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IL SINCRETISMO RELIGIOSO è UNA RELIGIONE?

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2008 17:07
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15/11/2008 17:02

E’ veramente finita la possibilità di una ricerca autentica della verità? Le religioni sono tutte sullo stesso piano, rappresentando ognuna solo una parte della verità sul soprannaturale? L’uomo moderno sembra ormai costretto a rifugiarsi nel vago sincretismo di una religione fai-da-te, che fonde insieme elementi diversi, spesso in contraddizione fra loro, a volte intrisi di esoterismo e magia, che non hanno più alcuna pretesa di verità. È il fenomeno del sincretismo religioso che dilaga in tutto il mondo. Un fenomeno rivelatore della crisi del rapporto tra fede e ragione che investe la nostra epoca e che rappresenta una delle sfide più importanti per l’evangelizzazione.In questo dossier di Fides, vengono analizzate le attuali tendenze con una prospettiva attenta alla storia del cristianesimo e agli spunti dottrinali del Magistero, con l’intervento di alcuni esperti nel campo.

La crisi della verità 

Secondo i dati dell’Annuarium Statisticum Ecclesiae dal 1978 al 2002 il numero dei cattolici battezzati è cresciuto in 24 anni del 43,5%, da 757 milioni a 1 miliardo e 70 milioni. Se però si confrontano questi dati con l’aumento della popolazione mondiale si nota che dal ’78 al 2003 i cattolici sono diminuiti: dal 18% al 17%. Sono ancora più interessanti i dati specifici per ogni continente. In Africa c’è stato un incremento del 151% a cui fa da controparte l’Europa che è rimasta sostanzialmente stazionaria (5,09%). In Asia l’aumento è stato del 74% circa e in America e Oceania intorno al 45-49%. Un altro indicatore importante è l’andamento delle vocazioni sacerdotali in ogni continente: in Europa ogni 100 sacerdoti i candidati a sostituirli sono solo 12 mentre in Africa e in Asia ce ne sono tra i 60 e i 70. Questi dati mostrano come l’Europa sia un punto centrale per il futuro del cattolicesimo. Cosa succede in Europa? Molti sociologi concordano su un punto fondamentale: in Europa sempre di più si è andato diffondendo un atteggiamento disinvolto e individualista nei confronti della religiosità. Proprio nella culla del cristianesimo la secolarizzazione ha portato le persone a sentirsi sempre meno legate alla religione cristiana. È interessante notare che in realtà questo “slegarsi” non è affatto sintomo di una perdita di “senso religioso”. Il problema principale non sembra affatto essere l’ateismo. Secondo i dati del World Christian Trends del 2001 gli atei e i non-religiosi dichiarati, rappresentano il 15% della popolazione mondiale, percentuale che dagli anni ’70 è in continuo calo. Una nota sociologa inglese, Grace Davie, coniò l’espressione “credere senza appartenere” per indicare questa tendenza, soprattutto degli europei, a credere in un Dio nel senso generico del termine, senza però sentirsi legati ad una particolare religione. Il punto sembra essere che in Europa a poco a poco la religione e i suoi precetti si siano sempre più allontanati dalle scelte della vita privata. In altre parole la tendenza è quella di appartenere al cristianesimo nominalmente avendo però numerose riserve sugli insegnamenti “ufficiali” e, di conseguenza, cercando in altri luoghi le risposte all’anelito religioso. Come afferma Massimo Introvigne nell’intervista che riportiamo in questo dossier: “Questo "credere senza appartenere" che è di per sé sincretistico, è la religione di maggioranza relativa nell'Unione Europea e coinvolge più del 50% delle persone”. È quella che si potrebbe chiamare la religione “fai-da-te” secondo la quale un credo vale l’altro e non è possibile reperire una verità unica, assoluta, una via chiara e sicura per la salvezza. È una crisi della verità che non investe solo l’ambito della religione ma ha eco anche nella ricerca razionale. L’idea di fondo è che non esistono criteri che possano stabilire se una religione è più vera delle altre. Una religione equivale l’altra, le sue credenze e i suoi precetti non sono altro che una manifestazione circoscritta e parziale di un anelito religioso comune a tutti gli uomini. Si arriva allora dal relativismo al sincretismo. Ognuno ritaglia sulle sue esigenze individuali e, potremmo dire, sui suoi gusti, una religione su misura che mescola elementi di diverse culture e credi, in un mix personalizzato e soggetto a mutamenti. L’esperienza religiosa diventa individuale, privata, non c’è più la necessità della religione nel senso stretto del termine. Indubbiamente sono molti gli elementi che hanno contribuito a questa situazione di sincretismo relativista: il materialismo della moderna società dei consumi che non riesce più ad accontentare i bisogni profondi delle persone, la chiusura nei confronti della spiritualità della cultura laica, il rigido positivismo di una medicina che considera il corpo soltanto una macchina ecc., tutti elementi che portano le persone a ricercare altrove il senso della vita. Una ricerca che sembra andare in direzione di una fusione di credenze diverse, senza pretese di verità, e che sembra non avere più bisogno di rivolgersi alle religioni.

