiesa, e che questa sarebbe rimasta immutata nella fede e nella pratica, senza che le porte degli inferi prevalessero su di essa fino al suo ritorno, è una pretesa del tutto rassicurante (e conferma la nostra fede!)

Credete nella Bibbia?

No. Crediamo in Dio! Crediamo, tuttavia, che la Bibbia sia la parola ispirata di Dio, una parte della Tradizione della Chiesa (2 Tessalonicesi 2:15). Di fatto, fu la Chiesa a darci la Bibbia così come oggi la conosciamo! (Non crederai che sia caduta dal cielo già fatta così, vero?)

Perché dovrei entrare nella Chiesa Ortodossa, o in qualsiasi chiesa, se è per questo?

Perché dovresti andare al lavoro, o a scuola, "se è per questo"? È una cosa del tutto naturale! Come figlio di Dio, devi rendere culto a Dio in qualche modo, con i tuoi fratelli e sorelle cristiani. Questo è un insegnamento scritturale. La Chiesa Ortodossa offre l'espressione di fede e di culto più ricca e significativa che esiste (devi vederla per crederci!) Perché accontentarti di qualcosa di meno? (Un'altra grossa pretesa, giusto?)

Avevo pensato che dovessi essere greco o russo per essere ortodosso!

Andiamo, non ci avrai creduto veramente? La Chiesa Ortodossa non è un club della domenica! Il Regno dei cieli è una "pari opportunità". Sei il benvenuto a prescindere da dove venissero i tuoi antenati. Sei anche il benvenuto se vuoi portare con te i tuoi costumi e la tua cultura nazionale. Tieni soltanto il Vangelo di Gesù Cristo come la cosa principale ed essenziale. La Chiesa Ortodossa adotta la cultura e la lingua del paese in cui si trova.

Dovete confessare i vostri peccati a un prete?

No e si. I tuoi peccati li confessi a Dio, in presenza di un prete che ti aiuterà a superarli e proclamerà il perdono di Dio, come promesso nella Sacra Scrittura. Se lo preferisci, puoi confessarti all'intera congregazione, seguendo la pratica della Chiesa primitiva. (Ammettere che hai dei peccati è l'inizio del pentimento: significa avere già vinto metà della battaglia!)

Se entrassi a far parte della vostra Chiesa, dovrei venire a tutte le funzioni?

Le sole cose che dobbiamo fare in questo mondo sono pagare le tasse e morire! Venendo in chiesa potrai trovare delle attività deducibili dalla prima, e ti preparerai per la seconda. Vieni perché vuoi venire, tutte le volte che c'è una funzione. Gli "arruolatori con la forza," nel cristianesimo, sono persone che dubitano della loro stessa fede. Nessuno ti costringe. La tua presenza e partecipazione è la tua risposta naturale al posto che ha Dio nella tua vita spirituale personale, così come una testimonianza di fede nella sua esistenza nel proprio Corpo, la Chiesa o comunità dei credenti.

Quanto dura una delle vostre funzioni?

Non abbastanza a lungo per coloro che si sforzano per una crescita e rinnovamento spirituale. In termini di minuti, la Divina Liturgia (che è l'equivalente della Messa del cattolicesimo romano) dura poco più a lungo di un episodio di una telenovela (ma senza la pubblicità!)

Quanto costa essere un membro della Chiesa Ortodossa?

Ti costa la vita!

No, voglio dire in termini di euro...

Ti costa tutto quello che possiedi!

Stai scherzando!

No, è la verità. Quando dai il tuo impegno per Gesù Cristo e la sua Chiesa, arrivi a capire che tutto ciò che possiedi è un dono che viene da lui, e che va usato per la sua gloria.
Per esempio, se vivi facendo del tuo meglio per seguire i comandamenti di Cristo, la tua vita dà gloria a Dio. Allora, anche il tuo conto del droghiere è un contributo alla gloria di Dio, per il cibo che nutre e che sostiene la tua vita. Questo è il modo in cui gli ortodossi intendono l'amministrazione dei beni di Dio.

