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VANGELO DI LUCA

Ultimo Aggiornamento: 23/11/2008 16:21
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23/11/2008 16:15

i)       Gesù e Beelzebul (11, 14-28)

Il racconto si apre con un esorcismo, qui non viene ricordato alcun particolare e alla rapidità della guarigione propriamente detta segue una reazione diversificata dei presenti. E’ dalla folla, ormai divisa, che l’ostilità emerge per la prima volta. Alcuni accusano Gesù di magia, mentre altri vogliono metterlo alla prova esigendo da lui dei “segni”. Gesù replicherà immediatamente all’accusa di magia, mentre per la richiesta del segno occorrerà aspettare 11,29 (il segno di Giona).

L’originalità degli esorcismi di Gesù sta nell’espressione “dito di Dio”, che nell’A.T. ha la sua origine in Es 8,15 e indica l’intervento concreto e diretto di Dio sul mondo. La prova suprema che dimostra che Gesù non agisce in nome di Satana è che la sua predicazione si riferisce al regno di Dio. L’ultima prova viene offerta sotto forma di una parabola che dimostra la vittoria di Gesù su Satana (vv. 21-22). Quest’ultimo è “l’uomo forte” che fa la guardia alla sua casa e al suo regno, ma c’è uno “più forte” che sconfigge – con i suoi esorcismi – i suoi fanatici seguaci (i demoni).

Non tutti la pensano come i farisei. Una donna del popolo, colpita dal gesto di Gesù, è entusiasta e grida forte la propria ammirazione  (11, 27-28). E’ un’ammirazione che si esprime in modi tipicamente femminili, e nasce dalla capacità di intuire la bellezza e l’orgoglio di essere madre di un simile figlio. Gesù, però, corregge quell’entusiasmo: non è la parentela fisica che conta, ma unicamente l’adesione di fede, l’ascolto e l’osservanza della Parola.

TORNA ALL'INDICEj)      La richiesta di un segno (11, 29-36)

Abbiamo visto che qualcuno cercava dei segni (11,16), evidentemente diversi e più convincenti di quelli offerti da Gesù. Il segno di Giona, diversamente dall’interpretazione che ne dà Mt 12,40 (il segno di Giona è la risurrezione: come Giona fu liberato dopo tre giorni dal pesce, così il Cristo sarà liberato dopo tre giorni dalla morte), in Luca questo “segno” non è altro che l’appello alla conversione lanciato da Giona ai Niniviti, uno dei popoli pagani più crudeli dell’antichità, e che raggiunge in pieno il suo obiettivo quando il re, gli uomini e anche gli animali fecero penitenza digiunando e coprendosi di sacco. Anche “questa generazione” non avrà altro segno che il Figlio dell’uomo e la sua predicazione, l’unico segno, quindi, è l’invito alla conversione.

Anche la regina del mezzogiorno è venuta da lontano per ascoltare la parola di Salomone, il re famoso per la sua sapienza, invece “questa generazione” rifiuta Gesù che è più sapiente di Salomone. Per questo i Niniviti e la regina del mezzogiorno sorgeranno, nel giorno del giudizio, ad accusare “questa generazione”.

Nasce un interrogativo: come mai questa generazione rifiuta la luce?  (11, 33-36). La colpa, dice Gesù, non è della lampada, perché essa illumina e nessuno la compra per nasconderla ma perché faccia luce, in altre parole, la colpa non è di Dio e del suo messia. La colpa è dell’occhio immerso nelle tenebre, se l’ascoltatore al quale Gesù si rivolge rifiuta la luce del Vangelo, tutto il suo essere è nelle tenebre.

TORNA ALL'INDICEk)    Contro Scribi e Farisei (11, 37-54)

Questa è una delle pagine più severe di tutto il Nuovo Testamento, paragonabile in parte al cap. 23 del Vangelo di Matteo. Si tratta indubbiamente di detti pronunciati da Gesù in contesti diversi, raccolti qui la Luca e collocati nel contesto di un pranzo a casa di un fariseo.