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15/11/2008 17:03

Dall’esaltazione della ragione al rifugio nell’irrazionale Per capire appieno il fenomeno della religione “fai-da-te” e del sincretismo bisogna considerare l’evoluzione della storia del pensiero occidentale. L’agnosticismo, la negazione della conoscibilità razionale di Dio e della verità, il relativismo in campo filosofico, il concetto di autorealizzazione e di indipendenza dalla morale, in una parola la modernità, ha contribuito a creare nell’uomo moderno occidentale un senso di smarrimento degli orizzonti di riferimento e di sfiducia nei confronti della ricerca della verità, sia in campo razionale-filosofico sia in ambito religioso. La disinvoltura con cui oggi chiunque si sente autorizzato ad abbracciare credenze più diverse semplicemente perché le preferisce o ne rimane affascinato, era impensabile fino a qualche secolo fa. In epoche passate si usava una certa prudenza nell’affrontare temi come “ciò che è giusto o ingiusto”, cosa significa “verità”, “soggetto”, “valore”, “chi è Dio”. Prudenza che non era paura di esprimersi liberamente o semplicemente cieca sottomissione all’autorità. Si trattava di una vera e propria consapevolezza che non si può parlare di qualsiasi argomento in modo spontaneo e impreparato. Consapevolezza che oggi sembra essere applicabile solo alle tematiche scientifiche. Anche se, a ben vedere, lo stesso pensiero scientifico è in profonda crisi, perché nemmeno la scienza è riuscita a dimostrare di poter risolvere i problemi dell’umanità. In passato, questa stessa, diciamo così, prudenza, riguardava tutte le tematiche che hanno a che fare con il comportamento umano e con la religiosità. Questa consapevolezza nasceva da una diversità sostanziale rispetto al nostro modo di intendere la realtà: in passato gli uomini si sentivano parte di un ordine più alto, un ordine cosmico, la “Grande Catena dell'Essere”. In questi ordini le cose della natura e l’uomo avevano il significato conferitogli dal posto che occupavano nella “Catena”. La fonte unica e assoluta di moralità, per raggiungere la pienezza dell'essere, era trascendente (Dio, l'Idea del Bene). Lo stesso essere umano traeva il significato della sua vita dal suo essere inserito in un preciso posto in quella Catena. Inoltre, per sua stessa natura, quest’ordine era pubblicamente accessibile e condiviso ampiamente. Ciò valeva anche per possibili “eretici” rispetto agli orizzonti condivisi: le loro stesse accuse e dissociazioni erano comunque formulate nei termini di un ordine superiore e più elevato rispetto all’uomo. L’idea di libertà moderna nacque dal discredito in cui caddero questi ordinamenti. Discredito dovuto a vari fattori che ha una radice e uno sviluppo ben preciso nella storia del pensiero occidentale. Individuabile precisamente in quell’insieme di cambiamenti che hanno portato, dalla fine del ‘600 a oggi, allo sviluppo di una nuova prospettiva profondamente diversa da quella del passato. I quadri di riferimento morali sono divenuti opzionali, sono frutto delle mutevoli interpretazioni umane e non si fondano più strettamente sulla natura delle cose. Le fonti di moralità, e diremmo di religiosità, non sono più esterne all’uomo. Oggi assistiamo ad una sorta di democratizzazione della possibilità di fornire risposte ai problemi fondamentali della vita. I media, con lo sviluppo delle tecnologie, non hanno fatto altro che potenziare e accelerare questo processo. Oggi questo agnosticismo che di fondo nega la possibilità di una ricerca autentica della verità, si sposa perfettamente con forme gnostiche e sincretistiche che riescono a far convivere diverse visioni dell’uomo, del mondo e Dio, senza pretesa che una sia più vera e più valida dell’altra. Dal relativismo al sincretismo Dal razionalismo illuminista, che di fatto ha dimostrato i suoi limiti essendo incapace di dare risposte definitive alle questioni fondamentali della vita, si è arrivati ad un rifiuto della razionalità e alla ricerca del significato in aspetti sentimentalistici e vitalistici. Da qui ad esempio la grande espansione della cosiddetta New Age come esaltazione dell’istintività sull’intelletto. La questione non è più la verità né chi è Dio. La domanda sulla verità è in qualche modo diventata irrilevante essendo rimpiazzata dalla domanda più importante: cosa mi può dare una vita più ricca più interessante, più ampia, più soddisfacente. È l’impulso religioso dell’individuo ripiegato su se stesso che non ha più fiducia nella verità. Dio e il discorso sulla verità della fede sono esclusi dalla coscienza pubblica e relegati alla sfera privata, al “fai-da-te” del singolo. L’allora Card. Ratzinger in una conferenza tenuta il 1 aprile 2005 a Subiaco dal titolo L’Europa nella crisi delle culture ha lucidamente esposto questa tematica: “l’Europa, sin dai tempi del Rinascimento, e in forma compiuta dai tempi dell’illuminismo, ha sviluppato proprio quella razionalità scientifica che non solo nell’epoca delle scoperte portò all’unità geografica del mondo, all’incontro dei continenti e delle culture, ma che adesso, molto più profondamente, grazie alla cultura tecnica resa possibile dalla scienza, impronta di sé veramente tutto il mondo, anzi, in un certo senso lo uniforma. E sulla scia di questa forma di razionalità, l’Europa ha sviluppato una cultura che, in un modo sconosciuto prima d’ora all’umanità, esclude Dio dalla coscienza pubblica, sia che venga negato del tutto, sia che la sua esistenza venga giudicata non dimostrabile, incerta, e dunque appartenente all’ambito delle scelte soggettive, un qualcosa comunque irrilevante per la vita pubblica”. Questo rifiuto si è di fatto mostrato nella resistenza a menzionare nella Costituzione Europea le radici cristiane ma, come fa notare Ratzinger, questo “rifiuto del riferimento a Dio, non è espressione di una tolleranza che vuole proteggere le religioni non teistiche e la dignità degli atei e degli agnostici, ma piuttosto espressione di una coscienza che vorrebbe vedere Dio cancellato definitivamente dalla vita pubblica dell’umanità e accantonato nell’ambito soggettivo di residue culture del passato”. Il perno di tutto questo è il relativismo “che si crede in possesso della definitiva conoscenza della ragione, ed in diritto di considerare tutto il resto soltanto come uno stadio dell’umanità in fondo superato e che può essere adeguatamente relativizzato”. Il relativismo considera le credenze tutte sullo stesso piano, non esiste una verità oggettiva e assoluta pertanto una vale l’altra. Ciò che per qualcuno è vero non lo è per l’altro, la convinzione soggettiva ha soppiantato la possibilità di un discernimento oggettivo. Le domande fondamentali non possono ricevere risposta proprio perché è scomparsa la possibilità di raggiungere verità definitive. Non ci sono riferimenti che possano fondare la veridicità di un ragionamento o la razionalità di un’affermazione. Si tratta di un profondo smarrimento che non può non incidere e ripercuotersi anche a livello del discorso religioso. Il mondo delle religioni e il Cristianesimo, con la sua pretesa di verità chiara ed esplicita, non si salva da questa dinamica relativista. Il concetto di realtà, verità, valore sono frammentanti in mille diverse possibili interpretazioni e concezioni come i cocci di un vaso rotto.
[Modificato da Evergete 15/11/2008 17:07]
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15/11/2008 17:05

Il sincretismo come reazione alla crisi della razionalità

Non stupisce allora che la New Age e nuove forme di religiosità, di cui ci occuperemo più avanti, abbiano trovato terreno fecondo in questo contesto culturale proponendo una fusione di credi diversi che però non pretende di indicare una via unica, una concezione precisa, ma si accontenta di una serie di concezioni sfumate e confuse, ponendo al di sopra di tutto l’io.
La conseguenza di tutto ciò è un riflusso di sincretismo religioso: non è possibile giungere ad una verità assoluta, non rimane che fare un collage di frammenti di verità a seconda del propri bisogni. Fondere assieme elementi di diverse religioni, culture, tradizioni, spesso non convergenti e addirittura non conciliabili.
