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Pastores Gregis

Ultimo Aggiornamento: 19/11/2008 19:53
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Pastores gregis
E' la figura del "Buon Pastore" l'icona di riferimento dell'
esortazione apostolica post-sinodale "sul vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza nel mondo. A dichiararlo è stato lo stesso Giovanni Paolo II, firmando e promulgando il nuovo documento, il 16 ottobre nel XXV° anniversario di pontificato.

E' questo santo vescovo che non finisce di stupirci......., lodiamo Dio per questo dono....

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Pastores gregis
Esortazione apostolica post-sinodale sui vescovi, servitori del vangelo di Cristo per la speranza del mondo

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autore: Papa Giovanni Paolo IIfonte: Santa Sede
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data del documento:
16/10/2003
data di inserimento:
16/10/2003
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.........

ESORTAZIONE APOSTOLICA
POST-SINODALE

PASTORES GREGIS
DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
SUL VESCOVO SERVITORE
DEL VANGELO DI GESÙ CRISTO
PER LA SPERANZA DEL MONDO

INTRODUZIONE

1. I Pastori del gregge, nell'adempimento del loro ministero di Vescovi, sanno di poter contare su di una speciale grazia divina. Nel Pontificale Romano, durante la solenne preghiera d'ordinazione il Vescovo ordinante principale, dopo avere invocato l'effusione dello Spirito che regge e guida, ripete le parole, già presenti nell'antico testo della Tradizione Apostolica: « O Padre, che conosci i segreti dei cuori, concedi a questo tuo servo, da te eletto all'episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di compiere in modo irreprensibile la missione del sommo sacerdozio ».1 Continua così ad essere adempiuta la volontà del Signore Gesù, il Pastore eterno che ha mandato gli Apostoli come Egli stesso era mandato dal Padre (cfr Gv 20, 21) e ha voluto che i loro successori, cioè i Vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori sino alla fine dei secoli.2

L'immagine del Buon Pastore, così amata anche dalla primitiva iconografia cristiana, è stata ben presente ai Vescovi che, provenendo da tutto il mondo, si sono radunati, dal 30 settembre al 27 ottobre 2001, per la X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Presso la tomba dell'apostolo Pietro, essi hanno riflettuto insieme con me sulla figura del Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo. Tutti si sono trovati d'accordo nel ritenere che la figura di Gesù Buon Pastore costituisce l'immagine privilegiata a cui fare costante riferimento. Nessuno, infatti, può essere considerato pastore degno di tale nome «  nisi per caritatem efficiatur unum cum Christo  ».3 È questa la ragione fondamentale per cui «  la figura ideale del Vescovo, su cui la Chiesa continua a contare, è quella del Pastore che, configurato a Cristo nella santità della vita, si spende generosamente per la Chiesa affidatagli, portando contemporaneamente nel cuore la sollecitudine per tutte le Chiese sparse sulla terra (cfr 2 Cor 11, 28)  ».4

La decima Assemblea del Sinodo dei Vescovi

2. Rendiamo, allora, grazie al Signore, perché ci ha concesso il dono di celebrare un'altra volta ancora un'Assemblea del Sinodo dei Vescovi e di fare in essa un'esperienza davvero profonda dell'essere-Chiesa. Celebrata nel clima ancora vivo del Grande Giubileo del Duemila, all'inizio del terzo millennio cristiano, la X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi è giunta dopo una lunga serie di assemblee: quelle speciali, tutte accomunate dalla prospettiva dell'evangelizzazione nei diversi continenti, dall'Africa all'America, all'Asia, all'Oceania e all'Europa; e quelle ordinarie, le ultime delle quali hanno dedicato la loro riflessione all'abbondante ricchezza costituita nella Chiesa dalle diverse vocazioni suscitate dallo Spirito nel Popolo di Dio. In questa prospettiva, l'attenzione dedicata al ministero proprio dei Vescovi ha completato il quadro di quell'ecclesiologia di comunione e missione che sempre è necessario avere presente.

A tale riguardo, i lavori sinodali hanno fatto costante riferimento alla dottrina sull'episcopato e sul ministero dei Vescovi delineata dal Concilio Ecumenico Vaticano II, specialmente nel capitolo terzo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium e nel Decreto sull'ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus. Di questa luminosa dottrina, che riassume e sviluppa i tradizionali elementi teologici e giuridici, il mio predecessore di v. m. Paolo VI poteva giustamente affermare: «  A noi sembra che l'autorità episcopale esca dal Concilio rivendicata nella sua divina istituzione, confermata nella sua insostituibile funzione, avvalorata nelle sue pastorali potestà di magistero, di santificazione e di governo, onorata nella sua estensione alla Chiesa universale per via della comunione collegiale, precisata nella sua collocazione gerarchica, confortata nella corresponsabilità fraterna con gli altri Vescovi verso i bisogni universali e particolari della Chiesa e maggiormente associata in spirito di subordinata unione e solidale collaborazione col capo della Chiesa, centro costitutivo del Collegio episcopale  ».5

Al tempo stesso, secondo quanto stabilito dal tema assegnato, i Padri sinodali hanno riconsiderato il proprio ministero alla luce della speranza teologale. Anche questo compito è subito apparso come singolarmente pertinente alla missione del pastore il quale, nella Chiesa, è anzitutto il portatore della testimonianza pasquale ed escatologica.

Una speranza fondata su Cristo

3. Compito, infatti, d'ogni Vescovo è annunziare al mondo la speranza, a partire dalla predicazione del Vangelo di Gesù Cristo: la speranza «  non soltanto per ciò che riguarda le cose penultime, ma anche e soprattutto la speranza escatologica, quella che attende il tesoro della gloria di Dio (cfr Ef 1, 18), che supera tutto ciò che è mai entrato nel cuore dell'uomo (cfr 1 Cor 2, 9) e a cui non possono essere paragonate le sofferenze del tempo presente (cfr Rm 8, 18)  ».6 La prospettiva della speranza teologale, insieme con quella della fede e della carità, deve informare interamente il ministero pastorale del Vescovo.

A lui, in particolare, spetta il compito di essere profeta, testimone e servo della speranza. Egli ha il dovere di infondere fiducia e di proclamare di fronte a chiunque le ragioni della speranza cristiana (cfr 1 Pt 3, 15). Il Vescovo è profeta, testimone e servo di tale speranza soprattutto dove più forte è la pressione di una cultura immanentistica, che emargina ogni apertura verso la trascendenza. Laddove manca la speranza, la fede stessa è messa in questione. Anche l'amore è affievolito dall'esaurirsi di questa virtù. La speranza, infatti, specialmente in tempi di crescente incredulità e indifferenza, è valido sostegno per la fede ed efficace incentivo per la carità. Essa trae la sua forza dalla certezza dell'universale volontà salvifica di Dio (cfr 1 Tim 2, 3) e della costante presenza del Signore Gesù, l'Emmanuele sempre con noi sino alla fine del mondo (cfr Mt 28, 20).

Soltanto con la luce e la consolazione che provengono dal Vangelo un Vescovo riesce a tenere viva la propria speranza (cfr Rm 15, 4) e ad alimentarla in quanti sono affidati alla sua premura di pastore. Egli, dunque, sarà imitatore della Vergine Maria, la Mater spei, che ha creduto nell'adempimento delle Parole del Signore (cfr Lc 1, 45). Poggiando sulla Parola di Dio e aggrappandosi saldamente alla speranza, che è come ancora sicura e salda che penetra nel cielo (cfr Ebr 6, 18-20), il Vescovo è in mezzo alla sua Chiesa sentinella vigile, profeta coraggioso, testimone credibile e servo fedele di Cristo, «  speranza della gloria  » (Col 1, 27), grazie al quale «  non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno  » (Ap 21, 4).

La Speranza nel fallimento delle speranze

4. Ciascuno ricorderà che le sessioni del Sinodo dei Vescovi si svolsero in giorni fortemente drammatici. Nell'animo dei Padri sinodali era ancora viva l'eco dei terribili eventi dell'11 settembre 2001, con il doloroso esito d'innumerevoli vittime innocenti e l'insorgere nel mondo di nuove, gravissime situazioni d'incertezza e di paura per la stessa civiltà umana e per il pacifico convivere delle nazioni. Si profilavano, così, ulteriori orizzonti di guerra e di morte che, aggiungendosi alle già esistenti situazioni di conflitto, mostravano in tutta la sua urgenza il bisogno di rivolgere al Principe della Pace l'invocazione perché i cuori degli uomini tornassero ad essere disponibili alla riconciliazione, alla solidarietà e alla pace.7

Insieme con la preghiera, l'Assemblea sinodale alzò la propria voce per condannare ogni forma di violenza e per indicarne le ultime radici nel peccato dell'uomo. Di fronte al fallimento delle speranze umane che, fondandosi su ideologie materialiste, immanentiste ed economiciste, tutto pretendono di misurare in termini di efficienza e di rapporti di forza e di mercato, i Padri sinodali hanno riaffermato la convinzione che solo la luce del Risorto e l'impulso dello Spirito Santo aiutano l'uomo ad appoggiare le proprie attese sulla speranza che non delude. Per questo hanno proclamato: «  Non possiamo lasciarci intimidire dalle diverse forme di negazione del Dio vivente che cercano, più o meno scopertamente, di minare la speranza cristiana, a farne una parodia o a deriderla. Lo confessiamo nella gioia dello Spirito: Cristo è veramente risorto! Nella sua umanità glorificata, ha aperto l'orizzonte della vita eterna a tutti gli uomini che si convertono  ».8

La certezza di questa professione di fede dev'essere tale da rendere di giorno in giorno più salda la speranza di un Vescovo, inducendolo a confidare che la bontà misericordiosa di Dio non smetterà mai di costruire strade di salvezza e di aprirle alla libertà d'ogni uomo. È la speranza ad incoraggiarlo a discernere, nel contesto dove svolge il suo ministero, i segni della vita capaci di sconfiggere i germi nocivi e mortali. È ancora la speranza a sostenerlo nel trasformare perfino i conflitti in occasioni di crescita, aprendoli alla riconciliazione. Sarà ancora la speranza in Gesù, Buon Pastore, a riempire il suo cuore di compassione inducendolo a piegarsi sul dolore di ogni uomo e donna che soffre, per lenirne le piaghe, conservando sempre la fiducia che la pecora smarrita possa essere ritrovata. In tal modo il Vescovo sarà sempre più luminosamente segno di Cristo, Pastore e Sposo della Chiesa. Agendo come padre, fratello e amico di ogni uomo, egli sarà accanto a ciascuno viva immagine di Cristo, nostra speranza,9 nel quale si adempiono tutte le promesse di Dio e sono portate a compimento tutte le attese della creazione.

Servi del Vangelo per la speranza del mondo

5. Disponendomi, dunque, a consegnare questa mia Esortazione apostolica, nella quale riprendo il patrimonio di riflessione maturato in occasione della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dai primi Lineamenta all'Instrumentum Laboris, dagli interventi fatti in Aula dai Padri sinodali alle due Relazioni che li hanno introdotti e riassunti, dall'arricchimento di pensiero e di esperienza pastorale emerso nei circuli minores alle Propositiones, che mi sono state presentate a conclusione dei lavori sinodali perché offrissi alla Chiesa intera un apposito documento dedicato al tema sinodale del Vescovo, servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo,10 rivolgo il mio saluto fraterno e invio il bacio di pace a tutti i Vescovi che sono in comunione con questa Cattedra, affidata per primo a Pietro perché fosse garante dell'unità e, come è da tutti riconosciuto, presiedesse nell'amore.11

A voi, venerati e carissimi Fratelli, ripeto l'invito che, all'inizio del nuovo millennio, ho rivolto a tutta la Chiesa: Duc in altum! È anzi Cristo stesso che lo ripete ai Successori di quegli Apostoli che questo invito ascoltarono dalla sua viva voce e, fidandosi di Lui, partirono per la missione sulle strade del mondo: Duc in altum (Lc 5, 4). Alla luce di questo insistente invito del Signore, «  noi possiamo rileggere il triplice munus affidatoci nella Chiesa: munus docendi, sanctificandi et regendi. Duc in docendo! “Annunzia la parola &endash; diremmo con l'Apostolo &endash;, insisti in ogni occasione, opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina” (2 Tm 4, 2). Duc in sanctificando! Le reti che siamo chiamati a gettare tra gli uomini sono anzitutto i Sacramenti, di cui siamo i principali dispensatori, regolatori, custodi e promotori. Essi formano una sorta di rete salvifica, che libera dal male e conduce alla pienezza della vita. Duc in regendo! Come Pastori e veri Padri, coadiuvati dai Sacerdoti e dagli altri collaboratori, abbiamo il compito di radunare la famiglia dei fedeli e fomentare in essa la carità e la comunione fraterna. Per quanto si tratti d'una missione ardua e faticosa, nessuno si perda d'animo. Con Pietro e con i primi discepoli anche noi rinnoviamo fiduciosi la nostra sincera professione di fede: Signore, “sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5, 5)! Sulla tua Parola, o Cristo, vogliamo servire il tuo Vangelo per la speranza del mondo!  ».12

In questo modo, vivendo come uomini di speranza e rispecchiando nel proprio ministero l'ecclesiologia di comunione e di missione, i Vescovi saranno davvero motivo di speranza per il loro gregge. Noi sappiamo che il mondo ha bisogno della «  speranza che non delude  » (cfr Rm 5, 5). Noi sappiamo che questa speranza è Cristo. Lo sappiamo e perciò predichiamo la speranza che scaturisce dalla Croce.

Ave Crux spes unica! Questo saluto, risuonato nell'aula sinodale nel momento centrale dei lavori della X Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, risuoni sempre sulle nostre labbra, perché la Croce è mistero di morte e di vita. La Croce è divenuta per la Chiesa «  albero della vita  ». Per questo noi annunciamo che la vita ha vinto la morte.

Ci ha preceduto in questo annuncio pasquale una schiera di santi Pastori, che in medio Ecclesiae sono stati segni eloquenti del Buon Pastore. Noi, per questo, lodiamo e ringraziamo sempre Iddio onnipotente ed eterno perché, come cantiamo nella Santa Liturgia, con i loro esempi ci rafforza, con i loro insegnamenti ci ammaestra e con la loro intercessione ci protegge.13 Il volto di ciascuno di questi santi Vescovi, dagli esordi della vita della Chiesa sino ai nostri giorni, come ho detto a conclusione dei lavori sinodali, è quasi una tessera che, collocata in una sorta di mistico mosaico, compone il volto di Cristo Buon Pastore. Su di Lui, dunque, facendoci anche in questo modelli per il gregge che il Pastore dei Pastori ci ha affidato, fissiamo il nostro sguardo per essere, con sempre più grande impegno, ministri del Vangelo per la speranza del mondo.

Contemplando il volto del nostro Maestro e Signore nell'ora in cui «  amò i suoi sino alla fine  », tutti noi, come l'apostolo Pietro, ci lasciamo lavare i piedi per avere parte con Lui (cfr Gv 13, 1-9). E con la forza che da Lui ci viene nella Santa Chiesa, di fronte ai nostri presbiteri e diaconi, dinanzi a tutte le persone di vita consacrata e a tutti i carissimi fedeli laici, ripetiamo a voce alta: «  Quali che siamo, la vostra speranza non sia riposta in noi: se siamo buoni, siamo ministri; se siamo cattivi, siamo ministri. Se, però, siamo ministri buoni e fedeli, allora davvero noi siamo ministri  ».14 Ministri del Vangelo per la speranza del mondo.



 

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MISTERO E MINISTERO DEL VESCOVO

«  ... e ne scelse Dodici  » (Lc 6, 13)

6. Il Signore Gesù, durante il suo pellegrinaggio sulla terra, annunciò il Vangelo del Regno e lo inaugurò in se stesso, rivelandone a tutti gli uomini il mistero.15 Chiamò uomini e donne alla sua sequela e, fra i discepoli, ne scelse Dodici, perché «  stessero con Lui  » (Mc 3, 14). Il Vangelo secondo Luca specifica che Gesù fece questa sua scelta dopo una notte di preghiera trascorsa sulla montagna (cfr Lc 6, 12). Il Vangelo secondo Marco, a sua volta, sembra qualificare tale azione di Gesù come un atto sovrano, un atto costitutivo che dà identità a coloro che ha scelto: «  ne costituì Dodici  » (Mc 3, 14). Si svela, così, il mistero dell'elezione dei Dodici: è un atto di amore, liberamente voluto da Gesù in unione profonda con il Padre e con lo Spirito Santo.

La missione affidata da Gesù agli Apostoli deve durare sino alla fine dei secoli (cfr Mt 28, 20), poiché il Vangelo che essi sono incaricati di trasmettere è la vita per la Chiesa di ogni tempo. Proprio per questo essi hanno avuto cura di costituirsi dei successori, in modo che, come attesta S. Ireneo, la tradizione apostolica fosse manifestata e custodita nel corso dei secoli.16

La speciale effusione dello Spirito Santo, di cui gli Apostoli furono colmati dal Signore risorto (cfr At 1, 5.8; 2, 4; Gv 20, 22-23), fu da essi partecipata attraverso il gesto dell'imposizione delle mani ai loro collaboratori (cfr 1 Tm 4, 14; 2 Tm 1, 6-7). Questi, a loro volta, con lo stesso gesto la trasmisero ad altri, e questi ad altri ancora. In tal modo, il dono spirituale degli inizi è giunto fino a noi mediante l'imposizione delle mani, cioè la consacrazione episcopale, che conferisce la pienezza del sacramento dell'Ordine, il sommo sacerdozio, la totalità del sacro ministero. Così, per mezzo dei Vescovi e dei presbiteri che li assistono, il Signore Gesù Cristo, pur sedendo alla destra di Dio Padre, continua ad essere presente in mezzo ai credenti. In tutti i tempi e in tutti i luoghi Egli predica la parola di Dio a tutte le genti, amministra i sacramenti della fede ai credenti e nello stesso tempo dirige il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l'eterna beatitudine. Il Buon Pastore non abbandona il suo gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre mediante coloro che, in forza della partecipazione ontologica alla sua vita e alla sua missione, svolgendone in modo eminente e visibile la parte di maestro, pastore e sacerdote, agiscono in sua vece. Nell'esercizio delle funzioni che il ministero pastorale comporta, sono costituiti suoi vicari e ambasciatori.17

(.....)

Molto antica è la tradizione che presenta il Vescovo come immagine del Padre, il quale, secondo quanto scriveva sant'Ignazio di Antiochia, è come il Vescovo invisibile, il Vescovo di tutti. Ogni Vescovo, di conseguenza, tiene il posto del Padre di Gesù Cristo sicché, proprio in relazione a questa rappresentanza, egli dev'essere da tutti riverito.18 In rapporto a questa struttura simbolica, la cattedra episcopale, che specialmente nella tradizione della Chiesa dell'Oriente richiama l'autorità paterna di Dio, può essere occupata soltanto dal Vescovo. Da questa medesima struttura deriva per ogni Vescovo il dovere di prendersi cura con amore paterno del Popolo santo di Dio e di guidarlo, insieme con i presbiteri, collaboratori del Vescovo nel suo ministero, e con i diaconi, sulla via della salvezza.19 Viceversa, come ammonisce un antico testo, i fedeli debbono amare i Vescovi che sono, dopo Dio, padri e madri.20 Per questo, secondo un uso diffuso in alcune culture, la mano del Vescovo viene baciata come quella del Padre amorevole, dispensatore di vita.

Cristo è l'icona originale del Padre e la manifestazione della sua presenza misericordiosa tra gli uomini. Il Vescovo, agendo in persona e in nome di Cristo stesso, diventa, nella Chiesa a lui affidata, segno vivente del Signore Gesù Pastore e Sposo, Maestro e Pontefice della Chiesa.21 C'è qui la fonte del ministero pastorale, per cui, come suggerisce lo schema omiletico proposto dal Pontificale Romano, le tre funzioni di insegnare, santificare e governare il Popolo di Dio debbono essere esercitate con i tratti caratteristici del Buon Pastore: carità, conoscenza del gregge, cura di tutti, azione misericordiosa verso i poveri, i pellegrini, gli indigenti, ricerca delle pecorelle smarrite per ricondurle all'unico ovile.

