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DOMANDE E RISPOSTE SULLE ICONE

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2008 19:41
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05/11/2008 19:41

ICONE DI SANTI

La tradizione bizantina sostiene l'origine apostolica delle immagini. In un vangelo apocrifo si racconta che un certo Licomede di Efeso incaricò un amico pittore di dipingere il ritratto dell'Apostolo Giovanni ormai vecchio. Quando Giovanni, che non aveva mai visto il suo volto, vide il ritratto, non riusciva a convincersi di assomigliarvi. Allora Licomede gli portò uno specchio. Giovanni guardò, confrontò la sua immagine riflessa con il ritratto e disse a Licomede: "L'immagine mi assomiglia; ma non assomiglia a me, bensì alla mia sembianza corporale. Se un pittore volesse davvero ritrarre me, i colori che gli sono dati non gli sarebbero sufficienti. Solo in Cristo Gesù si possono trovare questi colori: fede, amicizia, comunione, mitezza, bontà, amore ai fratelli, castità, semplicità, tranquillità, serenità, gravità, scienza, timore. Questa è la gamma dei colori con cui si può riprodurre l'anima. Una volta che la miscela di questi colori si è compiuta nell'anima, questa sarà incrollabile nel Signore nostro Gesù Cristo. Ma quello che tu ora hai fatto è fanciullesco e imperfetto: tu hai dipinto l'immagine morta di un morto".
Si può supporre che questo testo abbia in un certo senso determinato il modello iconografico del Santo.

L'icona di un Santo va letta su tre livelli: fisico, agiografico, spirituale.
Ritratto fisico. Poiché spesso l'icona di un Santo era eseguita mentre questi era ancora vivo, o subito dopo la sua morte, il pittore ha potuto riprodurne i tratti somatici caratteristici e i lineamenti distintivi dell'individuo, che spesso corrispondono a descrizioni letterarie del tempo. Questo spiega anche il divieto di allontanarsi dagli antichi modelli. Il racconto di molte apparizioni di Santi o di Angeli testimonia come erano riconosciuti uguali alle loro raffigurazioni sulle icone.
Profilo agiografico. Il Santo è raffigurato sulle icone nella sua individualità, nei fatti storici e negli episodi della sua vita, attraverso i suoi miracoli, e con le vesti del tempo in cui visse.
Profilo mistico e spirituale. Il Santo è proposto come individuo ancora vivo nella sua realtà gloriosa nel Cielo.
È possibile rappresentare anche Santi moderni, a condizione che siano rispettate le norme di questi tre livelli, nel rispetto dei canoni della Tradizione.

L'icona del Santo ci mostra un uomo purificato, trasfigurato, deificato. Quest'uomo, consumato dal fuoco della contemplazione, è icona vivente di Dio: è ormai luce. E nell'icona l'uomo di luce diventa innanzitutto volto. Il volto del Santo, luogo della Presenza dello Spirito, è un volto piatto, con una fronte alta e spaziosa, sede della sapienza, spesso solcata da rughe profonde, simbolo della vita ascetica; la bocca è chiusa nel silenzio della contemplazione; gli occhi sono immensi, fissi, immobili; illuminati dall'interno e spalancati sull'infinito.
L'atteggiamento del corpo del Santo è sacramentale e ieratico: i Santi non gesticolano, ma stanno di fronte a Dio nel silenzio e nella contemplazione. L'immobilità indica la pace in Dio, la fiducia, l'incrollabilità della fede. Nell'icona della Trasfigurazione, Mosè ed Elia sono immobili, mentre gli apostoli sono in atteggiamento scomposto per lo spavento: la mobilità, l'agitazione indicano la povertà della vita spirituale, la condizione peccaminosa dell'umanità.

