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VANGELO DI LUCA

Ultimo Aggiornamento: 23/11/2008 16:21
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23/11/2008 16:09

DUE EPISODI TIPICI: A NAZARET E A CAFARNAO  (4, 14-44)

Questi due avvenimenti simboleggiano il rifiuto di Gesù da parte dei suoi stessi concittadini e la stima tributatagli da estranei.

 Gesù a Nazaret (4, 14-30).

Composta quasi interamente da brani propri di Luca, la scena della predicazione di Gesù nel villaggio "dove era stato allevato" ha un carattere programmatico assai accentuato; essa annuncia infatti dei temi che occuperanno un posto centrale nell'insieme di Lc-Atti.

Il sommario introduttivo (vv. 14-15) ripete ancora una volta che Gesù è dotato dello Spirito profetico che, dopo il deserto, lo guida sui luoghi del suo ministero. Il contenuto dell'insegnamento di Gesù non è precisato, mentre in Mc 1,15 egli predica esplicitamente il regno di Dio. Le prime parole pubbliche di Gesù saranno, dunque, la sua interpretazione di Isaia. Detto ciò, Luca noterà spesso che Gesù insegna, senza precisarne il contenuto; il fatto è che prendere la parola è un atto in sé già significativo, indipendentemente dal contenuto. A differenza del Battista, Gesù parla spesso in luoghi e tempi specificatamente adibiti a questo scopo: è solito entrare in una sinagoga il giorno di sabato.

Marco (1, 14-15) e Matteo (4, 12-17) aprono il ministero pubblico di Gesù con un sommario breve e generale: “Gesù percorre la Galilea annunciando che il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo”. Luca invece preferisce aprire il ministero pubblico di Gesù con un discorso programmatico, in cui non compare il termine “Regno”, ma viene esplicitato il contenuto: “l’oggi della salvezza, il compimento delle Scritture, la centralità di Gesù”. Per questo scopo Luca pone l’episodio all’inizio della vita pubblica di Gesù, mentre Marco e Matteo pongono l’episodio di Nazaret più avanti, a missione inoltrata.

La prima parte del racconto (vv. 16-22) descrive una parte del culto sinagogale[31]. Essa tralascia le preghiere iniziali e la prima lettura, tratta dalle legge di Mosè, conservando solo una lunga citazione della seconda: la profezia di Is 61, 1-2. Luca ne omette solo il verso minaccioso: "(a proclamare) un giorno di vendetta da parte del nostro Dio". Secondo l'oracolo, il compito dell'inviato è quello di annunciare con vigore la scomparsa di quello che fa soffrire i poveri e gli oppressi, di proclamare l'inizio di un'epoca in cui l'uomo sarà accolto da Dio.

Gesù spiega agli abitanti di Nazaret: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura per voi che mi ascoltate". Ciò che più importa, è notare che Gesù non dà la spiegazione esegetica del testo, né si attarda in alcun modo alla ricerca di applicazioni morali (come facevano alcuni predicatori nelle riunioni della sinagoga), ma attira l’attenzione sull’evento che lo compie: la sua venuta, appunto. Il consacrato e l’inviato dello Spirito è Lui. L’attenzione passa così dalla Scrittura al predicatore: “Gli occhi di tutti erano fissi sopra di Lui”. L’ “oggi” è la novità di Gesù. L’ “oggi” è un termine caratteristico di Luca (2,11; 3,22; 5,26;13, 22-23; 19,5; 23,43), indica che gli ultimi tempi sono iniziati, che il tempo adatto è in svolgimento, che la storia degli uomini sta attraversando un momento eccezionale di grazia. L’oggi non è soltanto una nota cronologica riguardante Gesù: si prolunga nel tempo della chiesa. Il tempo messianico è in svolgimento e il nostro tempo è l’oggi di Dio. Ora, pur rimanendo "stupiti per le parole di grazia che pronunciava", gli abitanti di Nazaret non vedono che un aspetto di Gesù (il "figlio di Giuseppe"), non scorgono in lui il profeta ultimo che pure indicava Is 61.