L'unzione dello Spirito Santo, infine, configurando il Vescovo a Cristo, lo abilita ad essere una viva continuazione del suo mistero a favore della Chiesa. Per tale caratterizzazione trinitaria del suo essere, nel suo ministero ogni Vescovo è impegnato a vegliare con amore su tutto il gregge, in mezzo al quale è posto dallo Spirito a reggere la Chiesa di Dio: nel nome del Padre, di cui rende presente l'immagine; nel nome di Gesù Cristo suo Figlio, da cui è costituito maestro, sacerdote e pastore; nel nome dello Spirito Santo, che dà vita alla Chiesa e con la sua potenza sostiene l'umana debolezza.22

Carattere collegiale del ministero episcopale

8. «  ... ne costituì Dodici  » (Mc 3, 14). La Costituzione dogmatica Lumen gentium introduce con questo richiamo evangelico la dottrina sull'indole collegiale del gruppo dei Dodici, costituiti «  sotto la forma di un collegio o di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro  ».23 In pari modo, attraverso la successione personale del Vescovo di Roma al Beato Pietro e di tutti i Vescovi nel loro insieme agli Apostoli, il Romano Pontefice e i Vescovi sono uniti fra di loro a modo di Collegio.24

L'unione collegiale tra i Vescovi è fondata, insieme, sull'Ordinazione episcopale e sulla comunione gerarchica; tocca pertanto la profondità dell'essere di ogni Vescovo e appartiene alla struttura della Chiesa come è stata voluta da Gesù Cristo. Si è posti, infatti, nella pienezza del ministero episcopale in virtù della Consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col Capo del Collegio e con i membri, cioè con il Collegio che sempre co-intende il suo Capo. È così che si è membri del Collegio episcopale,25 per cui le tre funzioni ricevute nell'Ordinazione episcopale &endash; di santificare, di insegnare e di governare &endash; debbono essere esercitate nella comunione gerarchica, anche se, per la loro diversa finalità immediata, in modo distinto.26

Ciò costituisce quello che è chiamato «  affetto collegiale  », o collegialità affettiva, da cui deriva la sollecitudine dei Vescovi per le altre Chiese particolari e per la Chiesa universale.27 Se, dunque, si deve dire che un Vescovo non è mai solo, in quanto è sempre unito al Padre per il Figlio nello Spirito Santo, si deve pure aggiungere che egli non è mai solo anche perché sempre e continuamente è con i suoi fratelli nell'episcopato e con colui che il Signore ha scelto come Successore di Pietro.

Tale affetto collegiale si attua e si esprime secondo gradi diversi in vari modi, anche istituzionalizzati, quali sono, ad esempio, il Sinodo dei Vescovi, i Concili particolari, le Conferenze dei Vescovi, la Curia Romana, le Visite ad limina, la collaborazione missionaria, ecc. In modo pieno, però, l'affetto collegiale si attua e si esprime solo nell'azione collegiale in senso stretto, cioè nell'azione di tutti i Vescovi insieme con il loro Capo, con il quale esercitano la potestà piena e suprema su tutta la Chiesa.28

Questa natura collegiale del ministero apostolico è voluta da Cristo stesso. L'affetto collegiale, pertanto, o collegialità affettiva (collegialitas affectiva), vige sempre tra i Vescovi come communio episcoporum, ma solo in alcuni atti si esprime come collegialità effettiva (collegialitas effectiva). I vari modi di attuazione della collegialità affettiva in collegialità effettiva sono di ordine umano, ma in gradi diversi concretizzano l'esigenza divina che l'episcopato si esprima in modo collegiale.29 Nei Concili ecumenici, poi, la suprema potestà del Collegio su tutta la Chiesa viene esercitata in modo solenne.30

La dimensione collegiale dà all'episcopato il carattere d'universalità. Può, dunque, essere stabilito un parallelismo tra la Chiesa una e universale, quindi indivisa, e l'episcopato uno e indiviso, quindi universale. Principio e fondamento di tale unità, sia della Chiesa sia del Collegio dei Vescovi, è il Romano Pontefice. Come, infatti, insegna il Concilio Vaticano II, il Collegio, «  in quanto composto da molti, esprime la varietà e l'universalità del Popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo, esprime l'unità del gregge di Cristo  ».31 Per questo la «  unità dell'Episcopato è uno degli elementi costitutivi dell'unità della Chiesa  ».32

La Chiesa universale non è la somma delle Chiese particolari, né una federazione di esse e, neppure, il risultato della loro comunione in quanto, secondo le espressioni degli antichi Padri e della Liturgia, nel suo essenziale mistero essa precede la creazione stessa.33 Alla luce di questa dottrina si potrà aggiungere che il rapporto di mutua interiorità, che vige tra la Chiesa universale e la Chiesa particolare, per cui le Chiese particolari sono «  formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica  »,34 si riproduce nel rapporto tra Collegio episcopale nella sua totalità e il singolo Vescovo. Per questo «  il Collegio episcopale non è da intendersi come la somma dei Vescovi preposti alle Chiese particolari, né il risultato della loro comunione, ma, in quanto elemento essenziale della Chiesa universale, è una realtà previa all'ufficio di capitalità sulla Chiesa particolare  ».35

Possiamo meglio comprendere questo parallelismo tra la Chiesa universale e il Collegio dei Vescovi alla luce di quanto afferma il Concilio Vaticano II: «  Gli Apostoli furono, dunque, ad un tempo il seme del nuovo Israele e l'origine della sacra gerarchia  ».36 Negli Apostoli, non singolarmente considerati, ma nel loro essere Collegio, era contenuta la struttura della Chiesa, che in loro era costituita nella sua universalità e unità, e del Collegio dei Vescovi loro successori, segno di tale universalità e unità.37

È così che «  la potestà del Collegio episcopale su tutta la Chiesa non viene costituita dalla somma delle potestà dei singoli Vescovi sulle loro Chiese particolari; essa è una realtà anteriore a cui partecipano i singoli Vescovi, i quali non possono agire su tutta la Chiesa se non collegialmente  ».38 A tale potestà d'insegnare e di governare i Vescovi partecipano solidalmente in maniera immediata per il fatto stesso che sono membri del Collegio episcopale, nel quale realmente persevera il Collegio apostolico.39

Come la Chiesa universale è una e indivisibile, così pure il Collegio episcopale è un «  soggetto teologico indivisibile  » e quindi anche la potestà suprema, piena e universale di cui il Collegio è soggetto, come lo è il Romano Pontefice personalmente, è una e indivisibile. Proprio perché il Collegio episcopale è una realtà previa all'ufficio di capitalità sulla Chiesa particolare, vi sono molti Vescovi che, pur esercitando compiti propriamente episcopali, non sono a capo di una Chiesa particolare.40 Ogni Vescovo, sempre in unione con tutti i Fratelli nell'episcopato e con il Romano Pontefice, rappresenta Cristo Capo e Pastore della Chiesa: non solo in modo proprio e specifico, quando riceve l'ufficio di pastore di una Chiesa particolare, ma anche quando collabora col Vescovo diocesano nel governo della sua Chiesa,41 oppure partecipa all'ufficio di pastore universale del Romano Pontefice nel governo della Chiesa universale. Erede del fatto che lungo la sua storia la Chiesa, oltre alla forma propria della presidenza di una Chiesa particolare, ha riconosciuto anche altre forme di esercizio del ministero episcopale, come quella di Vescovo ausiliare o di rappresentante del Romano Pontefice negli Uffici della Santa Sede o nelle Legazioni pontificie, anche oggi essa, a norma del diritto, ammette tali forme, quando si rendono necessarie.42



 

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Indole missionaria e unitarietà del ministero episcopale

9. Il Vangelo secondo Luca riferisce che Gesù diede ai Dodici il nome di Apostoli, che letteralmente significa inviati, mandati (cfr 6, 13). Nel Vangelo secondo Marco leggiamo pure che Gesù costituì i Dodici «  anche per mandarli a predicare  » (3, 14). Ciò significa che tanto l'elezione quanto la costituzione dei Dodici come Apostoli sono finalizzate alla missione. Il primo loro invio (cfr Mt 10, 5; Mc 6, 7; Lc 9, 1-2) trova la sua pienezza nella missione che Gesù loro affida, dopo la Risurrezione, al momento dell'Ascensione al Cielo. Sono parole che conservano tutta la loro attualità: «  Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo  » (Mt 28, 18-20). Questa missione apostolica ha avuto la sua solenne conferma nel giorno dell'effusione pentecostale dello Spirito Santo.

Nel testo del Vangelo secondo Matteo appena citato, l'intero ministero pastorale può essere visto come articolato secondo la triplice funzione d'insegnamento, di santificazione e di guida. Vediamo qui un riflesso della triplice dimensione del servizio e della missione di Cristo. Noi, difatti, come cristiani e, in modo qualitativamente nuovo, come sacerdoti, partecipiamo alla missione del nostro Maestro, che è Profeta, Sacerdote e Re, e siamo chiamati a rendergli una peculiare testimonianza nella Chiesa e dinanzi al mondo.

Queste tre funzioni (triplex munus) e le potestà che ne derivano esprimono sul piano dell'agire il ministero pastorale (munus pastorale), che ogni Vescovo riceve con la consacrazione episcopale. È lo stesso amore di Cristo, partecipato nella consacrazione, che si concretizza nell'annuncio del Vangelo di speranza a tutte le genti (cfr Lc 4, 16-19), nell'amministrazione dei Sacramenti a chi accoglie la salvezza e nella guida del Popolo santo verso la vita eterna. Si tratta, infatti, di funzioni tra loro intimamente connesse, che reciprocamente si spiegano, si condizionano e si illuminano.43

Proprio per questo, il Vescovo, quando insegna, al tempo stesso santifica e governa il Popolo di Dio; mentre santifica, anche insegna e governa; quando governa, insegna e santifica. Sant'Agostino definisce la totalità di questo ministero episcopale come amoris officium.44 Questo dona la certezza che mai, nella Chiesa, verrà meno la carità pastorale di Gesù Cristo.

«  ... chiamò a sé quelli che egli volle  » (Mc 3, 13)

10. Molta folla seguiva Gesù, quando egli decise di salire sul monte e di chiamare a sé gli Apostoli. Molti erano i discepoli, ma Egli ne scelse Dodici soltanto per lo specifico compito di Apostoli (cfr Mc 3, 13-19). Nell'Aula Sinodale è spesso risuonato il detto di S. Agostino: «  Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano  ».45

Dono dello Spirito fatto alla Chiesa, il Vescovo è, anzitutto e come ogni altro cristiano, figlio e membro della Chiesa. Da questa Santa Madre egli ha ricevuto il dono della vita divina nel sacramento del Battesimo e il primo ammaestramento nella fede. Con tutti gli altri fedeli egli condivide l'insuperabile dignità di figlio di Dio, da vivere nella comunione e in spirito di grata fraternità. D'altra parte, in forza della pienezza del sacramento dell'Ordine, il Vescovo è anche colui che, di fronte ai fedeli, è maestro, santificatore e pastore, incaricato di agire in nome e in persona di Cristo.

Si tratta, evidentemente, di due relazioni non semplicemente accostate fra loro, bensì in reciproco e intimo rapporto, ordinate come sono l'una all'altra perché entrambe attingono dalla ricchezza di Cristo unico e sommo sacerdote. Il Vescovo diventa «  padre  » proprio perché pienamente «  figlio  » della Chiesa. Ciò ripropone il rapporto tra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale: due modi di partecipazione all'unico sacerdozio di Cristo, nel quale sono presenti due dimensioni, che si uniscono nell'atto supremo del sacrificio della croce.

Questo si riflette sulla relazione che, nella Chiesa, vige tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale. Il fatto che, quantunque differiscano essenzialmente tra di loro, siano ordinati l'uno all'altro,46 crea una reciprocità che struttura armonicamente la vita della Chiesa come luogo di attualizzazione storica della salvezza operata da Cristo. Tale reciprocità si ritrova proprio nella persona stessa del Vescovo, che è e rimane un battezzato, ma costituito nel sommo sacerdozio. Questa realtà più profonda del Vescovo è il fondamento del suo «  essere tra  » gli altri fedeli e del suo essere «  di fronte  » ad essi.

Lo ricorda il Concilio Vaticano II in un bellissimo testo: «  Se quindi nella Chiesa non tutti camminano per la stessa via, tutti però sono chiamati alla santità e hanno ricevuto una fede per la giustizia di Dio (cfr 2 Pt 1, 1). Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli per l'edificazione del Corpo di Cristo. La distinzione infatti posta dal Signore tra i sacri ministri e il resto del Popolo di Dio, include l'unione, essendo i pastori e gli altri fedeli legati tra di loro da un comune necessario rapporto: i Pastori della Chiesa sull'esempio del Signore siano al servizio gli uni degli altri e degli altri fedeli e questi a loro volta prestino volenterosi la loro collaborazione ai pastori e ai dottori  ».47

Il ministero pastorale ricevuto nella consacrazione, che pone il Vescovo «  di fronte  » agli altri fedeli, si esprime in un «  essere per  » gli altri fedeli che non lo sradica dal suo «  essere con  » loro. Ciò vale sia per la sua santificazione personale, da ricercare ed attuare nell'esercizio del suo ministero, sia per lo stile di attuazione del ministero stesso in tutte le funzioni in cui si esplica.

La reciprocità, che esiste tra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale, e che si ritrova nello stesso ministero episcopale, si manifesta in una sorta di «  circolarità  » tra le due forme di sacerdozio: circolarità tra la testimonianza di fede di tutti i fedeli e la testimonianza di fede autentica del Vescovo nei suoi atti magisteriali; circolarità tra la vita santa dei fedeli e i mezzi di santificazione che il Vescovo offre ad essi; circolarità, infine, tra la responsabilità personale del Vescovo riguardo al bene della Chiesa a lui affidata e la corresponsabilità di tutti i fedeli rispetto al bene della stessa.



 

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CAPITOLO SECONDO

LA VITA SPIRITUALE DEL VESCOVO

« Ne costituì Dodici che stessero con lui » (Mc 3, 14)

11. Con il medesimo atto d'amore con il quale liberamente li costituisce Apostoli, Gesù chiama i Dodici a condividere la sua stessa vita. Anche questa condivisione, che è comunione di animi e d'intenti con Lui, è pertanto un'esigenza iscritta nella loro partecipazione alla sua stessa missione. Non si devono ridurre le funzioni del Vescovo ad un compito meramente organizzativo. Proprio per evitare questo rischio, sia i documenti preparatori del Sinodo sia molti interventi in Aula dei Padri sinodali hanno insistito su ciò che comporta, nella vita personale del Vescovo e nell'esercizio del ministero a lui affidato, la realtà dell'episcopato come pienezza del sacramento dell'Ordine, nei suoi fondamenti teologici, cristologici e pneumatologici.

Alla santificazione oggettiva, che per opera di Cristo si ha nel Sacramento con la comunicazione dello Spirito, deve corrispondere la santità soggettiva, nella quale il Vescovo, con il sostegno della grazia, sempre più deve progredire attraverso l'esercizio del ministero. La trasformazione ontologica operata dalla consacrazione, come conformazione a Cristo, richiede uno stile di vita che manifesti lo «  stare con lui  ». Varie volte, di conseguenza, nell'Aula del Sinodo si è insistito sulla carità pastorale, come frutto sia del carattere impresso dal Sacramento sia della grazia ad esso propria. La carità, si è detto, è come l'anima del ministero del Vescovo, che viene coinvolto in un dinamismo di pro-existentia pastorale, da cui è spinto a vivere, come Cristo Buon Pastore, per il Padre e per gli altri, nel dono quotidiano di sé.

È soprattutto nell'esercizio del proprio ministero, ispirato all'imitazione della carità del Buon Pastore, che il Vescovo è chiamato a santificarsi e a santificare, avendo come principio unificante la contemplazione del volto di Cristo e l'annunzio del vangelo della salvezza.48 La sua spiritualità, pertanto, oltre che dal sacramento del Battesimo e della Confermazione, attinge orientamenti e stimoli dalla stessa Ordinazione episcopale che lo impegna a vivere nella fede, nella speranza e nella carità il proprio ministero di evangelizzatore, di liturgo e di guida nella comunità. Quella del Vescovo sarà allora anche una spiritualità ecclesiale, perché tutto nella sua vita è orientato all'edificazione amorosa della Santa Chiesa.

Ciò esige nel Vescovo un atteggiamento di servizio improntato a forza d'animo, coraggio apostolico e fiducioso abbandono all'azione interiore dello Spirito. Egli pertanto si impegnerà ad assumere uno stile di vita che imiti la kénosis di Cristo servo, povero e umile, in modo che l'esercizio del ministero pastorale sia in lui un riflesso coerente di Gesù, Servo di Dio, e lo induca ad essere come Lui vicino a tutti, dal più grande al più piccolo. Insomma, ancora una volta con una sorta di reciprocità, l'esercizio fedele e amorevole del ministero santifica il Vescovo e lo rende sul piano soggettivo sempre più conforme alla ricchezza ontologica di santità che in lui ha posto il Sacramento.

La santità personale del Vescovo, tuttavia, non si ferma mai ad un livello solo soggettivo perché, nella sua efficacia, ridonda sempre a beneficio dei fedeli, affidati alla sua cura pastorale. Nella pratica della carità, come contenuto del ministero pastorale ricevuto, il Vescovo diventa segno di Cristo e acquista quell'autorevolezza morale di cui l'esercizio dell'autorità giuridica ha bisogno per poter efficacemente incidere sull'ambiente. Se, infatti, l'ufficio episcopale non poggia sulla testimonianza della santità manifestata nella carità pastorale, nell'umiltà e nella semplicità di vita, finisce per ridursi ad un ruolo quasi soltanto funzionale e perde fatalmente di credibilità presso il Clero ed i fedeli.

Vocazione alla santità nella Chiesa del nostro tempo

12. Un'immagine biblica sembra particolarmente adatta per illuminare la figura del Vescovo quale amico di Dio, pastore e guida del popolo. È la figura di Mosè. Guardando a lui, il Vescovo può trarre ispirazione nel suo essere ed agire di pastore, scelto e inviato dal Signore, coraggioso nel precedere il suo popolo verso la terra promessa, fedele interprete della parola e della legge del Dio vivente, mediatore dell'Alleanza, ardente e fiducioso nella preghiera in favore della sua gente. Come Mosè, che dopo il colloquio con il Signore sulla santa montagna tornò in mezzo al suo popolo con il volto raggiante (cfr Es 34, 29-30), anche il Vescovo potrà portare tra i suoi fratelli i segni del suo essere padre, fratello ed amico soltanto se sarà entrato nella nube oscura e luminosa del mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Illuminato dalla luce della Trinità, egli sarà segno della bontà misericordiosa del Padre, viva immagine della carità del Figlio, trasparente uomo dello Spirito, consacrato e inviato per guidare il Popolo di Dio sui sentieri del tempo nel pellegrinaggio verso l'eternità.

I Padri sinodali hanno messo in luce l'importanza dell'impegno spirituale nella vita, nel ministero e nel cammino del Vescovo. Io stesso ho indicato questa priorità in sintonia con le esigenze della vita della Chiesa e l'appello dello Spirito Santo, che in questi anni ha richiamato a tutti il primato della grazia, la diffusa esigenza di spiritualità, l'urgenza di testimoniare la santità.

Il richiamo alla spiritualità scaturisce dal riferimento all'azione dello Spirito Santo nella storia della salvezza. La sua è una presenza attiva e dinamica, profetica e missionaria. Il dono della pienezza dello Spirito Santo, che il Vescovo riceve nell'Ordinazione episcopale, è un prezioso e urgente richiamo ad assecondarne l'azione nella comunione ecclesiale e nella missione universale.

