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Lettera di Giuda

Ultimo Aggiornamento: 10/11/2008 20:19
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10/11/2008 20:18

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I falsi maestri
(1,3-16)

3Carissimi, avevo un gran desiderio di scrivervi riguardo alla nostra salvezza, ma sono stato costretto a farlo per esortarvi a combattere per la fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte. 4Si sono infiltrati infatti tra voi alcuni individui - i quali sono già stati segnati da tempo per questa condanna - empi che trovano pretesto alla loro dissolutezza nella grazia del nostro Dio, rinnegando il nostro unico padrone e signore Gesù Cristo.
5Ora io voglio ricordare a voi, che già conoscete tutte queste cose, che il Signore dopo aver salvato il popolo dalla terra d’Egitto, fece perire in seguito quelli che non vollero credere, 6e che gli angeli che non conservarono la loro dignità ma lasciarono la propria dimora, egli li tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del gran giorno. 7Così Sòdoma e Gomorra e le città vicine, che si sono abbandonate all’impudicizia allo stesso modo e sono andate dietro a vizi contro natura, stanno come esempio subendo le pene di un fuoco eterno.
8Ugualmente, anche costoro, come sotto la spinta dei loro sogni, contaminano il proprio corpo, disprezzano il Signore e insultano gli esseri gloriosi. 9L’arcangelo Michele quando, in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti condanni il Signore! 10Costoro invece bestemmiano tutto ciò che ignorano; tutto ciò che essi conoscono per mezzo dei sensi, come animali senza ragione, questo serve a loro rovina. 11Guai a loro! Perché si sono incamminati per la strada di Caino e, per sete di lucro, si sono impegolati nei traviamenti di Balaàm e sono periti nella ribellione di Kore. 12Sono la sozzura dei vostri banchetti sedendo insieme a mensa senza ritegno, pascendo se stessi; come nuvole senza pioggia portate via dai venti, o alberi di fine stagione senza frutto, due volte morti, sradicati; 13come onde selvagge del mare, che schiumano le loro brutture; come astri erranti, ai quali è riservata la caligine della tenebra in eterno.
14Profetò anche per loro Ènoch, settimo dopo Adamo, dicendo: «Ecco, il Signore è venuto con le sue miriadi di angeli per far il giudizio contro tutti, 15e per convincere tutti gli empi di tutte le opere di empietà che hanno commesso e di tutti gli insulti che peccatori empi hanno pronunziato contro di lui». 16Sono sobillatori pieni di acredine, che agiscono secondo le loro passioni; la loro bocca proferisce parole orgogliose e adùlano le persone per motivi interessati.

Il v.3 espone il motivo per cui è stata scritta la lettera. Giuda intendeva comporre uno scritto che istruisse in modo generico i destinatari sulla salvezza cristiana. Ma ora la lettera deve trattare un argomento particolare, volendo opporsi a un pericoloso movimento ereticale nella Chiesa. Di questo pericolo della Chiesa la lettera riferisce nella sua sezione principale 3-16. La lettera mira a denunciare certi maestri di errore che minacciano di rovinare la comunità e smaschera la loro depravazione. Essa descrive gli eretici secondo la loro dottrina (4.8.10) e la loro vita dissoluta (4.8.12.16.19). Giuda scaglia su di loro la sua minaccia (11), perché per loro il giudizio è sicuro (15).

v. 3. I lettori sono interpellati come amati dallo scrivente. La salvezza viene detta "la nostra comune salvezza". La salvezza della religiosità ellenistica è acquisita dai singoli nell’evento appartato dei misteri, mentre nel concetto biblico essa è sempre intesa come salvezza della totalità. Nell’Antico Testamento la salvezza è promessa alla comunità del popolo e alla fine vi sono inclusi anche i pagani. Secondo il Nuovo Testamento essa è opera del Cristo a favore di tutto il mondo. Il pericolo al quale la lettera vuol porre rimedio è indicato come pericolo per la fede della Chiesa. La fede è trasmessa una volta per tutte ai santi, cioè alla Chiesa. Il Nuovo Testamento intende la fede come la risposta al Dio benevolo, quindi essenzialmente come atteggiamento personale di fede e come obbedienza di fede. Ma fin dall’inizio, la fede ha anche un suo preciso contenuto. Paolo esige con insistenza la fedeltà alla dottrina cristiana tramandata (Rm 16,17; 1Cor 11,2). Si esige che la tradizione provenga dal Signore (1Cor 11,23 ). Il trasmettitore autorevole è l’apostolo (2 Ts 2,15 ). La tradizione creata dagli uomini non ha alcun valore (Col 2,8).