Nella seconda parte del racconto (vv. 23-27), Gesù prende la parola di sua iniziativa in due fasi. La domanda del v. 22 lo lascia capire: la gente di Nazaret reclama un segno e Gesù  anticipa la loro richiesta (v. 23) ricorrendo a un proverbio. Egli dovrebbe confermare le sue parole compiendo per loro, nella sua patria, atti di potenza simili a quelli compiuti a Cafarnao. Luca, infatti, li racconterà poco più avanti, ai vv. 31-41. A questa pretesa, Gesù risponde con un altro proverbio (v. 24) e con due esempi (vv. 25-27) tratti dal corpus dei profeti (cfr. 1Re 17; 2Re 5)[32]. Anche questa volta, Gesù non dichiara apertamente che lui è il profeta, anche se in questi versetti tutto lo lascia capire. La patria che rifiuta di accogliere colui che annuncia un "anno di grazia" (v. 19), non è soltanto Nazaret, ma anche Israele. Il segno miracoloso che Gesù offre ai suoi concittadini non si compie presso di loro, ma fuori della sua patria, poiché essi respingendo questa universalità, rifiutano anche l'inviato che ne è il portatore.

La conclusione del racconto (vv. 28-30) è anch'essa programmatica: il privilegio di Israele è giunto al termine e il fatto che Dio accoglie le nazioni pagane, questo provoca la collera dei "giudei". Qui viene prefigurato un racconto di At 13 dove si parla che i giudei di Antiochia di Pisidia passano dall'atteggiamento benevolo verso Paolo al furore, vedendo i pagani ascoltare la parola del Signore (At 13, 44-45). Se il v. 24 conteneva già una minaccia implicita nei confronti di Gesù, il v. 29 descrive decisamente un primo tentativo di uccisione. La cacciata di Gesù "fuori dalla città" da parte degli abitanti di Gerusalemme - come avverrà per Stefano At 7,58 - e il suo supplizio vengono così prefigurati (cfr. At 3, 14-15). A partire da questa scena, veniamo a sapere che il titolo di "profeta" per Gesù significa il rifiuto e la passione: Lc 13, 33-34 preciserà solo il luogo di questo delitto. Per il momento non è ancora l'ora degli avversari (22,55) e Gesù prosegue la sua strada che lo porterà a Gerusalemme.

TORNA ALL'INDICE- Gesù a Cafarnao (4, 31-44).

Come la precedente relazione, anche questa ci descrive un giorno tipico nel ministero di Gesù e in quanto tale ci presenta uno schema in miniatura del suo intero ministero. Luca segue qui il vangelo di Marco (la Giornata di Cafarnao), ma sempre con accurati ritocchi. Egli omette la frase marciana un po’ indelicata secondo cui Gesù non insegnava come gli scribi. Da parte sua Matteo colloca la frase al termine del discorso della montagna.

Il luogo è Cafarnao, una città che Luca specifica per i suoi lettori pagani come una città della Galilea.

L'introduzione (vv. 31-32) ricorda che Gesù insegna abitualmente durante il culto della sinagoga (cfr. 4,15). Prima di parlare diffusamente degli atti di potenza compiuti da Gesù, Luca nota che questo insegnamento ha anch'esso una forza insolita che meraviglia chi lo ascolta. In tal modo, l'esorcismo che Gesù compirà (v. 35) non è che una delle manifestazioni di questa potente parola. Poiché il lieto annunzio si realizza anche tra i suoi ascoltatori, l'insegnamento e le guarigioni sono strettamente legati.

TORNA ALL'INDICE1.     Liberazione di un indemoniato (4, 33-37) - V. Mc 1, 23-28.

