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Pastores Gregis

Ultimo Aggiornamento: 19/11/2008 19:53
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19/11/2008 19:47

La virtù dell'obbedienza

19. Portando su di sé questi tratti umanissimi di Gesù, il Vescovo diventa pure modello e promotore di una spiritualità di comunione, tesa con vigile attenzione a costruire la Chiesa, in modo che tutto, parole e opere, sia compiuto nel segno della sottomissione filiale in Cristo e nello Spirito all'amorevole disegno del Padre. In quanto maestro di santità e ministro della santificazione del suo popolo, il Vescovo è chiamato infatti ad adempiere fedelmente la volontà del Padre. L'obbedienza del Vescovo deve essere vissuta avendo come modello &endash; né potrebbe essere diversamente &endash; l'obbedienza stessa di Cristo, il quale ha affermato più volte di essere disceso dal cielo non per fare la sua volontà, ma la volontà di Colui che lo ha mandato (cfr Gv 6, 38; 8, 29; Fil 2, 7-8).

Camminando sulle orme di Cristo, il Vescovo è obbediente al Vangelo e alla Tradizione della Chiesa, sa leggere i segni dei tempi e riconoscere la voce dello Spirito Santo nel ministero petrino e nella collegialità episcopale. Nell'Esortazione apostolica Pastores dabo vobis ho messo in luce il carattere apostolico, comunitario e pastorale dell'obbedienza presbiterale.82 Tali caratteristiche si ritrovano, com'è ovvio, in modo anche più marcato nell'obbedienza del Vescovo. La pienezza del sacramento dell'Ordine che egli ha ricevuto lo pone infatti in una speciale relazione col Successore di Pietro, con i membri del Collegio episcopale e con la stessa sua Chiesa particolare. Egli deve sentirsi impegnato a vivere intensamente questi rapporti con il Papa e con i confratelli Vescovi in uno stretto vincolo di unità e di collaborazione, rispondendo in tal modo al disegno divino che ha voluto unire inseparabilmente gli Apostoli intorno a Pietro. Questa comunione gerarchica del Vescovo con il Sommo Pontefice rafforza la sua capacità di rendere presente, in virtù dell'Ordine ricevuto, Cristo Gesù, Capo invisibile di tutta la Chiesa.

All'aspetto apostolico dell'obbedienza non può non aggiungersi anche l'aspetto comunitario, in quanto l'episcopato è per sua natura «  uno e indiviso  ».83 In forza di questa comunitarietà, il Vescovo è chiamato a vivere la sua obbedienza vincendo ogni tentazione individualistica e facendosi carico, nell'insieme della missione del Collegio episcopale, della sollecitudine per il bene di tutta la Chiesa.

Quale modello di ascolto, il Vescovo sarà altresì attento a cogliere, nella preghiera e nel discernimento, la volontà di Dio attraverso quanto lo Spirito dice alla Chiesa. Esercitando evangelicamente la sua autorità, egli saprà mettersi in dialogo con i collaboratori ed i fedeli per far crescere efficacemente la reciproca intesa.84 Ciò gli consentirà di valorizzare pastoralmente la dignità e responsabilità di ogni membro del Popolo di Dio, favorendo con equilibrio e serenità lo spirito di iniziativa di ciascuno. I fedeli devono infatti essere aiutati a crescere verso un'obbedienza responsabile che li renda attivi sul piano pastorale.85 Al riguardo, è sempre attuale l'esortazione che sant'Ignazio di Antiochia rivolgeva a Policarpo: «  Nulla si faccia senza il tuo consenso, ma tu non fare nulla senza il consenso di Dio  ».86

Lo spirito e la prassi della povertà nel Vescovo

20. I Padri sinodali, in segno di sintonia collegiale, hanno raccolto l'appello da me lanciato nella Liturgia d'apertura del Sinodo, perché la beatitudine evangelica della povertà fosse ritenuta come una delle condizioni necessarie per attuare, nell'odierna situazione, un fecondo ministero episcopale. Anche in questa circostanza, in mezzo all'assemblea dei Vescovi si è come stagliata la figura di Cristo Signore, che «  ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni  » e che invita anche la Chiesa, con i suoi pastori in primo luogo, «  a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza  ».87

Il Vescovo, perciò, che vuole essere autentico testimone e ministro del vangelo della speranza, deve essere vir pauper. Lo richiede la testimonianza che egli è tenuto a rendere a Cristo povero; lo richiede anche la sollecitudine della Chiesa verso i poveri, verso i quali è doverosa una scelta preferenziale. La decisione del Vescovo di vivere il proprio ministero nella povertà contribuisce decisamente a fare della Chiesa la «  casa dei poveri  ».

Tale decisione, inoltre, pone il Vescovo in una situazione di interiore libertà nell'esercizio del ministero consentendogli di comunicare efficacemente i frutti della salvezza. L'autorità episcopale deve essere esercitata con un'instancabile generosità e con un'inesauribile gratuità. Ciò richiede da parte del Vescovo una piena fiducia nella provvidenza del Padre celeste, una magnanima comunione di beni, un austero tenore di vita, una permanente conversione personale. Solo per questa via egli sarà capace di partecipare alle angosce e ai dolori del Popolo di Dio, che egli deve non solo guidare e nutrire, ma con il quale deve essere solidale, condividendone i problemi e contribuendo ad alimentarne la speranza.