Il corpo del Santo è asessuato, immateriale, perché è un corpo interiore, trasfigurato. Filiforme, allungato e immobile, presenta una rigidità solo apparente che sottolinea la dinamica interiore manifestata attraverso lo sguardo. La figura umana ha perduto ogni naturalismo ed esprime soltanto la trasfigurazione. Anche se il corpo è nudo non si vede la carne, ma lo spirito.
L'atteggiamento delle mani indica preghiera o benedizione.
L'uomo trasfigurato non volta le spalle, né si pone di profilo: è accoglienza, trasparenza silenziosa, tutto sguardo. La posizione frontale è già una presenza; il profilo è segno di rottura, perché interrompe la comunicazione degli occhi.
L'atteggiamento del corpo rappresentato sulle icone è dunque simbolico, perché esprime la vita spirituale del Santo. Il corpo, a sua volta, si prolunga nella veste che sostiene il personaggio sociale e manifesta il progetto spirituale personale. Per il pensiero cristiano il corpo, in un movimento di risposta a Dio che chiama, è interamente al servizio dello spirito. I vestiti, che ricoprono i corpi, hanno grande importanza nel rappresentare il corpo spirituale dei risorti, a causa della simbologia loro attribuita dalle Sacre Scritture, dal Libro della Genesi (3, 21) al Libro dell'Apocalisse (19, 8), dalle tuniche di pelli alla veste nuziale dell'Agnello nella Gerusalemme celeste. Prima che Adamo lasciasse il paradiso, il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì: nella Genesi Dio è l'autore del vestito. L'uomo, spogliato della gloria divina, fu subito rivestito da Dio mediante la promessa della salvezza. L'uomo salvato è colui che ha sostituito "la tunica di pelli" con la gloria dell'immortalità. Perciò, nelle icone, il corpo non appare mai nudo, purché non lo esigano degli episodi storici. E questo per ragioni teologiche, non per decenza o per questioni di gusto.
Nelle icone si può chiamare "vestito" il tessuto delle ascesi dei Santi. Questa non è una metafora, ma l'espressione del pensiero che con gli eroismi spirituali i Santi hanno emanato sul loro corpo un nuovo tessuto di organi luminosi. Nella percezione visibile, questa estensione del corpo è simboleggiata dai vestiti.

Il corpo è nascosto da vesti simboliche, che drappeggiano soltanto l'anima, e diventano così l'immagine del suo rivestimento glorioso, "abito dell'incorruttibilità". Le pieghe, rigide e geometriche, esprimono il ritmo spirituale. Il corpo così si prolunga nella veste. Come nella vita comune il vestito è un'estensione esteriore del corpo, ma anche in un certo senso è la manifestazione estetica della personalità, così, misticamente, la veste amplifica la parola della testimonianza, pronunciata dal corpo, e anche la spiritualità che lo anima. In sostanza, la vera nudità è la superficie del corpo che irradia lo splendore di una piena interiorità, di un completo dominio di sé. E il vero vestito concretizza tale irradiazione, rendendola visibile agli occhi corporei. Invece la nudità umiliante, per l'uomo, è la spoliazione. E pure il vestito è umiliante, quando gli è del tutto accessorio, ossia indossato dall'esterno con motivazioni estranee alla sua interiore identità. Perciò l'uomo alienato, privo di orientamento interiore e profondamente disperso, non riuscirà mai a vestirsi, ma sarà sempre vestito da altri, poiché lui stesso è "corpo spoglio", e tale resterà, sia che vada nudo o che si vesta.
Spesso i vestiti sono allungati da frange, che hanno lo scopo di togliere alla veste ogni delimitazione. La frangia era anche un elemento tipico del vestito giudaico, come provano i Vangeli. Nell'episodio della donna guarita per aver toccato la frangia del mantello di Gesù, è sottolineato che è proprio nella frangia, intesa come limite estremo del suo corpo, che comincia il potere miracoloso di Cristo.
I Martiri sono rappresentati mentre stringono al petto una croce, simbolo della testimonianza che hanno dato con la loro vita, o la "palma della vittoria", in base al testo di San Paolo: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la palma della vittoria che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione." (2 Tim 4, 7-8). Diadoco nota che le malattie sono un sostitutivo del martirio di sangue, così che a ciascuno è dato il carisma del martirio. Il corpo trasfigurato del Santo manifesta dunque ogni forma di martirio. E allora se, come dice Evdokimov, "assumendola totalmente l'uomo è sacerdote della sua morte, e diventa ciò che egli fa della sua morte", per il cristiano che muore nella risurrezione "la morte è interamente nel tempo, perciò dietro di noi".
"Il tuo sepolcro, credilo, è più bello del paradiso", canta la Chiesa. Il fondo oro proietta il Santo all'interno di questa realtà, dove Dio illumina della Sua Presenza e penetra tutte le cose.