Celebrata dopo il Grande Giubileo del 2000, l'Assemblea sinodale ha sin dal principio fatto proprio il progetto di una vita santa, che io stesso ho indicato alla Chiesa intera: «  La prospettiva entro cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quello della santità... Finito il Giubileo, ricomincia il cammino ordinario, ma additare la santità resta più che mai un'urgenza della pastorale  ».49 L'accoglienza entusiastica e generosa del mio appello a mettere al primo posto la vocazione alla santità, è stata l'atmosfera nella quale si sono svolti i lavori sinodali e il clima che, in qualche maniera, ha unificato gli interventi e le riflessioni dei Padri. Essi sentivano echeggiare nei loro cuori il monito di san Gregorio Nazianzeno: «  Prima purificarsi e poi purificare, prima lasciarsi istruire dalla sapienza e poi istruire, prima diventare luce e poi illuminare, prima avvicinarsi a Dio e poi condurvi gli altri, prima essere santi e poi santificare  ».50

Per questa ragione, dall'Assemblea sinodale si è più volte levato l'invito a individuare con chiarezza la specificità «  episcopale  » del cammino di santità di un Vescovo. Sarà sempre una santità vissuta con il popolo e per il popolo, in una comunione che diventa stimolo e reciproca edificazione nella carità. Né si tratta d'istanze secondarie, o marginali. È proprio la vita spirituale del Vescovo, infatti, che favorisce la fecondità della sua opera pastorale. Non sta forse nella meditazione assidua del mistero di Cristo, nella contemplazione appassionata del suo volto, nell'imitazione generosa della vita del Buon Pastore il fondamento di ogni pastorale efficace? Se è vero che il nostro è tempo di continuo movimento e spesso anche di agitazione col facile rischio del «  fare per fare  », allora il Vescovo per primo deve mostrare, con l'esempio della propria vita, che occorre ristabilire il primato dell'«  essere  » sul «  fare  » e, ancora di più, il primato della grazia, che nella visione cristiana della vita è pure principio essenziale per una «  programmazione  » del ministero pastorale.51


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Il cammino spirituale del Vescovo

13. Un Vescovo può ritenersi davvero ministro della comunione e della speranza per il Popolo santo di Dio solo quando cammina alla presenza del Signore. Non è possibile, infatti, essere al servizio degli uomini senza prima essere «  servi di Dio  ». E servi di Dio non si può essere se non si è «  uomini di Dio  ». Perciò nell'omelia dell'inizio del Sinodo ho detto: «  Il Pastore deve essere uomo di Dio; la sua esistenza e il suo ministero stanno interamente sotto la sua gloria divina e traggono dal sovraeminente mistero di Dio luce e vigore  ».52

La chiamata alla santità è insita, per il Vescovo, nello stesso evento sacramentale che è all'origine del suo ministero, ossia l'Ordinazione episcopale. L'antico Eucologio di Serapione formula in questi termini l'invocazione rituale della consacrazione: «  Dio di verità fa' del tuo servitore un Vescovo vivente, un Vescovo santo nella successione dei santi Apostoli  ».53 Poiché, tuttavia, l'Ordinazione episcopale non infonde la perfezione delle virtù, «  il Vescovo è chiamato a proseguire il suo cammino di perfezione con maggiore intensità, per giungere alla statura di Cristo, Uomo perfetto  ».54

La stessa indole cristologica e trinitaria del suo mistero e ministero esige per il Vescovo un cammino di santità, che consiste nell'avanzamento progressivo verso una sempre più profonda maturità spirituale ed apostolica, segnata dal primato della carità pastorale. Un cammino evidentemente vissuto insieme con il suo popolo, in un itinerario che è al tempo stesso personale e comunitario, come la vita stessa della Chiesa. In questo cammino, però, il Vescovo diventa, in intima comunione con Cristo e attenta docilità allo Spirito, testimone, modello, promotore e animatore. Così si esprime pure la legge canonica: «  Il Vescovo diocesano, consapevole di essere tenuto ad offrire un esempio di santità nella carità, nell'umiltà e nella semplicità di vita, si impegni a promuovere con ogni mezzo la santità dei fedeli, secondo la vocazione propria di ciascuno, ed essendo il principale dispensatore dei misteri di Dio, si adoperi di continuo perché i fedeli affidati alle sue cure crescano in grazia mediante la celebrazione dei Sacramenti e perché conoscano e vivano il mistero pasquale  ».55

Il cammino spirituale del Vescovo, come quello d'ogni fedele cristiano, ha certamente la sua radice nella grazia sacramentale del Battesimo e della Confermazione. Questa grazia lo accomuna a tutti i fedeli, poiché, come avverte il Concilio Vaticano II, «  tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità  ».56 Vale specialmente in questo caso la notissima affermazione di sant'Agostino, ricca di realismo e di sapienza soprannaturale: «  Se mi atterrisce l'essere per voi, mi consola l'essere con voi. Perché per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano. Quello è il nome di una carica, questo di una grazia; quello è il nome di un pericolo, questo della salvezza  ».57 Tuttavia, grazie alla carità pastorale, la carica diventa servizio e il pericolo si trasforma in opportunità di crescita e di maturazione. Il ministero episcopale non è solo fonte di santità per gli altri, ma è già motivo di santificazione per colui che lascia passare attraverso il proprio cuore e la propria vita la carità di Dio.

I Padri sinodali hanno sintetizzato alcune esigenze di questo cammino. Anzitutto hanno richiamato il carattere battesimale e crismale, che sin dal principio dell'esistenza cristiana, mediante le virtù teologali, rende capaci di credere in Dio, di sperare in Lui e di amarlo. Lo Spirito Santo, per parte sua, infonde i suoi doni favorendo la crescita nel bene attraverso l'esercizio delle virtù morali, che danno concretezza anche umana alla vita spirituale.58 In forza del Battesimo che ha ricevuto, il Vescovo partecipa, come ogni cristiano, alla spiritualità che è radicata nell'incorporazione al Cristo e che si manifesta nella sua sequela secondo il Vangelo. Per questo egli condivide la vocazione di tutti i fedeli alla santità. Deve quindi coltivare una vita di preghiera e di fede profonda e riporre in Dio tutta la sua fiducia, offrendo la sua testimonianza al Vangelo in docile obbedienza ai suggerimenti dello Spirito Santo e riservando una particolare e filiale devozione alla Vergine Maria, che è perfetta maestra di vita spirituale.59

La spiritualità del Vescovo sarà, pertanto, una spiritualità di comunione, vissuta in sintonia con tutti gli altri battezzati, figli insieme con lui dell'unico Padre nel cielo e dell'unica Madre sulla terra, la Santa Chiesa. Come tutti i credenti in Cristo, egli ha bisogno di alimentare la sua vita spirituale nutrendosi della viva ed efficace parola del Vangelo e del pane di vita della santa Eucaristia, cibo di vita eterna. A causa dell'umana fragilità, anche il Vescovo è chiamato a ricorrere con frequenza e ritmi regolari al sacramento della Penitenza per ottenere il dono di quella misericordia, di cui pure è divenuto ministro. Consapevole, dunque, della propria umana debolezza e dei propri peccati, ogni Vescovo, insieme con i suoi sacerdoti, vive anzitutto per se stesso il sacramento della Riconciliazione, come una esigenza profonda e una grazia sempre nuovamente attesa, per ridare slancio al proprio impegno di santificazione nell'esercizio del ministero. In tal modo egli esprime anche visibilmente il mistero di una Chiesa in se stessa santa, ma composta anche di peccatori bisognosi di essere perdonati.

Come tutti i sacerdoti e, ovviamente, in speciale comunione con i sacerdoti del presbiterio diocesano, il Vescovo si impegnerà a percorrere uno specifico cammino di spiritualità. Egli, infatti, è chiamato alla santità pure per il nuovo titolo che deriva dall'Ordine sacro. Il Vescovo, perciò, vive di fede, speranza e carità in quanto è ministro della parola del Signore, della santificazione e del progresso spirituale del Popolo di Dio. Egli dev'essere santo perché deve servire la Chiesa come maestro, santificatore e guida. Come tale egli deve anche profondamente e intensamente amare la Chiesa. Ogni Vescovo è conformato a Cristo per amare la Chiesa con l'amore di Cristo sposo e per essere, nella Chiesa, ministro della sua unità, per fare cioè della Chiesa «  un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo  ».60

La specifica spiritualità del Vescovo, i Padri sinodali lo hanno sottolineato ripetutamente, si arricchisce ulteriormente dell'apporto di grazia insito nella pienezza del Sacerdozio, a lui conferita nel momento dell'Ordinazione. In quanto pastore del gregge e servitore del Vangelo di Gesù Cristo nella speranza, il Vescovo deve riflettere e fare come trasparire in se medesimo la persona stessa di Cristo, Pastore supremo. Nel Pontificale Romano questo impegno è esplicitamente richiamato: «  Ricevi la mitra, e risplenda in te il fulgore della santità, perché quando apparirà il Principe dei pastori tu possa meritare la incorruttibile corona di gloria  ».61

Per questo il Vescovo ha un costante bisogno della grazia di Dio, che rafforzi e perfezioni la sua natura umana. Egli può affermare con l'apostolo Paolo: «  La nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una nuova Alleanza  » (2 Cor 3, 5-6). Lo si deve, perciò, sottolineare: il ministero apostolico è una sorgente di spiritualità per il Vescovo, il quale deve attingere da esso le risorse spirituali che lo fanno crescere nella santità e gli permettono di scoprire l'azione dello Spirito Santo nel Popolo di Dio affidato alle sue sollecitudini pastorali.62

Il cammino spirituale del Vescovo coincide, in questa prospettiva, con la stessa carità pastorale, che a buon diritto dev'essere ritenuta come l'anima del suo apostolato, come lo è anche di quello del presbitero e del diacono. Si tratta non soltanto di una existentia, ma pure di una pro-existentia, di un vivere, cioè, che si ispira al modello supremo costituito da Cristo Signore, e che si spende perciò totalmente nell'adorazione del Padre e nel servizio dei fratelli. Giustamente, al riguardo, il Concilio Vaticano II afferma che i Pastori, a immagine di Cristo, devono con santità e slancio, con umiltà e fortezza compiere il proprio ministero, «  il quale, così adempiuto, sarà anche per loro un eccellente mezzo di santificazione  ».63 Nessun Vescovo può ignorare che il vertice della santità rimane Cristo Crocifisso, nella sua suprema donazione al Padre e ai fratelli nello Spirito Santo. Per questo la configurazione a Cristo e la partecipazione alle sue sofferenze (cfr 1 Pt 4, 13) diventa la via regale della santità del Vescovo in mezzo al suo popolo.



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Maria, Madre della speranza e maestra di vita spirituale

14. Sostegno della vita spirituale sarà anche per il Vescovo la presenza materna della Vergine Maria, Mater spei et spes nostra, come l'invoca la Chiesa. Per Maria, dunque, il Vescovo nutrirà una devozione autentica e filiale, sentendosi chiamato a fare proprio il suo fiat, a rivivere e attualizzare ogni giorno l'affidamento che Gesù fece di Maria, in piedi presso la Croce, al Discepolo e del Discepolo amato a Maria (cfr Gv 19, 26-27). Ugualmente il Vescovo è chiamato a rispecchiarsi nella preghiera unanime e perseverante dei discepoli ed apostoli del Figlio con la Madre sua, in preparazione alla Pentecoste. In questa icona della Chiesa nascente si esprime il legame indissolubile fra Maria e i successori degli Apostoli (cfr At 1, 14).

La santa Madre di Dio sarà quindi per il Vescovo maestra nell'ascolto e nella pronta esecuzione della Parola di Dio, nel discepolato fedele verso l'unico Maestro, nella stabilità della fede, nella fiduciosa speranza e nell'ardente carità. Come Maria, «  memoria  » dell'Incarnazione del Verbo nella prima comunità cristiana, il Vescovo sarà custode e tramite della Tradizione vivente della Chiesa, nella comunione con tutti gli altri Vescovi, in unione e sotto l'autorità del Successore di Pietro.

La solida devozione mariana del Vescovo farà costante riferimento alla Liturgia, dove la Vergine ha una particolare presenza nella celebrazione dei misteri della salvezza ed è per tutta la Chiesa modello esemplare di ascolto e di preghiera, di offerta e di maternità spirituale. Sarà, anzi, compito del Vescovo fare sì che la Liturgia appaia sempre «  quale “forma esemplare”, fonte di ispirazione, costante punto di riferimento e meta ultima  » per la pietà mariana del Popolo di Dio.64 Fermo restando questo principio, anche il Vescovo nutrirà la sua pietà mariana personale e comunitaria con i pii esercizi approvati e raccomandati dalla Chiesa, specialmente con la recita di quel compendio del Vangelo che è il Santo Rosario. Esperto di questa preghiera, tutta incentrata sulla contemplazione degli eventi salvifici della vita di Cristo, cui fu strettamente associata la sua santa Madre, ogni Vescovo è invitato a esserne anche solerte promotore.65

Affidarsi alla Parola

15. L'Assemblea del Sinodo dei Vescovi ha indicato alcuni mezzi necessari per nutrire e fare progredire la propria vita spirituale.66 Tra questi c'è, al primo posto, la lettura e la meditazione della Parola di Dio. Ogni Vescovo dovrà sempre affidarsi e sentirsi affidato «  al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati  » (At 20, 32). Prima, perciò, d'essere trasmettitore della Parola, il Vescovo, insieme con i suoi sacerdoti e come ogni fedele, anzi come la stessa Chiesa,67 deve essere ascoltatore della Parola. Egli dev'essere come «  dentro  » la Parola, per lasciarsene custodire e nutrire come da un grembo materno. Insieme con sant'Ignazio d'Antiochia, anche il Vescovo ripete: «  Mi affido al Vangelo come alla carne di Cristo  ».68 Ogni Vescovo, pertanto, avrà sempre presente per se stesso quella nota ammonizione di san Girolamo, ripresa pure dal Concilio Vaticano II: «  L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo  ».69 Non c'è, difatti, primato della santità senza ascolto della Parola di Dio, che della santità è guida e nutrimento.

L'affidarsi alla Parola di Dio e il custodirla, come la Vergine Maria che fu Virgo audiens,70 comporta il mettere in pratica alcuni aiuti, che la tradizione e l'esperienza spirituale della Chiesa non hanno mai mancato di suggerire. Si tratta, anzitutto, della frequente lettura personale e dello studio attento e assiduo della Sacra Scrittura. Un Vescovo sarebbe vano predicatore della Parola all'esterno, se prima non l'ascoltasse dall'interno.71 Senza il contatto frequente con la Sacra Scrittura, un Vescovo sarebbe pure ministro poco credibile della speranza, se è vero, come ricorda san Paolo che «  in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza  » (Rm 15, 4). È, dunque, sempre valido ciò che scriveva Origene: «  Sono queste le due attività del Pontefice: o imparare da Dio, leggendo le Scritture divine e meditandole più volte, o ammaestrare il popolo. Però, insegni le cose che egli stesso ha imparato da Dio  ».72

Il Sinodo ha richiamato l'importanza della lectio e della meditatio della Parola di Dio nella vita dei Pastori e nel loro stesso ministero a servizio della comunità. Come ho scritto nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, «  è necessario che l'ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell'antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l'esistenza  ».73 Negli spazi della meditazione e della lectio, il cuore che ha già accolto la Parola si apre alla contemplazione dell'agire di Dio e, di conseguenza, alla conversione a Lui dei pensieri e della vita, accompagnata dalla richiesta supplice del suo perdono e della sua grazia.

Nutrirsi dell'Eucaristia

16. Come, poi, il mistero pasquale sta al centro della vita e della missione del Buon Pastore, così anche l'Eucaristia è al centro della vita e della missione del Vescovo, come di ogni sacerdote.

Con la celebrazione quotidiana della Santa Messa, egli offre se stesso insieme con Cristo. Quando, poi, questa celebrazione avviene nella Cattedrale, o nelle altre chiese, specialmente parrocchiali, con il concorso e la partecipazione attiva dei fedeli, il Vescovo appare sotto gli occhi di tutti qual è, ossia come il Sacerdos et Pontifex, poiché agisce nella persona di Cristo e nella potenza del suo Spirito, e come lo hiereus, il sacerdote santo, occupato nell'operare i sacri misteri dell'altare, che annuncia e spiega con la predicazione.74

L'amore del Vescovo verso la Santa Eucaristia si esprime pure quando, nel corso della giornata, dedica parte anche abbastanza prolungata del proprio tempo all'adorazione davanti al Tabernacolo. Qui il Vescovo apre al Signore il suo animo, perché sia tutto pervaso e informato dalla carità effusa sulla Croce dal Pastore grande delle pecore, che per loro ha sparso il suo sangue e ha dato la propria vita. A Lui pure innalza la sua preghiera, continuando a intercedere per le pecore che gli sono state affidate.

La preghiera e la Liturgia delle Ore

17. Un secondo mezzo indicato dai Padri sinodali è la preghiera, in modo speciale quella elevata al Signore con la celebrazione della Liturgia delle Ore, che è specificamente e sempre preghiera della comunità cristiana nel nome di Cristo e sotto la guida dello Spirito.

La preghiera è in se stessa un particolare dovere per un Vescovo e per quanti hanno «  avuto il dono della vocazione ad una vita di speciale consacrazione: questa li rende, per sua natura, più disponibili all'esperienza contemplativa  ».75 Il Vescovo stesso non può dimenticare di essere successore di quegli Apostoli che furono costituiti da Cristo anzitutto perché «  stessero con lui  » (Mc 3, 14) e che, all'inizio della loro missione, fecero una solenne dichiarazione, che è un programma di vita: «  Noi ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola  » (At 6, 4). Il Vescovo, pertanto, riuscirà ad essere per i fedeli un maestro di preghiera solo se potrà contare sulla propria esperienza personale di dialogo con Dio. Egli deve potersi rivolgere a Dio in ogni momento con le parole del Salmista: «  Io spero sulla tua parola  » (Sal 119 [118], 114). Sarà proprio dalla preghiera che egli potrà attingere quella speranza con la quale deve come contagiare i fedeli. La preghiera, infatti, è il luogo privilegiato dove si esprime e si nutre la speranza poiché essa, secondo un'espressione di san Tommaso d'Aquino, è la «  interprete della speranza  ».76

Quella personale del Vescovo sarà in modo tutto speciale una preghiera tipicamente «  apostolica  », cioè presentata al Padre come intercessione per ogni necessità del popolo, che gli è stato affidato. Nel Pontificale Romano è questo l'ultimo impegno dell'eletto all'episcopato, prima che si proceda all'imposizione delle mani: «  Vuoi pregare, senza mai stancarti, Dio onnipotente, per il suo Popolo santo ed esercitare in modo irreprensibile il ministero del sommo sacerdozio?  ».77 In modo tutto particolare il Vescovo prega per la santità dei suoi sacerdoti, per le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata, perché nella Chiesa sempre più arda l'impegno missionario e apostolico.

Riguardo, poi, alla Liturgia delle Ore, destinata a consacrare e orientare il corso intero della giornata per mezzo della lode di Dio, come non ricordare le magnifiche espressioni del Concilio Vaticano II? «  Quando a celebrare debitamente quel mirabile canto di lode sono i sacerdoti e altri a ciò deputati da un precetto della Chiesa, o i fedeli che pregano insieme col sacerdote nella forma approvata, allora è veramente la voce della sposa stessa che parla allo sposo, anzi è la preghiera di Cristo che, in unione al suo Corpo, eleva al Padre. Tutti coloro pertanto che compiono questo, adempiono l'obbligo della Chiesa e partecipano al sommo onore della sposa di Cristo perché, rendendo lode a Dio, stanno davanti al trono di Dio in nome della Madre Chiesa  ».78 Scrivendo sulla preghiera del Divino Ufficio, il mio predecessore di v. m. Paolo VI, affermava che essa è «  preghiera della Chiesa locale  », nella quale si esprime «  la vera natura della Chiesa orante  ».79 Nella consecratio temporis che la Liturgia delle Ore realizza, si attua quella laus perennis che è anticipo e prefigurazione della Liturgia celeste, vincolo di unione con gli angeli e i santi che in eterno glorificano il nome di Dio. Tanto, dunque, un Vescovo si mostra e si realizza quale uomo di speranza, quanto s'inserisce nel dinamismo escatologico della preghiera del Salterio. Nei Salmi risuona la Vox sponsae che invoca lo Sposo.