Compirà questo servizio con efficacia se la sua vita sarà semplice, sobria e, insieme, attiva e generosa e se metterà coloro che sono ritenuti gli ultimi della nostra società non ai margini ma al centro della comunità cristiana.88 Quasi senza accorgersene, favorirà la «  fantasia della carità  », che metterà in evidenza più che l'efficacia dei soccorsi prestati, la capacità di vivere la condivisione fraterna. Infatti nella Chiesa apostolica, come ampiamente testimoniano gli Atti, la povertà di alcuni suscitava la solidarietà degli altri con il risultato sorprendente che «  nessuno fra loro era bisognoso  » (4, 34). La Chiesa è debitrice di questa profezia al mondo assediato dai problemi della fame e delle disuguaglianze fra i popoli. In questa prospettiva di condivisione e di semplicità il Vescovo amministra i beni della Chiesa come il «  buon padre di famiglia  » e vigila affinché essi siano impiegati secondo i fini propri della Chiesa: il culto di Dio, il sostentamento dei ministri, le opere di apostolato, le iniziative di carità verso i poveri.

Essere procurator pauperum è stato sempre un titolo dei pastori della Chiesa e deve esserlo concretamente anche oggi, per rendere presente ed eloquente il messaggio del Vangelo di Gesù Cristo a fondamento della speranza di tutti, ma specialmente di coloro che solo da Dio possono attendere una vita più degna e un migliore avvenire. Sollecitate dall'esempio dei Pastori, la Chiesa e le Chiese devono mettere in atto quella «  opzione preferenziale per i poveri  », che ho indicato come programma per il terzo millennio.89

Con la castità al servizio di una Chiesa che riflette la purezza di Cristo

21. «  Ricevi l'anello, segno di fedeltà, e nell'integrità della fede e nella purezza della vita custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo  ». Con queste parole, proclamate nel Pontificale Romano,90 il Vescovo è invitato a prendere coscienza dell'impegno che assume di riflettere in sé l'amore verginale di Cristo per tutti i suoi fedeli. Egli è chiamato innanzitutto a suscitare tra i fedeli rapporti vicendevoli ispirati a quel rispetto e a quella stima che si addicono ad una famiglia dove fiorisce l'amore secondo l'esortazione dell'apostolo Pietro: «  Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, essendo stati rigenerati, non da un seme corruttibile ma immortale, cioè dalla parola di Dio, viva ed eterna  » (1 Pt 1, 22-23).

Mentre con il suo esempio e con la sua parola egli esorta i cristiani ad offrire i loro corpi come sacrificio vivente, santo e gradito e Dio (cfr Rm 12, 1), a tutti egli ricorda che «  passa la scena di questo mondo  » (1 Cor 7, 31), ed è perciò doveroso vivere «  nell'attesa della beata speranza  » del ritorno glorioso di Cristo (cfr Tt 2, 13). In particolare, nella sua sollecitudine pastorale egli è vicino con paterno affetto a quanti hanno abbracciato la vita religiosa nella professione dei consigli evangelici ed offrono il loro prezioso servizio alla Chiesa. Egli sostiene poi ed incoraggia i sacerdoti che, chiamati dalla grazia divina, hanno liberamente assunto l'impegno del celibato per il Regno dei cieli, richiamando a se stesso ed a loro le motivazioni evangeliche e spirituali di tale scelta, quanto mai importante per il servizio del Popolo di Dio. Nell'oggi della Chiesa e del mondo la testimonianza dell'amore casto costituisce, per un verso, una specie di terapia spirituale per l'umanità e, per l'altro, una contestazione dell'idolatria dell'istinto sessuale.

Nel presente contesto sociale, il Vescovo deve essere particolarmente vicino al suo gregge e innanzitutto ai suoi sacerdoti, paternamente attento alle loro difficoltà ascetiche e spirituali, prestando loro l'opportuno sostegno per favorirne la fedeltà alla vocazione ed alle esigenze di un'esemplare santità di vita nell'esercizio del ministero. Nei casi, poi, di gravi mancanze e, ancor più, di delitti che recano danno alla testimonianza stessa del Vangelo, specie quando accade da parte dei ministri della Chiesa, il Vescovo deve essere forte e deciso, giusto e sereno. Egli è tenuto ad intervenire prontamente, secondo le norme canoniche stabilite, sia per la correzione e il bene spirituale del sacro ministro, sia per la riparazione dello scandalo e il ristabilimento della giustizia, come pure per quanto riguarda la protezione e l'aiuto alle vittime.

Con la parola, con l'azione vigile e paterna il Vescovo adempie l'impegno di offrire al mondo la verità di una Chiesa santa e casta, nei suoi ministri e nei suoi fedeli. Operando in questo modo, il pastore precede il suo gregge come ha fatto Cristo, lo Sposo, che ha donato la sua vita per noi e che ha lasciato a tutti l'esempio di un amore limpido e verginale e, perciò, anche fecondo e universale.


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