Come scrive Laura Rossi in Relativismo e sincretismo, la verità religiosa è diventata un gioco di puzzle: “È, il sincretismo, la fusione di elementi presi da forme religiose diverse e non convergenti. Cioè la credenza sincretistica si fonda in genere sulla interpretazione dei sistemi di pensiero e delle correnti religiose da cui trae gli aspetti fondamentali che in alcuni casi tende a minimizzare, eliminare o sottolineare nelle loro affinità. In altri casi accosta e mescola elementi completamente inconciliabili e incompatibili tra loro. Cioè, in pratica, il sincretismo prende elementi dalle varie realtà, li mette insieme e crea una nuova concezione filosofica, religiosa o quant'altro. In questo modo il sincretismo è un atteggiamento riduttivo nei confronti delle forme dottrinali originarie da cui trae gli elementi perché li riduce, li svuota di significato per crearne uno nuovo (…) dove il soggettivismo e la fantasia regnano incontrastati”.
Non è perciò importante a quale credo si appartenga, ma l'effettivo impegno nella ricerca interiore all'interno della religione o dottrina nella quale si è stabiliti, per scelta o cultura. Il sincretismo religioso, infatti, afferma la sostanziale unità di tutte le fedi e le scuole di pensiero, al di là dei dogmi e delle differenze formali ed esteriori; secondo la visione sincretista, i concetti e princìpi fondanti di ogni credo (quali ad esempio la paternità di Dio e la fratellanza degli uomini, il valore e l'importanza della preghiera, l'amore universale, ecc.) sono gli unici e gli stessi.
Nell’enciclica Fides et Ratio, Giovanni Paolo II descrive quel lungo percorso iniziato dal Medioevo che ha portato dapprima la ragione ad erigersi al di sopra della fede per poi arrivare a credere di poterne fare completamente a meno, fino ad arrivare ad un aperto scontro: dalla ragione senza la fede alla ragione contro la fede. "La nostra epoca è stata qualificata da certi pensatori come l'epoca della ‘post-modernità'. Questo termine, utilizzato non di rado in contesti fra loro molto distanti, designa l'emergere di un insieme di fattori nuovi, che quanto a estensione ed efficacia si sono rivelati capaci di determinare cambiamenti significativi e durevoli". In questi cambiamenti sono presenti quelle "reazioni che hanno portato a una radicale rimessa in questione" della "pretesa razionalista" tipica della modernità.
Il processo di secolarizzazione fino a poco tempo fa sembrava andare nella direzione di una progressiva diminuzione della religione in relazione allo sviluppo della mentalità scientifica e del progresso tecnologico. Ma le cose oggi appaiono diverse. La crisi della razionalità scientifica ha in realtà portato ad un ribaltamento, ad una rinnovata scoperta del “religioso”. Si potrebbe quasi dire che oggi è la secolarizzazione stessa ad essere a rischio di estinzione.
Ma questa riscoperta del religioso ha caratteristiche molto singolari, come abbiamo visto, perché è un ritorno del religioso e della fede che, in qualche modo, risente del contrasto fede-ragione e, privilegiando la prima a scapito della seconda, cede facilmente all’irrazionalismo o perlomeno rinuncia ad una ricerca del soprannaturale supportata dalla ricerca della verità.
Da qui l’atteggiamento sincretista e il proliferare di nuove forme di religiosità o di correnti come la New Age.

La New Age e le nuove forme di religiosità come alimentatori dell’atteggiamento sincretista

Di fronte a questa, che potremmo chiamare crisi della società occidentale, si manifestano quindi dei segnali di ricerca del “religioso” del “soprannaturale” per rispondere al disagio di una cultura ormai priva di risposte. Giovanni Paolo II nel suo discorso ai Vescovi di quattro stati Americani il 28 maggio 1993 costatava l’emergere di questo nuovo impulso: “c'è una nuova esigenza di «spiritualità» come dimostra il sorgere di molti movimenti religiosi e consolatori che tentano di reagire alla crisi di valori nella società occidentale”.
Questa “nuova esigenza di spiritualità” ha visto proliferare in tutto il mondo nuovi movimenti e credi religiosi di diversa natura, un fenomeno di portata internazionale in cui rientra in qualche modo anche la cosiddetta New Age e di cui si è occupato anche il Magistero.
I documenti più interessanti su questo tema sono la relazione finale del Concistoro straordinario del 1991 firmata dal Card. Francis Arinze, che si occupa soprattutto delle nuove forme di religiosità, e un documento del Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Gesù Cristo portatore dell’acqua viva, che viene scritto per affrontare il tema della New Age.
Il documento firmato dal Card. Arinze nel 1991, La sfida delle sette o nuovi movimenti religiosi: un approccio pastorale, è la relazione finale del Concistoro straordinario del 1991 che, accanto ai temi della difesa della vita nella società moderna, si occupò anche del fenomeno dei nuovi movimenti religiosi emergenti, soprattutto nell'ottica del diffondersi di una vera e propria nuova religiosità che interessa cerchie sempre più vaste di persone e che spesso si insinua anche nei fedeli cattolici.
Una nuova religiosità slegata dalla dottrina della Chiesa e che porta chi vi aderisce ad abbracciare credenze spesso in netto contrasto con la fede. Nel documento viene definita "preoccupante [...] la silenziosa penetrazione fra i Cristiani di movimenti non-Cristiani che favoriscono la doppia appartenenza. Questi movimenti guadagnano terreno al di là dei propri confini attraverso la diffusione di credenze e pratiche che sono contrarie alle verità essenziali della fede".
Massimo Introvigne a questo proposito nel suo La questione della nuova religiosità In appendice la relazione generale al Concistoro Straordinario del 1991, indica il caso Italia come emblematico: sebbene l’appartenenza ai nuovi movimenti religiosi è quantitativamente bassa, si assiste ad una notevole diffusione di credenze neo-religiose. I dati di dicono che il 21% degli adulti e il 31% dei giovani in Italia credono nella reincarnazione. E, sempre secondo i dati che riporta il CESNUR, in Europa un cittadino su 4 crede nella reincarnazione.
Il documento affronta il tema dei nuovi movimenti religiosi anche in una chiave potremmo dire auto-critica. Questi movimenti sono una sorta di rivelatore di alcune debolezze della presenza pastorale della Chiesa e proliferano o trovano terreno fecondo laddove in qualche modo l'azione pastorale non sembra rispondere sufficientemente ai bisogni dei fedeli.
La relazione esamina quale sia l’origine dei nuovi movimenti religiosi e le ragioni della loro diffusione. Nella società secolarizzata, in cui Dio è stato messo al margine della vita, non è stata soppressa l’"esistenza di bisogni spirituali" che però spesso "non sono stati identificati, oppure che la Chiesa e altre istituzioni religiose non hanno percepito o a cui non hanno saputo rispondere".