Ogni Vescovo, quindi, prega con il suo popolo e prega per il suo popolo. Egli, però, è pure edificato ed aiutato dalla preghiera dei suoi fedeli, sacerdoti, diaconi, persone di vita consacrata e laici di tutte le età. In mezzo a loro il Vescovo è educatore e promotore della preghiera. Non soltanto trasmette le cose contemplate, ma apre ai cristiani la via stessa della contemplazione. Il noto motto del contemplata aliis tradere diviene, in tal modo, un contemplationem aliis tradere.


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La virtù dell'obbedienza

19. Portando su di sé questi tratti umanissimi di Gesù, il Vescovo diventa pure modello e promotore di una spiritualità di comunione, tesa con vigile attenzione a costruire la Chiesa, in modo che tutto, parole e opere, sia compiuto nel segno della sottomissione filiale in Cristo e nello Spirito all'amorevole disegno del Padre. In quanto maestro di santità e ministro della santificazione del suo popolo, il Vescovo è chiamato infatti ad adempiere fedelmente la volontà del Padre. L'obbedienza del Vescovo deve essere vissuta avendo come modello &endash; né potrebbe essere diversamente &endash; l'obbedienza stessa di Cristo, il quale ha affermato più volte di essere disceso dal cielo non per fare la sua volontà, ma la volontà di Colui che lo ha mandato (cfr Gv 6, 38; 8, 29; Fil 2, 7-8).

Camminando sulle orme di Cristo, il Vescovo è obbediente al Vangelo e alla Tradizione della Chiesa, sa leggere i segni dei tempi e riconoscere la voce dello Spirito Santo nel ministero petrino e nella collegialità episcopale. Nell'Esortazione apostolica Pastores dabo vobis ho messo in luce il carattere apostolico, comunitario e pastorale dell'obbedienza presbiterale.82 Tali caratteristiche si ritrovano, com'è ovvio, in modo anche più marcato nell'obbedienza del Vescovo. La pienezza del sacramento dell'Ordine che egli ha ricevuto lo pone infatti in una speciale relazione col Successore di Pietro, con i membri del Collegio episcopale e con la stessa sua Chiesa particolare. Egli deve sentirsi impegnato a vivere intensamente questi rapporti con il Papa e con i confratelli Vescovi in uno stretto vincolo di unità e di collaborazione, rispondendo in tal modo al disegno divino che ha voluto unire inseparabilmente gli Apostoli intorno a Pietro. Questa comunione gerarchica del Vescovo con il Sommo Pontefice rafforza la sua capacità di rendere presente, in virtù dell'Ordine ricevuto, Cristo Gesù, Capo invisibile di tutta la Chiesa.

All'aspetto apostolico dell'obbedienza non può non aggiungersi anche l'aspetto comunitario, in quanto l'episcopato è per sua natura «  uno e indiviso  ».83 In forza di questa comunitarietà, il Vescovo è chiamato a vivere la sua obbedienza vincendo ogni tentazione individualistica e facendosi carico, nell'insieme della missione del Collegio episcopale, della sollecitudine per il bene di tutta la Chiesa.

Quale modello di ascolto, il Vescovo sarà altresì attento a cogliere, nella preghiera e nel discernimento, la volontà di Dio attraverso quanto lo Spirito dice alla Chiesa. Esercitando evangelicamente la sua autorità, egli saprà mettersi in dialogo con i collaboratori ed i fedeli per far crescere efficacemente la reciproca intesa.84 Ciò gli consentirà di valorizzare pastoralmente la dignità e responsabilità di ogni membro del Popolo di Dio, favorendo con equilibrio e serenità lo spirito di iniziativa di ciascuno. I fedeli devono infatti essere aiutati a crescere verso un'obbedienza responsabile che li renda attivi sul piano pastorale.85 Al riguardo, è sempre attuale l'esortazione che sant'Ignazio di Antiochia rivolgeva a Policarpo: «  Nulla si faccia senza il tuo consenso, ma tu non fare nulla senza il consenso di Dio  ».86

Lo spirito e la prassi della povertà nel Vescovo

20. I Padri sinodali, in segno di sintonia collegiale, hanno raccolto l'appello da me lanciato nella Liturgia d'apertura del Sinodo, perché la beatitudine evangelica della povertà fosse ritenuta come una delle condizioni necessarie per attuare, nell'odierna situazione, un fecondo ministero episcopale. Anche in questa circostanza, in mezzo all'assemblea dei Vescovi si è come stagliata la figura di Cristo Signore, che «  ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni  » e che invita anche la Chiesa, con i suoi pastori in primo luogo, «  a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza  ».87

Il Vescovo, perciò, che vuole essere autentico testimone e ministro del vangelo della speranza, deve essere vir pauper. Lo richiede la testimonianza che egli è tenuto a rendere a Cristo povero; lo richiede anche la sollecitudine della Chiesa verso i poveri, verso i quali è doverosa una scelta preferenziale. La decisione del Vescovo di vivere il proprio ministero nella povertà contribuisce decisamente a fare della Chiesa la «  casa dei poveri  ».

Tale decisione, inoltre, pone il Vescovo in una situazione di interiore libertà nell'esercizio del ministero consentendogli di comunicare efficacemente i frutti della salvezza. L'autorità episcopale deve essere esercitata con un'instancabile generosità e con un'inesauribile gratuità. Ciò richiede da parte del Vescovo una piena fiducia nella provvidenza del Padre celeste, una magnanima comunione di beni, un austero tenore di vita, una permanente conversione personale. Solo per questa via egli sarà capace di partecipare alle angosce e ai dolori del Popolo di Dio, che egli deve non solo guidare e nutrire, ma con il quale deve essere solidale, condividendone i problemi e contribuendo ad alimentarne la speranza.

Compirà questo servizio con efficacia se la sua vita sarà semplice, sobria e, insieme, attiva e generosa e se metterà coloro che sono ritenuti gli ultimi della nostra società non ai margini ma al centro della comunità cristiana.88 Quasi senza accorgersene, favorirà la «  fantasia della carità  », che metterà in evidenza più che l'efficacia dei soccorsi prestati, la capacità di vivere la condivisione fraterna. Infatti nella Chiesa apostolica, come ampiamente testimoniano gli Atti, la povertà di alcuni suscitava la solidarietà degli altri con il risultato sorprendente che «  nessuno fra loro era bisognoso  » (4, 34). La Chiesa è debitrice di questa profezia al mondo assediato dai problemi della fame e delle disuguaglianze fra i popoli. In questa prospettiva di condivisione e di semplicità il Vescovo amministra i beni della Chiesa come il «  buon padre di famiglia  » e vigila affinché essi siano impiegati secondo i fini propri della Chiesa: il culto di Dio, il sostentamento dei ministri, le opere di apostolato, le iniziative di carità verso i poveri.

Essere procurator pauperum è stato sempre un titolo dei pastori della Chiesa e deve esserlo concretamente anche oggi, per rendere presente ed eloquente il messaggio del Vangelo di Gesù Cristo a fondamento della speranza di tutti, ma specialmente di coloro che solo da Dio possono attendere una vita più degna e un migliore avvenire. Sollecitate dall'esempio dei Pastori, la Chiesa e le Chiese devono mettere in atto quella «  opzione preferenziale per i poveri  », che ho indicato come programma per il terzo millennio.89

Con la castità al servizio di una Chiesa che riflette la purezza di Cristo

21. «  Ricevi l'anello, segno di fedeltà, e nell'integrità della fede e nella purezza della vita custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo  ». Con queste parole, proclamate nel Pontificale Romano,90 il Vescovo è invitato a prendere coscienza dell'impegno che assume di riflettere in sé l'amore verginale di Cristo per tutti i suoi fedeli. Egli è chiamato innanzitutto a suscitare tra i fedeli rapporti vicendevoli ispirati a quel rispetto e a quella stima che si addicono ad una famiglia dove fiorisce l'amore secondo l'esortazione dell'apostolo Pietro: «  Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, essendo stati rigenerati, non da un seme corruttibile ma immortale, cioè dalla parola di Dio, viva ed eterna  » (1 Pt 1, 22-23).

Mentre con il suo esempio e con la sua parola egli esorta i cristiani ad offrire i loro corpi come sacrificio vivente, santo e gradito e Dio (cfr Rm 12, 1), a tutti egli ricorda che «  passa la scena di questo mondo  » (1 Cor 7, 31), ed è perciò doveroso vivere «  nell'attesa della beata speranza  » del ritorno glorioso di Cristo (cfr Tt 2, 13). In particolare, nella sua sollecitudine pastorale egli è vicino con paterno affetto a quanti hanno abbracciato la vita religiosa nella professione dei consigli evangelici ed offrono il loro prezioso servizio alla Chiesa. Egli sostiene poi ed incoraggia i sacerdoti che, chiamati dalla grazia divina, hanno liberamente assunto l'impegno del celibato per il Regno dei cieli, richiamando a se stesso ed a loro le motivazioni evangeliche e spirituali di tale scelta, quanto mai importante per il servizio del Popolo di Dio. Nell'oggi della Chiesa e del mondo la testimonianza dell'amore casto costituisce, per un verso, una specie di terapia spirituale per l'umanità e, per l'altro, una contestazione dell'idolatria dell'istinto sessuale.

Nel presente contesto sociale, il Vescovo deve essere particolarmente vicino al suo gregge e innanzitutto ai suoi sacerdoti, paternamente attento alle loro difficoltà ascetiche e spirituali, prestando loro l'opportuno sostegno per favorirne la fedeltà alla vocazione ed alle esigenze di un'esemplare santità di vita nell'esercizio del ministero. Nei casi, poi, di gravi mancanze e, ancor più, di delitti che recano danno alla testimonianza stessa del Vangelo, specie quando accade da parte dei ministri della Chiesa, il Vescovo deve essere forte e deciso, giusto e sereno. Egli è tenuto ad intervenire prontamente, secondo le norme canoniche stabilite, sia per la correzione e il bene spirituale del sacro ministro, sia per la riparazione dello scandalo e il ristabilimento della giustizia, come pure per quanto riguarda la protezione e l'aiuto alle vittime.

Con la parola, con l'azione vigile e paterna il Vescovo adempie l'impegno di offrire al mondo la verità di una Chiesa santa e casta, nei suoi ministri e nei suoi fedeli. Operando in questo modo, il pastore precede il suo gregge come ha fatto Cristo, lo Sposo, che ha donato la sua vita per noi e che ha lasciato a tutti l'esempio di un amore limpido e verginale e, perciò, anche fecondo e universale.


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http://odielle.it//documenti/html/10298.html

La formazione permanente del Vescovo

24. In stretto collegamento con l'impegno del Vescovo di proseguire instancabilmente sulla via della santità vivendo una spiritualità cristocentrica ed ecclesiale, l'Assemblea sinodale ha posto anche l'istanza di una sua formazione permanente. Necessaria per tutti i fedeli, come è stato sottolineato nei precedenti Sinodi e ribadito nelle successive Esortazioni apostoliche Christifideles Laici, Pastores dabo vobis e Vita consecrata, la formazione permanente è da ritenersi necessaria specialmente per il Vescovo, che porta su di sé la responsabilità del comune progresso e del concorde cammino nella Chiesa.

Come per i sacerdoti e le persone di vita consacrata, anche per un Vescovo la formazione permanente è un'esigenza intrinseca alla sua vocazione e missione. Grazie ad essa, infatti, è possibile discernere le nuove chiamate con cui Dio precisa ed attualizza la chiamata iniziale. Anche l'apostolo Pietro, dopo il «  seguimi  » del primo incontro con Cristo (cfr Mt 4, 19), si sente ripetere lo stesso invito dal Risorto che, prima di lasciare la terra, preannunciandogli le fatiche e le tribolazioni del futuro ministero, aggiunge: «  Tu seguimi  » (Gv 21, 22). «  C'è, dunque, un “seguimi” che accompagna la vita e la missione dell'apostolo. È un “seguimi” che attesta l'appello e l'esigenza della fedeltà sino alla morte, un “seguimi” che può significare una sequela Christi con il dono totale di sé nel martirio  ».94 Non si tratta, è evidente, di attuare soltanto un adeguato aggiornamento, richiesto da una realistica conoscenza della situazione della Chiesa e del mondo, così da permettere al Pastore di essere inserito nel presente con mente aperta e cuore compassionevole. A questa buona ragione di un'aggiornata formazione permanente, si uniscono le motivazioni antropologiche derivanti dal fatto che la vita stessa è un incessante cammino verso la maturità, e quelle teologiche connesse in profondità con la radice sacramentale: il Vescovo, infatti, deve «  custodire con vigile amore il “mistero” che porta in sé per il bene della Chiesa e dell'umanità  ».95

Per l'aggiornamento periodico, specialmente su alcuni temi di grande importanza, si richiedono dei veri momenti prolungati di ascolto, di comunione e di dialogo con persone esperte &endash; Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici &endash;, in uno scambio di esperienze pastorali, di conoscenze dottrinali, di risorse spirituali che non mancheranno di assicurare un vero arricchimento personale. Allo scopo, i Padri sinodali hanno sottolineato l'utilità di speciali corsi di formazione per i Vescovi, come i convegni annuali promossi dalla Congregazione per i Vescovi o da quella per l'Evangelizzazione dei Popoli a favore dei Vescovi di recente ordinazione episcopale. Ugualmente è stato auspicato che brevi corsi di formazione o giornate di studio e di aggiornamento, come pure corsi di esercizi spirituali per i Vescovi, siano disposti e preparati dai Sinodi patriarcali, dalle Conferenze nazionali o regionali e pure dalle Assemblee continentali di Vescovi.

Converrà che la stessa Presidenza della Conferenza episcopale si assuma il compito di provvedere alla preparazione ed alla realizzazione di tali programmi di formazione permanente, incoraggiando i Vescovi a partecipare a questi corsi, così da ottenere anche in questo modo una maggiore comunione fra i Pastori, in vista di una migliore efficacia pastorale nelle singole diocesi.96

È evidente in ogni caso che, come la vita della Chiesa, così anche lo stile di azione, le iniziative pastorali, le forme del ministero del Vescovo sono in evoluzione. Anche da questo punto di vista si rende necessario un aggiornamento, in conformità con le disposizioni del Codice di Diritto Canonico e in rapporto alle nuove sfide e ai nuovi impegni della Chiesa nella società. In tale contesto l'Assemblea sinodale ha proposto di rivedere il Direttorio Ecclesiae imago, già pubblicato dalla Congregazione per i Vescovi il 22 febbraio 1973, e di adattarlo alle mutate esigenze dei tempi e ai cambiamenti intercorsi nella Chiesa e nella vita pastorale.97

L'esempio dei santi Vescovi

25. Nella loro vita e nel loro ministero, nel cammino spirituale e nello sforzo di adeguare la loro azione apostolica, i Vescovi sono sempre confortati dall'esempio di Pastori santi. Io stesso nell'Omelia per la Celebrazione eucaristica conclusiva del Sinodo ho proposto l'esempio di santi Pastori canonizzati durante l'ultimo secolo, come testimonianza di una grazia dello Spirito che non è mai mancata alla Chiesa e non mancherà mai.98

La storia della Chiesa, a partire dagli Apostoli, conosce un numero davvero grande di Pastori la cui dottrina e santità sono in grado d'illuminare e orientare il cammino spirituale anche dei Vescovi del terzo millennio. Le gloriose testimonianze dei grandi Pastori dei primi secoli della Chiesa, dei Fondatori delle Chiese particolari, dei confessori della fede e dei martiri, che in tempi di persecuzione hanno dato la vita per Cristo, restano come luminosi punti di riferimento a cui i Vescovi del nostro tempo possono guardare per trarne indicazioni e stimoli nel loro servizio al Vangelo.

Molti, in particolare, sono stati esemplari nell'esercizio della virtù della speranza, quando in tempi difficili hanno risollevato il loro popolo, hanno ricostruito le chiese dopo tempi di persecuzione e di calamità, hanno edificato ospizi dove accogliere pellegrini e poveri, hanno aperto ospedali dove curare ammalati e vecchi. Tanti altri Vescovi sono stati guide illuminate, che hanno aperto nuovi sentieri per il loro popolo. In tempi difficili, conservando fisso lo sguardo su Cristo crocifisso e risorto, nostra speranza, hanno dato risposte positive e creative alle sfide del momento. All'inizio del terzo millennio, vi sono ancora di questi Pastori, che hanno una storia da raccontare, fatta di fede ancorata saldamente alla Croce. Pastori che sanno cogliere le umane aspirazioni, assumerle, purificarle e interpretarle alla luce del Vangelo e che, perciò, hanno pure una storia da costruire, insieme con tutto il popolo a loro affidato.

Ogni Chiesa particolare avrà, dunque, la cura di celebrare i propri santi Vescovi, ricordando anche i Pastori che per la vita santa e gli insegnamenti illuminati hanno lasciato nel popolo speciale eredità di ammirazione e di affetto. Sono essi le spirituali sentinelle che guidano dal cielo il cammino della Chiesa pellegrina nel tempo. Anche per questo, affinché sia conservata sempre viva la memoria della fedeltà dei Vescovi eminenti nell'esercizio del loro ministero, l'Assemblea sinodale ha raccomandato che le Chiese particolari o, secondo il caso, le Conferenze episcopali si adoperino per farne conoscere ai fedeli la figura per mezzo di biografie aggiornate e, se è il caso, esaminino l'opportunità di introdurre le loro cause di canonizzazione.99

La testimonianza di una vita spirituale ed apostolica pienamente realizzata rimane ancora oggi la grande prova della forza del Vangelo nel trasformare le persone e le comunità, facendo penetrare nel mondo e nella storia la stessa santità di Dio. Anche questo è un motivo di speranza, specialmente per le nuove generazioni che attendono dalla Chiesa proposte stimolanti a cui ispirarsi nell'impegno di rinnovare in Cristo la società del nostro tempo.



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CAPITOLO TERZO

MAESTRO DELLA FEDE
E ARALDO DELLA PAROLA

« Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo » (Mc 16, 15)

26. Ai suoi Apostoli Gesù risorto affida la missione di «  fare discepoli  » tutti i popoli insegnando loro ad osservare tutto ciò che Lui stesso ha comandato. Alla Chiesa, comunità dei discepoli del Signore crocifisso e risorto, è dunque affidato solennemente il compito di predicare il Vangelo a tutte le creature. È compito che durerà sino alla fine dei tempi. A partire da quel primo inizio non è ormai più possibile pensare ad una Chiesa senza tale missione evangelizzatrice. Ne ha manifestato la consapevolezza l'apostolo Paolo con le ben note parole: «  Non è per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo!  » (1 Cor 9, 16).

Se il dovere di annunciare il Vangelo è proprio di tutta la Chiesa e di ogni suo figlio, lo è a titolo speciale dei Vescovi i quali, nel giorno della sacra Ordinazione che li immette nella successione apostolica, assumono come impegno precipuo quello di predicare il Vangelo e di predicarlo «  invitando gli uomini alla fede nella fortezza dello Spirito e rafforzandoli nella vivezza della fede  ».100

L'attività evangelizzatrice del Vescovo, mirante a condurre gli uomini alla fede o ad irrobustirli in essa, costituisce una manifestazione preminente della sua paternità. Egli perciò può ripetere con Paolo: «  Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo  » (1 Cor 4, 15). Proprio per questa dinamica generatrice di vita nuova secondo lo Spirito, il ministero episcopale si mostra nel mondo come segno di speranza per i popoli, per ogni uomo.

