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VANGELO DI LUCA

Ultimo Aggiornamento: 23/11/2008 16:21
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23/11/2008 16:07

Gesù dodicenne nel tempio (2, 41-52)

Quest'ultimo racconto di Lc 1-2 è estraneo al parallelo Gesù-Giovanni. Gesù ha dodici anni, l'età in cui, secondo tradizioni giudaiche che risalgono al primo secolo, Samuele cominciò a profetizzare (1 Sm 3) e Daniele pronunciò una sentenza molto saggia (Dan 13). Un'età tuttavia in cui questi giovinetti non sono ancora maggiorenni: la loro sapienza viene quindi posta in maggiore risalto. E' dunque, in senso stretto, l'unico racconto dell' "infanzia" che segna il passaggio tra il racconto delle origini e quello dell'inizio del ministero.

La scena è collegata alla precedente: per la seconda volta, Gesù è nel tempio e, là dove si era manifestato grazie al cantico e all'oracolo profetico di Simeone, rivela ora la sua sapienza ai dottori della legge e la sua relazione con il suo Padre celeste ai suoi genitori.  Allo stesso tempo questa prima salita di Gesù a Gerusalemme per la Pasqua annuncia il grande viaggio (9,51 ss.) e l'ultimo insegnamento nel tempio (19,47; 20,1).

La legge ebraica prescriveva il pellegrinaggio a Gerusalemme in occasione delle tre feste più importanti: Pasqua, Pentecoste (o Festa delle Settimane) e Festa delle Capanne (Es 23,14; Dt 16,16), ma l'usanza dispensava coloro che vivevano molto distanti dalla città, fatta eccezione della festa di Pasqua, che aveva un'ottava (22,1).

Il centro della scena (vv. 46-49) è costituito da due quadri di differente portata. Il primo mostra la sapienza di Gesù, che è la capacità di conoscere la volontà di Dio rivelata nelle Scritture e di conformarsi ad essa. La manifestazione di questa sapienza provoca, nel pubblico, uno stupore identico a quello che provocheranno più avanti alcuni avvenimenti miracolosi (5,26; 9,36; At 3,10) e, nei genitori di Gesù, una meraviglia che ritroveremo in coloro che ascolteranno il su insegnamento nella sinagoga di Cafarnao (4,32).

Il secondo quadro costituisce il culmine del racconto. Al rammarico di Maria, Gesù risponde con una duplice domanda che è allo stesso tempo un rimprovero. E' la madre che parla (Giuseppe tace sempre in Lc 1-2) e Luca non prova nessun imbarazzo a farle indicare il suo sposo chiamandolo "tuo padre", perché nella replica Gesù parlerà di un altro Padre, quello celeste. A Maria che parlava dei "doveri filiali" pensando al quinto comandamento (Es 20,12), Gesù risponde rimandando al primo: il dovere verso Dio (Es 20, 3-6), egli è il figlio obbediente del suo Padre celeste. Così sia le prime che le ultime parole di Gesù prima di spirare (23,46) ricordano suo Padre.

In questa risposta di Gesù, risuona il verbo "devo", che lo troveremo in altri nove casi, ciò dimostra che la missione di Gesù (Lc 4,43) e soprattutto la sua passione-resurrezione (Lc 9,22; 24,26) rientrano nel piano divino della salvezza che egli si assume. Di fronte all'espressione "devo", non vi è da stupirsi che Maria e Giuseppe "non compresero ciò che aveva detto loro"; entrambi prefigurano i discepoli che, ad esempio dopo il terzo annuncio della passione "non capirono" (18,34). Ma si obietterà: come può Luca mettere in scena una Maria che non comprende nulla di quanto Gesù dice, mentre essa ha ricevuto tante rivelazioni - da Gabriele, dai pastori, da Simeone -  sulla condizione eccezionale del suo bambino e le ha meditate "nel suo cuore " (2,19)? Maria ha sentito dire che egli è Messia e Figlio di Dio: ma comprende veramente che cosa significa ciò? Lei certamente ignora in che modo questi titoli si realizzeranno.

Una duplice conclusione e due ritornelli (vv. 50-52) chiudono l'episodio. Luca rileva anzitutto l'incapacità di comprendere dei genitori, poi mostra Gesù, rientrato a Nazaret, che torna a una scrupolosa osservanza della pietà filiale in conformità alla legge. Segue allora il ritornello del “ricordare” di Maria: ella continua la sua riflessione nel mistero (2,19) che si concluderà, come per i  discepoli, solo dopo la luce pasquale (At 1,14).