Non è solo un problema di ignoranza, di cattiva formazione. Bisogna riconoscere innanzitutto la natura propriamente “religiosa” del fenomeno. In "un periodo di cambiamenti culturali, che genera un senso di smarrimento" molte persone si rifugiano in spiritualità o culti che sembrano rispondere in modo più diretto e meglio alle esigenze profonde di significato. La maggior parte di queste persone sono cristiani, spesso cattolici. Sono spinti da una "sete di conoscenza delle Scritture, di cantare, danzare, di avere soddisfazioni emotive e risposte chiare e concrete" che molte volte non trovano nella pratica religiosa “ufficiale”.
In altri casi c’è una ricerca di "guarigione fisica e psicologica" oppure della "protezione contro la stregoneria, il fallimento, la sofferenza, la malattia e la morte". Soprattutto accade in Africa dove secondo le stime ufficiali almeno il 20% della popolazione è attratto dalle nuove religioni perché si sentono da queste meglio protette dalla stregoneria e dal malocchio, rispetto alle Chiese ufficiali.
A creare quel vuoto che viene riempito da queste nuove forme di religiosità è spesso una serie di debolezze che possono presentarsi nel ministero pastorale della Chiesa. Il documento ne elenca le principali: lo scarso numero di sacerdoti, l’ignoranza della dottrina oppure la vastità e l’impersonalità delle parrocchie, in altri ancora il clericalismo che emargina i laici e ne svilisce il ruolo all’interno dell’azione pastorale. Fino ad arrivare alla freddezza nella liturgia o all’intellettualismo della predicazione.
Tale analisi deve essere di stimolo per una rinnovata attività della Chiesa. Si legge nel documento: "il dinamismo della loro azione missionaria, la responsabilità evangelizzatrice assegnata al nuovo "convertito", il loro utilizzo dei mass-media, il mettere in risalto gli obiettivi da ottenere, potrebbero farci porre domande su come rendere più dinamica l’attività missionaria della Chiesa".
Questa nuova religiosità, secondo il documento, lancia una sfida culturale di notevole portata. Una sfida che non riguarda solo gli aderenti ai nuovi movimenti religiosi: alcune idee come la reincarnazione, l’"auto-realizzazione [...] esaltata più della vita di grazia", la sfiducia nella Chiesa gerarchica, di fatto sono penetrate anche all’interno della Chiesa cattolica.
Lo studio dei nuovi movimenti religiosi è infatti interessante a partire dall’influenza che gli aderenti esercitano su molti altri. Introvigne, nel suo testo di commento a questo documento, sottolinea come esistano tre livelli: al primo si trovano gli appartenenti ai diversi gruppi, al secondo livello tutti coloro che senza aderire a movimenti specifici condividono alcune credenze e, infine, un terzo livello che include coloro che pur appartenendo alle Chiese tradizionali, compreso qualche teologo, sono influenzati dalle idee della nuova religiosità.
Ma quella lanciata dalla nuova religiosità è una sfida soprattutto di carattere dottrinale. Non ci si può limitare a vederne le conseguenze solo a livello culturale e sociale. La Chiesa va oltre e si preoccupa di queste nuove forme di religiosità soprattutto perché "allontanano i cattolici dall’unità e dalla comunione della Chiesa" e portano spesso ad "abbandonare la [...] fede", il che accade quando chi vi ha aderito rimane deluso e finisce per "guardare a tutta la religione come un inganno".
Allora quale deve essere la risposta pastorale della Chiesa? Il punto di maggiore interesse sembra essere l'invito allo studio e alla conoscenza di queste nuove forma di religiosità con uno spirito ben preciso: "Non dovrebbero essere fatte condanne indiscriminate (...) i cattolici dovrebbero essere sempre pronti a studiare e identificare gli elementi o le tendenze che sono in se stessi buoni o nobili e dove sia possibile collaborare. Dovrebbero anche attendere allo studio e all’osservazione di movimenti che finora presentano un’immagine non chiara".
Perciò l’invito è allo studio e al dialogo, o meglio al dialogo che deve essere condotto "con la dovuta prudenza e discernimento" e che dovrebbe essere riservato a "persone ben preparate" altrimenti "potrebbe essere inutile e dannoso per coloro non ben preparati al confronto con il forte proselitismo di alcuni ".
Il problema, si legge nel documento, è che molti “attraggono i cattolici in luoghi dove nella comunità cattolica vi è disorientamento dottrinale o confusione". Non è solo un problema di ignoranza religiosa ma è una confusione generata anche dai "dubbi seminati da alcuni teologi cattolici e da altri che contestano alcuni insegnamenti del Magistero".
Alcuni nuovi movimenti religiosi "pongono più l’accento sull’aspetto emozionale che su quello speculativo" rispondendo peraltro a bisogni reali delle persone che sono alla ricerca di significato. Allora "la dimensione dell’esperienza religiosa non dovrebbe essere dimenticata nella nostra presentazione del cristianesimo" anche le "celebrazioni paraliturgiche e popolari" dovrebbero essere rivalutate.
E poi il fatto che queste nuove forme di religiosità hanno séguito proprio perché "mostrano una grande attività laica". Questo fa riflettere su quella tendenza al clericalismo che spesso si genera in alcune comunità cristiane che "può emarginare il fedele laico e fargli vedere la Chiesa come un’istituzione guidata da funzionari burocratici ordinati".
Insomma il documento guarda a questo fenomeno delle nuove forme di religiosità come a "una sfida e un’opportunità". Il fenomeno mostra a tutta la Chiesa come "le persone (…) hanno fame di qualcosa di più profondo nella loro vita religiosa. Il pericolo è che essi a breve termine offrano qualcosa di buono ma che a lungo termine si generi confusione. Così persone attirate da loro possono perdere le loro radici cattoliche e nonostante una crescita temporanea essere alla fine lasciate in una situazione spirituale peggiore".
Lo sviluppo delle forme di nuova religiosità va perciò ad alimentare la tendenza al sincretismo di chi, nella società pervasa dal relativismo e dalla razionalità scientifica, non trova più nella “religione ufficiale” risposte adeguate al suo bisogno di spiritualità.
Ma in questo discorso bisogna tenere presente un altro fenomeno che ha portato in epoca recente ad una notevole diffusione di spirito sincretista soprattutto in Occidente: la cosiddetta New Age.
