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VANGELO DI LUCA

Ultimo Aggiornamento: 23/11/2008 16:21
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23/11/2008 16:11

d)    Il servo del centurione (7, 1-10)

Secondo la legge giudaica, entrare nella casa di un pagano comportava un’impurità che impediva, per un certo tempo, di accostarsi alla preghiera. E’ forse per questo motivo che il centurione non pretende che Gesù entri in casa.

La sua fede, forte e rispettosa, viene premiata. Il servo è guarito per la potenza della parola di Gesù  e per la forza della fede del centurione.

Una caratteristica comune a tutti gli evangelisti è il modo in cui Gesù, benché fisicamente assente, salva una persona in difficoltà, usando semplicemente la sua parola: ciò è posto particolarmente in evidenza da Luca.

Un particolare che non deve sfuggire in questo miracolo è il personaggio che chiede il miracolo: il centurione, cioè un soldato pagano. Certamente è un simpatizzante del popolo d’Israele (“ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga”), cioè un “proselita”, uno di quei pagani che, delusi dalle ideologie dei greci e dei romani e dalla sapienza dei filosofi, si erano rivolti alla fede ebraica: pregavano nelle sinagoghe e prendevano parte alle opere di carità in favore dei poveri, ma non erano ebrei nel vero senso della parola, erano sempre di origine pagana, di un altro popolo, esclusi dalla vera e propria elezione di Dio.

Ma per Gesù non ci sono differenze. La fede non coincide con gli ambiti istituzionali, e non sempre la trovi dove te l’aspetti. Un pagano può avere fede come gli ebrei, anche più degli ebrei

TORNA ALL'INDICEe)     Il figlio della vedova di Naim (7, 11-17)

La tradizione evangelica ricorda tre miracoli di risurrezione: il figlio della vedova di Naim (7, 11-17), la figlia di Giairo (8, 50-56), Lazzaro (Gv. 11).

Il loro intendo non è anzitutto quello di mostrare la straordinaria potenza di Gesù, ma di mostrare che in Lui è la vita. Luca ha collocato l’episodio a questo punto del vangelo probabilmente per preparare la risposta di Gesù agli inviati del Battista, venuti a chiedergli i segni della sua messianicità. Fra questi segni c’è anche la risurrezione dei morti: ecco perché Luca ha posto qui, immediatamente prima,  la risurrezione del figlio della vedova.

Il racconto lucano è disseminato di particolari che hanno tutti un profondo significato. Il ragazzo morto è il figlio unico di una donna vedova. All’entrata della città Gesù si imbatte – si direbbe per caso “avvenne” – nel suo funerale. Gesù è accompagnato dai suoi discepoli e il feretro è seguito da molta gente. Così il miracolo è compiuto davanti a molti testimoni.

Gesù prova compassione per la madre, e le dice di non piangere. L’iniziativa è interamente sua, completamente gratuita. La madre non gli chiede nulla, semplicemente mostra piangendo il suo dolore. Il sentimento che spinge Gesù è dunque la compassione, espressa con un verbo (splanchnizein) che fa riferimento all’amore materno, di grembo. Si tratta di un sentimento profondo e partecipe, umanissimo. Gesù si lascia coinvolgere dal dolore della donna, prescindendo da ogni valutazione di merito. Cosa ha fatto quella donna per meritarsi un così grande miracolo? Nulla è detto e nulla si deve aggiungere. Gesù ha intuito il dolore di una vedova per la perdita dell’unico figlio, e questo gli è bastato per intervenire.

Oltre alla gratuità c’è un secondo tratto che qualifica in modo particolare il miracolo. Gesù lo compie con una parola che suona come un ordine: “Giovinetto, dico a te, alzati”. Nessuna invocazione a Dio, nessuna preghiera, nessun gesto, ma soltanto una parola in prima persona (“dico a te”).

Forse è proprio questo l’interesse principale di Luca: affermare che la parola di Gesù è parola che salva.

Un’ultima annotazione: l’espressione ammirata della gente (“Un grande profeta è sorto in mezzo a noi”) fa riferimento all’episodio di Elia (2 Re 17, 17-24). Ma il racconto di Luca differisce dal modello dell’AT. Infatti mentre Elia per risuscitare  il figlio della vedova di Sarepta, “si distese tre volte sul fanciullo”, Gesù, invece, non ha bisogno di nessun gesto, ricorre solo alla sua parola: “Alzati!”.