Quanto al ritornello della crescita, Luca pone l'accento sulla sua condizione connaturale: egli crebbe come un qualsiasi altro ragazzo naturale: di età e grazia. Grazia indica amabilità nei confronti di Dio e degli uomini che include non soltanto la santità ma anche la gentilezza, il tatto, il fascino. Gesù crebbe sotto ogni aspetto - fisico, intellettuale, emotivo, spirituale - per la grande opera che l'aspettava.

Un ultimo rilievo: la menzione del ritorno a Nazaret impedisce che il "ciclo dell'infanzia" si chiuda nel tempio, dov'era iniziato. Infatti dopo un percorso assai lungo (Lc 3-19) Gesù tornerà di nuovo a Gerusalemme.

CONCLUSIONE

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Al momento di chiudere questo "vangelo dell'infanzia" ci poniamo due domande:

1)    Di quali fonti ha potuto disporre Luca nella redazione di questi due capitoli?

Il racconto di Matteo 1-2 non può assolutamente essere posto in parallelo con quello di Luca. Le differenze sono numerose. A titolo di esempio, ricordiamo che Mt 2 non racconta la nascita di Gesù, narra invece episodi sconosciuti a Luca (ad esempio: i Magi, la strage degli innocenti, ecc…); è a Giuseppe che viene rivelato il destino di Gesù… Insomma, i due racconti non hanno origine comune.

Si trovano però molti elementi comuni ai due vangeli: la personalità dei genitori, i fidanzati che non hanno ancora avuto rapporti sessuali; l'annuncio da parte di un angelo del concepimento verginale grazie all'azione dello Spirito Santo e la nascita di Gesù a Betlemme; la sua infanzia a Nazaret. Matteo e Luca concordano anche sulla messianicità di Gesù che ha una relazione speciale con Dio, ma anche su un tema che essi trattano in modo assai differente: il rifiuto di Israele e l'appello ai pagani. Così, all'atteggiamento omicida di Erode e all'adorazione dei Magi in Matteo, corrisponde la profezia di Simeone in Lc 2, 31-35.

 Questi dati comuni permettono di concludere che prima di Luca e di Matteo circolavano in alcune chiese prima dell'anno 70, delle tradizioni che avevano anzitutto lo scopo di rafforzare e chiarire la fede in Gesù, il Cristo Signore, e che presero forme assai diverse. In maniera più immediata, Luca ebbe a disposizione diverse fonti, probabilmente scritte in greco: una "leggenda"[16] sulla nascita di Giovanni Battista, un racconto di annuncio a Maria, i cantici di Maria e di Zaccaria e forse una relazione dell'incontro tra Maria e Elisabetta. Nel testo, nulla viene a suffragare l'ipotesi secondo cui Luca avrebbe avuto a disposizione confidenze di Maria, madre di Gesù.

Proprio basandosi su questi dati e attingendo all'AT, Luca ha composto i primi due capitoli della sua opera con grande libertà: una libertà simile a quella che si prenderà negli Atti, ma molto più grande di quella di cui si avvale, di fronte alla tradizione, per descrivere il ministero di Gesù.

2)    Qual è il livello di storicità di Lc 1-2?

Si impone un'osservazione. Sono numerosi i personaggi di questo vangelo dell'infanzia - quindi non solo Maria - che ricevono una rivelazione sul ruolo futuro di Gesù. I pastori "riferirono quello che del bambino era stato detto loro" a molte persone. Anna "parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la liberazione di Gerusalemme". Molti dottori della legge sono testimoni, nel tempio, della sapienza di Gesù dodicenne. Ora, questa conoscenza su Gesù è completamente assente nei personaggi posti in scena a partire da Lc 3. Nessun essere umano - né Pietro e neanche il centurione ai piedi della croce - confesserà Gesù come Figlio di Dio (titolo rivelato a Maria: 1,35). Quanto ai tre titoli cristologici rivelati ai pastori che si ritiene li abbiano divulgati (2,11.17), il titolo "Salvatore" non si ritroverà che in alcuni discorsi degli Atti, sulla bocca di Pietro (At 5,31) e di Paolo (13,22). Se, per diciotto volte in Luca, qualcuno si rivolge a Gesù chiamandolo "Signore", il titolo "Cristo" viene pronunciato una sola volta da Pietro (9,20), prima di ritrovarsi su bocche incredule durante la passione. Quanto al concepimento verginale, viene ignorato da tutti gli altri personaggi del vangelo e degli Atti.