Gesù entra nella sinagoga che era stata edificata da un ufficiale romano (7,3) e incontra un uomo posseduto da uno spirito immondo che gli impediva di partecipare al culto e alla gioia religiosa. Siccome la Bibbia attribuisce ogni male, sia fisico che morale, a una forza diabolica (Gen 3), non è sempre facile determinare in qualsiasi episodio biblico l'esatta natura del possesso diabolico. L'evangelista, comunque, era veramente convinto che la presenza di Gesù era causa di scontri violenti tra le forze sovrumane del bene e dl male.

Il racconto si inserisce in uno schema classico:

-         Il demonio riconosce l'esorcista e si ribella.

-         L'esorcista proferisce una minaccia o un ordine.

-         Il demonio esce davanti a tutti. Per dimostrare la realtà dell'espulsione, l'uomo viene qui "gettato a terra davanti a tutti".

-         Il racconto, infine, registra l'impressione prodotta sui presenti: un timore religioso che porta a interrogarsi sull'origine di questa parola così efficace. Il lettore sa che si tratta dello Spirito di cui Gesù ha ricevuto l'unzione.

   TORNA ALL'INDICE2.            Guarigione della suocera di Pietro (4, 38-39) - V. Mc 1, 29-31; Mt 8,14 ss.

Dopo la guarigione di un uomo in una casa di preghiera, ecco quella di una donna febbricitante in una casa privata. Gesù "minacciò la febbre" proprio come aveva minacciato lo spirito al v. 35, per Lc questa guarigione è paragonabile a un esorcismo. In scena c'è Pietro, che Gesù è venuto a trovare in casa sua e con i membri della sua famiglia  egli può costatare la guarigione istantanea: “La donna si mise a servirli”. Il racconto prepara la chiamata di Pietro (5, 1-11): Gesù e Simone sono già collegati da un vincolo stretto e l'atto di fede di quest'ultimo (5,8) è preparato dalla straordinaria guarigione di cui egli è testimone in casa propria.

           TORNA ALL'INDICE        3.            Guarigioni di ammalati (4, 40-41) - V. Mc 1, 32-34; Mt 8,16 ss.

Questo sommario riassume molte guarigioni, per mostrare in Gesù il guaritore e l'esorcista: si tratta di individui affetti da diverse malattie ai quali Gesù impone le mani, un gesto di guarigione legato qui al rito dell'esorcismo. Come in precedenza, gli spiriti conoscono il ruolo di Gesù nella storia della salvezza, essi gridano spaventati e frustrati, ma Gesù ordina loro di stare zitti e tranquilli, per evitare che venga riconosciuto semplicemente come un messia taumaturgo e politico.

                   TORNA ALL'INDICE   4.            Gesù parte da Cafarnao  (4, 42-44) - V. Mc 1, 35-39; Mt 4,23; 9,35.

In questo quarto e ultimo episodio, Gesù lascia Cafarnao. Poiché Luca non ha ancora introdotto sulla scena i discepoli, è la folla - e non Simone e i suoi compagni, come in Mc. 1, 36-37 - che lo cerca e viene da lui. E' perciò impressionante il contrasto tra gli abitanti di Nazaret che "lo cacciarono fuori" e le folle di Cafarnao che "volevano tenerlo sempre con loro, senza mai lasciarlo partire"!

"Bisogna che io annunzi la buona novella del regno di Dio alle altre città", un'espressione ripresa da Is 32,7. Questo vangelo da proclamare è che Dio stesso assume il potere, entra in azione per rendere giustizia e per salvare. Gli episodi della giornata di Cafarnao illustrano questa realtà operante attraverso la predicazione e le guarigioni di Gesù. E' per questo motivo che egli deve lasciare la città dove, per la prima volta, ha liberato delle persone alienate dal male e proseguire il suo giro delle sinagoghe in tutta la terra di Giudea.