Ma in fin dei conti, non c'è proprio nulla che devo pagare?

D'accordo, per ora basta con la teologia! L'ideale biblico è il 10% (la decima) delle tue entrate globali. Ma certo non devi portare in chiesa la tua dichiarazione dei redditi, e nessuno sa quanto guadagni. Dai tutto quello che puoi dare in coscienza, su base regolare, ma non perché Dio ha "bisogno" di denaro. Gli esseri umani invece hanno un bisogno di donare: ce ne rendiamo conto dalla nostra esperienza (in modo particolare in quanto cristiani).

E va bene, ora parlatemi del vostro culto. Mi hanno detto che gli ortodossi adorano le immagini. Non è una cosa contraria ai comandamenti?

Mi spiace, ma non te l'hanno raccontata giusta! Le Sante Icone ("immagini") vengono onorate come ricordi della Gloria e della Presenza di Dio, e sono venerate come tali. SOLO Dio, il Padre, il Figlio Gesù Cristo e il Santo Spirito, è oggetto di adorazione (come potrebbe la Chiesa praticare una cosa così contraria alla Legge di Dio?) Questa è una ragione per la quale non troverai statue nelle chiese ortodosse: nella nostra tradizione non si sviluppò mai una devozione alle statue, perché somigliava troppo alla devozione pagana dei primi anni della Chiesa, al tempo degli Apostoli. Ma le icone, invece di cercare di copiare la realtà materiale, puntano al Regno di Dio. Se ne parla spesso come delle "finestre sul Cielo." In altre parole, in una chiesa ortodossa non ti limiterai ad ascoltare il Vangelo, ma lo potrai vedere! Le icone agiscono come "strumenti" nel nostro culto spirituale e testimoniano la santificazione della creazione e e della materia che ebbe luogo quando Gesù Cristo, il Figlio di Dio, assunse la carne umana. La persona divino-umana di Gesù divenne l'icona vivente di Dio (Giovanni 10:30; 14:6-11) nella carne.

Continui sempre a menzionare "la Chiesa." Perché?

Di fatto, Gesù Cristo non è venuto a fondare una cosa come "il cristianesimo." Del resto, questa parola non esiste nelle Sacre Scritture. Ciò che Gesù Cristo fece fu fondare la Chiesa, che la Scrittura chiama sia suo Corpo che sua Sposa. La comunione che l'uomo cerca con Dio si trova facendo parte della Chiesa, cosa che San Paolo definisce un "grande mistero," per cui divieniamo membra di Cristo (Efesini 5:30). La Bibbia ci racconta anche che coloro che erano salvati si univano alla Chiesa (Atti 2:47). Non facevano puramente una "opzione per Cristo" - altro termine non biblico - ma si pentivano, venivano battezzati per la remissione dei loro peccati, e si univano alla Chiesa. (Atti 2:38 ss.)
Là, continuavano con costanza nella dottrina e nella comunione degli Apostoli, nella Frazione del Pane (quella che oggi si chiama comunemente Santa Comunione), e nella preghiera.
Infine, sin dal giorno di Pentecoste, il "giorno di nascita" della Chiesa, la Bibbia non parla mai di cristiani che non fossero in comunione con la Chiesa. Tutto questo per spiegarti perché parliamo tanto della "Chiesa."

Dove posso trovare altre informazioni?

Prova a cercare in una libreria specializzata in argomenti religiosi, oppure rivolgiti alla più vicina chiesa ortodossa:

ELENCO DELLE CHIESE ORTODOSSE IN ITALIA

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Come trovare un terreno comune tra ortodossi e protestanti:

risoluzione parziale delle difficoltà protestanti con la teologia ortodossa
 

Lettore Daniel Lieuwen



Daniel Lieuwen, lettore nell'Arcidiocesi Antiochena Ortodossa d'America, è un convertito all'Ortodossia dal Protestantesimo. Di professione ricercatore informatico nel campo dei sistemi operativi, è autore di uno studio storico sulla nascita del Canone del Nuovo Testamento, che esamina molte pratiche a cui i protestanti muovono obiezioni, mostrando come tali pratiche siano anteriori all'accettazione comune del Libro dell'Apocalisse e alla rimozione di altri libri (come Il Pastore di Erma) dal Canone. In questo saggio si occupa di due tipiche obiezioni protestanti all'Ortodossia: la natura della fede e il valore delle icone. 
  