- In primo luogo (11, 39-42) Gesù rimprovera ai farisei l’ipocrisia, che confonde il rigorismo minuzioso dell’osservanza del dato secondario ed esteriore con l’autentica fedeltà a Dio. Ci sono due forme di ipocrisia che Gesù rimprovera: l’osservanza della purezza esteriore a scapito del profondo rinnovamento interiore, e l’osservanza dei precetti marginali a scapito dell’amore di Dio. Non è questione di pulire il piatto, ma, secondo una delle traduzioni possibili, di donare ai poveri quanto vi è contenuto. Non dare, cioè ai poveri il superfluo, ma quello che c’è dentro il piatto, cioè tutto.

- In secondo luogo (11, 43-44) Gesù rimprovera ai farisei la vanità. Ed è appunto per vanità che essi, ipocritamente, curano l’esterno e trascurano l’interno: puliti fuori e sporchi dentro.

- A questo punto uno studioso della legge decide di intervenire: tu insulti anche     noi (1,45). Egli si sente coinvolto e a ragione: gli scribi erano i maestri della teologia e della spiritualità, le guide spirituali del popolo e degli stessi farisei. I rimproveri rivolti ai farisei valgono a maggior ragione per loro. Ma contro di loro si aggiungono altri rimproveri: l’incoerenza tra ciò che pretendono dagli altri e ciò che pretendono da sé: severi con gli altri e indulgenti con se stessi.

- Un altro rimprovero (11, 47-51): gli scribi innalzavano monumenti ai profeti e si ritenevano per questo diversi dai loro padri che invece li avevano uccisi. Ma è tutto ipocrisia: al tempo di Gesù, infatti, gli scribi veneravano i profeti solo perché costoro erano lontani. Se i profeti fossero stati presenti li avrebbero uccisi, prova è il fatto che uccideranno Gesù, profeta scomodo.

- Un ultimo rimprovero (11,52): la cavillosità nella speculazione teologica e      nell’interpretazione della morale. Si tratta di un difetto che porta a due sfasature: innanzitutto rende complicata l’osservanza della legge, turbando in tal modo la coscienza dei semplici (li carica di pesi insopportabili); insegna poi a mettere in pace la coscienza, salvando lo schema della legge e tradendone la sostanza.

TORNA ALL'INDICEl)       Il lievito dei Farisei (12, 1-12)

Gesù mette in guardia i discepoli dal “lievito dei farisei che è l’ipocrisia”. E’ un aggancio al brano precedente. Ma a parte l’avvertimento, il tema di fondo di queste parole rivolte al discepolo è il coraggio: bisogna avere il coraggio di parlare chiaro, di proclamare apertamente il messaggio di Gesù, di non avere mai vergogna di Lui di fronte agli uomini.

All’invito al coraggio si uniscono i motivi che devono sostenere tale coraggio: la certezza che gli uomini nulla possono fare per toglierci la “vita”; la certezza che la persecuzione è un’occasione in cui lo Spirito di Dio si fa presente con la sua luce e con la sua forza; la certezza del premio futuro.

Si noti la contrapposizione tra il discepolo che difende ora Gesù davanti al tribunale degli uomini e Gesù che, a sua volta, difenderà un giorno il suo discepolo davanti al tribunale di Dio (12, 8-9).

Circa il peccato contro lo Spirito Santo (12,10) non è detto esplicitamente di quale preciso peccato si tratti, ma è certo che si tratta di un peccato voluto, consapevole , lucido, scelto al punto da capovolgere le prove a favore di Gesù in ragioni contrarie. E’ il rifiuto della verità ad occhi aperti.

TORNA ALL'INDICEm)  La parabola del ricco stolto (12, 13-31)

Gesù rifiuta il ruolo di mediatore tra due fratelli che vogliono dividere l’eredità, perché ambedue sono vittime della stessa illusione, ed è questa la radice cattiva che deve essere strappata: “Tenetevi lontano da ogni avidità…”. Ecco la stortura di fondo che guida la vita di ambedue i fratelli e li spinge a litigare. Gesù non parla semplicemente di possesso, ma di desiderio smodato. Non è la ricerca del necessario che è sbagliata, ma l’egoistico e sciocco desiderio di possedere sempre di più, e l’illusione di trovare in questo possesso la propria sicurezza.