TORNA ALL'INDICEB.  DALLA CHIAMATA DI PIETRO A QUELLA DEI DODICI (5,1-6,16)


Benché il racconto del ministero galilaico (4,14-9,50) segua molto da vicino il vangelo di Marco, Luca non colloca la chiamata di Pietro prima della giornata di Cafarnao (come avviene in maniera alquanto inaspettata in Mc). Egli compone invece la sua versione personale della vocazione di Pietro e dispone gli eventi secondo una sequenza più ordinata (1,3): chiamata dei discepoli privilegiati (5, 1-11); due guarigioni (il lebbroso e il paralitico) che sono causa di dispute (5, 12-16.17-26); chiamata di Levi, un altro discepolo (5, 27-39); due episodi (le spighe strappate e la guarigione di un uomo dalla mano inaridita) in giorno di sabato che danno origine a nuove dispute (6, 1-11); la scelta dei Dodici (6, 12-16).

a)    La vocazione di Simon Pietro (5, 1-11) - V. Mc 1, 16-20; 4,1; Mt 4, 18-22; cfr Gv 1, 35-42; 21, 1-11.

A differenza di Matteo e Marco, Luca introduce la vocazione dei primi discepoli di Gesù (Pietro, Giacomo e Giovanni), solo dopo i miracoli di Cafarnao e aggiunge il racconto della pesca miracolosa che l'evangelista Giovanni presenta dopo la risurrezione (21, 1-11). Si ha, così, in modo concreto la qualità della redazione dei vangeli, che organizzano i ricordi storici della vita di Gesù secondo diverse prospettive di ordine teologico.

La narrazione di Luca o è una composizione da lui redatta utilizzando varie fonti oppure è il frutto di una trasmissione orale con dettagli di narrazioni differenti mescolate insieme. L’opinione più probabile è la prima, poiché questa sezione è eccezionalmente ricca di tratti stilistici lucani.

La descrizione del luogo (5, 1-3) corrisponde a Mc 4,1 ss.; poi Mc procede con la parabola del seminatore.

A differenza di Mc 1,17 ss, dove Gesù rivolge la parola ad Andrea oltre che a Pietro e poco dopo anche a Giacomo e Giovanni, questa sezione di Lc ci descrive Gesù che si rivolge esclusivamente a Pietro: “D’ora in poi tu sarai pescatore di uomini”. Questa frase, così fortemente sottolineata in greco, implica un profondo cambiamento nella vita di Pietro. Egli pascerà uomini allo scopo di salvare le loro vite, invece dei pesci per i pasti di famiglia; il verbo al futuro seguito dal participio assegna a Pietro una vocazione che dovrà continuare per tutta la sua vita. Scrivendo dopo il 70 d.C., Luca deduce che la leadership di Pietro non sarà mai trasferita a nessun altro, neppure a Giacomo, come sosterrebbero alcuni studiosi in base al Libro degli Atti 10.

Simome-Pietro non sarà solo il portavoce del gruppo che segue Gesù (Lc 9,20), egli svolgerà una funzione analoga all’interno del gruppo degli apostoli presenti a Gerusalemme dopo Pasqua (At 1,15). Soprattutto predicherà la parola di Dio, compiendo così la grande “retata” che raccoglierà gli uomini per formare la prima comunità cristiana (At 2, 14-41).

Infine, un ultimo tratto tipico di Luca: i nuovi discepoli abbandonano tutto, non soltanto le reti come in Mc 1,18. Seguire Gesù è compiere una scelta radicale.

TORNA ALL'INDICEb)    Due miracoli e il racconto di una disputa (5, 12-26).

Da 5,12 a 6,11 Luca attinge quasi tutto il suo materiale a Marco introducendovi soltanto leggeri ritocchi. Quanto a disposizione strutturale, i prossimi due miracoli (il lebbroso e il paralitico) si armonizzano perfettamente con i due eventi (il digiuno cristiano e il sabato) riportati dopo la chiamata di Levi.

- La guarigione di un lebbroso (5, 12-16) – V. Mc 1, 40-45; Mt 8, 1-4.