  

La questione del Protestantesimo classico e dell'Ortodossia sulla fede:
 

Qual'è la relazione tra fede e opere? Mentre vi sono forti differenze teoriche tra gli ortodossi e i protestanti classici sulla fede, esistenzialmente, il divario è meno severo. (Abbrevierò talvolta i "protestanti classici" (Chiese della Riforma) come "protestanti" in questo brano: vi sono molti protestanti non classici di cui non considererò le idee.

Coloro che pensano di poter avere Cristo come Salvatore ma non come Signore, mostrano uno spirito antinomico così estremo che è difficile considerarli cristiani anche nel senso più nominale della parola. I musulmani e gli ebrei ortodossi, con la loro riverenza per la legge di Dio sembrano più vicini allo spirito del cristianesimo di quanto lo siano questi "cristiani"). Sia gli ortodossi che i protestanti sono teoricamente d'accordo che senza l'azione di Dio nell'Incarnazione, l'uomo non può lasciare il proprio stato innaturale e peccaminoso, e giungere a Dio: ha bisogno della grazia. Avendo concordato su questo punto, essi sono in disaccordo sulla funzione delle opere.

Parte del problema è che gli ortodossi sono ben più reticenti dei protestanti a parlare della salvezza come di un evento singolo. Piuttosto, la nostra salvezza e la nostra santificazione sono viste come parte di un processo continuo, cosicché per essere tecnicamente corretti non si potrebbe parlare di essere stati salvati senza parlare di essere nel processo della propria salvezza, e sperando infine di essere salvati al Giudizio Finale in modo conclusivo e decisivo.

È chiaro sia ai protestanti che agli ortodossi che le buone opere sono essenziali nel processo di santificazione. Esistenzialmente, i protestanti riconoscono che la vera fede deve necessariamente produrre buone opere. Se la fede di una persona non produce opere, essi avvertirebbero tale persona di considerare che potrebbe non avere una vera fede. Ciò a cui muovono obiezioni è il dire che queste buone azioni ci salvano. È pericoloso essere troppo precisi in queste materie. Sappiamo che Cristo dice che se lo amiamo gli obbediremo. Dobbiamo amarlo per entrare nel suo regno. Non possiamo amarlo senza fede. Non possiamo essere salvati senza la sua salvifica Passione e Risurrezione. Sappiamo che senza le opere la fede è morta. In tutti questi punti, protestanti e ortodossi sono d'accordo.

Le due posizioni sull'elezione dei protestanti partono con la stessa premessa di ``Sola Fide'' (per fede sola). Tuttavia, in pratica, per strade molto differenti, entrambi rendono questa dichiarazione molto meno estrema di quanto sembri a prima vista agli ortodossi.

Quei protestanti che credono (così come gli ortodossi) nella possibilità di perdere la propria salvezza, riconoscono che il peccato ripetuto e impenitente causerà la perdita della propria salvezza, perché coloro che vi indulgono alla fine si ritroveranno con una coscienza così indurita che la fede morirà. Pertanto, in tale posizione, le opere sono necessarie per la salvezza. (Giungeremo in seguito al caso speciale delle conversioni sul letto di morte.) Quelli che credono che non si possa perdere la propria salvezza usano un espediente differente. È chiaro che molte persone che vivono inizialmente in modo molto devoto finiscono per voltare le spalle a Dio. Coloro che credono nella sicurezza eterna di solito affrontano questi casi dicendo che chi si trova in queste circostanze non aveva mai avuto una vera fede. Tuttavia, sul piano esistenziale, tale persona è indistinguibile, nel proprio periodo pio, da chi di fatto persevererà sino alla fine. Uno non può sapere se si sta meramente ingannando o se ha una vera fede. Solo la perseveranza sino alla fine, che comporta buone opere compiute per gratitudine a Dio, dimostra la genuinità della fede in tale posizione. Tuttavia, ciò non è lungi da dire che le opere sono necessarie alla salvezza, per lo meno esistenzialmente.