L’insegnamento di Gesù è già chiaro da queste parole, tuttavia egli insiste su questa argomento, illustrando la parabola del ricco “stolto”. Sembra che Gesù abbia trasformato in parabola un detto sapienziale (Sir 11, 18-19). Ma la parabola di Gesù non si limita a costatare la vanità delle cose e non intende disincantare l’uomo liberandolo dal fascino del possesso. Indica più profondamente la vera via della liberazione: “Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce per Dio”. Ma che significa in concreto arricchire “per Dio?”. Nel greco l’espressione è un moto a luogo (“verso Dio”) e indica perciò una direzione. Dunque non si tratta di arricchire a vantaggio di Dio, ma di usare i beni secondo una logica da Lui voluta.

L’evangelista si è preoccupato di rendere concreta la parabola, e per questo ha situato qui alcuni insegnamenti del Signore (12,22) allo scopo, appunto, di esemplificare il significato di quel “per Dio”. I suggerimenti sono almeno tre.

1)     Il primo è di sottrarsi alla tentazione dell’affanno, dell’ansia, come se tutto dipendesse da noi. Si tratta di una vera mancanza di fede, nella quale anche il discepolo può facilmente incorrere. Nella ricerca della “sicurezza”, il discepolo deve essere consapevole di “avere un Padre che conosce i suoi bisogni” (12,30). L’atteggiamento ansioso appartiene ai pagani, non ai discepoli.

2)     Il secondo suggerimento è di cercare anzitutto il regno di Dio (12,31). Se si pone al primo posto il Regno, resta spazio anche per le altre cose. La fiducia nel Padre apre la possibilità per una vita serena, che permette di godere dei beni che Egli ha profuso nel mondo. Una vita affannata accumula le cose, ma non le gode.

3)    Il terzo suggerimento lo si trova più avanti (12,33): “Vendete le cose che possedete e usate il ricavato per soccorrere i poveri”. Il retto uso dei beni deve fare spazio alla solidarietà. E così il “per Dio” trova la sua concretezza nel “per gli altri”.

TORNA ALL'INDICEn)    Vigilanza e fedeltà (12, 32-48)

Dopo le direttive sull’uso dei beni, la parole che Luca ha qui raccolte entrano  più direttamente sul tema della vigilanza, che non è un elenco di cose da fare, ma una tensione dello spirito, un orientamento di fondo nei confronti delle situazioni della vita.

Al “piccolo gregge” Gesù rivolge tre inviti.

1)     Il primo è quello di eliminare ogni forma di ansia e di paura. “Non aver paura”. Vigilanza sì, fortezza e impegno, ma tutto in un clima di fiducia e tranquillità. Perché ciò che è più importante è già al sicuro: il Padre vostro si è compiaciuto di darvi il regno” (12,32b).

2)     Il secondo invito è quello di non cadere nella spirale del possesso, ma condividere i propri beni con i poveri: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina” (12,33). E’ questa la vera ricchezza che non viene meno, a differenza di quel possedere sempre di più di cui parlava la parabola del ricco stolto.

3)     Infine un terzo invito, il più importante: orientare il proprio cuore verso il giusto tesoro (12,34). Che voglia o no l’uomo ha bisogno di un tesoro per il quale orientare tutte le scelte: l’importante è che questo tesoro sia al posto giusto, tale da non deludere. Un simile tesoro non può essere che Dio stesso “dove i ladri non arrivano e la ruggine non consuma”.

