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Pastores Gregis

Ultimo Aggiornamento: 19/11/2008 19:53
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MISTERO E MINISTERO DEL VESCOVO

«  ... e ne scelse Dodici  » (Lc 6, 13)

6. Il Signore Gesù, durante il suo pellegrinaggio sulla terra, annunciò il Vangelo del Regno e lo inaugurò in se stesso, rivelandone a tutti gli uomini il mistero.15 Chiamò uomini e donne alla sua sequela e, fra i discepoli, ne scelse Dodici, perché «  stessero con Lui  » (Mc 3, 14). Il Vangelo secondo Luca specifica che Gesù fece questa sua scelta dopo una notte di preghiera trascorsa sulla montagna (cfr Lc 6, 12). Il Vangelo secondo Marco, a sua volta, sembra qualificare tale azione di Gesù come un atto sovrano, un atto costitutivo che dà identità a coloro che ha scelto: «  ne costituì Dodici  » (Mc 3, 14). Si svela, così, il mistero dell'elezione dei Dodici: è un atto di amore, liberamente voluto da Gesù in unione profonda con il Padre e con lo Spirito Santo.

La missione affidata da Gesù agli Apostoli deve durare sino alla fine dei secoli (cfr Mt 28, 20), poiché il Vangelo che essi sono incaricati di trasmettere è la vita per la Chiesa di ogni tempo. Proprio per questo essi hanno avuto cura di costituirsi dei successori, in modo che, come attesta S. Ireneo, la tradizione apostolica fosse manifestata e custodita nel corso dei secoli.16

La speciale effusione dello Spirito Santo, di cui gli Apostoli furono colmati dal Signore risorto (cfr At 1, 5.8; 2, 4; Gv 20, 22-23), fu da essi partecipata attraverso il gesto dell'imposizione delle mani ai loro collaboratori (cfr 1 Tm 4, 14; 2 Tm 1, 6-7). Questi, a loro volta, con lo stesso gesto la trasmisero ad altri, e questi ad altri ancora. In tal modo, il dono spirituale degli inizi è giunto fino a noi mediante l'imposizione delle mani, cioè la consacrazione episcopale, che conferisce la pienezza del sacramento dell'Ordine, il sommo sacerdozio, la totalità del sacro ministero. Così, per mezzo dei Vescovi e dei presbiteri che li assistono, il Signore Gesù Cristo, pur sedendo alla destra di Dio Padre, continua ad essere presente in mezzo ai credenti. In tutti i tempi e in tutti i luoghi Egli predica la parola di Dio a tutte le genti, amministra i sacramenti della fede ai credenti e nello stesso tempo dirige il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l'eterna beatitudine. Il Buon Pastore non abbandona il suo gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre mediante coloro che, in forza della partecipazione ontologica alla sua vita e alla sua missione, svolgendone in modo eminente e visibile la parte di maestro, pastore e sacerdote, agiscono in sua vece. Nell'esercizio delle funzioni che il ministero pastorale comporta, sono costituiti suoi vicari e ambasciatori.17

(.....)

Molto antica è la tradizione che presenta il Vescovo come immagine del Padre, il quale, secondo quanto scriveva sant'Ignazio di Antiochia, è come il Vescovo invisibile, il Vescovo di tutti. Ogni Vescovo, di conseguenza, tiene il posto del Padre di Gesù Cristo sicché, proprio in relazione a questa rappresentanza, egli dev'essere da tutti riverito.18 In rapporto a questa struttura simbolica, la cattedra episcopale, che specialmente nella tradizione della Chiesa dell'Oriente richiama l'autorità paterna di Dio, può essere occupata soltanto dal Vescovo. Da questa medesima struttura deriva per ogni Vescovo il dovere di prendersi cura con amore paterno del Popolo santo di Dio e di guidarlo, insieme con i presbiteri, collaboratori del Vescovo nel suo ministero, e con i diaconi, sulla via della salvezza.19 Viceversa, come ammonisce un antico testo, i fedeli debbono amare i Vescovi che sono, dopo Dio, padri e madri.20 Per questo, secondo un uso diffuso in alcune culture, la mano del Vescovo viene baciata come quella del Padre amorevole, dispensatore di vita.