Molto opportunamente, perciò, i Padri sinodali hanno ricordato che l'annuncio di Cristo ha sempre il primo posto e che il Vescovo è il primo annunciatore del Vangelo con le parole e con la testimonianza della vita. Egli deve essere cosciente delle sfide che l'ora presente reca con sé ed avere il coraggio di affrontarle. Tutti i Vescovi, quali ministri della verità, sosterranno questo loro compito con forza e fiducia.101

Cristo nel cuore del Vangelo e dell'uomo

27. Il tema dell'annuncio del Vangelo è stato davvero preminente negli interventi dei Padri sinodali, i quali hanno a più riprese e nei modi più vari affermato che centro vivo dell'annuncio del Vangelo è Cristo crocifisso e risorto per la salvezza di tutti gli uomini.102

Cristo, infatti, è il cuore dell'evangelizzazione, il cui programma «  s'incentra, in ultima analisi in Cristo stesso, da conoscere, da amare, da imitare per vivere in Lui la vita trinitaria e trasformare con Lui la storia fino al compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace. Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio  ».103

Da Cristo, cuore del Vangelo, si dipartono tutte le altre verità della fede e s'irradia pure la speranza per tutti gli uomini. Cristo, infatti, è la luce che illumina ogni uomo e chiunque è rigenerato in Lui riceve le primizie dello Spirito, che lo mettono in grado di adempiere la legge nuova dell'amore.104

In forza, perciò, della sua stessa missione apostolica, il Vescovo è abilitato ad introdurre il suo popolo nel cuore del mistero della fede, ove potrà incontrare la persona viva di Gesù Cristo. I fedeli giungeranno così a comprendere che tutta l'esperienza cristiana ha la sua fonte e il suo indefettibile punto di riferimento nella Pasqua di Gesù, vincitore del peccato e della morte.105

Nell'annuncio della morte e risurrezione del Signore, poi, è incluso «  l'annuncio profetico di un al di là, vocazione profonda e definitiva dell'uomo, in continuità e insieme in discontinuità con la situazione presente: al di là del tempo e della storia, al di là della realtà di questo mondo la cui figura passa [...] L'evangelizzazione contiene dunque anche la predicazione della speranza nelle promesse fatte da Dio nella Nuova Alleanza in Gesù Cristo  ».106

Il Vescovo, uditore e custode della Parola

28. Il Concilio Vaticano II, proseguendo sulla via indicata dalla tradizione della Chiesa, spiega che la missione dell'insegnamento propria dei Vescovi consiste nel custodire santamente e annunciare coraggiosamente la fede.107

Da questo punto di vista, si rivela in tutta la sua ricchezza di significato il gesto previsto nel Rito romano di Ordinazione episcopale, quando sul capo dell'eletto è imposto l'Evangeliario aperto: si vuole con ciò esprimere, da una parte, che la Parola avvolge e custodisce il ministero del Vescovo e, dall'altra, che la vita di lui dev'essere interamente sottomessa alla Parola di Dio nella quotidiana dedizione alla predicazione del Vangelo con ogni pazienza e dottrina (cfr 2 Tm 4). Anche i Padri sinodali hanno più volte ricordato che il Vescovo è colui che custodisce con amore la Parola di Dio e la difende con coraggio, testimoniandone il messaggio di salvezza. In effetti, il senso del munus docendi episcopale scaturisce dalla natura stessa di ciò che dev'essere custodito, cioè il deposito della fede.

Cristo nostro Signore, nella Sacra Scrittura dell'uno e dell'altro Testamento e nella Tradizione, ha affidato alla sua Chiesa l'unico deposito della Rivelazione divina, che è come lo specchio nel quale essa, «  pellegrina in terra, contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia così come egli è  ».108 È quanto è avvenuto nel corso dei secoli sino ad oggi: le diverse comunità, accogliendo la Parola sempre nuova ed efficace nel succedersi dei tempi, hanno docilmente ascoltato la voce dello Spirito Santo, impegnandosi a renderla viva e operante nell'attualità dei diversi periodi storici. Così la Parola tramandata, la Tradizione, è divenuta sempre più consapevolmente Parola di vita e, intanto, il compito del suo annuncio e della sua custodia si è progressivamente realizzato, sotto la guida e l'assistenza dello Spirito di Verità, come ininterrotta trasmissione di tutto ciò che la Chiesa è e di tutto ciò che essa crede.109

Questa Tradizione, che trae la sua origine dagli Apostoli, progredisce nella vita della Chiesa, come ha insegnato il Concilio Vaticano II. Similmente cresce e si sviluppa la comprensione delle cose e delle parole trasmesse, sicché nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa si stabilisce una singolare unità di sentimenti tra Vescovi e fedeli.110 Nella ricerca, dunque, della fedeltà allo Spirito, che parla all'interno della Chiesa, i fedeli e i pastori s'incontrano e stabiliscono quei vincoli profondi di fede che rappresentano come il primo momento del sensus fidei. È utile risentire al riguardo le espressioni del Concilio Vaticano II: «  La totalità dei fedeli che hanno ricevuto l'unzione dello Spirito Santo (cfr 1 Gv 2, 20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà che gli è particolatre mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo, quando “dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici” esprime l'universale suo consenso in materia di fede e di costumi  ».111

Per questo la vita della Chiesa e la vita nella Chiesa è per ogni Vescovo la condizione per l'esercizio della sua missione d'insegnare. Un Vescovo trova la sua identità e il suo posto all'interno della comunità dei discepoli del Signore, dove ha ricevuto il dono della vita divina e il primo ammaestramento nella fede. Ogni Vescovo, specialmente quando dalla sua Cattedra episcopale esercita davanti all'assemblea dei fedeli la sua funzione di maestro nella Chiesa, deve potere ripetere come sant'Agostino: « A considerare il posto che occupiamo, siamo vostri maestri, ma rispetto a quell'unico Maestro, siamo con voi condiscepoli nella stessa scuola ».112 Nella Chiesa, scuola del Dio vivente, Vescovi e fedeli sono tutti condiscepoli e tutti hanno bisogno d'essere istruiti dallo Spirito.

Sono davvero molti i luoghi dai quali lo Spirito elargisce il suo interiore ammaestramento. Il cuore di ciascuno, anzitutto, e poi la vita delle diverse Chiese particolari, dove emergono e si fanno sentire le molteplici necessità delle persone e delle diverse comunità ecclesiali, mediante linguaggi conosciuti, ma anche diversi e nuovi.

Lo Spirito si fa ancora ascoltare mentre suscita nella Chiesa differenti forme di carismi e di servizi. Anche per questa ragione, certamente, molte volte nell'Aula sinodale si sono udite voci che esortavano il Vescovo all'incontro diretto e al contatto personale, sul modello del Buon Pastore che conosce le sue pecore e le chiama ciascuna per nome, con i fedeli che vivono nelle comunità affidate alla sua premura pastorale. Infatti l'incontro frequente del Vescovo con i suoi presbiteri, in primo luogo, e poi con i diaconi, con i consacrati e le loro comunità, con i fedeli laici, singolarmente e nelle diverse forme di aggregazione, ha grande importanza per l'esercizio di un ministero efficace in mezzo al Popolo di Dio.


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L'attenzione alla pietà popolare

40. I Padri sinodali hanno ribadito l'importanza che, nella trasmissione e nello sviluppo della fede, ha la pietà popolare. Essa, infatti, come ebbe a dire il mio predecessore di v. m. Paolo VI, è ricca di valori nei confronti sia di Dio che dei fratelli,155 così da costituire un vero e proprio tesoro di spiritualità nella vita della comunità cristiana.

Anche nel nostro tempo, nel quale si avverte una diffusa sete di spiritualità, che spesso porta molti ad aderire a sette religiose o ad altre forme di vago spiritualismo, i Vescovi sono chiamati a discernere e a favorire i valori e le forme della vera pietà popolare.

È sempre attuale ciò che è scritto nell'Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: «  La carità pastorale deve suggerire a tutti quelli, che il Signore ha posto come capi di comunità ecclesiali, le norme di comportamento nei confronti di questa realtà così ricca e insieme così vulnerabile. Prima di tutto, occorre esservi sensibili, sapere cogliere le sue dimensioni interiori e i suoi valori innegabili, essere disposti ad aiutarla a superare i suoi rischi di deviazione. Ben orientata, questa religiosità popolare può essere sempre più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesù Cristo  ».156

Occorre, quindi, orientare questa religiosità, purificandone, all'occorrenza, le forme espressive secondo i principi della fede e della vita cristiana. I fedeli, mediante la pietà popolare, devono essere condotti all'incontro personale con Cristo, alla comunione con la Beata Vergine Maria e con i Santi, specialmente per mezzo dell'ascolto della parola di Dio, del ricorso alla preghiera, della partecipazione alla vita sacramentale, della testimonianza della carità e delle opere di misericordia.157

Per una più ampia riflessione su quest'argomento e per una preziosa serie di suggerimenti teologici, pastorali e spirituali, mi è grato rimandare ai documenti emanati da questa Sede Apostolica, dove è ricordato che tutte le manifestazioni della pietà popolare sono sotto la responsabilità del Vescovo, nella propria diocesi. A lui compete regolarle, incoraggiarle nella loro funzione d'aiuto ai fedeli per la vita cristiana, purificarle dove è necessario, ed evangelizzarle.158

La promozione della santità per tutti i fedeli

41. La santità del Popolo di Dio, cui è ordinato il ministero di santificazione del Vescovo, è dono della grazia divina e manifestazione del primato di Dio nella vita della Chiesa. Per questo, nel suo ministero, egli deve promuovere instancabilmente una vera e propria pastorale e pedagogia della santità, sì da realizzare il programma proposto dal capitolo quinto della Costituzione Lumen gentium circa la vocazione universale alla santità.

Questo programma io stesso ho voluto proporre a tutta la Chiesa, all'inizio del terzo millennio, come priorità pastorale e come frutto del grande Giubileo dell'Incarnazione.159 La santità, infatti, è ancora oggi un segno dei tempi, una prova della verità del cristianesimo che rifulge nei suoi esponenti migliori, sia in quelli elevati in grande numero agli onori degli altari, sia in quelli ancora più numerosi che nascostamente hanno fecondato e fecondano la storia degli uomini con l'umile e gioiosa santità del quotidiano. Anche nel nostro tempo, infatti, non mancano preziose testimonianze di forme di santità, personale e comunitaria, che sono per tutti, anche per le nuove generazioni, un segno di speranza.

Per fare, dunque, emergere la testimonianza della santità, esorto i miei Fratelli Vescovi a volere cogliere e a mettere in luce i segni della santità e delle virtù eroiche, che ancora oggi si manifestano, specialmente quando riguardano i fedeli laici delle loro diocesi, soprattutto i coniugi cristiani. Dove ciò, poi, risulti davvero opportuno, li incoraggio a promuovere i relativi processi di canonizzazione.160 Ciò potrà essere per tutti un segno di speranza e, per il cammino del Popolo di Dio, un motivo d'incoraggiamento nella sua testimonianza, di fronte al mondo, della permanente presenza della grazia nel tessuto delle umane vicende.


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CAPITOLO QUINTO

IL GOVERNO PASTORALE
DEL VESCOVO

« Vi ho dato l'esempio » (Gv 13, 15)

42. Trattando del dovere di governare la famiglia di Dio e di assumere la cura abituale e quotidiana del gregge del Signore Gesù, il Concilio Vaticano II spiega che i Vescovi nell'esercizio del loro ministero di padri e pastori in mezzo ai loro fedeli debbono comportarsi come «  coloro che servono  », avendo sempre sotto gli occhi l'esempio del Buon Pastore, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per le pecore (cfr Mt 20, 28; Mc 10, 45; Lc 22, 26- 27; Gv 10, 11).161

Quest'immagine di Gesù, modello supremo del Vescovo, ha una sua eloquente espressione nel gesto della lavanda dei piedi, narrato nel Vangelo secondo Giovanni: «  Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano [...] si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto [...]. Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro [...] Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi  » (13, 1-15).

Contempliamo, allora, Gesù mentre compie questo gesto che sembra offrirci la chiave per la comprensione del suo stesso essere e della sua missione, della sua vita e della sua morte. Contempliamo pure l'amore di Gesù, che si traduce in azione, in gesti concreti. Contempliamo Gesù che assume sino in fondo, con radicalità assoluta, la forma di servo (cfr Fil 2, 7). Lui, il Maestro e Signore, che ha ricevuto tutto nelle sue mani dal Padre, ci ha amati fino alla fine, fino a mettersi totalmente nelle mani degli uomini, accettando da loro tutto ciò che essi avrebbero poi fatto di Lui. Quello di Gesù è un gesto d'amore compiuto nel contesto dell'istituzione dell'Eucaristia e nella chiara prospettiva della passione e della morte. È un gesto rivelatore del senso dell'Incarnazione, ma, ancora di più, dell'essenza stessa di Dio. Dio è amore, e per questo ha assunto la condizione di servo: Dio si è posto a servizio dell'uomo per portare l'uomo alla piena comunione con Lui.

Se questo, dunque, è il Maestro e Signore, il senso del ministero e dell'essere stesso di chi è chiamato, come i Dodici, ad entrare nella più grande intimità con Gesù, non può consistere che nella totale e incondizionata disponibilità verso gli altri, sia verso coloro che già fanno parte dell'ovile, sia verso quelli che ancora non vi appartengono (cfr Gv 10, 16).

L'autorità di servizio pastorale del Vescovo

43. Il Vescovo è inviato in nome di Cristo come pastore per la cura di una determinata porzione del Popolo di Dio. Per mezzo del Vangelo e dell'Eucaristia, egli deve farla crescere quale realtà di comunione nello Spirito Santo.162 Da questo deriva per il Vescovo la rappresentanza e il governo della Chiesa affidatagli, con la potestà necessaria per esercitare il ministero pastorale sacramentalmente ricevuto (munus pastorale), come partecipazione alla stessa consacrazione e missione di Cristo.163 In forza di ciò, «  i Vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate, come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è il più grande si deve fare come il più piccolo, e colui che governa, come colui che serve (cfr Lc 22, 26-27)  ».164

Questo brano conciliare è una mirabile sintesi della dottrina cattolica riguardo al governo pastorale del Vescovo ed è ripreso nel rito dell'Ordinazione del Vescovo: « Episcopato è il nome di un servizio, non di un onore, poiché al Vescovo compete più il servire che il dominare, secondo il comandamento del Maestro ».165 C'è qui il principio fondamentale per cui nella Chiesa, secondo quanto afferma san Paolo, l'autorità ha come scopo l'edificazione del Popolo di Dio, non la sua rovina (cfr 2 Cor 10, 8). L'edificazione del gregge di Cristo nella verità e nella santità richiede da parte del Vescovo, come più volte è stato detto nell'aula sinodale, alcune caratteristiche, fra cui l'esemplarità della vita, la capacità di relazione autentica e costruttiva con le persone, l'attitudine a stimolare e sviluppare la cooperazione, la bontà d'animo e la pazienza, la comprensione e la compassione per le miserie dell'anima e del corpo, l'indulgenza e il perdono. Si tratta, infatti, di esprimere nel miglior modo possibile il supremo modello, che è Gesù Buon Pastore.

Quella del Vescovo è una vera potestà, ma una potestà illuminata dalla luce del Buon Pastore e informata dal suo modello. Esercitata in nome di Cristo, essa è « propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia in definitiva regolato dalla suprema autorità della Chiesa e, entro certi limiti, in vista dell'utilità della Chiesa o dei fedeli, possa essere circoscritto. In virtù di questo potere, i Vescovi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e all'apostolato ».166 Il Vescovo, dunque, è investito, in virtù dell'ufficio che ha ricevuto, di una potestà giuridica oggettiva, destinata ad esprimersi in atti potestativi mediante i quali attuare il ministero di governo (munus pastorale) ricevuto nel Sacramento.

Il governo del Vescovo, tuttavia, sarà pastoralmente efficace &endash; occorre ricordarlo anche in questo caso &endash; se poggerà su un'autorevolezza morale, data dalla sua santità di vita. Sarà questa a disporre gli animi ad accogliere il Vangelo da lui annunciato nella sua Chiesa, come anche le norme da lui fissate per il bene del Popolo di Dio. Ammoniva, perciò, sant'Ambrogio: « Nei sacerdoti non si ricerca nulla di volgare, nulla di comune con le aspirazioni, le abitudini, i costumi della moltitudine grossolana. La dignità sacerdotale rivendica per sé una gravità che si tiene lontana dai tumulti, una vita austera e una singolare autorevolezza ».167

L'esercizio dell'autorità nella Chiesa non può essere concepito come qualcosa d'impersonale e di burocratico, proprio perché si tratta di un'autorità che nasce dalla testimonianza. In tutto ciò che viene detto e fatto dal Vescovo deve essere rivelata l'autorità della parola e dell'agire di Cristo. Se mancasse l'autorevolezza della santità di vita del Vescovo, cioè la sua testimonianza di fede, speranza e carità, il suo governo difficilmente potrebbe essere recepito dal Popolo di Dio come manifestazione della presenza operante di Cristo nella sua Chiesa.

Ministri per volontà del Signore dell'apostolicità della Chiesa e rivestiti della potenza dello Spirito del Padre, che regge e guida (Spiritus principalis), i Vescovi sono successori degli Apostoli non solo nell'autorità e nella sacra potestà, ma pure nella forma di vita apostolica, nelle sofferenze apostoliche per l'annuncio e la diffusione del Vangelo, nella cura tenera e misericordiosa dei fedeli loro affidati, nella difesa dei deboli, nella costante attenzione per il Popolo di Dio.

Nell'aula sinodale è stato ricordato che, dopo il Concilio Vaticano II, l'esercizio dell'autorità nella Chiesa s'è rivelato spesso faticoso. Tale situazione, anche se alcune delle difficoltà più acute sembrano superate, permane tuttora. Si pone perciò il problema di come il necessario servizio dell'autorità possa essere meglio compreso, accettato e adempiuto. Al riguardo, una prima risposta scaturisce dalla natura stessa dell'autorità ecclesiale: essa è &endash; e come tale deve mostrarsi il più chiaramente possibile &endash; partecipazione alla missione di Cristo, da viversi ed esercitarsi nell'umiltà, nella dedizione e nel servizio.

La valorizzazione dell'autorità del Vescovo non s'esprime nelle esteriorità, ma nell'approfondimento del significato teologico, spirituale e morale del suo ministero, fondato nel carisma dell'apostolicità. Quanto è stato detto in aula sinodale circa l'icona della lavanda dei piedi, e il collegamento che, in tale contesto, è stato stabilito tra la figura del servo e quella del pastore, fa capire che l'episcopato è veramente un onore quando è servizio. Ogni Vescovo, perciò, deve applicare a se stesso la parola di Gesù: « Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti » (Mc 10, 42- 45). Memore di queste parole del Signore, il Vescovo governa col cuore del servo umile e del pastore affettuoso, che guida il suo gregge, cercando la gloria di Dio e la salvezza delle anime (cfr Lc 22, 26-27). Vissuta così, quella del Vescovo è davvero una forma di governo unica al mondo.

È già stato ricordato il testo della Lumen gentium, dove si afferma che i Vescovi reggono le Chiese particolari loro affidate come vicari e legati di Cristo, «  col consiglio, la persuasione, l'esempio  ».168 Non c'è in questo contraddizione con le parole che seguono, quando il Concilio Vaticano II aggiunge che i Vescovi governano, sì, «  col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà  ».169 Si tratta infatti di una «  sacra potestà  » che affonda le radici nell'autorevolezza morale di cui il Vescovo è insignito in virtù della sua santità di vita. Proprio questa agevola la ricezione di tutta la sua azione di governo e la rende efficace.



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CAPITOLO SESTO

NELLA COMUNIONE DELLE CHIESE

« La preoccupazione per tutte le Chiese » (2 Cor 11, 28)

55. Scrivendo ai cristiani di Corinto, l'apostolo Paolo rievoca tutto ciò che egli ha patito per il Vangelo: «  Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese  » (2 Cor 11, 26-28). La conclusione a cui egli giunge è un interrogativo appassionato: «  Chi è debole, che anch'io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?  » (2 Cor 11, 29). È lo stesso interrogativo che interpella la coscienza di ogni Vescovo, in quanto membro del Collegio episcopale.