Luca colloca questa guarigione “in una città”, mentre Mc 1,39 la colloca in aperta campagna, luogo più logico per incontrare un uomo che si trovi ormai negli stadi più avanzati di una malattia di pelle molto contagiosa. A Lc non importa tanto l’itinerario di Gesù, quanto coloro ai quali si rivolge. Il lebbroso era considerato impuro sia per il culto che per la vita sociale. Egli è cacciato “fuori del campo” (Lev. 13, 45-46) perché considerato morto per la comunità: si può pensare a una forma più radicale di povertà? Il lebbroso non chiede di essere guarito ma di essere mondato, questo sentimento riflette tutta la tradizione biblica secondo la quale la sofferenza più acuta causata dalla lebbra era la disperazione del sentirsi esclusi dalla comunità. Soltanto una persona realmente monda poteva prendere parte ai servizi religiosi e alle assemblee della comunità.

Così Gesù, violando le norme di purità rituale “tocca” il malato quasi ad assumere e a liberare quel male infondendo la sua forza risanatrice. Si mostra, però, rispettoso delle leggi ufficiali, invitando il malato guarito a presentarsi alle autorità[33] per essere riammesso nella società religiosa e civile (Lev. 14, 2-3).

Il brano si conclude con un riferimento alla preghiera. Mentre Mc insinua che Gesù fu costretto a ritirarsi nel deserto per evitare che la folla eccitabile organizzasse un movimento rivoluzionario messianico politico, Luca pone in evidenza che il ritiro di Gesù per pregare era spontaneo e abituale. Nella preghiera otteneva quanto la folla gli chiedeva.

In questo episodio Lc tralascia gran parte del dialogo e compone una narrazione più scorrevole, ma meno personale.

- La guarigione del paralitico (5, 17-26) – V. Mc 2, 1-12; Mt 9, 1-8; Gv 5,8.

Luca ha completamente rielaborato l’introduzione di questo racconto attinto sostanzialmente da Mc. Già nell’introduzione Lc annota che questo episodio “accade”. Gli eventi di Dio non si programmano, l’importante è guardarli con attenzione quando accadono.

La narrazione si dilunga nel descrivere il modo con cui il paralitico, sdraiato su un lettuccio, riesce a raggiungere Gesù. E’ uno sforzo che Gesù legge come un segno di fede (“visto la loro fede”). Ma nonostante questa fede – o forse proprio per questa – Gesù sembra voler deludere il desiderio di guarire del paralitico. Venuto a chiedere la guarigione, egli si sente dire: “Ti sono rimessi i tuoi peccati”. Gesù gli offre un di più, non un di meno, ma non è ciò che l’ammalato aspettava. Per lui il problema è anzitutto la salute, per Gesù è anzitutto il rapporto con Dio.

L’inaspettata affermazione di Gesù (“ti sono rimessi i peccati”) cambia totalmente la direzione del racconto, il cui perno non è più la potenza del miracolo, ma la pretesa di Gesù di offrire il perdono dei peccati. In effetti, il giudaismo conosce dei riti di perdono nell’ambito della liturgia del tempio; il perdono dei peccati si otteneva col pentimento e, soprattutto, col sacrificio per il peccato (Lv 4,1-5,13). In gruppi come quello di Giovanni Battista, il perdono si otteneva con la conversione del cuore e il rito battesimale (Lc 3,3). Ma Gesù non passa attraverso il sistema del tempio e non dimostra più nemmeno che il perdono è stato concesso grazie a un rito nell’acqua, come faceva Giovanni. Qui la guarigione fisica del paralitico (“alzati e cammina”) sarà segno del perdono (“ti sono rimessi i peccati”). La guarigione da ora in avanti sarà semplicemente un segnale che suggerirà di guardare altrove: “Perché sappiate che il Figlio dell’uomo[34] ha il potere sulla terra di rimettere i peccati”. L’uomo ha bisogno di salute, ma anche di perdono. Ecco perché Gesù non soltanto guarisce, ma offre perdono e invita alla conversione.

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