Il Volto di Cristo si erge dietro la molteplicità dei volti dei Santi. Volto unico, "sguardo unico" nei grandi occhi immobili del Santo.
Un Santo è inconcepibile senza volto. San Giovanni Battista, decapitato, conserva il proprio volto raggiante e tiene in mano un vassoio dove è posta la sua testa tagliata. Il volto spoglio arriva a volte all'androginia (maschio e femmina), segreto dell'integralità dell'uomo edenico. "Angelo terrestre", a immagine del Cristo dell'Epifania, San Basilio ha un corpo asessuato, "corpo nel più profondo del corpo".
Nudi o velati dagli abiti di cerimonia, vescovi o guerrieri, i Santi sono degli uomini-colonna. Il loro corpo è smisuratamente allungato. L'anatomia naturale espressamente deformata, come pure l'apparente rigidità, non fanno che sottolineare la potenza interiore che anima i corpi. È il volto che esprime lo spirito, è l'uomo "interiore" che affiora e si trova rappresentato.
Alcune deformazioni volute e mirabilmente misurate mostrano il distacco dalle forme terrestri.
Sprovvisto di volume materiale, il corpo alleggerito glorifica la rinuncia al mondo e accentua il carattere ieratico del volto che porta. La parola scompare nel silenzio. I gesti sono misurati e contenuti.
È un universo a parte, rinnovato, abitato liberamente dalle energie divine e da esseri con volto d'eternità mossi dall'epectasi (tensione verso la Parusia); un universo che si dilata senza limiti negli spazi celesti del Regno.
Il Santo conosce le tentazioni e le affronta nell'impassibilità. San Giorgio "subisce in silenzio" e resta nella luce del Risorto: cavaliere che abbatte il dragone o vittima del supplizio, egli irradia la gloria della Vita più forte della morte.
Certo, di fronte all'attivismo un Santo è assolutamente "inutile", come sono inutili la Bellezza e le icone, come è inutile Dio: inutile nelle finzioni e nei sogni di questo mondo, e tuttavia Dio salva, e un Santo illumina e spiega. Nessuna struttura sociologica prevede un essere la cui intera esistenza sarebbe ridotta a una pura teofania. E tuttavia è l'unica cosa "seria", perché mette fine all'assurdità, e pone un altro modo di essere come un sigillo sul cuore del mondo. Accanto ad una civiltà tecnica, altamente pratica e utilitaristica, si pone la cultura dello spirito, che è un campo predestinato per coltivare i "valori inutili", o più esattamente "gratuiti", fino al momento dell'ultimo superamento verso l'Unico, non utile, ma necessario.

Possiamo così sintetizzare la rappresentazione della figura umana nell'icona:
Volto (sguardo, sembianza): occhi;
"volti minori": mani e gambe;
estensioni dell'io: vestiti e natura.
Nell'icona la bellezza è tutta interiore, bellezza spirituale, bellezza-santità che nasce dallo Spirito Santo: è la somiglianza divina acquisita dall'uomo. E la luce dell'icona è luce divina che si riflette nella carne santificata.

La rappresentazione di San Giuseppe.
Nei primi tre secoli, forse per evitare una anche se velata allusione di paternità, la figura di San Giuseppe non compare. Dopo il Concilio di Efeso (431), che proclamava il dogma della Divina Maternità di Maria, non essendovi più possibilità di dubbie interpretazioni, la figura di San Giuseppe compare nelle scene relative alla sua vita e al ciclo dell'infanzia di Gesù. Nell'iconografia paleocristiana, San Giuseppe veste l'abito dei lavoratori: la tunica esomide (nell'antica Grecia era la tunica corta che lasciava scoperta la spalla destra).


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