Mentre erano ancora vivi gli apostoli la tradizione si consolida in una formula di confessione (1Cor 15,3-4) e già si forma la confessione cristologica del simbolo successivo. Anche l’ordinamento sacramentale della Chiesa si compone in una tradizione fissa (1Cor 11,23). È di questi primi inizi della formazione di una tradizione di fede che parla il v. 3 con l’espressione "la fede trasmessa ai santi una volta per sempre". Il principio cattolico della tradizione appare addirittura completamente sviluppato. La fede è consegnata alla Chiesa una volta per tutte. Il suo compito è di custodirla senza sottrarre o aggiungere nulla. Essa può soltanto sviluppare il patrimonio di fede affidatole. La legge della fede è quindi già promulgata nel Nuovo Testamento. Giuda esorta a "lottare" per la fede. La lotta è il servizio apostolico (Col 1,29; 2Tm 4,7-8) ma anche la vita cristiana in genere (1Cor 9,25; Ef 6,10-17). Anche il Signore parla di lotta da sostenere per entrare nel regno di Dio (Lc 13,24).

v. 4. Giuda offre una prima descrizione dei falsi maestri. Li chiama "certe persone" il che ha evidentemente un senso dispregiativo: non meritano di essere chiamati per nome. Il loro apparire è presentato come un insinuarsi di nascosto nella Chiesa (cfr. Gal 2,4; 2Pt 2,1). Come la grande Chiesa aveva e inviava i suoi apostoli, maestri e profeti, così facevano anche le comunità minori. Le lettere ai Corinzi (2 Cor 11), la lettera ai Galati (2,4) e quella ai Filippesi (3,2) presentano Paolo in lotta con questi altri apostoli che con la violenza e l’astuzia penetravano nelle comunità di Paolo; lo stesso avviene più tardi nelle lettere pastorali (2Tm 3,6). Le lettere di Giovanni si preoccupavano di tenerli lontani dalle comunità (1Gv 4,1; 2Gv 7.10.11; 3 Gv 9). Nel v.4 della lettera di Giuda, i falsi maestri non cercano di formare un’altra Chiesa separata dalla comune madre, ma stanno nella Chiesa e cercano di introdurvi le loro dottrine. Questi eretici sono designati come empi. La loro empietà si manifesta con la loro dissolutezza e la loro negazione di Dio. Costoro "stravolgono la grazia del nostro Dio in dissolutezza". Anche Paolo si rivolta contro un fraintendimento e un abuso del vangelo, che finirebbe nella dissolutezza (Rm 3,5-8; 6,1). Ciò accade quando uno pecca col pretesto che l’uomo in ogni caso è pur sempre un peccatore e necessita della grazia del perdono di Dio, e pensa che la grazia di Dio può dimostrare di essere tanto più potente quanto maggiore è il peccato. Paolo mette in guardia da uno stravolgimento del vangelo della libertà: libertà non è libertinaggio, sfrenatezza e licenza. La libertà è invece un essere liberi per il servizio di Dio (Rm 6,15-22) e per l’amore operoso verso il prossimo (Gal 5,3). In questo contesto la grazia è soprattutto il perdono del peccato e la liberazione dal giogo della legge per raggiungere la libertà dei figli di Dio. Il suo abuso è la dissolutezza morale del libertinaggio.

L’altra caratteristica dei falsi maestri è la loro negazione di Dio o meglio di Gesù Cristo che è il nostro unico sovrano e Signore (cfr. 2Pt 2,1). Il termine despòtes indica una persona che possiede un potere sovrano illimitato. Questa parola usata in senso cristologico indica il potere sovrano di Cristo che lo manifesta proprio quale kùrios, cioè quale Signore Dio.