TORNA ALL'INDICEf)      Gesù e il Battista (7, 18-35)

Luca propone qui un’ampia trattazione in cui il nome di Giovanni ritorna nove volte, in un capitolo incentrato sulla rivelazione di Gesù come profeta, ed è ovvio il riferimento a Giovanni Battista, considerato da tutti, anche da Gesù “qualcosa di più di un profeta”.

L’episodio è formato da tre parti ben distinte:

1)     Alla domanda sulla sua messianicità che Giovanni gli pone, Gesù risponde rinviando ai miracoli messianici che egli compie (7, 18-23).

2)     Nella seconda parte, Gesù rende testimonianza al Battista (7, 24-28).

3)     Infine, l’accento si sposta sull’atteggiamento dei contemporanei verso Gesù e Giovanni (vv. 29-35).

-         Luca omette di informarci che Giovanni si trova in prigione, perché ha già fatto riferimento al fatto (3,19ss.) e agli inviati del Battista che esplicitamente lo interrogano sulla sua messianicità, Gesù risponde con una serie di allusioni a Isaia 61, già citato nel suo discorso programmatico tenuto nella sinagoga di Nazareth. Gesù non risponde direttamente alla domanda ma rinvia alle sue opere e alle Scritture. E’ soltanto in questo modo che si può concludere chi Egli sia. Come segni che lo caratterizzano, Gesù enumera una serie di miracoli, perfino la risurrezione dai morti. Ma l’ultimo segno (“ai poveri è annunciata la buona novella”) non è un miracolo, ma è il segno più chiaro che Gesù è il Messia, perché i poveri vanno identificati con gli storpi, i ciechi, ecc., cioè il costante ideale del vangelo è di arrecare sollievo totale e piena redenzione al popolo di Dio.

-         I discepoli di Giovanni hanno interrogato Gesù sulla sua identità, ora è Gesù che interroga la folla su Giovanni. Gesù non attende una risposta dalla folla, Lui stesso risponde, esaltando la grandezza di Giovanni, che non consiste solamente nell’austerità della vita e nella fortezza del carattere, ma soprattutto nell’aver accettato di preparare la strada del Messia (7,27). Il Battista è venuto per rendere testimonianza su un Altro. Sta qui tutto il suo significato. “Nessuno tra i nati di donna è più grande di lui, eppure il più piccolo nel Regno di Dio è ancora più grande” (7,28). Questa affermazione un po’ oscura si può spiegare così: Giovanni può essere anche stato il più grande di tutti i profeti e patriarchi, ma solo con Gesù ha avuto inizio un’epoca nuova e finale, per cui coloro che appartengono a questa nuova era ( il più piccolo nel Regno dei cieli) sono molto più fortunati dei primi (è più grande di lui).

-         Dopo aver espresso il proprio giudizio su Giovanni, Gesù traccia un quadro delle posizioni che i contemporanei hanno avuto di fronte a Lui e a Giovanni, suo precursore. Per rendere più vivace e incisivo il suo giudizio, ricorre a una parabola. Due gruppi di bambini, schierati sulla piazza uno di fronte all’altro, decidono di giocare al funerale. Ma quando il primo gruppo inizia le nenie, l’altro non si muove, ha già perso interesse al gioco, perché troppo triste. Allora si cambia e si ricomincia da capo: si gioca allo sposalizio. Ma anche questa seconda volta il gruppo non si muove: il gioco è troppo allegro. “Questa generazione – dice Gesù – somiglia proprio a quei bambini capricciosi, che non sanno quello che vogliono”, cioè rifiuta tutti gli inviati di Dio, comunque essi siano: il Battista perché rigido, Gesù perché mangia e beve. Tuttavia c’è anche chi è disponibile ad accogliere. La “sapienza”, cioè il disegno di Dio (nel nostro caso, la rivelazione di Gesù), che si manifesta tramite i suoi messaggeri ha avuto i suoi seguaci. I farisei e i dottori della legge sono “questa generazione” che rifiutando di farsi battezzare non si riconoscono bisognosi di conversione, quindi, hanno vanificato il disegno di Dio (7,30). Il popolo e i peccatori, invece, sono i “figli della sapienza” che facendosi battezzare da Giovanni, riconoscono in tal modo  che Dio ha avuto ragione  (alla lettera, “si è rivelato giusto”) nell’inviare un profeta al annunciare al popolo la necessità della conversione.