Cristo è l'icona originale del Padre e la manifestazione della sua presenza misericordiosa tra gli uomini. Il Vescovo, agendo in persona e in nome di Cristo stesso, diventa, nella Chiesa a lui affidata, segno vivente del Signore Gesù Pastore e Sposo, Maestro e Pontefice della Chiesa.21 C'è qui la fonte del ministero pastorale, per cui, come suggerisce lo schema omiletico proposto dal Pontificale Romano, le tre funzioni di insegnare, santificare e governare il Popolo di Dio debbono essere esercitate con i tratti caratteristici del Buon Pastore: carità, conoscenza del gregge, cura di tutti, azione misericordiosa verso i poveri, i pellegrini, gli indigenti, ricerca delle pecorelle smarrite per ricondurle all'unico ovile.

L'unzione dello Spirito Santo, infine, configurando il Vescovo a Cristo, lo abilita ad essere una viva continuazione del suo mistero a favore della Chiesa. Per tale caratterizzazione trinitaria del suo essere, nel suo ministero ogni Vescovo è impegnato a vegliare con amore su tutto il gregge, in mezzo al quale è posto dallo Spirito a reggere la Chiesa di Dio: nel nome del Padre, di cui rende presente l'immagine; nel nome di Gesù Cristo suo Figlio, da cui è costituito maestro, sacerdote e pastore; nel nome dello Spirito Santo, che dà vita alla Chiesa e con la sua potenza sostiene l'umana debolezza.22

Carattere collegiale del ministero episcopale

8. «  ... ne costituì Dodici  » (Mc 3, 14). La Costituzione dogmatica Lumen gentium introduce con questo richiamo evangelico la dottrina sull'indole collegiale del gruppo dei Dodici, costituiti «  sotto la forma di un collegio o di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro  ».23 In pari modo, attraverso la successione personale del Vescovo di Roma al Beato Pietro e di tutti i Vescovi nel loro insieme agli Apostoli, il Romano Pontefice e i Vescovi sono uniti fra di loro a modo di Collegio.24

L'unione collegiale tra i Vescovi è fondata, insieme, sull'Ordinazione episcopale e sulla comunione gerarchica; tocca pertanto la profondità dell'essere di ogni Vescovo e appartiene alla struttura della Chiesa come è stata voluta da Gesù Cristo. Si è posti, infatti, nella pienezza del ministero episcopale in virtù della Consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col Capo del Collegio e con i membri, cioè con il Collegio che sempre co-intende il suo Capo. È così che si è membri del Collegio episcopale,25 per cui le tre funzioni ricevute nell'Ordinazione episcopale &endash; di santificare, di insegnare e di governare &endash; debbono essere esercitate nella comunione gerarchica, anche se, per la loro diversa finalità immediata, in modo distinto.26

Ciò costituisce quello che è chiamato «  affetto collegiale  », o collegialità affettiva, da cui deriva la sollecitudine dei Vescovi per le altre Chiese particolari e per la Chiesa universale.27 Se, dunque, si deve dire che un Vescovo non è mai solo, in quanto è sempre unito al Padre per il Figlio nello Spirito Santo, si deve pure aggiungere che egli non è mai solo anche perché sempre e continuamente è con i suoi fratelli nell'episcopato e con colui che il Signore ha scelto come Successore di Pietro.

Tale affetto collegiale si attua e si esprime secondo gradi diversi in vari modi, anche istituzionalizzati, quali sono, ad esempio, il Sinodo dei Vescovi, i Concili particolari, le Conferenze dei Vescovi, la Curia Romana, le Visite ad limina, la collaborazione missionaria, ecc. In modo pieno, però, l'affetto collegiale si attua e si esprime solo nell'azione collegiale in senso stretto, cioè nell'azione di tutti i Vescovi insieme con il loro Capo, con il quale esercitano la potestà piena e suprema su tutta la Chiesa.28

Questa natura collegiale del ministero apostolico è voluta da Cristo stesso. L'affetto collegiale, pertanto, o collegialità affettiva (collegialitas affectiva), vige sempre tra i Vescovi come communio episcoporum, ma solo in alcuni atti si esprime come collegialità effettiva (collegialitas effectiva). I vari modi di attuazione della collegialità affettiva in collegialità effettiva sono di ordine umano, ma in gradi diversi concretizzano l'esigenza divina che l'episcopato si esprima in modo collegiale.29 Nei Concili ecumenici, poi, la suprema potestà del Collegio su tutta la Chiesa viene esercitata in modo solenne.30