Tutto ciò mostra la differenza che esiste tra quello che narra del Cristo il vangelo dell'infanzia di Luca, da un lato, e il resto del suo racconto dall'altro. Se Lc 1-2 annuncia già tutta la fede della Chiesa, è perché questi due capitoli sono fortemente rischiarati dalla fede pasquale e la mettono in atto. La messianicità e la signoria di Gesù che l'angelo annuncia ai pastori sono esattamente il messaggio che Pietro proclamerà dopo Pasqua: "Dio ha costituito Signore e Cristo questo Gesù che voi avete crocifisso" (At 2,36). Ma questa dignità che Gesù ha ricevuto il mattino di Pasqua, Luca confessa - insieme alla sua Chiesa - che era già misteriosamente presente nel figlio di Maria fin dalla nascita.


TORNA ALL'INDICEIII.          PREPARAZIONE AL MINISTERO PUBBLICO (3,1-4,13)


Dopo aver proceduto in modo autonomo alla stesura del suo vangelo dell'infanzia, Luca si collega qui al lavoro dei suoi predecessori: Marco e la fonte "Q". Egli attinge largamente all'uno e all'altra per descrivere l'insegnamento del Battista e il suo arresto, il battesimo di Gesù e le tentazioni. In questo modo, Luca fa suo il ritratto teologico tratteggiato dalla Tradizione: Giovanni era la voce che, nel deserto, invitava il popolo d'Israele a preparare la via per il Signore Gesù. Ciò non gli impedisce - come vedremo - di imprimere il suo tocco personale a questo ritratto.


TORNA ALL'INDICEA  -  PREDICAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA (3, 1-20)


Luca, conformemente agli altri sinottici, e Giovanni, apre il vangelo propriamente detto con la predicazione del Battista ((3, 1-20), ma a differenza degli altri evangelisti premette un ampio quadro della situazione politico-religiosa in cui il precursore comincia la sua manifestazione, dall’imperatore di Roma al pontificato di Anna e Caifa. E’ un’introduzione troppo solenne per non supporre che egli miri soprattutto alla persona e alla missione di Gesù e all’instaurazione del regno di Dio destinato a sostituire tutte le dominazioni terrene.

Luca abbonda nella sua enumerazione richiamando accanto alla Galilea e Giudea due domini pagani, appunto per ricordare che non solo Israele ma anche i gentili erano chiamati a passare sotto la regalità di Cristo.

Il sommo sacerdote Anna, anche se dal 15 d.C. aveva finito il suo incarico, continuava ad esercitare il suo peso nelle decisioni del Sinedrio (cfr. Gv 18, 13-24; At 4,6). Caifa d’altronde era suo suocero (cfr. Mt 26,3.57;Gv 18, 24-28).

Luca nel “racconto” dell’infanzia (1, 5-80) aveva lasciato Giovanni “nel deserto”[17]; da qui riprende ora a parlare della sua missione, solo che a differenza di Matteo e Marco il precursore non è ferma in un luogo ma si muove “per tutta la regione” (3,3), non è tanto un eremita che si ritira nel deserto, quanto piuttosto un profeta itinerante.

La missione di Giovanni è quella di tutti i profeti: riportare il popolo al suo Dio. La conversione è il tema abituale della predicazione profetica. Difatti non si è mai pienamente orientati verso il bene, verso Dio e il prossimo, c’è sempre qualcosa o molto da modificare, rettificare, perfezionare. Il grido di Giovanni “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” non risuona mai invano per quanti si mettono in ascolto della Parola di Dio che è sempre una spada tagliente, a doppio taglio che ha molto da recidere, sradicare nel cuore degli uomini, soprattutto del credente (cfr. Is 49,2; Ebr 4,12).

Giovanni accompagna la sua predicazione con l’invito a sottoporsi a un rito simbolico che di per sé non realizzava ma indicava il cambiamento di vita che il penitente si proponeva di attuare.

Il “battesimo” consisteva in un’immersione e riemersione nelle e dalle acque del Giordano. Con tale gesto l’uomo segnalava ai presenti che nel suo intimo si andava verificando come un’abluzione spirituale, un rinnegamento delle sue vecchie abitudini con l’intento di far subentrare un nuovo regime di vita, fatto di umiltà, bontà, mansuetudine, lealtà.

Le parole pronunciate o poste in bocca a Giovanni provengono da Is 40, 2-5 e sono quelle con cui il grande profeta postesilico annunzia ai suoi connazionali la fine della schiavitù babilonese e il ritorno in patria. Si tratta pertanto di un annuncio di consolazione e non di un oracolo di sciagure. Giovanni assumerà anche la figura di un predicatore arcigno e catastrofico (Lc 3, 7-18), ma in questi primi tratti della sua missione è un annunciatore di buone notizie, in altre parole del “vangelo”. Ciò che conta è saperlo accogliere, fargli spazio nel proprio cuore. La “strada” da preparare non è più quella che attraversa il deserto, da Babilonia a Gerusalemme, bensì quella più breve, però più insidiosa che va dalla mente al cuore, alla volontà dell’uomo, e dove si annidano angolosità di ogni genere che ne ostacolano e ne impediscono la percorribilità. L’agire morale dell’uomo è per l'autore biblico la conformità a un codice stradale: ci sono varie infrazioni suggerite dalla pigrizia, dalla vanità o dall’orgoglio che debbono essere evitate, altrimenti non potrà trovare accoglienza il messaggio evangelico. Sono veri idoli che ostacolano il cammino di Dio nell’uomo e per questo sono da rimuovere se si vuole “vedere”, cioè fare esperienza della salvezza che ci attende.