Il fenomeno New Age
Così Giovanni Paolo II metteva in guardia i pastori statunitensi: “Le idee del New Age alcune volte penetrano nella predicazione, nella catechesi, nei seminari di studio e nei ritiri e quindi influenzano anche cattolici praticanti che forse non sono consapevoli dell'incompatibilità di quelle idee con la fede della Chiesa. Nella loro visione sincretistica e immanente, questi movimenti parareligiosi prestano poca attenzione all'Apocalisse e invece tentano di giungere a Dio attraverso conoscenze ed esperienze basate su elementi presi in prestito dalla spiritualità orientale e dalle tecniche psicologiche. Essi sostituiscono la responsabilità personale delle proprie azioni di fronte a Dio con un senso del dovere verso il cosmo e in tal modo ribaltano il vero concetto di peccato e il bisogno di redenzione attraverso Cristo”.
Massimo Introvigne nel suo Che cos’è la New Age spiega che la particolarità del fenomeno consiste nel fatto che la New Age non è un vero e proprio movimento. Non ci sono capi riconosciuti, né sedi o strutture, non è un gruppo a cui si "aderisce" o a cui ci si "iscrive". I sociologi della religione la definiscono piuttosto un “network” una "struttura a rete". Anzi a bene vedere, secondo lo studioso, si tratta di un “metanetwork“ ovvero del “luogo in cui network diversi si incontrano e interagiscono”. Appare quindi come un fenomeno difficile da definire: non ci sono né dottrine né princìpi comuni, ma solo un "ambiente", uno "stile di vita" o una "metafora". La New Age si potrebbe descrivere come uno stato d’animo condiviso. Le persone che vi aderiscono hanno come la sensazione di stare per entrare in un’epoca nuova, che è contrassegnata da cambiamenti radicali e qualitativi non in uno solo, ma in tutti i settori della vita dell’uomo.
La New Age risulta permeata da teorie astrologiche, in particolare dalla teoria della precessione degli equinozi, secondo cui il sole cambierebbe di segno zodiacale ogni 2160 anni circa. “La teoria ha radici molto antiche – scrive Introvigne - se ne trovano tracce già in ambiente pitagorico - ma la sua versione moderna risale a un’opera del 1937, L’Ère du Verseau.Le secret du Zodiac, le proche avenir de l’humanité, dell’esoterista francese Paul Le Cour, nato nel 1871 e morto nel 1954”. Secondo Paul Le Cour verso l’anno 2160, l’Età dei Pesci, che corrisponderebbe all’Età Cristiana, dovrebbe cedere il passo all’età dell’Acquario. Un’epoca in cui si assisterà a qualcosa di nuovo rispetto al cristianesimo. Altri autori New Age hanno poi contestato questi calcoli riportando il presunto passaggio alla nuova età in una data tra il 1920 e il 2300. Questo tema del passaggio ad una nuova età, appunto New Age, è diventato popolare negli Stati Uniti negli anni ’60 ed ha ricevuto una diffusione tra i giovani del mondo grazie alla commedia musicale Hair del 1968, le cui canzoni inneggiavano all’Età dell’Acquario. “La data del 1968, afferma Massimo Introvigne, non è casuale e ci porta all’altra radice psicologica del New Age: i postumi delle rivolte studentesche del 1968, che - per quanto, come oggi si sa, si sia trattato in gran parte di fenomeni non spontanei ma sapientemente organizzati e pilotati - promettevano un futuro di cambiamenti radicali e globali, non soltanto politici, ed erano destinati a condurre molti giovani, dopo le inevitabili delusioni, verso la riscoperta del misticismo orientale o dell’occultismo, quando non verso la droga come tragica scorciatoia verso un mondo totalmente "altro"". La New Age invita ad un rapporto con la spiritualità del tutto particolare, un interesse per il sacro che, tendenzialmente, si pone come alternativo alla tradizione cristiana. In questa ricerca di una “spiritualità alternativa”, ci fa sapere Introvigne, si fondono le concezioni “più varie: le religioni non cristiane tradizionali - le religioni dell’Oriente ma anche quelle pre-colombiane, degli Indiani d’America, celtiche -; l’idealismo filosofico e le sue trascrizioni religiose nel mondo ottocentesco del "nuovo pensiero", New Thought, americano; lo spiritismo che - rivestito di panni "scientifici" - il New Age ripropone con il nome di channeling; le molteplici correnti dell’occultismo e dell’esoterismo; l’interesse per messaggi religiosi che verrebbero trasmessi dai dischi volanti; le credenze - diffusissime, anche se formulate in modi diversi - nella reincarnazione e nell’astrologia moderna”.
La caratteristica saliente della New Age è proprio l’assenza di una dottrina unica, di una visione del mondo precisa, piuttosto fomenta la libertà più assoluta da tutte le concezioni. La verità non esiste, ognuno può creare il suo mondo a suo piacimento, la religione diventa una vaga spiritualità disarticolata priva di “tesi razionalmente articolate”. Dio è “il sottofondo cosmico a cui arrivano tutte le cose”. Lo stesso Gesù non è diverso da Buddha, rappresenta solo “il principio divino all’interno dell’uomo”.
Conclude Introvigne: “la spiritualità che il New Age propone è un cocktail del relativismo e del sincretismo che costituiscono i tratti dominanti della nuova religiosità moderna”. Religiosità che ben rappresenta la crisi della razionalità scientifica moderna: ci “si immaginava un uomo materialista – prosegue Introvigne - e ci si trova invece davanti a un uomo a suo modo "religioso", ma religioso in modo sincretistico, panteistico e spesso tendenzialmente gnostico”.
A proposito di questo il Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, nel documento Gesù Cristo portatore dell’acqua viva, descrivono il New Age come un qualcosa che “prospera nella confusione”. Laddove la ragione perde terreno in nome di un vago relativismo sincretistico, e non ha più quel ruolo, da sempre presente nella tradizione cristiana, di “giustificare la fede e nel comprendere Dio, il mondo e la persona umana”, trova spazio la New Age con la sua tendenza al superamento delle distinzioni. Cosi si “sfumano consciamente e deliberatamente le differenze reali fra Creatore e creato, umanità e natura, religione e psicologia, realtà soggettiva e realtà oggettiva”.
Viene cancellato quel fondamento della mistica cristiana che è il concetto di “discesa di Dio fra le creature”, si perde il bisogno di essere liberati dal peccato e dalle proprie debolezze. Così l’uomo si trova “da solo” e cerca la “purificazione” mediante l’”immersione nel Tutto”. Da qui la convinzione che “Per cambiare, bisogna utilizzare tecniche che portino all'esperienza dell'illuminazione. Quest'ultima trasforma la coscienza di una persona e la pone in contatto con la divinità, intesa come l'essenza più profonda della realtà”. Ma si tratta, dice il documento, di “un'impresa essenzialmente umana da parte di una persona che cerca di ascendere alla divinità mediante le proprie forze”.