Inoltre, gli ortodossi sono d'accordo nel dire che la fede è la più grande delle opere. Perciò, la persona che si converte sul proprio letto di morte o sulla croce, benché non abbia opere materiali, ha di fatto l'opera della fede. Ciò non è distante, nel concetto se non nella terminologia, dalla posizione sostenuta in materia da entrambe le scuole del protestantesimo.

Non ne derivo alcuna grande teoria riguardo a ciò che avviene nei progetti eterni di Dio. Certamente, le briciole di opere della nostra vedova non aggiungono niente all'infinita riserva di bontà di Dio. E tuttavia, Egli le onora. Sulla terra, vediamo la necessità per noi stessi delle buone opere per appropriarci del libero dono di Dio che è la salvezza. Inoltrarci in speculazioni sulla funzione esatta della grazia e delle opere sembra condurci alla fine a questa conclusione.

(Non abbiamo parlato della Chiesa Cattolica perchè non era nell'argomento, tuttavia è necessario ai fini di una corretta interpretazione che in questo tema abbiamo una comunione piena. La questione di Lutero che scatenò il concetto dottrinale della Sola Fede, nasceva da un esasperato bisogno di rimettere le cose nel loro ordine evangelico, dopo i tanti abusi commessi dalla Chiesa su questa Salvezza. In termini dottrinali, però, la Chiesa non ha di fatto insegnato mai il contrario, già dal Concilio di Trento e poi con il Vaticano II, la Chiesa Cattolica ha saputo dimostrare di essere coerente con il suo mandato, andrebbe perciò cercato altrove, il motivo per cui ci fu tanta insistenza su questa dottrina che soltanto in termini ecumenici oggi possiamo unificarla a tutti i cristiani, va cercata altrove, fra ingerenze politiche e motivi di padronanza territoriale.) 
 

La questione del valore delle icone nella vita cristiana:
 