Dal punto di vista esegetico, Luca, composto dopo Mc e Mt, si manifesta sospettoso verso un tentativo del cristianesimo primitivo di presentare il Battista come un rivale o addirittura come un dichiarato oppositore di Gesù. Il vangelo di Giovanni (1,8.19-34) sarà assai esplicito nel far rilevare che Giovanni il Battista non è il Messia.

Facendo un confronto tra Lc e Mt (dipendenti entrambi dalla fonte Q) troviamo che:

1)     Lc omette l'annuncio di Giovanni Battista che il regno di Dio è vicino (Mt 3,2) e riserva a Gesù questa proclamazione (Lc 10,9.11).

2)     Lc sopprime la descrizione del Battista nel ruolo di Elia (Mt 3,4 parall. Mc 1,6) e il resoconto dell'attività del Battista, specialmente il fatto che accorrevano a lui da ogni regione per farsi battezzare (Mt 3,5).

3)     Nell'affermazione: "viene dopo di me Colui che è più forte di me", Luca allontana il pericolo che Gesù venga considerato un discepolo del Battista o forse anche un suo intimo amico. Lc considera Giovanni l'ultimo e il più grande dei profeti d'Israele, ma chiaramente al di fuori della gloriosa èra messianica che inizia con Gesù (Lc 16,16; At 13,24): in questi testi l’evangelista asserisce che Giovanni venne "prima della sua [di Gesù] venuta".

Benché la prassi di presentare un profeta indicando i nomi delle autorità contemporanee abbia paralleli nell'AT (Is 1,1; Ger 1,3; Os 1,1), lo stile di Luca si avvicina di più a quello degli autori classici greci, come Tucidide, che inizia in modo analogo la narrazione della guerra del Peloponneso.

L'evangelista inquadra l'inizio della predicazione del Battista nella cornice della storia contemporanea a partire dall'impero romano, passando attraverso il governo politico e religioso della Palestina.

Il governo politico passa dal regno di Erode il Grande[18] - un regno soggetto a Roma - che costituiva la cornice del "vangelo dell'infanzia" (1,3; 2, 1-2), a un'amministrazione diretta della Giudea da parte dell'imperatore[19] e del suo governatore,[20] mentre il resto del regno di Erode - la Galilea in particolare - era affidato ai suoi figli, che ne erano i reggenti.[21]

Il governo religioso, invece, è incentrato sui sommi sacerdoti Anna e Caifa.[22]

Giovanni s'affaccia sul deserto meridionale di Giuda, nei pressi del Mar Morto, ove confluisce il Giordano. La sua predicazione è, per Luca, centrata sul battesimo di conversione e di perdono. Come gli altri evangelisti, egli illustra la missione del Battista con una citazione di Isaia (40, 3-5)[23], un testo che celebrava il ritorno glorioso degli Ebrei esuli a Babilonia lungo una via piana e retta, simile alle strade processionali che conducevano ai templi.

Si ha, quindi, l'inizio di una nuova éra a cui bisogna prepararsi con la conversione.

Giovanni chiede a coloro che incontra di mutare condotta, di tenere un comportamento che testimoni una vera conversione[24]. Sfilano ora davanti al Battista tre categorie diverse. Queste pericopi (10-14) che sono esclusive di Lc rivelano l'interesse dell'evangelista per la dimensione universale della redenzione.

1)     Gli Ebrei che vanamente allegano la loro discendenza da Abramo e che devono, invece, compiere "frutti degni di conversione", cioè che testimonino un autentico mutamento di vita.

2)     I pubblicani, cioè gli esattori delle tasse e i loro subalterni, invitati al rigore della giustizia evitando corruzioni e vessazioni.

3)     I soldati, ai quali si impone il superamento di ogni tipo di violenza.

Ma la figura del Battista è tutta protesa verso un altro personaggio e un altro battesimo "in Spirito Santo e fuoco"[25].  Nei confronti di Cristo, Giovanni si sente simile a una schiavo del livello infimo: lo sciogliere il legaccio dei sandali era un atto che un padrone non poteva esigere dal suo servo ebreo, perché considerato troppo umiliante.


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