TORNA ALL'INDICEg)    La peccatrice perdonata (7, 36-50)

Luca colloca qui questo episodio, per sviluppare maggiormente il tema precedente, cioè la rivelazione di Gesù come profeta: sono, infatti, i peccatori che riconoscono Gesù come tale, al contrario, i farisei rifiutano questo carattere profetico.

Gesù è ospite di un ricco fariseo. Egli frequenta sia la compagnia dei poveri e dei peccatori, sia le case degli osservanti e dei ricchi.

Nessuna meraviglia che una donna, non invitata, entri nella sala del banchetto. Quando in casa si dava una festa, i vicini entravano a vedere e a curiosare. Ma una donna, conosciuta da tutti come una peccatrice, non si accontenta di curiosare, ma si siede ai piedi di Gesù, li cosparge di profumo e versa lacrime di pentimento per i suoi peccati.

Qui vengono posti a confronto due modi di guardare. Di fronte alla stessa donna e allo stesso gesto, il fariseo vede in lei la peccatrice e basta, Gesù invece scorge in lei il pentimento, la riconoscenza e l’amore.

Il fariseo pensa che un vero uomo di Dio non debba contaminarsi coi peccatori, ma al contrario debba evitarli, distinguendo bene tra giusti e peccatori, credenti e pagani.

Gesù invece è di parere opposto: egli sa che Dio è un padre che ama tutti i suoi figli, buoni e cattivi e non allontana i peccatori ma li cerca.

Il fariseo si lascia condizionare dal fatto dal fatto che quella donna è una peccatrice e dà un giudizio precostituito al suo gesto. Egli identifica la donna con la sua condizione: è una peccatrice, non è capace di fare altro, tutte le sue azioni devono essere guardate con sospetto! Gesù invece, libero da schemi e pregiudizi, prende in considerazione la possibilità del perdono di Dio.

Gesù cerca di far cambiare il suo punto di vista al fariseo raccontandogli una breve parabola: il condono dei cinquanta e dei cinquecento denari. I segni d’amore di questa donna verso Gesù sono la prova che le è stato perdonato molto, perché ha amato molto. L’amore perfetto ha il potere di perdonare i peccati.

TORNA ALL'INDICEh)    Le donne al seguito di Gesù (8, 1-3)

Da buon scrittore ellenistico, Luca alterna i generi letterari, ecco un breve riepilogo del giro missionario che Gesù compie in Galilea. Due gruppi sono testimoni della potenza e degli insegnamenti di Gesù: anzitutto i Dodici, di cui si precisa soltanto che si trovavano “con lui”, bisogna attendere 9,1 perché essi collaborino alla missione di Gesù.

Segue poi il gruppo delle donne[35] e si riferisce il nome di tre di loro. Qui esse servono Gesù e i Dodici, soprattutto “con i loro beni”. Le donne occupano un posto importante in Luca-Atti. L’autore non rileva la sconvenienza della presenza di queste donne che seguono Gesù e il suo gruppo di uomini. I suoi avversari criticheranno più il fatto che Egli frequenti i peccatori e mangia con loro, che la presenza delle donne nel gruppo itinerante dei suoi discepoli.

TORNA ALL'INDICEi)       La parabola del seminatore (8, 4-10)

La parabola del seminatore costituisce il perno di un discorso di Gesù che ha per tema la Parola. La parabola non intende descrivere la natura della Parola, ma il suo cammino nell’uomo e nella storia. Il protagonista non è il seminatore, che compare all’inizio (“il seminatore uscì a seminare…”) ma subito dopo scompare. Il protagonista è il seme che è il soggetto di tutte le affermazioni. Viene così raccontata la vicenda del seme, non del seminatore. Ma questa storia è raccontata proprio al seminatore, cioè a coloro che annunciano la Parola, non anzitutto a coloro che l’ascoltano. Degli ascoltatori, cioè dei terreni nei quali cade il seme, si parlerà dopo, nella spiegazione, non direttamente nella parabola.