Lo ricorda espressamente il Concilio Vaticano II quando afferma che tutti i Vescovi, in quanto membri del Collegio episcopale e legittimi successori degli Apostoli per istituzione e per comando di Cristo, sono tenuti ad estendere la loro sollecitudine a tutta la Chiesa. «  Tutti i Vescovi infatti devono promuovere e difendere l'unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa, istruire i fedeli all'amore di tutto il Corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia (cfr Mt 5, 10) e, infine, promuovere ogni attività comune a tutta la Chiesa, specialmente nel procurare che la fede cresca, e sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità. Del resto è una verità che, reggendo bene la propria Chiesa come porzione della Chiesa universale, contribuiscono essi stessi efficacemente al bene di tutto il corpo mistico, che è pure un corpo fatto di Chiese  ».206

Accade così che ogni Vescovo è simultaneamente in relazione con la sua Chiesa particolare e con la Chiesa universale. Lo stesso Vescovo, infatti, che è visibile principio e fondamento dell'unità nella propria Chiesa particolare, è pure il legame visibile della comunione ecclesiastica tra la sua Chiesa particolare e la Chiesa universale. Tutti i Vescovi, pertanto, risiedendo nelle loro Chiese particolari sparse nel mondo, ma sempre custodendo la comunione gerarchica con il Capo del Collegio episcopale e con il Collegio stesso, danno consistenza ed espressione alla cattolicità della Chiesa e nel contempo conferiscono alla loro Chiesa particolare tale nota di cattolicità. Ogni Vescovo, così, è quasi punto di congiunzione della sua Chiesa particolare con la Chiesa universale e testimonianza visibile della presenza dell'unica Chiesa di Cristo nella sua Chiesa particolare. Nella comunione delle Chiese, dunque, il Vescovo rappresenta la sua Chiesa particolare e, in questa, egli rappresenta la comunione delle Chiese. Mediante il ministero episcopale, infatti, le portiones Ecclesiae partecipano alla totalità dell'Una-Santa, mentre questa, sempre attraverso tale ministero, si rende presente nella singola Ecclesiae portio.207

La dimensione universale del ministero episcopale è pienamente manifestata e attuata quando tutti i Vescovi, in comunione gerarchica col Romano Pontefice, agiscono come Collegio. Riuniti solennemente in un Concilio Ecumenico o sparsi per il mondo, ma sempre in comunione gerarchica col Romano Pontefice, essi costituiscono la prosecuzione del Collegio apostolico.208 Anche in altre forme, però, tutti i Vescovi collaborano tra di loro e con il Romano Pontefice in bonum totius Ecclesiae, e ciò avviene anzitutto perché il Vangelo sia annunciato in tutta la terra e anche per fare fronte ai vari problemi che assillano le diverse Chiese particolari. Nello stesso tempo, anche l'esercizio del ministero del Successore di Pietro per il bene di tutta la Chiesa e di ogni Chiesa particolare, come pure l'azione del Collegio in quanto tale, sono di valido aiuto perché, nelle Chiese particolari affidate alla cura pastorale dei singoli Vescovi diocesani, siano salvaguardate l'unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa. Nella Cattedra di Pietro i Vescovi, sia come singoli sia uniti tra di loro come Collegio, trovano il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità della fede e della comunione.209

Il Vescovo diocesano in relazione alla suprema autorità

56. Il Concilio Vaticano II insegna che «  ai Vescovi, come a successori degli Apostoli, nelle Diocesi loro affidate, per sé spetta tutto il potere ordinario, proprio e immediato, che è necessario per l'esercizio del loro dovere pastorale (munus pastorale), ferma sempre restando in ogni campo la potestà del Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, di riservare alcune cause a se stesso o ad altra autorità  ».210

Nell'aula sinodale è stata sollevata da qualcuno la questione se non si possa trattare la relazione tra il Vescovo e la suprema autorità alla luce del principio di sussidiarietà, specialmente per quanto concerne i rapporti tra il Vescovo e la Curia romana, auspicando che tali rapporti, in linea con un'ecclesiologia di comunione, si svolgano nel rispetto delle competenze di ciascuno e, quindi, nell'attuazione di una maggiore decentralizzazione. È stato pure chiesto che si studi la possibilità di applicare tale principio alla vita della Chiesa, salvaguardando in ogni caso il fatto che principio costitutivo per l'esercizio dell'autorità episcopale è la comunione gerarchica dei singoli Vescovi con il Romano Pontefice e con il Collegio episcopale.

Come si sa, il principio di sussidiarietà fu formulato dal mio predecessore di v. m. Pio XI per la società civile.211 Il Concilio Vaticano II, che non ha mai usato il termine « sussidiarietà », ha però incoraggiato la condivisione tra gli organismi della Chiesa, avviando una nuova riflessione sulla teologia dell'Episcopato, che sta dando i suoi frutti nella concreta applicazione del principio della collegialità alla comunione ecclesiale. I Padri sinodali hanno tuttavia ritenuto, per quanto riguarda l'esercizio dell'autorità episcopale, che il concetto di sussidiarietà risulti ambiguo e hanno insistito di approfondire teologicamente la natura dell'autorità episcopale alla luce del principio di comunione.212

Nell'Assemblea sinodale si è parlato più volte del principio di comunione.213 Si tratta di una comunione organica, che si ispira all'immagine del Corpo di Cristo, di cui parla l'apostolo Paolo quando sottolinea le funzioni di complementarità e mutuo aiuto tra le diverse membra nell'unico corpo (cfr 1 Cor 12, 12-31).

Perché, dunque, il ricorso al principio di comunione sia fatto correttamente ed efficacemente, saranno ineludibili alcuni punti di riferimento. Si dovrà innanzitutto tener conto del fatto che nella sua Chiesa particolare, il Vescovo diocesano possiede tutta la potestà ordinaria, propria e immediata, necessaria per l'adempimento del suo ministero pastorale. A lui, pertanto, compete un ambito proprio di esercizio autonomo di tale autorità, ambito riconosciuto e tutelato dalla legislazione universale.214 La potestà del Vescovo, dall'altra parte, coesiste con la potestà suprema del Romano Pontefice, anch'essa episcopale, ordinaria e immediata su tutte le singole Chiese e i raggruppamenti di esse, su tutti i pastori e i fedeli.215

Altro punto fermo da tener presente: l'unità della Chiesa è radicata nell'unità dell'episcopato, il quale, per essere uno, richiede un Capo del Collegio. Analogamente la Chiesa, per essere una, esige una Chiesa come Capo delle Chiese, quella di Roma il cui Vescovo, Successore di Pietro, è il Capo del Collegio.216 Affinché, dunque, «  ogni Chiesa particolare sia pienamente Chiesa, cioè presenza particolare della Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali, quindi costituita ad immagine della Chiesa universale, in essa dev'essere presente, come elemento proprio, la suprema autorità della Chiesa [...] Il primato del Vescovo di Roma e il Collegio episcopale sono elementi propri della Chiesa universale «  non derivati dalla particolarità delle Chiese  », ma tuttavia interiori a ogni Chiesa particolare [...] L'essere il ministero del successore di Pietro interiore ad ogni Chiesa particolare è espressione necessaria di quella fondamentale mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare  ».217

La Chiesa di Cristo, nella sua nota di cattolicità, si realizza pienamente in ogni Chiesa particolare, la quale riceve tutti i mezzi naturali e soprannaturali per adempiere la missione, che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo. Tra questi c'è anche la potestà ordinaria, propria e immediata del Vescovo, richiesta per l'esercizio del suo ministero pastorale (munus pastorale), il quale esercizio, però, è sottoposto alle leggi universali e alle riserve, fatte dal diritto o da un decreto del Sommo Pontefice, alla suprema autorità, oppure ad altra autorità ecclesiastica.218

La capacità di governo proprio, comprendente anche l'esercizio del magistero autentico,219 intrinsecamente appartenente al Vescovo nella sua Diocesi, si trova all'interno di quella realtà misterica della Chiesa, la quale fa sì che nella Chiesa particolare sia immanente la Chiesa universale, che rende presente la suprema autorità, cioè il Romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi con la loro potestà suprema, piena, ordinaria e immediata su tutti i fedeli e pastori.220

Conformemente alla dottrina del Concilio Vaticano II, si deve affermare che la funzione di insegnare (munus docendi) e quella di governare (munus regendi) &endash; quindi la corrispondente potestà di magistero e di governo &endash; nella Chiesa particolare sono da ciascun Vescovo diocesano esercitate, per loro natura, nella comunione gerarchica con il Capo del Collegio e con il Collegio stesso.221 Ciò non indebolisce l'autorità episcopale, anzi la rafforza, in quanto i vincoli della comunione gerarchica che legano i Vescovi alla Sede Apostolica richiedono una necessaria coordinazione tra la responsabilità del Vescovo diocesano e quella della suprema autorità, che è dettata dalla natura stessa della Chiesa. È lo stesso diritto divino a porre i limiti dell'esercizio dell'una e dell'altra. La potestà dei Vescovi, per questo, «  non è sminuita dalla potestà suprema e universale, ma anzi è da essa affermata, corroborata e rivendicata, poiché lo Spirito Santo conserva invariata la forma di governo da Cristo Signore stabilita nella sua Chiesa  ».222

Bene si espresse pertanto il Papa Paolo VI quando, aprendo il terzo periodo del Concilio Vaticano II, affermò: «  Come voi, venerati Fratelli nell'episcopato, sparsi sulla terra per dare consistenza ed espressione alla vera cattolicità della Chiesa, avete bisogno di un centro, d'un principio di unità nella fede e nella comunione, quale appunto trovate in questa Cattedra di Pietro; così Noi abbiamo bisogno che voi Ci siate sempre vicini per dare sempre più al volto della Sede Apostolica la sua prestanza, la sua umana e storica realtà, anzi la consonanza alla sua fede, l'esempio al compimento dei suoi doveri, il conforto nelle sue tribolazioni  ».223

La realtà della comunione, che è alla base di tutte le relazioni intraecclesiali 224 e che è stata messa in luce anche nella discussione sinodale, costituisce una relazione di reciprocità tra il Romano Pontefice e i Vescovi. Infatti, se da una parte il Vescovo, per esprimere in pienezza il suo stesso ufficio e fondare la cattolicità della sua Chiesa, deve esercitare la potestà di governo che gli è propria (munus regendi), nella comunione gerarchica con il Romano Pontefice e con il Collegio episcopale, dall'altra parte il Romano Pontefice, Capo del Collegio, nell'esercizio del suo ministero di supremo pastore della Chiesa (munus supremi Ecclesiae pastoris), agisce sempre nella comunione con tutti gli altri Vescovi, anzi con tutta la Chiesa.225 Nella comunione ecclesiale, allora, come il Vescovo non è solo, ma è continuamente riferito al Collegio e al suo Capo ed è da essi sostenuto, così anche il Romano Pontefice non è solo, ma è sempre in riferimento ai Vescovi ed è da essi sostenuto. È questa un'altra ragione per cui l'esercizio della potestà suprema del Romano Pontefice non annulla, ma afferma, corrobora e rivendica la stessa potestà ordinaria, propria e immediata del Vescovo nella sua Chiesa particolare.




 

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Le visite « ad limina Apostolorum »

57. Una manifestazione e insieme un mezzo di comunione tra i Vescovi e la Cattedra di Pietro sono le visite ad limina Apostolorum.226 Tre, infatti, sono i momenti principali di tale avvenimento, con un loro proprio significato.227 Anzitutto il pellegrinaggio ai sepolcri dei principi degli Apostoli Pietro e Paolo, che indica il riferimento a quell'unica fede di cui essi diedero testimonianza a Roma con il loro martirio.

Connesso con questo momento è l'incontro col Successore di Pietro. In occasione della visita ad limina, infatti, i Vescovi si riuniscono attorno a lui e attuano, secondo il principio di cattolicità, una comunicazione di doni tra tutti quei beni che per opera dello Spirito si ritrovano nella Chiesa, sia a livello particolare e locale, sia a livello universale.228 Ciò che allora si attua non è semplicemente una reciproca informazione, ma soprattutto l'affermazione e il consolidamento della collegialità (collegialis confirmatio) nel corpo della Chiesa, per la quale si ha l'unità nella diversità, generando una specie di «  perichoresis  » tra la Chiesa universale e le Chiese particolari, che si può paragonare al movimento per il quale il sangue parte dal cuore verso le estremità del corpo e da queste torna al cuore.229 La linfa vitale che viene da Cristo, unisce tutte le parti, come la linfa della vite che va ai tralci (cfr Gv 15, 5). Ciò si rende evidente, in particolare, nella Celebrazione eucaristica dei Vescovi con il Papa. Ogni Eucaristia, infatti, è celebrata in comunione col Vescovo proprio, col Romano Pontefice e col Collegio Episcopale e, mediante questi, con i fedeli della Chiesa particolare e di tutta la Chiesa, così che la Chiesa universale è presente in quella particolare e questa è inserita, insieme con le altre Chiese particolari, nella comunione della Chiesa universale.

Fin dai primi secoli il riferimento ultimo della comunione è alla Chiesa di Roma, dove Pietro e Paolo hanno dato la loro testimonianza di fede. Infatti con essa, per la sua posizione preminente, è necessario che concordi ogni Chiesa, perché essa è la garanzia ultima dell'integrità della tradizione trasmessa dagli Apostoli.230 La Chiesa di Roma presiede alla comunione universale della carità,231 tutela le legittime varietà e nello stesso tempo veglia perché la particolarità non solo non nuoccia all'unità, ma la serva.232 Tutto ciò comporta la necessità della comunione delle varie Chiese con la Chiesa di Roma, perché tutte si possano trovare nell'integrità della Tradizione apostolica e nell'unità della disciplina canonica per la custodia della fede, dei Sacramenti e della via concreta alla santità. Tale comunione delle Chiese è espressa dalla comunione gerarchica tra i singoli Vescovi e il Romano Pontefice.233 Dalla comunione cum Petro et sub Petro di tutti i Vescovi, attuata nella carità, scaturisce il dovere della collaborazione di tutti con il Successore di Pietro, per il bene della Chiesa intera e quindi di ogni Chiesa particolare. La visita ad limina è diretta appunto a questo fine.

Il terzo aspetto delle visite ad limina è costituito dall'incontro con i responsabili dei Dicasteri della Curia romana: trattando con loro, i Vescovi hanno diretto accesso ai problemi di competenza dei singoli Dicasteri, e sono così introdotti ai vari aspetti della comune sollecitudine pastorale. Al riguardo, i Padri sinodali hanno chiesto che, nel segno della mutua conoscenza e fiducia, si facciano più frequenti i rapporti tra Vescovi, singoli o uniti nelle Conferenze episcopali, e Dicasteri della Curia romana,234 in modo che questi, direttamente informati sui problemi concreti delle Chiese, possano meglio svolgere il loro servizio universale.

Senza dubbio le visite ad limina, insieme con la relazione quinquennale sullo stato della Diocesi,235 sono mezzi efficaci per l'attuazione dell'esigenza di reciproca conoscenza, che sgorga dalla stessa realtà della comunione tra i Vescovi e il Romano Pontefice. La presenza dei Vescovi a Roma per la visita può, anzi, essere occasione opportuna per affrettare, da una parte, la risposta alle questioni da loro presentate ai Dicasteri e per favorire, dall'altra, secondo l'auspicio da essi manifestato, una loro consultazione individuale o collettiva, in vista della predisposizione di documenti di rilevante importanza generale; nell'occasione potranno, inoltre, essere opportunamente illustrati ai medesimi Vescovi, prima della loro pubblicazione, eventuali documenti che la Santa Sede intendesse indirizzare alla Chiesa nel suo insieme o specificamente alle loro Chiese particolari.

Il Sinodo dei Vescovi

58. Secondo un'esperienza ormai consolidata, ogni Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, in qualche modo espressiva dell'episcopato, mostra in maniera peculiare lo spirito di comunione che unisce i Vescovi con il Romano Pontefice e i Vescovi tra di loro, permettendo di esprimere un approfondito giudizio ecclesiale, sotto l'azione dello Spirito, riguardo ai vari problemi che assillano la vita della Chiesa.236

Come è noto, durante il Concilio Vaticano II emerse l'esigenza che i Vescovi potessero aiutare meglio il Romano Pontefice nell'esercizio del suo ufficio. Fu proprio in considerazione di ciò che il mio predecessore di v. m. Paolo VI istituì il Sinodo dei Vescovi,237 pur tenendo presente l'apporto che già recava al Romano Pontefice il Collegio dei Cardinali. Mediante il nuovo organismo si poteva così esprimere più efficacemente l'affetto collegiale e la sollecitudine dei Vescovi per il bene di tutta la Chiesa.

Gli anni trascorsi hanno mostrato come i Vescovi, in unione di fede e di carità, possano prestare valido aiuto con il loro consiglio al Romano Pontefice nell'esercizio del suo ministero apostolico, sia per la salvaguardia della fede e dei costumi, che per l'osservanza della disciplina ecclesiastica. Lo scambio di notizie sulle Chiese particolari, infatti, facilitando la concordanza di sentenze anche su questioni dottrinali, è un modo valido per rafforzare la comunione.238

Ogni Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è una forte esperienza ecclesiale, anche se nelle modalità delle sue procedure rimane sempre perfettibile.239 I Vescovi riuniti nel Sinodo rappresentano anzitutto le proprie Chiese, ma tengono presenti anche i contributi delle Conferenze episcopali dalle quali sono designati e dei cui pareri circa le questioni da trattare si fanno portatori. Essi esprimono così il voto del Corpo gerarchico della Chiesa e, in qualche modo, quello del popolo cristiano, del quale sono i pastori.

Il Sinodo è un evento in cui si rende particolarmente evidente che il Successore di Pietro, nell'adempimento del suo ufficio, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi e con tutta la Chiesa.240 «  Spetta al Sinodo dei Vescovi &endash; stabilisce al riguardo il Codice di Diritto Canonico &endash; discutere sulle questioni da trattare ed esprimere propri voti, non però dirimerle ed emanare decreti su di esse, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del Sinodo, non abbia concesso potestà deliberativa  ».241 Il fatto che il Sinodo abbia normalmente una funzione solo consultiva non ne diminuisce l'importanza. Nella Chiesa, infatti, il fine di qualsiasi organo collegiale, consultivo o deliberativo che sia, è sempre la ricerca della verità o del bene della Chiesa. Quando poi si tratta della verifica della medesima fede, il consensus Ecclesiae non è dato dal computo dei voti, ma è frutto dell'azione dello Spirito, anima dell'unica Chiesa di Cristo.

Proprio perché il Sinodo è al servizio della verità e della Chiesa, come espressione della vera corresponsabilità da parte di tutto l'episcopato in unione con il suo Capo riguardo al bene della Chiesa, nel dare il voto o consultivo o deliberativo i Vescovi, insieme agli altri membri del Sinodo, esprimono comunque la partecipazione al governo della Chiesa universale. Come il mio predecessore di v. m. Paolo VI, anche io ho sempre fatto tesoro delle proposte e dei pareri espressi dai Padri sinodali, facendoli entrare nel processo di elaborazione del documento che raccoglie i risultati del Sinodo, e che proprio per questo amo qualificare come «  post-sinodale  ».



 

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L'unità della Chiesa e il dialogo ecumenico

64. La preghiera del Signore Gesù per l'unità fra tutti i suoi discepoli (ut unum sint: Gv 17, 21) costituisce per ogni Vescovo un pressante appello ad un preciso dovere apostolico. Non è possibile attendersi questa unità come frutto dei nostri sforzi; essa è principalmente dono della Trinità Santa alla Chiesa. Ciò tuttavia non dispensa i cristiani dal porre ogni impegno, a cominciare da quello della preghiera, per affrettare il cammino verso la piena unità. Rispondendo alle preghiere e alle intenzioni del Signore e alla sua oblazione sulla Croce per radunare i figli dispersi (cfr Gv 11, 52), la Chiesa cattolica si sente impegnata in modo irreversibile nel dialogo ecumenico, dal quale dipende l'efficacia della sua testimonianza nel mondo. Occorre, dunque, perseverare sulla via del dialogo della verità e dell'amore.