Com'è che le icone sono di beneficio al vostro cammino con Dio? Potrei procedere parlando della teologia dell'Incarnazione e di come l'apparizione di Cristo nella carne santifichi tutta la materia. Potrei raccontare di come certe parti del giudaismo nell'era del Nuovo Testamento usassero le icone, e come l'uso cristiano possa essere considerato un proseguimento della pratica ebraica della Chiesa, molto simile all'uso dei Salmi nel culto pubblico e nelle ore di preghiera (Atti 3:1), continuato fino a oggi nella Chiesa ortodossa e nei monasteri cattolici romani, e reintrodotto nel protestantesimo al Taizé, in Francia. Potrei parlare dell'importanza dell'obbedienza alla Chiesa. Tuttavia, temo che questi punti non vi impressionerebbero molto, cosicché userò un approccio differente. Le icone ci rimandano alla "grande nube di testimoni" che ci circonda. Vedere le icone ci ricorda vite cristiane eroiche e ci stimola a emularle. Per esempio, io possiedo icone dei due grandi santi missionari, i Santi Innocenzo d'Alaska e Nicola del Giappone. Questi uomini diedero tutto di se stessi al Vangelo, soffrendo molte privazioni, benché in modi differenti. le loro tecniche missionarie sono studiate ancor oggi anche dai missiologi protestanti. Vedere le loro icone dovrebbe ricordarmi (e talora mi ricorda) dell'importanza dell'opera missionaria e di dare tutto di se stessi al Regno. Ho un'icona dell'Apostolo Sila, il compagno dei viaggi di San Paolo. È il patrono del Ministero Ortodosso delle Prigioni e delle Strade, e nell'icona indossa catene di ferro. La sua icona mi ricorda di pregare per i prigionieri. Ho un'icona di San Serafino di Sarov, donatami al convento che ho visitato a San Francisco. Mi ricorda il convento. Mi ricorda pure il detto di San Serafino: "Acquisisci lo Spirito Santo, e migliaia intorno a te acquisiranno la salvezza." Potrei espandere questi esempi all'infinito. In breve, le icone fanno la stessa cosa delle Feste della Chiesa (il Natale, la Pasqua, l'Epifania che celebra il battesimo di Cristo): ci richiamano le parti importanti della storia della salvezza, una storia che continua fino a oggi. Ci ricordano che altri hanno fatto cose meravigliose per Dio, e ci incoraggiano a farle a nostra volta, sapendo da questi esempi che ne abbiamo la possibilità, se vorremo sforzarci a tal fine con l'aiuto di Dio, ma solo se siamo disposti a dare in cambio non meno di tutto. In più, le icone servono alla funzione di ritratti di famiglia. Così come ho i ritratti della mia famiglia a casa mia, e i miei genitori hanno i quadri dei loro antenati, così le icone sono i ritratti dei nostri progenitori spirituali. Le custodiamo perché amiamo e rispettiamo e abbiamo un grande debito nei confronti di coloro che ci hanno aiutato a giungere alla fede, anche se molto indirettamente, convertendo qualcuno che ha convertito qualcun altro... che ha convertito (o aiutato a rafforzare nella fede o accrescere nella propria convinzione) qualcuno che ci è stato di beneficio spirituale. Siamo tutti una famiglia, sia in cielo che in terra. I membri di una famiglia amano avere i ritratti degli altri membri della famiglia, perché vogliono loro bene. La conoscenza del mio debito mi rende molto interessato a San Bonifacio, missionario in Frisia, da dove proviene mia madre. Egli fu martirizzato là. Pertanto, ho comprato libri che parlavano di lui. I miei genitori hanno trovato del materiale che parlava di lui a Dokkum (dove fu martirizzato) mentre visitavano i Paesi Bassi. Ho nei suoi confronti un grande debito, perché fu la figura di punta della conversione dei miei antenati. Anche se non ho ancora acquistato una sua icona (la sto cercando), ho trovato alcune belle litografie nei libri che ho comprato. Vorrei acquistare un'icona, ma non ne ho ancora trovata una. Potrei commissionarne una, così come qualcuno potrebbe commissionare un ritratto di un distinto antenato, poiché si tratta del mio antenato spirituale. Tuttavia, le icone non sono solo i simboli del nostro amore. Non si limitano a richiamarci la "grande nube di testimoni", ma ci aiutano a sperimentarla. La grande nube di testimoni è là sia che ne siamo consapevoli o no. La sua presenza ci è di beneficio sia che lo comprendiamo o no, poiché la Chiesa militante e la Chiesa trionfante sono una Chiesa sola, e le preghiere in cielo ci aiutano. Tuttavia, la nostra consapevolezza della "grande nube di testimoni" ci aiuta in altri modi. Ci dà coraggio, poiché ci sono intorno a noi coloro che ci amano e che vogliono ciò che è meglio per noi. Scoraggia il vizio, poiché un ricordo che siamo circondati da coloro che ci amano ci fa desiderare di evitare di fare cose che potrebbero deluderli. Sperimentare la presenza dei santi ci richiama la presenza di Dio: una cosa che dovremmo sempre avere in mente, ma che frequentemente dimentichiamo.
 