La valutazione che viene fatta del New Age nel documento dei due Consigli Pontifici è che esso “ha colto lo stato d'animo di quanti rifiutavano una ragione fredda, calcolatrice, disumana”. In questo senso rientra appieno in quell’insieme di pratiche della cosiddetta “nuova religiosità” permeata di relativismo e di sincretismo che proliferano proprio per la totale perdita di fiducia nelle capacità della ragione.
Per il cristianesimo al contrario, prosegue il documento, la razionalità è “una facoltà essenziale per una vita pienamente umana” perché “ha il vantaggio dell'universalità: essa è liberamente accessibile a chiunque, al contrario della natura misteriosa e affascinante della religione « mistica », gnostica o esoterica”.
Il cristianesimo ha mostrato al mondo che tutto ciò che favorisce confusione, commistione di elementi contradditori, tutto ciò che è esoterico, segreto, “invece di svelarla, nasconde la natura definitiva della realtà” e “porta a rifugiarsi nell'irrazionalità”.
Il documento del Magistero indica quindi che la sfida per i cristiani nei confronti del sincretismo, che sembra pervadere la società moderna attraverso l’influsso della New Age e di altre forme di religiosità, è quella di risanare il conflitto che da tempo c’è tra fede e ragione. Il cristianesimo è capace di “dimostrare che una sana collaborazione fra fede e ragione migliora la vita umana e incoraggia il rispetto per la creazione”.
La “partita”, se così ci è concesso chiamarla, si gioca allora sulla riscoperta da parte della Chiesa e dei cattolici del loro ruolo di rischiaratori delle coscienze. Ruolo che, come vedremo, i primi cristiani e la Chiesa nascente seppero ben ricoprire di fronte alle sfide delle epoche passate anche esse pervase da esoterismo, sincretismo e irrazionalismo.
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15/11/2008 17:06

La forza del Cristianesimo come religione vera

Quando si diffuse il cristianesimo l’ambiente culturale aveva non pochi aspetti in comune con quello dell’occidente moderno. Nell’Impero Romano le religioni pagane non godevano di buona salute ma allo stesso tempo non erano del tutto decadute. Le persone di cultura, per quanto non fossero completamente indifferenti al paganesimo, aderivano per lo più ad una sorta di religiosità filosofica che tendeva al monoteismo e manteneva elementi diversi del paganesimo con una certa dose di sincretismo.
I ceti sociali più bassi cercavano la salvezza negli antichi culti misterici o in quelli nuovi provenienti dall’oriente nei quali la caratteristica comune era che l’unione con la divinità si raggiungeva attraverso pratiche suggestive e pseudo-magiche.
La civiltà ellenistico-romana portò ad una straordinaria mescolanza di popoli e delle loro diverse concezioni religiose soprattutto nelle grandi città come Alessandria e Roma. Si generarono quindi profonde assimilazioni di culti e dèi differenti. Complice di questo anche l’unità politica dell’Impero con la sua amministrazione unitaria e la sua rete commerciale.
L’intero modo di parlare e di pensare dell’Impero erano permeati di politeismo e panteismo, di culti differenti fusi insieme, insomma una situazione di confuso sincretismo. Si era talmente abituati a pensare al divino come una serie di dimensioni e gradi intermedi, che non c’era posto per un Dio assoluto, sostanzialmente distinto da ogni altro, ma tutto sembrava derivare e ritornare ad un ciclo cosmogonico.
Proprio per questo il Cristianesimo apparve alla gente dell’epoca come qualcosa di inaudito, una novità senza precedenti. Il monoteismo del tempo non era mai riuscito a raggiungere la chiarezza e l’esclusività, tendeva in qualche modo alla conoscenza del Dio unico, ma rimaneva legato alla presenza dei numerosissimi dèi intermedi. Il concetto di Dio più che all’unicità si rifaceva alla supremazia sugli altri dei.
Un altro aspetto di rottura e novità del cristianesimo era l’esigenza di unità tra la vita e la dottrina, cosa che nel paganesimo sincretizzante non era mai stata raggiunta a pieno, in quanto la religione aveva più a che fare con l’esteriorità che con la convinzione interiore. Il cristianesimo non si poneva come semplice conoscenza, esigeva di essere vissuto pienamente e coerentemente.
In qualche modo il cristianesimo portava il concetto di religione ad essere inteso in senso nuovo: la verità coincide con una persona, Gesù Cristo, e questa verità è accessibile a tutti proprio per il disegno salvifico di Dio.
Se questo è il panorama con cui doveva avere a che fare la prima evangelizzazione, non furono meno impegnative le sfide che la giovane Chiesa dei primi secoli dovette affrontare soprattutto nei confronti della gnosi.
Di fatto la gnosi nacque prima dell’avvento del cristianesimo ma proprio per la sua natura sincretistica generò, nell’incontro con il nuovo messaggio evangelico, una serie di eresie complesse. Ecco come lo descrive Joseph Lortz nella sua Storia della Chiesa: “Questo sincretismo, nelle sue mistificazioni spesso indistricabili o non distinguibili e nelle sue molteplici varietà, nella sua mescolanza di raffigurazioni religiose, è uno dei più vasti movimenti di carattere psico-culturale del mondo; sorto in Oriente, viene importato in Occidente con la spedizione di Alessandro Magno in India e poi di nuovo, come conseguenza della diffusione dell’Impero Romano, si espande nelle regioni delle antiche civiltà orientali. In questo processo durato per secoli, le religioni popolari, ma anche certe teorie filosofiche si compenetrano a vicenda; si ebbe così uno scambio di immagini, nomi, figure, miti e processi di origine cosmica, relativi alla liberazione dal peccato e al conferimento della grazia. Tutto fu fuso e interpretato a proprio modo da parte di persone colte, scettiche, ma religiosamente affamate, oppure fu grossolanamente materializzato dal popolo superstizioso”.
Gnosi significa conoscenza, ma una conoscenza che assume un valore salvifico, di natura religiosa. La tendenza della gnosi è quella di proporre una conoscenza segreta, accessibile solo a pochi “illuminati”, una conoscenza diversa dalla fede e ad essa superiore.
Questo è uno dei punti di principale differenza dalla dottrina cristiana: la liberazione, la redenzione è operata attraverso tecniche esoteriche e magiche e consiste nell’emancipare lo spirito buono dalla materia, che è fondamentalmente cattiva, e non comporta, come nel cristianesimo, una liberazione interiore dell’anima dal peccato.