La dimensione collegiale dà all'episcopato il carattere d'universalità. Può, dunque, essere stabilito un parallelismo tra la Chiesa una e universale, quindi indivisa, e l'episcopato uno e indiviso, quindi universale. Principio e fondamento di tale unità, sia della Chiesa sia del Collegio dei Vescovi, è il Romano Pontefice. Come, infatti, insegna il Concilio Vaticano II, il Collegio, «  in quanto composto da molti, esprime la varietà e l'universalità del Popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo, esprime l'unità del gregge di Cristo  ».31 Per questo la «  unità dell'Episcopato è uno degli elementi costitutivi dell'unità della Chiesa  ».32

La Chiesa universale non è la somma delle Chiese particolari, né una federazione di esse e, neppure, il risultato della loro comunione in quanto, secondo le espressioni degli antichi Padri e della Liturgia, nel suo essenziale mistero essa precede la creazione stessa.33 Alla luce di questa dottrina si potrà aggiungere che il rapporto di mutua interiorità, che vige tra la Chiesa universale e la Chiesa particolare, per cui le Chiese particolari sono «  formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica  »,34 si riproduce nel rapporto tra Collegio episcopale nella sua totalità e il singolo Vescovo. Per questo «  il Collegio episcopale non è da intendersi come la somma dei Vescovi preposti alle Chiese particolari, né il risultato della loro comunione, ma, in quanto elemento essenziale della Chiesa universale, è una realtà previa all'ufficio di capitalità sulla Chiesa particolare  ».35

Possiamo meglio comprendere questo parallelismo tra la Chiesa universale e il Collegio dei Vescovi alla luce di quanto afferma il Concilio Vaticano II: «  Gli Apostoli furono, dunque, ad un tempo il seme del nuovo Israele e l'origine della sacra gerarchia  ».36 Negli Apostoli, non singolarmente considerati, ma nel loro essere Collegio, era contenuta la struttura della Chiesa, che in loro era costituita nella sua universalità e unità, e del Collegio dei Vescovi loro successori, segno di tale universalità e unità.37

È così che «  la potestà del Collegio episcopale su tutta la Chiesa non viene costituita dalla somma delle potestà dei singoli Vescovi sulle loro Chiese particolari; essa è una realtà anteriore a cui partecipano i singoli Vescovi, i quali non possono agire su tutta la Chiesa se non collegialmente  ».38 A tale potestà d'insegnare e di governare i Vescovi partecipano solidalmente in maniera immediata per il fatto stesso che sono membri del Collegio episcopale, nel quale realmente persevera il Collegio apostolico.39

Come la Chiesa universale è una e indivisibile, così pure il Collegio episcopale è un «  soggetto teologico indivisibile  » e quindi anche la potestà suprema, piena e universale di cui il Collegio è soggetto, come lo è il Romano Pontefice personalmente, è una e indivisibile. Proprio perché il Collegio episcopale è una realtà previa all'ufficio di capitalità sulla Chiesa particolare, vi sono molti Vescovi che, pur esercitando compiti propriamente episcopali, non sono a capo di una Chiesa particolare.40 Ogni Vescovo, sempre in unione con tutti i Fratelli nell'episcopato e con il Romano Pontefice, rappresenta Cristo Capo e Pastore della Chiesa: non solo in modo proprio e specifico, quando riceve l'ufficio di pastore di una Chiesa particolare, ma anche quando collabora col Vescovo diocesano nel governo della sua Chiesa,41 oppure partecipa all'ufficio di pastore universale del Romano Pontefice nel governo della Chiesa universale. Erede del fatto che lungo la sua storia la Chiesa, oltre alla forma propria della presidenza di una Chiesa particolare, ha riconosciuto anche altre forme di esercizio del ministero episcopale, come quella di Vescovo ausiliare o di rappresentante del Romano Pontefice negli Uffici della Santa Sede o nelle Legazioni pontificie, anche oggi essa, a norma del diritto, ammette tali forme, quando si rendono necessarie.42



 

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