Il testo originale inglese appare sul sito della Chiesa Ortodossa di San Nicola



 

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ICONE DI SANTI

La tradizione bizantina sostiene l'origine apostolica delle immagini. In un vangelo apocrifo si racconta che un certo Licomede di Efeso incaricò un amico pittore di dipingere il ritratto dell'Apostolo Giovanni ormai vecchio. Quando Giovanni, che non aveva mai visto il suo volto, vide il ritratto, non riusciva a convincersi di assomigliarvi. Allora Licomede gli portò uno specchio. Giovanni guardò, confrontò la sua immagine riflessa con il ritratto e disse a Licomede: "L'immagine mi assomiglia; ma non assomiglia a me, bensì alla mia sembianza corporale. Se un pittore volesse davvero ritrarre me, i colori che gli sono dati non gli sarebbero sufficienti. Solo in Cristo Gesù si possono trovare questi colori: fede, amicizia, comunione, mitezza, bontà, amore ai fratelli, castità, semplicità, tranquillità, serenità, gravità, scienza, timore. Questa è la gamma dei colori con cui si può riprodurre l'anima. Una volta che la miscela di questi colori si è compiuta nell'anima, questa sarà incrollabile nel Signore nostro Gesù Cristo. Ma quello che tu ora hai fatto è fanciullesco e imperfetto: tu hai dipinto l'immagine morta di un morto".
Si può supporre che questo testo abbia in un certo senso determinato il modello iconografico del Santo.

L'icona di un Santo va letta su tre livelli: fisico, agiografico, spirituale.
Ritratto fisico. Poiché spesso l'icona di un Santo era eseguita mentre questi era ancora vivo, o subito dopo la sua morte, il pittore ha potuto riprodurne i tratti somatici caratteristici e i lineamenti distintivi dell'individuo, che spesso corrispondono a descrizioni letterarie del tempo. Questo spiega anche il divieto di allontanarsi dagli antichi modelli. Il racconto di molte apparizioni di Santi o di Angeli testimonia come erano riconosciuti uguali alle loro raffigurazioni sulle icone.
Profilo agiografico. Il Santo è raffigurato sulle icone nella sua individualità, nei fatti storici e negli episodi della sua vita, attraverso i suoi miracoli, e con le vesti del tempo in cui visse.
Profilo mistico e spirituale. Il Santo è proposto come individuo ancora vivo nella sua realtà gloriosa nel Cielo.
È possibile rappresentare anche Santi moderni, a condizione che siano rispettate le norme di questi tre livelli, nel rispetto dei canoni della Tradizione.

L'icona del Santo ci mostra un uomo purificato, trasfigurato, deificato. Quest'uomo, consumato dal fuoco della contemplazione, è icona vivente di Dio: è ormai luce. E nell'icona l'uomo di luce diventa innanzitutto volto. Il volto del Santo, luogo della Presenza dello Spirito, è un volto piatto, con una fronte alta e spaziosa, sede della sapienza, spesso solcata da rughe profonde, simbolo della vita ascetica; la bocca è chiusa nel silenzio della contemplazione; gli occhi sono immensi, fissi, immobili; illuminati dall'interno e spalancati sull'infinito.
L'atteggiamento del corpo del Santo è sacramentale e ieratico: i Santi non gesticolano, ma stanno di fronte a Dio nel silenzio e nella contemplazione. L'immobilità indica la pace in Dio, la fiducia, l'incrollabilità della fede. Nell'icona della Trasfigurazione, Mosè ed Elia sono immobili, mentre gli apostoli sono in atteggiamento scomposto per lo spavento: la mobilità, l'agitazione indicano la povertà della vita spirituale, la condizione peccaminosa dell'umanità.