Sono molti i motivi per cui lo gnosticismo ha avuto grande presa sulle persone dell’epoca. Da una parte questo suo esaltare il pensiero umano rendendolo la fonte della salvezza, dall’altra il fatto che queste dottrine nel loro contenuto religioso puntavano molto sulla fantasia, stimolando una sorta di creatività spirituale supportata da un esegesi allegorica e fantastica.
Il sincretismo dell’epoca, che si manifestava principalmente in teorie gnostiche, era una vera e propria epidemia spirituale che manifestava quanto gli influssi di secoli di paganesimo fossero vivi e ancora influenti nella vita delle persone. Insomma un’epoca che difficilmente riusciva a slegarsi dalla superstizione e da dottrine misteriche occulte.
Allo stesso tempo, però, un’epoca caratterizzata da un forte anelito alla redenzione, da una ricerca di salvezza e purificazione che, sebbene costituì con le varie eresie che ne sorsero, un pericolo per la purezza originaria del messaggio di Cristo, fu anche il vero humus in cui la Chiesa seppe mostrare la sua unità e la sua capacità di rispondere alle esigenze dei tempi.
Ne è in qualche un modo il simbolo la professione di fede romana, la più antica a noi nota che risale al 125 d.C., che corrisponde sostanzialmente al Credo, che afferma positivamente e chiaramente la reale Incarnazione del figlio di Dio, nato da Maria Vergine che è stato crocifisso in un preciso momento storico “sotto Ponzio Pilato”, in netto contrasto con le distorsioni spiritualistiche e allegoriche della persona e della vita di Gesù operate dagli gnostici.
È sempre in questo clima che i Pastori vengono a stabilire il canone neotestamentario come garanzia per i fedeli di corretta dottrina, giacché i vari esponenti delle dottrine sincretistico-gnostiche spesso manipolavano e riadattavano gli scritti degli apostoli se non addirittura componevano vangeli ad hoc per avallare le loro dottrine.
La Chiesa insomma fu capace di rispondere agli attacchi “esterni” e alle confusioni dottrinali “interne” fondando la purezza della dottrina fin da subito sul criterio della diretta trasmissione dai primi Apostoli a oggi della Parola di Dio senza distorsioni, aggiunte e modifiche, perché il cristianesimo era, più che una religione tra le altre, il fondamentale incontro tra l’uomo e il Cristo-Verità.
L’allora Card. Ratzinger nel suo intervento a al Convegno “2000 anni dopo cosa?” a Parigi affrontò proprio questo tema del cristianesimo come fondamentalmente diverso dalle religioni. Il messaggio cristiano non ha a che fare semplicemente con il mondo della religione, sostiene Ratzinger, ma si pone allo stesso livello della ricerca razionale della verità. Cosa che all’epoca in cui il cristianesimo si affacciò nel mondo era un’assoluta novità.
Nei primi secoli dell’era cristiana nell’Impero Romano “l'ordine cultuale, il mondo concreto della religione, non apparteneva all'ordine della res, della realtà in quanto tale, ma a quella dei mores - dei costumi. Non erano gli dei che avevano creato lo stato, era lo stato che aveva istituito gli dei, la cui venerazione era essenziale per l'ordine dello stato e la buona condotta dei cittadini”. Dio non era altro che l’anima del mondo, il Cosmo, che non era oggetto di religione ma che riguardava la ricerca razionale e filosofica della verità ed era cosa ben diversa dagli dèi a cui si rendevano i più disparati culti.
Filosofia, mito e culti religiosi erano visti su piani completamente diversi. La filosofia, la ricerca della verità aveva un ruolo quasi di demitologizzazione, di indagine razionale che di certo non credeva, anzi confutava, la nutrita schiera di dèi e divinità che popolavano le credenze popolari.
Prosegue Ratzinger: “culto e conoscenza si separavano completamente l'uno dall'altra. Il culto restava necessario nella misura in cui era una questione di utilità politica; la conoscenza aveva un effetto distruttivo sulla religione e pertanto non avrebbe dovuto essere messa sulla pubblica piazza”.
Ma il cristianesimo in questo panorama si posizionava proprio a livello della filosofia, della ricerca della verità e non nella dimensione della religione e del culto. Il cristianesimo si poneva come conoscenza razionale delle verità divine, come religio vera, ricucendo definitivamente la separazione tra razionalità e religione. Il cristianesimo si presentava come forza demitologizzante, come vittoria della conoscenza e della verità sulla superstizione e sul mito. Si proponeva al mondo come universale e valido per tutti, “non come una religione particolare – scrive Ratzinger - che ne reprimeva delle altre, non come una sorta di imperialismo religioso, ma piuttosto come la verità che rendeva superflua l'apparenza”.
I cristiani dell’epoca erano visti come “atei”, perché non si limitavano a riformulare in nuove dottrine le figure del mito o i diversi culti. Il cristianesimo rompeva il sistema sincretistico e tollerante dei politeismi perché “non voleva essere una religione tra le altre, ma la vittoria dell'intelligenza sul mondo delle religioni. (…) Le due dimensioni della religione, che erano sempre state separate tra loro, la natura nel suo regno eterno e il bisogno di salvezza dell'uomo che soffre e che lotta, erano state congiunte tra loro. La razionalità poteva diventare religione perché il Dio della razionalità era entrato egli stesso nella religione”.
Non più l’uomo che cerca attraverso il culto e il mito di dare una risposta al suo anelito di felicità e salvezza, non più il filosofo che indagando la natura arriva ad intuire un ente supremo da cui tutto trae origine e significato. È Dio stesso che entra nella storia, si rivela, si rivolge all’uomo rendendolo partecipe del suo piano di redenzione attraverso Gesù Cristo. Non un anelito religioso umano che si fa dottrina, ma un uomo-Dio che rivela suo Padre all’uomo.
Tutto questo non basta a spiegare la forza dirompente che ebbe il cristianesimo sul mondo delle religioni. C’è un’altra componente: il cristianesimo proprio per la sua qualità di religione vera, che pone l’uomo di fronte alla conoscenza di se stesso, del cosmo e di Dio, indica anche una Via da percorrere, indica all’uomo come essere pienamente uomo. Non rimane pura dottrina teorica ma diviene stile di vita incarnato secondo il precetto della carità, dell’amore. “Possiamo dire – prosegue Ratzinger - che la forza che ha trasformato il cristianesimo in una religione mondiale sta nella sintesi da esso operata tra ragione, fede e vita".
Il sincretismo religioso che pervade le coscienze di molti uomini al giorno d’oggi non differisce da quella situazione di “epidemia spirituale” – come la definisce Lortz - presente agli inizi del cristianesimo. Anche oggi il razionalismo portato alle sue estreme conseguenze ha estromesso il discorso religioso dalla sfera del razionale, riconfigurando quella separazione tra religio e verità presente in epoca precristiana.