Questi falsi maestri rinnegano Cristo sia con una condotta dissoluta sia con una esplicita negazione della dottrina cristologica. Essi sono "da lungo tempo predestinati a questo giudizio".Di questo giudizio punitivo trattano i vv. 5-7 e 15. "Questo giudizio" è un’anticipazione di questi versetti. Di questi malfattori e del loro giudizio sta scritto in anticipo, già da lungo tempo, nelle Scritture, come si mostra subito dopo in 5.7.9.14.15.

v. 5. La lettera riporta tre esempi dell’Antico Testamento, affermando però che i destinatari sanno già tutto una volta per tutte. Simili affermazioni possono essere una cortesia dello stile epistolare (1Ts 4,9; Rm 15,14; Gv 2,21-27; ecc.). Ma qui trovano la loro motivazione dal v.3. La fede, come la pienezza della rivelazione di Dio, è stata trasmessa ai santi una volta per tutte. Perciò i destinatari possiedono ogni conoscenza dell’evento salvifico. La dottrina apostolica è fatta essenzialmente e soprattutto dal ricordo di ciò che si sa e si è provato. Ecco perché l’esortazione pasquale suona cosi: "Ricordatevi come vi parlò" (Lc 24,6). La Chiesa di Corinto deve ricordarsi di Paolo e di tutto quello che egli le ha trasmesso (1Cor 11,2). Secondo le lettere pastorali, il compito della predicazione è di far sì che la Chiesa ricordi (2Tm 2,8-14; Tt 3,1). Nel richiamo e nel ricordo della Chiesa la fede e la dottrina vengono trasmesse, e così esse giungono ad una sempre nuova e profonda comprensione da parte della Chiesa.

Il primo esempio biblico è tratto dalla storia d’Israele. Dio ha salvato una volta il suo popolo, quando lo fece uscire dall’Egitto. Ma quando il popolo divenne incredulo, egli lo annientò (Nm 14,26-35). La storia è una prefigurazione degli eretici e della loro sorte. Essi una volta hanno ricevuto la salvezza, ma si sono lasciati indurre all’incredulità e alla defezione, e la loro rovina è sicura.

v. 6. Il secondo esempio biblico è la caduta degli angeli. Essendo potenti principi celesti essi avevano il loro dominio. Secondo la concezione del tardo giudaismo e del Nuovo Testamento, gli esseri spirituali celesti hanno le loro zone di dominio nel mondo, tanto che gli esseri angelici si possono perfino chiamare potenze (Rm 8,38; Col 2,15). Secondo Dt 32,8 LXX, agli angeli di Dio sono stati assegnati dei popoli (cfr. Dt 10,12-20). Il loro potere è così grande, che essi appaiano come "dominatori del mondo" (Ef 6,12). Secondo Ef 2,2; 3,10, la loro dimora si trova nelle regioni subcelesti o nell’aria in genere. Certamente Paolo assegna questi luoghi agli spiriti malefici, ma presuppone che gli spiriti siano stati creati come spiriti buoni (Col 1,16).

Per certi loro crimini, questi angeli perdettero i loro ambienti di dominio celeste e subirono una grave punizione. Dio li incatena con vincoli eterni nel buio fino al "giudizio nel grande giorno".

Riferita agli eretici, la caduta degli angeli è un esempio che ricorda quale punizione debbano aspettarsi coloro che tradiscono un’alta dignità; ma al tempo stesso è anche un esempio della punizione per la lussuria, poiché il v.8 rimprovererà agli eretici proprio questo peccato.

v. 7. Il terzo esempio è la fine di Sodoma e Gomorra, un esempio del giudizio punitivo di Dio ricordato spesso nella tradizione biblica (Ger 23,14; Ez 16,48-50; Mt 10,15; 11,24; Rm 9,29). Con Sodoma e Gomorra Giuda ricorda le città limitrofe, che subirono la medesima punizione. Secondo Dt 29,22 e Os 11,8 si tratta di Adma e Seboim. Il delitto di queste città fu che esse "commisero atti di libidine e seguirono carne diversa". Giuda richiama il racconto di Gen 19,4-25, secondo cui gli abitanti di Sodoma volevano violentare i due angeli che avevano preso alloggio presso Lot come ospiti. La loro era una carne diversa, poiché erano angeli che si erano incarnati. La Bibbia racconta che i Sodomiti non poterono attuare il loro progetto per l’intervento di una forza superiore. Il luogo delle città peccatrici è visibile a tutti: il Mar Morto. Il terribile fenomeno naturale del Mar Morto è spiegato così: là sotto giacciono le città depravate, punite col fuoco eterno.

