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Riportata alla luce la tomba di San Paolo

Ultimo Aggiornamento: 13/01/2010 19:39
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I custodi della tomba di san Paolo

Prima le donne poi i benedettini


di Edmund Power

Si pensa che Paolo sia stato decapitato durante una persecuzione di cristiani sotto l'imperatore Nerone, alle Aquae Salviae, un luogo pubblico di esecuzione sulla via Laurentina, pochi chilometri a sud-est dell'attuale basilica a lui dedicata, circa nell'anno 67 dell'era cristiana. Il corpo fu sepolto in un cimitero già esistente dal I secolo prima dell'era cristiana sulla via Ostiense. Secondo una tradizione, alla metà del III secolo le spoglie, assieme a quelle di san Pietro sepolto al Vaticano, furono spostate per protezione nelle "catacombe", luogo dell'attuale basilica di San Sebastiano sulla via Appia. Sarebbero tornate fra il 330 e il 340, al tempo della costruzione della prima basilica sotto l'imperatore Costantino. Seguì poi la costruzione della maestosa ed enorme seconda basilica negli anni 390, che rimaneva fino al disastroso incendio del 1823. La terza basilica, nello stile e nelle dimensioni della seconda, sorse nello stesso luogo nell'Ottocento.

Salvo il soggiorno di meno di cento anni presso le Catacombe, il corpo di Paolo è venerato nel luogo della basilica di San Paolo fuori le Mura, quasi dall'inizio dell'era cristiana. Il punto preciso della tomba rimane sempre quello sotto l'altare principale, dove, grazie agli scavi degli ultimi anni, si può ormai osservare il lato occidentale del sarcofago. Gli studiosi ritengono che il sarcofago attuale risalga agli anni 390, e cioè al tempo della costruzione della seconda basilica. In quel tempo si sarebbero elevati i resti dell'apostolo, trasferendoli nella nuova bara. Da quel tempo non è stato mai disturbato o aperto, neanche durante gli anni dell'incendio e della ricostruzione.

Anche se il sarcofago non è mai stato aperto, ormai, dopo più di 1.600 anni, sappiamo qualcosa del contenuto. Papa Benedetto XVI ha rivelato, all'inizio dell'omelia tenuta nella basilica nell'occasione della conclusione dell'anno dedicato a san Paolo, e cioè il 28 giugno 2009, che un sondaggio discreto era stato condotto. Si era praticato un piccolo foro nel coperchio del sarcofago; usando la tecnica delle fibre ottiche è stato possibile guardare dentro, e poi estrarre qualche frammento di stoffa e di osso. Dopo uno studio accurato in laboratorio, gli esperti sono giunti alla conclusione che i resti sono proprio del I o II secolo, e dunque consoni con il credo che il sarcofago contenga le spoglie mortali di Paolo. Ovviamente, l'evidenza non permette la dichiarazione certificata che questi siano veramente i resti di Paolo, ma non importa:  più importante delle ossa di Paolo è il suo messaggio.
In questa basilica fin dai primi secoli, è sempre venerata la memoria dell'apostolo, e senz'altro la venerazione continuerà, guidata dai monaci benedettini.

Già dal VI secolo comunità monastiche furono fondate presso la basilica, per servire ai bisogni spirituali e forse materiali dei pellegrini. La prima referenza per iscritto si trova su una lapide che risale all'anno 604, l'ultimo del pontificato di Gregorio Magno. La lapide, originariamente allocata sulla facciata interna della seconda basilica, è custodita oggi nel museo lapidario dell'abbazia. Parla del monastero di Santo Stefano delle Serve del Signore, situato a San Paolo, una comunità dunque di donne, non di uomini. Ma al tempo stesso, o poco dopo, c'era anche un monastero maschile dedicato a San Cesareo. Sembra che tutti e due fossero in decadenza verso gli anni 730 quando Papa Gregorio ii fondò il monastero dei benedettini. Egli dunque è ritenuto fondatore dell'attuale abbazia. Fra l'altro egli specificò l'impegno di mantenere accese le candele accanto alla tomba dell'apostolo. Oggi c'è una serie di luci elettriche attorno alla confessio, il luogo davanti all'altare principale dove la gente può venerare la tomba; i monaci, però, continuano a conservare un'unica lampada d'olio. Essa è il simbolo della loro dedizione e servizio, ma suggerisce anche l'amore autosacrificante di Cristo che, morendo, dà la vita, come l'olio che man mano consumandosi e bruciando, crea la luce.


(©L'Osservatore Romano - 14 gennaio 2010)
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