Il corpo del Santo è asessuato, immateriale, perché è un corpo interiore, trasfigurato. Filiforme, allungato e immobile, presenta una rigidità solo apparente che sottolinea la dinamica interiore manifestata attraverso lo sguardo. La figura umana ha perduto ogni naturalismo ed esprime soltanto la trasfigurazione. Anche se il corpo è nudo non si vede la carne, ma lo spirito.
L'atteggiamento delle mani indica preghiera o benedizione.
L'uomo trasfigurato non volta le spalle, né si pone di profilo: è accoglienza, trasparenza silenziosa, tutto sguardo. La posizione frontale è già una presenza; il profilo è segno di rottura, perché interrompe la comunicazione degli occhi.
L'atteggiamento del corpo rappresentato sulle icone è dunque simbolico, perché esprime la vita spirituale del Santo. Il corpo, a sua volta, si prolunga nella veste che sostiene il personaggio sociale e manifesta il progetto spirituale personale. Per il pensiero cristiano il corpo, in un movimento di risposta a Dio che chiama, è interamente al servizio dello spirito. I vestiti, che ricoprono i corpi, hanno grande importanza nel rappresentare il corpo spirituale dei risorti, a causa della simbologia loro attribuita dalle Sacre Scritture, dal Libro della Genesi (3, 21) al Libro dell'Apocalisse (19, 8), dalle tuniche di pelli alla veste nuziale dell'Agnello nella Gerusalemme celeste. Prima che Adamo lasciasse il paradiso, il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì: nella Genesi Dio è l'autore del vestito. L'uomo, spogliato della gloria divina, fu subito rivestito da Dio mediante la promessa della salvezza. L'uomo salvato è colui che ha sostituito "la tunica di pelli" con la gloria dell'immortalità. Perciò, nelle icone, il corpo non appare mai nudo, purché non lo esigano degli episodi storici. E questo per ragioni teologiche, non per decenza o per questioni di gusto.
Nelle icone si può chiamare "vestito" il tessuto delle ascesi dei Santi. Questa non è una metafora, ma l'espressione del pensiero che con gli eroismi spirituali i Santi hanno emanato sul loro corpo un nuovo tessuto di organi luminosi. Nella percezione visibile, questa estensione del corpo è simboleggiata dai vestiti.

Il corpo è nascosto da vesti simboliche, che drappeggiano soltanto l'anima, e diventano così l'immagine del suo rivestimento glorioso, "abito dell'incorruttibilità". Le pieghe, rigide e geometriche, esprimono il ritmo spirituale. Il corpo così si prolunga nella veste. Come nella vita comune il vestito è un'estensione esteriore del corpo, ma anche in un certo senso è la manifestazione estetica della personalità, così, misticamente, la veste amplifica la parola della testimonianza, pronunciata dal corpo, e anche la spiritualità che lo anima. In sostanza, la vera nudità è la superficie del corpo che irradia lo splendore di una piena interiorità, di un completo dominio di sé. E il vero vestito concretizza tale irradiazione, rendendola visibile agli occhi corporei. Invece la nudità umiliante, per l'uomo, è la spoliazione. E pure il vestito è umiliante, quando gli è del tutto accessorio, ossia indossato dall'esterno con motivazioni estranee alla sua interiore identità. Perciò l'uomo alienato, privo di orientamento interiore e profondamente disperso, non riuscirà mai a vestirsi, ma sarà sempre vestito da altri, poiché lui stesso è "corpo spoglio", e tale resterà, sia che vada nudo o che si vesta.
Spesso i vestiti sono allungati da frange, che hanno lo scopo di togliere alla veste ogni delimitazione. La frangia era anche un elemento tipico del vestito giudaico, come provano i Vangeli. Nell'episodio della donna guarita per aver toccato la frangia del mantello di Gesù, è sottolineato che è proprio nella frangia, intesa come limite estremo del suo corpo, che comincia il potere miracoloso di Cristo.
I Martiri sono rappresentati mentre stringono al petto una croce, simbolo della testimonianza che hanno dato con la loro vita, o la "palma della vittoria", in base al testo di San Paolo: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la palma della vittoria che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione." (2 Tim 4, 7-8). Diadoco nota che le malattie sono un sostitutivo del martirio di sangue, così che a ciascuno è dato il carisma del martirio. Il corpo trasfigurato del Santo manifesta dunque ogni forma di martirio. E allora se, come dice Evdokimov, "assumendola totalmente l'uomo è sacerdote della sua morte, e diventa ciò che egli fa della sua morte", per il cristiano che muore nella risurrezione "la morte è interamente nel tempo, perciò dietro di noi".
"Il tuo sepolcro, credilo, è più bello del paradiso", canta la Chiesa. Il fondo oro proietta il Santo all'interno di questa realtà, dove Dio illumina della Sua Presenza e penetra tutte le cose.