Molti Padri sinodali hanno richiamato la specifica vocazione che ogni Vescovo ha di promuovere nella propria diocesi questo dialogo e di svilupparlo in veritate et caritate (cfr Ef 4, 15). Lo scandalo della divisione fra i cristiani, infatti, è avvertito da tutti come un segnale opposto alla speranza cristiana. Le forme concrete per questa promozione del dialogo ecumenico, poi, sono state indicate nella migliore conoscenza reciproca tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con essa; in incontri e iniziative appropriate, e soprattutto nella testimonianza della carità. Esiste, in effetti, un ecumenismo della vita quotidiana, fatto di reciproca accoglienza, ascolto e collaborazione, che possiede una singolare efficacia.

D'altra parte, i Padri sinodali hanno pure avvertito il rischio di gesti poco ponderati, segnali di un «  ecumenismo impaziente  », che possono arrecare danno al cammino in atto verso l'unità piena. È, perciò, molto importante che da tutti siano accolti e messi in pratica i retti principi del dialogo ecumenico, come pure che su di essi s'insista nei seminari con i candidati al ministero sacro, nelle parrocchie e nelle altre strutture ecclesiali. La stessa vita interna della Chiesa, poi, deve offrire una testimonianza d'unità nel rispetto e nell'apertura di spazi sempre più ampi nei quali siano accolte e sviluppino le loro grandi ricchezze le diverse tradizioni teologiche, spirituali, liturgiche e disciplinari.273

La missionarietà nel ministero episcopale

65. In quanto membri del Collegio episcopale, i Vescovi sono consacrati non solo per una Diocesi, ma per la salvezza di tutti gli uomini.274 Questa dottrina esposta nel Concilio Vaticano II è stata richiamata dai Padri sinodali per mettere in evidenza il fatto che ogni Vescovo dev'essere consapevole dell'indole missionaria del proprio ministero pastorale. Tutta la sua azione pastorale, dunque, deve essere caratterizzata da uno spirito missionario, per suscitare e conservare nell'animo dei fedeli l'ardore per la diffusione del Vangelo. Per questo è compito del Vescovo suscitare, promuovere e dirigere nella propria Diocesi attività e iniziative missionarie, anche sotto l'aspetto economico.275

Non meno importante, poi, come è stato affermato nel Sinodo, è incoraggiare la dimensione missionaria nella propria Chiesa particolare promovendo, a seconda delle diverse situazioni, valori fondamentali come il riconoscimento del prossimo, il rispetto della diversità culturale e una sana interazione fra le differenti culture. Il carattere sempre più multiculturale delle città e delle società, d'altra parte, soprattutto come conseguenza delle migrazioni internazionali, stabilisce nuove situazioni dalle quali emerge una particolare sfida missionaria.

Nell'Aula sinodale vi sono stati anche interventi che hanno posto in evidenza alcune questioni relative ai rapporti tra i Vescovi diocesani e le Congregazioni religiose missionarie, sottolineando la necessità al riguardo di una più approfondita riflessione. Al tempo stesso, è stato riconosciuto il grande contributo di esperienza che una Chiesa particolare può ricevere dalle stesse Congregazioni di vita consacrata per mantenere viva tra i fedeli la dimensione missionaria.

In questo suo zelo il Vescovo si mostri servo e testimone della speranza. La missione, infatti, è senza dubbio l'indice esatto della fede in Cristo e nel suo amore per noi: 276 l'uomo di tutti i tempi è da essa sospinto ad una vita nuova, animata dalla speranza. Annunciando Cristo risorto, infatti, i cristiani presentano Colui che inaugura una nuova era della storia e proclamano al mondo la buona notizia di una salvezza integrale e universale, che contiene in sé la caparra di un mondo nuovo, in cui il dolore e l'ingiustizia faranno posto alla gioia e alla bellezza. All'inizio di un nuovo millennio, poi, quando si è acuita la coscienza dell'universalità della salvezza e si sperimenta che l'annuncio del Vangelo deve essere ogni giorno rinnovato, dall'Assemblea sinodale giunge l'invito a non diminuire l'impegno missionario, anzi ad ampliarlo in una sempre più profonda cooperazione missionaria.

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Dato a Roma, presso san Pietro, il 16 ottobre dell'anno 2003, venticinquesimo anniversario della mia elezione al Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II

1Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Preghiera di Ordinazione.

2Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18.

3S. Tommaso d'Aquino, Super Ev. Joh., X, 3.

4Giovanni Paolo II, Omelia a conclusione della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (27 ottobre 2001), 3: AAS 94 (2002), 114.

5 Discorso ai Cardinali, Arcivescovi e Vescovi d'Italia (6 dicembre 1965): AAS 58 (1966), 68.

6Propositio 3.

7Cfr Giovanni Paolo II, Preghiera nel trigesimo dell'11 settembre: L'Osservatore Romano, 12 ottobre 2001, p. 1.

8Sinodo dei Vescovi, X Assemblea Generale Ordinaria, Messaggio (25 ottobre 2001), 8: L'Osservatore Romano, 27 ottobre 2001, p. 5; cfr Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens (14 maggio 1971), 41: AAS 63 (1971), 429-430.

9Cfr Propositio 6.

10Cfr Propositio 1.

11Cfr Ottato di Milevi, Contra Parmenianum donat. 2,2: PL 11, 947; S. Ignazio d'Antiochia, Ai Romani, 1,1: PG 5, 685.

12Giovanni Paolo II, Omelia di inizio della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (30 settembre 2001), 6: AAS 94 (2002), 111-112.

13Cfr Messale Romano, Prefazio dei Santi Pastori.

14S. Agostino, Sermo 340/A,9: PLS 2, 644.

15Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 3.

16Cfr Contro le eresie, III, 2, 2; 3, 1: PG 7, 847.848; Propositio 2.

17Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21; 27.

18Cfr Ai Magnesiani, 6, 1: PG 5, 764; Ai Tralliani, 3, 1: PG 5, 780; Agli Smirnesi, 8, 1: PG 5, 852.

19Cfr Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Impegni dell'eletto.

20Cfr Didascalia Apostolorum II, 33, 1, ed. F.X. Funk, I, 115.

21Cfr Propositio 6.

22Cfr Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo: proposta di omelia.

23N. 19.

24Cfr ibid., 22; Codice di Diritto Canonico, can. 330; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 42.

25Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico, can. 336; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 49.

26Cfr Propositio 20; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21; Codice di Diritto Canonico, can. 375 § 2.

27Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 3; 5; 6; Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 13: AAS 90 (1998), 650-651.

28Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus (28 giugno 1988), Adnexum I, 4: AAS 80 (1988), 914-915; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico can. 337 §§ 1, 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 50 §§ 1, 2.

29Cfr Giovanni Paolo II, Allocuzione alla conclusione della VII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (29 ottobre 1987), 4: AAS 80 (1988), 610; Cost. ap. Pastor Bonus, Adnexum I (28 giugno 1988): AAS 80 (1988) 915-916; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

30Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

31Ibid.

32Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos, (21 maggio 1998), 8: AAS 90 (1998), 647.

33Cfr Sacramentario di Angoulême, In dedicatione basilicae novae: «  Dirige, Domine, ecclesiam tuam dispensatione cælesti, ut quae ante mundi principium in tua semper est praesentia præparata, usque ad plenitudinem gloriamque promissam te moderante perveniat  »: CCSL 159 C, rubr. 1851; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 758-760; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio (28 maggio 1992), 9: AAS 85 (1993), 843.

34Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

35Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 12: AAS 90 (1998), 649-650.

36Decr. sull'attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 5.

37Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

38Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 12: AAS 90 (1998), 650.

39Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

40Cfr Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 12: AAS 90 (1998), 649-650.

41Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 25-26.

42Cfr Propositio 33.

43Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21, 27; Giovanni Paolo II, Lettera ai Sacerdoti (8 aprile 1979), 3: AAS 71 (1979), 397.

44Cfr In Io. Ev. tract. 123, 5: PL 35, 1967.

45Sermo 340, 1: PL 38, 1483: «  Vobis enim sum episcopus; vobiscum sum christianus  ».

46Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 10.

47Ibid., 32.

48Cfr Propositio 8.

49Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 30: AAS 93 (2001), 287.

50Orazione II, n. 71: PG 35, 479.

51Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 15.31: AAS 93 (2001), 276.288.

52N. 5: AAS 94 (2002), 111.

53Sacramentarium Serapionis, 28, ed. F.X. Funk, II, 191.

54Giovanni Paolo II, Omelia di inizio della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (30 settembre 2001), 5: AAS 94 (2002), 111.

55Codice di Diritto Canonico, can. 387; cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 197.

56Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 40.

57Sermo 340, 1: PL 38, 1483.

58Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1804.1839.

59Cfr Propositio 7.

60S. Cipriano, De oratione dominica, 23: PL 4, 535; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 4.

61Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Consegna della mitra.

62Cfr Propositio 7.

63Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 41.

64Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti (17 dicembre 2001), 184: Città del Vaticano, 2002, p.154.

65Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae (16 ottobre 2002), 43: AAS 95 (2003), 35-36.

66Cfr Propositio 8.

67Cfr Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 59: AAS 68 (1976), 50.

68Ai Filadelfiesi, 5: PG 5, 700.

69Comm. in Is., Prol.: PL 24, 17; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 25.

70Paolo VI, Esort. ap. Marialis cultus (2 febbraio 1974), 17: AAS 66 (1974), 128.

71Cfr S. Agostino, Sermo 179, 1: PL 38, 966.

72Omelie sul Lev., VI : PG 12, 474 C.

73N. 39: AAS 93 (2001), 294.

74Cfr Pseudo Dionigi Areopagita, Sulla gerarchia ecclesiastica, III: PG 3, 512; S. Tommaso d'Aquino, S. Th. II-II, q. 184, a. 5.

75Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 34: AAS 93 (2001), 290.

76S. Th. II-II, q. 17, a. 2.

77Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Impegni dell'eletto.

78Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 84-85.

79Cost. ap. Laudis canticum (1 novembre 1970): AAS 63 (1971), 532.

80Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 20-21: AAS 88 (1996), 393-395.

81Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 27: AAS 84 (1992), 701.

82Cfr n. 28: l.c. 701-703.

83Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18.

84Cfr ibid., 27.37.

85Cfr Propositio 10.

86A Policarpo, IV: PG 5, 721.

87Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.

88Cfr Propositio 9.

89Cfr Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 49: AAS 93 (2001), 302.

90 Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Consegna dell'anello.

91N. 43: AAS 93 (2001), 296.

92Hom. in Ez. I, 11: PL 76, 908.

93Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, p. 1178.

94Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 70: AAS 84 (1992), 781.

95Ibid., 72: l.c., 787.

96Cfr Propositio 12.

97Cfr Propositio 13.

98Cfr n. 6: AAS 94 (2002), 116.

99Cfr Propositio 11.

100Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 12; cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25.

101Cfr Propositiones 14; 15.

102Cfr Propositio 14.

103Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 29: AAS 93 (2001), 285-286.

104Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22.

105Cfr Propositio 15.

106Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 28: AAS 68 (1976), 24.

107Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25; Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 10; Codice di Diritto Canonico, can. 747 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 595 § 1.

108Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 7.

109Cfr ibid., 8.

110Cfr ibid., 10.

111Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 12.

112En. in Ps. 126, 3: PL 37, 1669.

113Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25.

114Ibid., 12.

115Cfr Propositio 15.

116N. 63: AAS 71 (1979), 1329.

117Cfr Congregazione per il Clero, Direttorio Generale per la Catechesi (15 agosto 1997), 233: Ench. Vat. 16, 1065.

118Cfr Propositio 15.

119Cfr Propositio 47.

120Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum veritatis (24 maggio 1990), 19: AAS 82 (1990), 1558; Codice di Diritto Canonico, can. 386 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 196 § 2.

121Cfr Propositio 16.

122Discorso ai partecipanti al congresso nazionale italiano del Movimento ecclesiale di impegno culturale (16 gennaio 1982), 2: Insegnamenti V/1 (1982), 131; cfr Propositio 64.

123Cfr Propositio 65.

124Cfr Propositio 66.

125Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 10.

126De Trinitate, VIII, 1: PL 10, 236.

127Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 22-24: AAS 95 (2003), 448-449.

128Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10.

129N. 26.

130Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium, 10.

131Ibid., 41.

132Pontificale Romano, Benedizione degli oli, Premesse, 1.

133Cfr Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, Premesse, 21, 120, 202.

134Cfr nn. 42-54.

135Cfr Propositio 17.

136«  Legem credendi lex statuat supplicandi  »: S. Celestino, Ad Galliarum episcopos: PL 45, 1759.

137Cfr Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 11.14.

138Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 35: AAS 93 (2001), 291.

139Cfr Propositio 17.

140Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 102.

141Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 68.

142Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 104.

143Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 26.

144Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 21: AAS 95 (2003), 447-448.

145Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 26.

146Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita sacerdotale Presbyterorum ordinis, 5.

147Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 28; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 41-42: AAS 95 (2003), 460-461.

148Cfr Congregazione per il Clero (et aliae), Istr. interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiae de mysterio (15 agosto 1997), «  Disposizioni pratiche  », art. 7: AAS 89 (1997), 869-870.

149Cfr Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 64.

150Paolo VI, Cost. ap. Divinae consortium naturae (15 agosto 1971): AAS 63 (1971), 657.

151Cfr Propositio 18.

152Cfr Motu proprio Misericordia Dei (7 aprile 2002), 1: AAS 94 (2002), 453-454.

153Cfr Propositio 18.

154Cfr Rituale Romano, Rito degli esorcismi (22 novembre 1998), Città del Vaticano 1999; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Circa le preghiere per ottenere da Dio la guarigione (14 settembre 2000): L'Osservatore Romano, 24 novembre 2000, p. 6.

155Cfr Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 48: AAS 68 (1976), 37-38.

156Ibid.

157Cfr Propositio 19.

158Cfr Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia (17 dicembre 2001), 21: Città del Vaticano, 2002, 28-29.

159Cfr Lettera ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 29-41:AAS 93 (2001), 285-295.

160Cfr Propositio 48.

161Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 16.

162Cfr Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 11; Codice di Diritto Canonico, can. 369; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 177 § 1.

163Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 8; Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

164Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27.

165Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo: proposta di omelia.

166Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; cfr Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

167Ad Irenaeum, Epistulae, lib. I, ep. VI: Sancti Ambrosii episcopi Mediolanensis opera, Milano-Roma 1988, 19, p. 66.

168N. 27.

169Ibid.

170Cfr Codice di Diritto Canonico, cann. 204 § 1; 208; 212 §§ 2, 3; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 7 § 1; 11; 15 §§ 2, 3.

171Cfr Propositio 35.

172Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 32; Codice di Diritto Canonico, cann. 204 § 1; 208.

173Cfr Propositio 35.

174Cfr AAS 89 (1997), 706-727. Un analogo discorso deve essere fatto per le Assemblee eparchiali, delle quali trattano i cann. 235-242 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

175Cfr Propositio 35.

176Cfr Propositio 36.

177Cfr Propositio 39.

178Cfr Propositio 37.

179Cfr ibid.

180Cfr Romae 1572, p. 52 v.

181N. 11.

182Cfr nn. 16-17: AAS 84 (1992), 681-684.

183Cfr Propositio 40.

184Giovanni Paolo II, Discorso a un gruppo di Vescovi eletti di recente (23 settembre 2002), 4: L'Osservatore Romano (23-24 settembre 2002), p. 5.

185Ep. ad Nepotianum presb., LII, 7: PL 22, 534.

186Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 77: AAS 84 (1992), 795.

187Cfr Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 16.

188Cfr Propositio 40.

189Cfr Propositio 41.

190Cfr ibid.; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 60-63: AAS 84 (1992), 762-769.

191Cfr ibid., 65: l.c. 771-772.

192Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1051.

193Cfr Propositio 41.

194Cfr Propositio 42.

195Cfr Congregazione per l'Educazione Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis Diaconorum permanentium (22 febbraio 1998): AAS 90 (1998), 843-879; Congregazione per il Clero, Directorium pro ministerio et vita Diaconorum permanentium (22 febbraio 1998): AAS 90 (1998), 879-926.

196Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 44.

197Cfr Propositio 43.

198Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 39.

199Cfr Propositiones 45, 46 e 49.

200Cfr Propositio 52.

201Cfr Propositio 51.

202Cfr ibid.

203Cfr Propositio 53.

204Cfr Propositio 52.

205Cfr Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Impegni dell'eletto.

206Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

207Cfr Paolo VI, Discorso in apertura del terzo periodo del Concilio (14 settembre 1964): AAS 56 (1964), 813; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio (28 maggio 1992), 9. 11-14: AAS 85 (1993), 843-845.

208Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico, cann. 337; 749 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 50; 597 § 2.

209Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

210Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 8.

211Cfr Lett. enc. Quadragesimo anno (15 maggio 1931): AAS 23 (1931), 203.

212Cfr Propositio 20.

213Cfr Relatio post disceptationem, 15-17: L'Osservatore Romano, 14 ottobre 2001, p. 4; Propositio 20.

214Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

215Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium 22; Codice di Diritto Canonico, cann. 331 e 333; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 43 e 45 § 1.

216Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio (28 maggio 1992),12: AAS 85 (1993), 845-846.

217Ibid., 13: l.c., 846.

218Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium 27; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus 8; Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

219Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 753; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 600.

220Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico, cann. 333 § 1; 336; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 43; 45 § 1; 49.

221Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21; Codice di Diritto Canonico, can. 375 § 2.

222Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; cfr Codice di Diritto Canonico, can. 333 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 45 § 1.

223Cfr Discorso in apertura del terzo periodo del Concilio (14 settembre 1964): AAS 56 (1964), 813.

224Cfr Sinodo dei Vescovi, II Assemblea Generale Straordinaria, Relazione Finale Exeunte coetu (7 dicembre 1985), C. 1: L'Osservatore Romano, 10 dicembre 1985, p. 7.

225Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 333 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 45 § 2.

226Cfr Propositio 27.

227Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus (28 giugno 1988) art. 31: AAS 80 (1988), 868; Adnexum I, 6: ibid., 916-917; Codice di Diritto Canonico, can. 400 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 208.

228Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 13.

229Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus, Adnexum (28 giugno 1988) I, 2; I, 5: AAS 80 (1988), 913; 915.

230Cfr S. Ireneo, Contro le eresie 3, 3, 2: PG 7, 848.

231Cfr S. Ignazio d'Antiochia, Ai Romani 1, 1: PG 5, 685.

232Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 13.

233Cfr ibid., 21-22; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 4.

234Cfr Propositiones 26 e 27.

235Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 399; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 206.

236Cfr Propositio 25.

237Cfr Motu proprio Apostolica sollicitudo (15 settembre 1965): AAS 57 (1965), 775-780; Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 5.

238Cfr Paolo VI, Motu proprio Apostolica sollicitudo (15 settembre 1965), II: AAS 57 (1965), 776-777; Allocuzione ai Padri sinodali (30 settembre 1967): AAS 59 (1967), 970-971.

239Cfr Propositio 25.

240Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 333 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 45 § 2.

241Can. 343.

242Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 44: AAS 93 (2001), 298.

243Propositio 31; Cfr Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 13: AAS 90 (1998), 650-651.

244Cfr Decr. sull'ufficio pastorale dei Vesovi nella Chiesa Christus Dominus, 6.

245Cfr Propositio 32.

246Cfr Propositio 33.

247Cfr Propositio 21.

248Cfr Propositio 22.

249Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23; Decr. sulle Chiese Orientali Cattoliche, Orientalium Ecclesiarum, 11.

250Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Sacri canones (18 ottobre 1990): AAS 82 (1990), 1037.

251Decr. sulle Chiese Orientali Cattoliche Orientalium Ecclesiarum, 11.

252Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 76 e 77.

253Cfr Canones Apostolorum, VIII, 47, 34: ed. F.X. Funk, I, 572-574.

254Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 110 § 3 e 149.

255Cfr ibid., cann. 110 § 1 e 150 §§ 2,3.

256Cfr ibid., cann. 110 § 2 e 1062.

257Cfr ibid., cann. 140-143.

258Cfr Propositio 28; Codice di Diritto Canonico, can. 437 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 156 § 1.

259Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 36.

260Cfr Codice di Diritto Canonico, cann. 441; 443.

261Cfr AAS 90 (1998), 641-658.

262Can. 322.

263Cfr Propositiones 29 e 30.

264Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 6: AAS 90 (1998), 645-646.

265Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 450.