v. 8. Dai tre esempi di peccato deriva l’applicazione agli eretici, i quali peccano allo stesso modo. Essi sono indicati anzitutto come enupniazòmenoi, cioè sognatori. La spiegazione del vocabolo si deduce dall’uso che ne fa l’Antico Testamento. Dt 13,2.4.6, mette in guardia dall’istigazione al culto degli idoli da parte di profeti o sognatori. In Is 56,10 le guide del popolo sono accusate di assomigliare a cani muti che sognano accovacciati e amano il sonno. In Ger 34,9 e 36,8 LXX coloro che illudono il popolo sono elencati in questi termini: falsi profeti, indovini e sognatori. I sogni di questi falsi profeti non sono soltanto sogni di desiderio, ma visioni false e bugiarde. Secondo il giudizio della lettera sono sicuramente visioni demoniache, che diventano fatali per gli stessi sognatori, che poi se ne servono per ingannare e sedurre gli altri.

Agli eretici sono rimproverati tre misfatti. Essi contaminano la carne: fanno come i Sodomiti, che erano avidi di rapporti sessuali sfrenati. Essi rifiutavano la sovranità del Signore, disobbedendo ai precetti di Gesù Cristo. E, infine, bestemmiano le potenze celesti, ossia, come i Sodomiti volevano violentare gli angeli in figura d’uomo, così gli eretici bestemmiano e disprezzano gli angeli del cielo.

v. 9. Un esempio desunto dalla storia sacra mostra quanto siano presuntuosi i bestemmiatori. Una volta l’arcangelo Michele dovette lottare col diavolo per il corpo di Mosè, eppure si guardò bene dal bestemmiare satana. Quindi i bestemmiatori si permettono ciò che neppure l’arcangelo osò fare nei confronti di satana rimproverato. Tanto meno semplici uomini possono bestemmiare le signorie angeliche. Questa leggenda riportata da Giuda si trova nell’"Assunzione di Mosè". La parte del libro, che trattava della morte e sepoltura di Mosè, è andata perduta. La tradizione prendeva lo spunto da Dt 34,6:"E Jahvè seppellì Mosè". Poiché questo antropomorfismo sembrava troppo ardito, i LXX tradussero: "Si seppellì Mosè" e Filone (Vita di Mosè 2,291) dice che lo seppellirono forze angeliche immortali.

Nell’angelogia giudaica Michele è soprattutto il protettore d’Israele e l’antagonista del diavolo. Combattendo col diavolo, Michele non osò condannare e maledire il diavolo con una sentenza di giudizio (sarebbe stata una bestemmia), ma lasciò che fosse Dio a giudicare il diavolo. Michele fa ciò servendosi di una frase desunta da Zc 3,2 dove con un procedimento simile è descritta una contesa fra un angelo e un diavolo a proposito del sommo sacerdote Giosuè.

v. 10. Questo v. si riallaccia al v.8. I tre rimproveri del v.8 sono qui riassunti nei due della bestemmia e della soddisfazione delle voglie. Come motivo delle loro bestemmie ora si rinfaccia agli gnostici proprio la loro ignoranza. Al v.19 si dirà che non hanno lo Spirito, ma sono psichici. Perciò non possono conoscere le cose celesti e spirituali. Secondo 1Cor 2,10.14-15, l’uomo psichico non capisce le cose dello Spirito di Dio e soltanto l’uomo pneumatico (che ha lo Spirito) può giudicare di tutto. Agli eretici manca quella comprensione spirituale al punto di ridursi in balia dell’istinto naturale. Essi capiscono solo ciò che muove anche l’animale. Poiché nei vv.4.7.8 si parla di lussuria, probabilmente qui si parla di colpe sessuali.

L’immoralità sessuale compare anche in Rm 1,24 come conseguenza dello smarrimento intellettuale. Gli eretici precipitano nella rovina e nella perdizione che seguono al giudizio e alla punizione di Dio.

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