Dalla evidente insistenza sulla sfortuna del contadino (il seme per ben tre volte non frutta e solo una volta, alla fine, frutta!) si intuisce la situazione in cui Gesù ha raccontato la parabola e la comunità successiva l’ha riletta continuamente: una situazione di insuccesso, in cui la fatica del seminatore appare troppe volte inutile e il fallimento della Parola totale o quasi.

Al discepolo predicatore che può sentirsi sfiduciato a causa dei molti insuccessi, la parabola riconosce che gli insuccessi ci sono, anche ripetuti, ma assicura che una parte del seme porterà frutto. Al seminatore è richiesta non soltanto la fede nella verità della parola, ma la fiducia nella sua efficacia.

Nella spiegazione (8, 11-15) che viene data, la parabola sembra cambiare direzione: non più un invito alla fiducia rivolto agli annunciatori del messaggio, ma un avvertimento rivolto a coloro che lo ricevono. La Parola, caduta nel cuore degli uomini, va incontro a vicende diverse. Ci sono uomini che neppure arrivano ad accettarla. Alcuni l’accettano, ma presto l’abbandonano. Altri l’accettano, ma la vita della Parola è in essi perennemente ostacolata, fievole, anemica. Altri, infine, permettono alla Parola di esplodere in tutta la sua vitalità.

Nella spiegazione della parabola Luca non si limita a ripetere ciò che la tradizione (comune a Marco e Matteo) gli offriva, ma la rielabora con leggeri ritocchi. Ad esempio egli sottolinea, a differenza di Matteo e Marco, la quotidianità degli ostacoli all’accoglienza della Parola: non la “persecuzione” (che è sempre un fatto eccezionale), né la “gran sofferenza” (di cui ha parlato Gesù e che avverrà alla fine dei tempi), ma le “prove” comuni, quotidiane (8,16). Evidentemente Luca vive un’esperienza ancora più amara di Matteo e Marco: i credenti defezionano non soltanto di fronte alla persecuzione, ma anche di fronte ai problemi della vita di ogni giorno.

Parabola della lampada (8, 16-18)

Questi detti di Gesù – in origine probabilmente proverbi sparsi – sono qui raccolti da Luca in una sezione che, come si è detto, ha per tema la Parola di Dio. Sembra giusto, perciò, cercare di leggerli in questa prospettiva.

Il primo detto (8,16), sembra un avvertimento rivolto ai cristiani che – o per paura  o perché ritengono inutile farlo – non si espongono pubblicamente. La Parola è pubblica e visibile: nasconderla è un modo di farla morire.

Il secondo detto (8,17) è rivolto a gruppi di cristiani che si chiudono in loro stessi e annunciano la Parola nel segreto, ai soli iniziati, mentre la Parola è per tutti, è missionaria.

Il terzo detto (8,18) afferma che l’ascolto della Parola è la via necessaria per la crescita della fede. Se viene meno, tutto muore.

La vera famiglia di Gesù (8, 19-21)

In Luca questi versetti seguono l’insegnamento in parabole sull’ascolto della parola di Dio. Ha spogliato la pericope di tutti quei tratti che potevano far supporre l’esistenza di un contrasto fra Gesù e la sua famiglia. Nell’atteggiamento dei parenti non c’è nulla di sconcertante, nessuna traccia di incomprensione o di qualsiasi vanto, nulla che suggerisca che i parenti dessero troppo peso alla parentela del sangue. Essi vengono semplicemente per visitarlo, senza alcuna pretesa. Il soggetto che viene posto in risalto è la madre. La venuta dei familiari offre a Gesù l’occasione per pronunciare un detto importante sui veri parenti: l’ascolto fattivo della Parola crea un legame più forte del sangue.

TORNA ALL'INDICEj)      La tempesta sedata (8, 22-25)

Il tema della fede continua ad essere centrale, ma viene affrontato non più in parabole narrate da Gesù ma in quattro racconti di guarigioni che manifestano il potere della sua Parola. In una sorta di crescendo, Gesù salva dal pericolo esterno (vv. 22-25), dal potere del diavolo, dalla malattia e dalla morte.

Alcuni tratti dell’episodio sembrano incredibili. E’ difficile pensare, ad esempio, che un uomo possa dormire mentre il mare è in tempesta e la barca sta per affondare. E’ evidente che agli evangelisti non interessava il preciso fatto storico ma il significato centrale dell’episodio: Gesù è salvezza anche in situazioni disperate.