266Cfr Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 10.12: AAS 90 (1998), 648-650.

267Cfr ibid., nn. 12; 13; 19: l.c., 649-651.653-654; Codice di Diritto Canonico, cann. 381 § 1; 447; 455 § 1.

268Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 18: AAS 90 (1998), 653.

269Ibid.

270Cfr Propositio 25.

271Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 459 § 1.

272Cfr Propositio 30.

273Cfr Propositio 60.

274Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 38.

275Cfr Propositio 63.

276Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 11: AAS 83 (1991), 259-260.

277Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 6.

278Cfr ibid., 1.

279Cfr Propositiones 54-55.

280Sinodo dei Vescovi, X Assemblea Generale Ordinaria, Messaggio (25 ottobre 2001), 10-11: L'Osservatore Romano, 27 ottobre 2001, p. 5.

281Cfr Propositio 55.

282Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002 (8 dicembre 2001), 8: AAS 94 (2002), 137.

283Cfr Propositiones 61 e 62.

284Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus (6 agosto 2000), 22: AAS 92 (2000), 763.

285N. 1.

286Cfr Propositio 56.

287Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Ecclesia in America (22 gennaio 1999), 55: AAS 91 (1999), 790-791.

288Cfr Propositio 56.

289Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990 (8 dicembre 1989), 7: AAS 82 (1990), 150.

290 Cfr Propositio 57.

291 Sinodo dei Vescovi, X Assemblea Generale Ordinaria, Messaggio (25 ottobre 2001), 12: L'Osservatore Romano, 27 ottobre 2001, p. 5.

292Cfr Propositio 58.

293Cfr Propositio 23.

294Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 50: AAS 93 (2001), 303.

295Cfr ibid.

296Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et Vivificantem (18 maggio 1986), 67: AAS 78 (1986), 898.

297Cfr Tertulliano, Apologeticum, 39, 9: CCL 1, 151.

298Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 43: AAS 93 (2001), 296.

299Ibid.

300Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21.

301Ibid., 68.



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Dato a Roma, presso san Pietro, il 16 ottobre dell'anno 2003, venticinquesimo anniversario della mia elezione al Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II

1Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Preghiera di Ordinazione.

2Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18.

3S. Tommaso d'Aquino, Super Ev. Joh., X, 3.

4Giovanni Paolo II, Omelia a conclusione della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (27 ottobre 2001), 3: AAS 94 (2002), 114.

5 Discorso ai Cardinali, Arcivescovi e Vescovi d'Italia (6 dicembre 1965): AAS 58 (1966), 68.

6Propositio 3.

7Cfr Giovanni Paolo II, Preghiera nel trigesimo dell'11 settembre: L'Osservatore Romano, 12 ottobre 2001, p. 1.

8Sinodo dei Vescovi, X Assemblea Generale Ordinaria, Messaggio (25 ottobre 2001), 8: L'Osservatore Romano, 27 ottobre 2001, p. 5; cfr Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens (14 maggio 1971), 41: AAS 63 (1971), 429-430.

9Cfr Propositio 6.

10Cfr Propositio 1.

11Cfr Ottato di Milevi, Contra Parmenianum donat. 2,2: PL 11, 947; S. Ignazio d'Antiochia, Ai Romani, 1,1: PG 5, 685.

12Giovanni Paolo II, Omelia di inizio della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (30 settembre 2001), 6: AAS 94 (2002), 111-112.

13Cfr Messale Romano, Prefazio dei Santi Pastori.

14S. Agostino, Sermo 340/A,9: PLS 2, 644.

15Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 3.

16Cfr Contro le eresie, III, 2, 2; 3, 1: PG 7, 847.848; Propositio 2.

17Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21; 27.

18Cfr Ai Magnesiani, 6, 1: PG 5, 764; Ai Tralliani, 3, 1: PG 5, 780; Agli Smirnesi, 8, 1: PG 5, 852.

19Cfr Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Impegni dell'eletto.

20Cfr Didascalia Apostolorum II, 33, 1, ed. F.X. Funk, I, 115.

21Cfr Propositio 6.

22Cfr Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo: proposta di omelia.

23N. 19.

24Cfr ibid., 22; Codice di Diritto Canonico, can. 330; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 42.

25Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico, can. 336; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 49.

26Cfr Propositio 20; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21; Codice di Diritto Canonico, can. 375 § 2.

27Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 3; 5; 6; Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 13: AAS 90 (1998), 650-651.

28Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus (28 giugno 1988), Adnexum I, 4: AAS 80 (1988), 914-915; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico can. 337 §§ 1, 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 50 §§ 1, 2.

29Cfr Giovanni Paolo II, Allocuzione alla conclusione della VII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (29 ottobre 1987), 4: AAS 80 (1988), 610; Cost. ap. Pastor Bonus, Adnexum I (28 giugno 1988): AAS 80 (1988) 915-916; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

30Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

31Ibid.

32Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos, (21 maggio 1998), 8: AAS 90 (1998), 647.

33Cfr Sacramentario di Angoulême, In dedicatione basilicae novae: «  Dirige, Domine, ecclesiam tuam dispensatione cælesti, ut quae ante mundi principium in tua semper est praesentia præparata, usque ad plenitudinem gloriamque promissam te moderante perveniat  »: CCSL 159 C, rubr. 1851; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 758-760; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio (28 maggio 1992), 9: AAS 85 (1993), 843.

34Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

35Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 12: AAS 90 (1998), 649-650.

36Decr. sull'attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 5.

37Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

38Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 12: AAS 90 (1998), 650.

39Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

40Cfr Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 12: AAS 90 (1998), 649-650.

41Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 25-26.

42Cfr Propositio 33.

43Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21, 27; Giovanni Paolo II, Lettera ai Sacerdoti (8 aprile 1979), 3: AAS 71 (1979), 397.

44Cfr In Io. Ev. tract. 123, 5: PL 35, 1967.

45Sermo 340, 1: PL 38, 1483: «  Vobis enim sum episcopus; vobiscum sum christianus  ».

46Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 10.

47Ibid., 32.

48Cfr Propositio 8.

49Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 30: AAS 93 (2001), 287.

50Orazione II, n. 71: PG 35, 479.

51Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 15.31: AAS 93 (2001), 276.288.

52N. 5: AAS 94 (2002), 111.

53Sacramentarium Serapionis, 28, ed. F.X. Funk, II, 191.

54Giovanni Paolo II, Omelia di inizio della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (30 settembre 2001), 5: AAS 94 (2002), 111.

55Codice di Diritto Canonico, can. 387; cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 197.

56Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 40.

57Sermo 340, 1: PL 38, 1483.

58Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1804.1839.

59Cfr Propositio 7.

60S. Cipriano, De oratione dominica, 23: PL 4, 535; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 4.

61Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Consegna della mitra.

62Cfr Propositio 7.

63Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 41.

64Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti (17 dicembre 2001), 184: Città del Vaticano, 2002, p.154.

65Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae (16 ottobre 2002), 43: AAS 95 (2003), 35-36.

66Cfr Propositio 8.

67Cfr Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 59: AAS 68 (1976), 50.

68Ai Filadelfiesi, 5: PG 5, 700.

69Comm. in Is., Prol.: PL 24, 17; cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 25.

70Paolo VI, Esort. ap. Marialis cultus (2 febbraio 1974), 17: AAS 66 (1974), 128.

71Cfr S. Agostino, Sermo 179, 1: PL 38, 966.

72Omelie sul Lev., VI : PG 12, 474 C.

73N. 39: AAS 93 (2001), 294.

74Cfr Pseudo Dionigi Areopagita, Sulla gerarchia ecclesiastica, III: PG 3, 512; S. Tommaso d'Aquino, S. Th. II-II, q. 184, a. 5.

75Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 34: AAS 93 (2001), 290.

76S. Th. II-II, q. 17, a. 2.

77Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Impegni dell'eletto.

78Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 84-85.

79Cost. ap. Laudis canticum (1 novembre 1970): AAS 63 (1971), 532.

80Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 20-21: AAS 88 (1996), 393-395.

81Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 27: AAS 84 (1992), 701.

82Cfr n. 28: l.c. 701-703.

83Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18.

84Cfr ibid., 27.37.

85Cfr Propositio 10.

86A Policarpo, IV: PG 5, 721.

87Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.

88Cfr Propositio 9.

89Cfr Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 49: AAS 93 (2001), 302.

90 Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Consegna dell'anello.

91N. 43: AAS 93 (2001), 296.

92Hom. in Ez. I, 11: PL 76, 908.

93Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, p. 1178.

94Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 70: AAS 84 (1992), 781.

95Ibid., 72: l.c., 787.

96Cfr Propositio 12.

97Cfr Propositio 13.

98Cfr n. 6: AAS 94 (2002), 116.

99Cfr Propositio 11.

100Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 12; cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25.

101Cfr Propositiones 14; 15.

102Cfr Propositio 14.

103Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 29: AAS 93 (2001), 285-286.

104Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22.

105Cfr Propositio 15.

106Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 28: AAS 68 (1976), 24.

107Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25; Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 10; Codice di Diritto Canonico, can. 747 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 595 § 1.

108Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 7.

109Cfr ibid., 8.

110Cfr ibid., 10.

111Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 12.

112En. in Ps. 126, 3: PL 37, 1669.

113Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25.

114Ibid., 12.

115Cfr Propositio 15.

116N. 63: AAS 71 (1979), 1329.

117Cfr Congregazione per il Clero, Direttorio Generale per la Catechesi (15 agosto 1997), 233: Ench. Vat. 16, 1065.

118Cfr Propositio 15.

119Cfr Propositio 47.

120Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum veritatis (24 maggio 1990), 19: AAS 82 (1990), 1558; Codice di Diritto Canonico, can. 386 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 196 § 2.

121Cfr Propositio 16.

122Discorso ai partecipanti al congresso nazionale italiano del Movimento ecclesiale di impegno culturale (16 gennaio 1982), 2: Insegnamenti V/1 (1982), 131; cfr Propositio 64.

123Cfr Propositio 65.

124Cfr Propositio 66.

125Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 10.

126De Trinitate, VIII, 1: PL 10, 236.

127Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 22-24: AAS 95 (2003), 448-449.

128Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10.

129N. 26.

130Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium, 10.

131Ibid., 41.

132Pontificale Romano, Benedizione degli oli, Premesse, 1.

133Cfr Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, Premesse, 21, 120, 202.

134Cfr nn. 42-54.

135Cfr Propositio 17.

136«  Legem credendi lex statuat supplicandi  »: S. Celestino, Ad Galliarum episcopos: PL 45, 1759.

137Cfr Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 11.14.

138Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 35: AAS 93 (2001), 291.

139Cfr Propositio 17.

140Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 102.

141Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 68.

142Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 104.

143Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 26.

144Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 21: AAS 95 (2003), 447-448.

145Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 26.

146Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita sacerdotale Presbyterorum ordinis, 5.

147Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 28; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 41-42: AAS 95 (2003), 460-461.

148Cfr Congregazione per il Clero (et aliae), Istr. interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiae de mysterio (15 agosto 1997), «  Disposizioni pratiche  », art. 7: AAS 89 (1997), 869-870.

149Cfr Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 64.

150Paolo VI, Cost. ap. Divinae consortium naturae (15 agosto 1971): AAS 63 (1971), 657.

151Cfr Propositio 18.

152Cfr Motu proprio Misericordia Dei (7 aprile 2002), 1: AAS 94 (2002), 453-454.

153Cfr Propositio 18.

154Cfr Rituale Romano, Rito degli esorcismi (22 novembre 1998), Città del Vaticano 1999; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Circa le preghiere per ottenere da Dio la guarigione (14 settembre 2000): L'Osservatore Romano, 24 novembre 2000, p. 6.

155Cfr Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 48: AAS 68 (1976), 37-38.

156Ibid.

157Cfr Propositio 19.

158Cfr Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia (17 dicembre 2001), 21: Città del Vaticano, 2002, 28-29.

159Cfr Lettera ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 29-41:AAS 93 (2001), 285-295.

160Cfr Propositio 48.

161Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 16.

162Cfr Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 11; Codice di Diritto Canonico, can. 369; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 177 § 1.

163Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 8; Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

164Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27.

165Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo: proposta di omelia.

166Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; cfr Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

167Ad Irenaeum, Epistulae, lib. I, ep. VI: Sancti Ambrosii episcopi Mediolanensis opera, Milano-Roma 1988, 19, p. 66.

168N. 27.

169Ibid.

170Cfr Codice di Diritto Canonico, cann. 204 § 1; 208; 212 §§ 2, 3; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 7 § 1; 11; 15 §§ 2, 3.

171Cfr Propositio 35.

172Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 32; Codice di Diritto Canonico, cann. 204 § 1; 208.

173Cfr Propositio 35.

174Cfr AAS 89 (1997), 706-727. Un analogo discorso deve essere fatto per le Assemblee eparchiali, delle quali trattano i cann. 235-242 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

175Cfr Propositio 35.

176Cfr Propositio 36.

177Cfr Propositio 39.

178Cfr Propositio 37.

179Cfr ibid.

180Cfr Romae 1572, p. 52 v.

181N. 11.

182Cfr nn. 16-17: AAS 84 (1992), 681-684.

183Cfr Propositio 40.

184Giovanni Paolo II, Discorso a un gruppo di Vescovi eletti di recente (23 settembre 2002), 4: L'Osservatore Romano (23-24 settembre 2002), p. 5.

185Ep. ad Nepotianum presb., LII, 7: PL 22, 534.

186Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 77: AAS 84 (1992), 795.

187Cfr Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 16.

188Cfr Propositio 40.

189Cfr Propositio 41.

190Cfr ibid.; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 60-63: AAS 84 (1992), 762-769.

191Cfr ibid., 65: l.c. 771-772.

192Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 1051.

193Cfr Propositio 41.

194Cfr Propositio 42.

195Cfr Congregazione per l'Educazione Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis Diaconorum permanentium (22 febbraio 1998): AAS 90 (1998), 843-879; Congregazione per il Clero, Directorium pro ministerio et vita Diaconorum permanentium (22 febbraio 1998): AAS 90 (1998), 879-926.

196Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 44.

197Cfr Propositio 43.

198Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 39.

199Cfr Propositiones 45, 46 e 49.

200Cfr Propositio 52.

201Cfr Propositio 51.

202Cfr ibid.

203Cfr Propositio 53.

204Cfr Propositio 52.

205Cfr Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Impegni dell'eletto.

206Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

207Cfr Paolo VI, Discorso in apertura del terzo periodo del Concilio (14 settembre 1964): AAS 56 (1964), 813; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio (28 maggio 1992), 9. 11-14: AAS 85 (1993), 843-845.

208Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico, cann. 337; 749 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 50; 597 § 2.

209Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

210Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 8.

211Cfr Lett. enc. Quadragesimo anno (15 maggio 1931): AAS 23 (1931), 203.

212Cfr Propositio 20.

213Cfr Relatio post disceptationem, 15-17: L'Osservatore Romano, 14 ottobre 2001, p. 4; Propositio 20.

214Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

215Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium 22; Codice di Diritto Canonico, cann. 331 e 333; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 43 e 45 § 1.

216Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio (28 maggio 1992),12: AAS 85 (1993), 845-846.

217Ibid., 13: l.c., 846.

218Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium 27; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus 8; Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

219Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 753; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 600.

220Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico, cann. 333 § 1; 336; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 43; 45 § 1; 49.

221Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21; Codice di Diritto Canonico, can. 375 § 2.

222Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; cfr Codice di Diritto Canonico, can. 333 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 45 § 1.

223Cfr Discorso in apertura del terzo periodo del Concilio (14 settembre 1964): AAS 56 (1964), 813.

224Cfr Sinodo dei Vescovi, II Assemblea Generale Straordinaria, Relazione Finale Exeunte coetu (7 dicembre 1985), C. 1: L'Osservatore Romano, 10 dicembre 1985, p. 7.

225Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 333 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 45 § 2.

226Cfr Propositio 27.

227Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus (28 giugno 1988) art. 31: AAS 80 (1988), 868; Adnexum I, 6: ibid., 916-917; Codice di Diritto Canonico, can. 400 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 208.

228Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 13.

229Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus, Adnexum (28 giugno 1988) I, 2; I, 5: AAS 80 (1988), 913; 915.

230Cfr S. Ireneo, Contro le eresie 3, 3, 2: PG 7, 848.

231Cfr S. Ignazio d'Antiochia, Ai Romani 1, 1: PG 5, 685.

232Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 13.

233Cfr ibid., 21-22; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 4.

234Cfr Propositiones 26 e 27.

235Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 399; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 206.

236Cfr Propositio 25.

237Cfr Motu proprio Apostolica sollicitudo (15 settembre 1965): AAS 57 (1965), 775-780; Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 5.

238Cfr Paolo VI, Motu proprio Apostolica sollicitudo (15 settembre 1965), II: AAS 57 (1965), 776-777; Allocuzione ai Padri sinodali (30 settembre 1967): AAS 59 (1967), 970-971.

239Cfr Propositio 25.

240Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 333 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 45 § 2.

241Can. 343.

242Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 44: AAS 93 (2001), 298.

243Propositio 31; Cfr Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 13: AAS 90 (1998), 650-651.

244Cfr Decr. sull'ufficio pastorale dei Vesovi nella Chiesa Christus Dominus, 6.

245Cfr Propositio 32.

246Cfr Propositio 33.

247Cfr Propositio 21.

248Cfr Propositio 22.

249Cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23; Decr. sulle Chiese Orientali Cattoliche, Orientalium Ecclesiarum, 11.

250Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Sacri canones (18 ottobre 1990): AAS 82 (1990), 1037.

251Decr. sulle Chiese Orientali Cattoliche Orientalium Ecclesiarum, 11.

252Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 76 e 77.

253Cfr Canones Apostolorum, VIII, 47, 34: ed. F.X. Funk, I, 572-574.

254Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 110 § 3 e 149.

255Cfr ibid., cann. 110 § 1 e 150 §§ 2,3.

256Cfr ibid., cann. 110 § 2 e 1062.

257Cfr ibid., cann. 140-143.

258Cfr Propositio 28; Codice di Diritto Canonico, can. 437 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 156 § 1.

259Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 36.

260Cfr Codice di Diritto Canonico, cann. 441; 443.

261Cfr AAS 90 (1998), 641-658.

262Can. 322.

263Cfr Propositiones 29 e 30.

264Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 6: AAS 90 (1998), 645-646.

265Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 450.

266Cfr Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 10.12: AAS 90 (1998), 648-650.

267Cfr ibid., nn. 12; 13; 19: l.c., 649-651.653-654; Codice di Diritto Canonico, cann. 381 § 1; 447; 455 § 1.

268Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 18: AAS 90 (1998), 653.

269Ibid.

270Cfr Propositio 25.

271Cfr Codice di Diritto Canonico, can. 459 § 1.

272Cfr Propositio 30.

273Cfr Propositio 60.

274Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 38.

275Cfr Propositio 63.

276Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 11: AAS 83 (1991), 259-260.

277Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 6.

278Cfr ibid., 1.

279Cfr Propositiones 54-55.

280Sinodo dei Vescovi, X Assemblea Generale Ordinaria, Messaggio (25 ottobre 2001), 10-11: L'Osservatore Romano, 27 ottobre 2001, p. 5.

281Cfr Propositio 55.

282Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002 (8 dicembre 2001), 8: AAS 94 (2002), 137.

283Cfr Propositiones 61 e 62.

284Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus (6 agosto 2000), 22: AAS 92 (2000), 763.

285N. 1.

286Cfr Propositio 56.

287Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Ecclesia in America (22 gennaio 1999), 55: AAS 91 (1999), 790-791.

288Cfr Propositio 56.

289Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990 (8 dicembre 1989), 7: AAS 82 (1990), 150.

290 Cfr Propositio 57.

291 Sinodo dei Vescovi, X Assemblea Generale Ordinaria, Messaggio (25 ottobre 2001), 12: L'Osservatore Romano, 27 ottobre 2001, p. 5.

292Cfr Propositio 58.

293Cfr Propositio 23.

294Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 50: AAS 93 (2001), 303.

295Cfr ibid.

296Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et Vivificantem (18 maggio 1986), 67: AAS 78 (1986), 898.

297Cfr Tertulliano, Apologeticum, 39, 9: CCL 1, 151.

298Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 43: AAS 93 (2001), 296.

299Ibid.

300Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21.

301Ibid., 68.



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