Allora bisogna ripartire proprio da quella sfida che i primi cristiani affrontarono: "Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie". Sono parole tratte dall'omelia del Card. Ratzinger alla vigilia del Conclave che lo eleggerà Papa.
A queste si potrebbero aggiungere quelle di Giovanni Paolo II che parlando ai Vescovi americani a proposito del proliferare di nuovi atteggiamenti religiosi sottolineò come “in mezzo a questa confusione spirituale (…) bisognerebbe essere in grado di individuare un'autentica sete di Dio e un intimo e personale rapporto con Lui. In sostanza la ricerca del significato è il meraviglioso bisogno della Verità e della Bontà che hanno il loro fondamento in Dio stesso Creatore di tutto ciò che esiste. Infatti è Dio stesso che risveglia questo desiderio nei cuori delle persone”.


Sincretismo, evangelizzazione e dialogo

Il diffuso sincretismo religioso che pervade la società, soprattutto quella occidentale, come abbiamo visto, richiama la Chiesa ad una attenta considerazione di quel bisogno religioso che c’è nell’uomo moderno, a quella sete di Dio che oggi come in passato non cessa di manifestarsi seppure in forme differenti.
Lo sforzo della Chiesa deve essere, come sempre, ancora una volta, evangelico e deve particolarmente concentrare i suoi sforzi, come indica Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio, per “portare gli uomini alla scoperta della loro capacità di conoscere il vero e del loro anelito verso un senso ultimo e definitivo dell'esistenza”. Anelito che può trovare risposte proprio nella verità di Cristo.
In questo tempo in cui sembra che l’uomo “dovrebbe ormai imparare a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso, all'insegna del provvisorio e del fuggevole” è necessario che i cristiani sappiano riscoprire il valore dell’”intellectus fidei”, della verità che è conoscibile dall’uomo proprio perché creatura ad immagine e somiglianza di Dio. Questa rappresenta la vera cura agli eccessi dell’”ottimismo razionalista” che è stato fonte di numerose sofferenze nel XX secolo e che sta vivendo una profonda crisi gettando molte coscienze nella “tentazione della disperazione”.
Allo stesso tempo, avverte Giovanni Paolo II, “credere nella possibilità di conoscere una verità universalmente valida non è minimamente fonte di intolleranza; al contrario, è condizione necessaria per un sincero e autentico dialogo tra le persone. Solamente a questa condizione è possibile superare le divisioni e percorrere insieme il cammino verso la verità tutta intera, seguendo quei sentieri che solo lo Spirito del Signore risorto conosce”.
La proposta delle fede deve essere condotta con un atteggiamento di dialogo e il dialogo non può che fondarsi su una riscoperta della ragione umana come strumento valido per discernere la verità.
In questa stessa direzione procede la dichiarazione Dominus Iesus del 2000 che fu scritta proprio per ribadire che la salvezza può essere raggiunta solo in Gesù Cristo. Nella dichiarazione si fa riferimento al rapporto con altri credi religiosi affermando l’opportunità e la bontà di riconoscere in questi “elementi di religiosità, che procedono da Dio e che fanno parte di quanto opera lo Spirito nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e nelle religioni". Ma questo riconoscimento non può scadere certo nel sincretismo, confondendo il piano del dialogo e del rispetto della dignità dell’altro con il piano della verità: “Il dialogo perciò, pur facendo parte della missione evangelizzatrice, è solo una delle azioni della Chiesa nella sua missione ad gentes. La parità, che è presupposto del dialogo, si riferisce alla pari dignità personale delle parti, non ai contenuti dottrinali né tanto meno a Gesù Cristo, che è Dio stesso fatto Uomo, in confronto con i fondatori delle altre religioni”.
La Chiesa ha da sempre avuto questo atteggiamento nei confronti di altre concezioni filosofiche e di altre religioni: riconoscerne gli elementi che hanno valore di verità senza rinunciare a discernere ciò che si allontana dal vero. E questo è possibile solo dal momento in cui si ha fiducia che una verità unica esista, perché in questo ogni elemento può essere spunto e ricchezza per avvicinarla.
Nella lettera ai vescovi dal titolo Alcuni aspetti della meditazione cristiana, della Congregazione per la Dottrina della Fede datata 1989, si legge: "la chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni, non si dovranno disprezzare pregiudizialmente queste indicazioni in quanto non cristiane. Si potrà, al contrario, cogliere da esse ciò che vi è di utile, a condizione di non perdere mai di vista la concezione cristiana della preghiera, la sua logica e le sue esigenze, poiché è all'interno di questa totalità che quei frammenti dovranno essere riformulati ed assunti”.
Si tratta di un atteggiamento opposto a quello del sincretismo. Il sincretismo ha di fondo l’idea che un credo vale l’altro, una dottrina non ha altro valore se non quello che gli dà l’individuo o, al massimo, una ristretta cerchia di persone. Pertanto si finisce di fatto nell’annullamento di qualsiasi possibilità di individuare la validità di ciascuna concezione. Questo, a ben vedere, minaccia soprattutto la possibilità di un autentico dialogo giacché finisce per svuotare di significato ogni cosa e getta l’umanità in un irrazionalismo dell’individuo ripiegato su se stesso.
Il cristianesimo invece, come disse l’allora Card. Razinger a Subiaco nel 2005, ha “davvero delle buone carte da giocare” essendo “la religione secondo ragione (..) che ha sgombrato la strada dalle tradizioni per volgersi alla ricerca della verità e verso il bene, verso l’unico Dio che sta al di sopra di tutti gli dèi.” Ma il pensiero dell’attuale Papa si spingeva anche oltre: “l’illuminismo è di origine cristiana ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana”.
Il cristianesimo può proporre anche all’uomo moderno una ricerca autentica di verità perché è “religione del logos”, è fede “nello Spirito creatore, dal quale proviene tutto il reale”. La fede cristiana riconosce che il mondo viene dalla mente di Dio e per questo razionale e razionalmente conoscibile.
Vale la pena riportare per intero le parole dell’allora Card. Ratzinger che rappresentano un richiamo per tutti i fedeli: “Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto la porta all’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini”.
Il sincretismo di oggi è la conseguenza di quell’anelito dell’uomo alla ricerca di un senso più alto, che nell’epoca contemporanea si rifugia in forme confuse proprio perché è in crisi oltre alla fede anche la fiducia nella capacità dell’uomo di conoscere la verità. Il compito di mostrare all’uomo moderno che questa fiducia può essere ritrovata, spetta ai cristiani che con il loro esempio, con la loro dedizione possono mostrare lo splendore della verità della fede.
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