Il Volto di Cristo si erge dietro la molteplicità dei volti dei Santi. Volto unico, "sguardo unico" nei grandi occhi immobili del Santo.
Un Santo è inconcepibile senza volto. San Giovanni Battista, decapitato, conserva il proprio volto raggiante e tiene in mano un vassoio dove è posta la sua testa tagliata. Il volto spoglio arriva a volte all'androginia (maschio e femmina), segreto dell'integralità dell'uomo edenico. "Angelo terrestre", a immagine del Cristo dell'Epifania, San Basilio ha un corpo asessuato, "corpo nel più profondo del corpo".
Nudi o velati dagli abiti di cerimonia, vescovi o guerrieri, i Santi sono degli uomini-colonna. Il loro corpo è smisuratamente allungato. L'anatomia naturale espressamente deformata, come pure l'apparente rigidità, non fanno che sottolineare la potenza interiore che anima i corpi. È il volto che esprime lo spirito, è l'uomo "interiore" che affiora e si trova rappresentato.
Alcune deformazioni volute e mirabilmente misurate mostrano il distacco dalle forme terrestri.
Sprovvisto di volume materiale, il corpo alleggerito glorifica la rinuncia al mondo e accentua il carattere ieratico del volto che porta. La parola scompare nel silenzio. I gesti sono misurati e contenuti.
È un universo a parte, rinnovato, abitato liberamente dalle energie divine e da esseri con volto d'eternità mossi dall'epectasi (tensione verso la Parusia); un universo che si dilata senza limiti negli spazi celesti del Regno.
Il Santo conosce le tentazioni e le affronta nell'impassibilità. San Giorgio "subisce in silenzio" e resta nella luce del Risorto: cavaliere che abbatte il dragone o vittima del supplizio, egli irradia la gloria della Vita più forte della morte.
Certo, di fronte all'attivismo un Santo è assolutamente "inutile", come sono inutili la Bellezza e le icone, come è inutile Dio: inutile nelle finzioni e nei sogni di questo mondo, e tuttavia Dio salva, e un Santo illumina e spiega. Nessuna struttura sociologica prevede un essere la cui intera esistenza sarebbe ridotta a una pura teofania. E tuttavia è l'unica cosa "seria", perché mette fine all'assurdità, e pone un altro modo di essere come un sigillo sul cuore del mondo. Accanto ad una civiltà tecnica, altamente pratica e utilitaristica, si pone la cultura dello spirito, che è un campo predestinato per coltivare i "valori inutili", o più esattamente "gratuiti", fino al momento dell'ultimo superamento verso l'Unico, non utile, ma necessario.

Possiamo così sintetizzare la rappresentazione della figura umana nell'icona:
Volto (sguardo, sembianza): occhi;
"volti minori": mani e gambe;
estensioni dell'io: vestiti e natura.
Nell'icona la bellezza è tutta interiore, bellezza spirituale, bellezza-santità che nasce dallo Spirito Santo: è la somiglianza divina acquisita dall'uomo. E la luce dell'icona è luce divina che si riflette nella carne santificata.

La rappresentazione di San Giuseppe.
Nei primi tre secoli, forse per evitare una anche se velata allusione di paternità, la figura di San Giuseppe non compare. Dopo il Concilio di Efeso (431), che proclamava il dogma della Divina Maternità di Maria, non essendovi più possibilità di dubbie interpretazioni, la figura di San Giuseppe compare nelle scene relative alla sua vita e al ciclo dell'infanzia di Gesù. Nell'iconografia paleocristiana, San Giuseppe veste l'abito dei lavoratori: la tunica esomide (nell'antica Grecia era la tunica corta che lasciava scoperta la spalla destra).


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