Nella concezione biblica dominare il mare e la tempesta è prerogativa divina, comandando al vento e al mare Gesù manifesta la sua divinità.

Il rimprovero di Gesù (“dov’è la vostra fede?”) muta la direzione dell’episodio: non verso l’identità di Gesù, ma verso la fede dei discepoli: una fede ancora incerta, priva della forza necessaria per liberare dalla paura anche nelle grandi difficoltà.

La fede matura, invece, è fiducia di chi si sente al sicuro in compagnia del Signore anche se le difficoltà sono grandi ed Egli sembra dormire.

TORNA ALL'INDICEk)    L’indemoniato di Gerasa (8, 26-39)

Il racconto dell’indemoniato è collocato in territorio pagano: la presenza del regno non è chiusa entro i confini di Israele. L’indemoniato geraseno diventa il prototipo dei pagani liberati da Gesù. La lieta notizia della liberazione e la potenza del Signore non hanno confini.

L’indemoniato è descritto come un uomo alienato e asociale, il contrassegno del dominio di satana, infatti, è l’alienazione dell’uomo, la perdita di tutte quelle relazioni che costituiscono l’essere umano nel profondo. Il contrassegno del Regno è la “ricostruzione” dell’uomo.

Davanti all’uomo tornato sano di mente, la folla ha paura, scorgendo in Gesù quasi una minaccia, una presenza che disturba, perché la sua liberazione crea uomini nuovi.

Rifiutato. Gesù accetta di andarsene, senza far nulla per opporvisi. E’ sorprendente: di fronte a Satana, Gesù lotta e vince, di fronte all’opposizione dell’uomo non oppone resistenza. Si direbbe che Egli sia insieme forte e debole: forte di fronte al male, debole di fronte alla libertà dell’uomo.

Il fatto che l’ora dei pagani non sia ancora suonata spiega probabilmente il motivo per cui Gesù non vuole che l’uomo guarito lo segua.

Così Gesù si allontana, ma lascia un testimone, che per tutta la regione racconta ciò che Gesù ha fatto. Gesù parte, neppure il rifiuto riesce ad arrestare il cammino della Parola.

TORNA ALL'INDICEl)       L’emorroissa e la figlia di Giairo  (8, 40-56)

Ancora il tema della fede emerge in questi due miracoli, alla donna Gesù dice: “La tua fede ti ha salvata”, al padre della fanciulla morta dice: “Soltanto abbi fede e sarà salvata”.

Aver fede è riconoscere la propria impotenza e, al tempo stesso, riconoscere che la potenza del Signore può salvare. La fede è il rifiuto di contare su di sé per contare unicamente su Dio.

La legge ebraica dichiarava impura una donna che aveva perdita di sangue, e impuro diventava tutto ciò che essa toccava. Una donna da evitare, dunque. Col gesto di toccare la veste di Gesù, essa chiede la guarigione e Gesù gliela concede strappandola dall'anonimato in cui lei voleva rimanere. Rendendo pubblico il suo gesto, Gesù vuole che si sappia che per lui quella donna non è impura. La donna ha chiesto la guarigione, Gesù le offre anche l’accoglienza, un dono che la donna non avrebbe mai osato chiedere, perché implicava il superamento di una legge ritenuta inviolabile. Chiedendolo, sarebbe stato come invitare Gesù a fare qualcosa di illecito.

Rileggendo l’episodio della risurrezione della figlia di Giairo, ci si accorge che la parola chiave è detta da Gesù: “La bambina non è morta ma dorme”. Per il credente la morte è un sonno in attesa della risurrezione: “Bambina alzati”: egheiro, alzarsi, è il verbo della risurrezione.

Con qualche sorpresa Gesù dice ai parenti della bambina di non raccontare a nessuno l’accaduto (5,56). E’ il segreto messianico, di cui parla molto il vangelo di Marco, ma che è presente, sia pure sommessamente, anche in Luca. Gesù teme di essere frainteso. Non bastano i miracoli per comprendere chi Egli sia. Per capire gli stessi miracoli nel loro vero e profondo significato occorre aspettare la Croce.

Luca non sviluppa il tema del segreto messianico, come invece fa Marco, tuttavia di tanto in tanto lo ricorda al suo lettore (4,34.41).


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