Il passo evangelico sulla vigilanza prosegue (12, 35-40) con alcuni esempi:

a)     la cintura ai fianchi, ricorda l’uso dei lavoratori che sollevavano e ripiegavano le lunghe vesti orientali sotto la cintura per avere più scioltezza nei movimenti e per camminare meglio. Ma i “fianchi cinti” ricordano anche la cena pasquale: “Lo mangerete con i fianchi cinti, i calzari ai piedi…” (Es 12,11). L’immagine indica l’atteggiamento pellegrinante e vigile del popolo di Dio, la sobrietà (1 Pt 1,13) e la libertà nei confronti di quelle realtà che ingombrano lo spirito e rendono sedentari, a scapito della speranza. Essa non è solo attesa dell’aldilà, ma anche capacità di trasformare le cose di quaggiù: la speranza è essere in cammino.

b)    Il ladro che viene all’improvviso. Luca non ha qui di mira il problema della morte, il fatto, cioè, che la vita di ciascuno può fermarsi all’improvviso, e quindi bisogna essere sempre pronti. L’evangelista sta pensando, invece, alla presenza del regno nella storia, alle occasioni di salvezza che il Signore offre ogni giorno. Soltanto chi è vigile è nella possibilità di scorgerle e valutarle, i distratti, i superficiali, invece, giudicano irrilevanti queste occasioni.

a)     L’amministratore fedele (12, 41-48). Il tema della vigilanza viene arricchito di un nuovo atteggiamento: la fedeltà nell’amministrazione dei beni del padrone, il senso di responsabilità, qualità richieste in proporzione della conoscenza che ciascuno ha del padrone: più grande è la conoscenza, più grande deve essere la responsabilità. La fedeltà e la responsabilità sono soprattutto richieste ai credenti.

b)    Il fuoco, la pioggia e il vento (12, 49-59). In questo passo sono visibili diversi tratti tipici dell’apocalittica: il fuoco della terra, la divisione all’interno delle famiglie, il discernimento dei segni dei tempi. Ma ancora una volta Luca non pensa alla crisi finale, ma all’oggi della storia. Il “d’ora innanzi” di 12,52 non lascia dubbi. Il fuoco simboleggia la divisione fra gli uomini, la lotta che il cristiano e la chiesa devono sostenere. La venuta di Gesù e il suo messaggio si scontrano contro tutto ciò che è nemico di Dio e obbliga gli uomini a pronunciarsi pro o contro. La lotta è tanto radicale che penetra nelle stesse famiglie. Il vangelo non può essere soggetto a compromessi. Non è neutrale. Gesù conclude, con un po’ di ironia,  rimproverando le folle ponendo una domanda: come mai sapete interpretare i segni atmosferici e non sapere interpretare “questo tempo”, cioè  le realtà profonde e decisive della storia e della vita? Si tratta di questo tempo presente, non un lontano futuro. E non si tratta di un tempo speciale accanto a quello ordinario, né una storia speciale accanto a quella ordinaria, ma la qualità che ha assunto il tempo che scorre (il krònos) con la venuta di Gesù. Infatti con la sua continua presenza (il kairòs ) nella vita e nella storia dell’uomo, anche il tempo ordinario diventa “straordinario”. Questa è la mancanza di discernimento delle folle. 

TORNA ALL'INDICEo)    Il fico sterile (13, 1-9)

L’ultima esortazione di questa sezione è un appello alla penitenza e un richiamo alle conseguenze della mancanza di pentimento.

Mentre Gesù stava parlando, qualcuno lo mise al corrente di una notizia sconvolgente: un gruppo di giudei, probabilmente rivoluzionari zeloti, sono stati massacrati da Pilato mentre stavano compiendo il sacrificio. Nel ricordo di tutti è ancora viva un’altra disgrazia: diciotto operai che lavoravano per il tempio furono seppelliti sotto il crollo di una torre. La gente ragionava così: se Dio li ha castigati, vuol dire che essi erano peccatori. Ma questo non è il modo di interpretare gli eventi. Quegli uomini, afferma Gesù, non erano peggiori degli altri, tutti sono peccatori e devono convertirsi prima che nella loro vita sopraggiunga il giudizio di Dio. E la parabola del fico sterile ha lo scopo di precisare la minaccia del giudizio imminente e il conseguente appello al cambiamento. Il tempo che si prolunga è un segno di misericordia, non assenza di giudizio. Il tempo si prolunga per permetterci di approfittarne, non per giustificare il rimando o l’indifferenza. Il tempo è decisivo, non perché breve, ma perché carico di occasioni decisive, qualunque sia la sua durata. Questa parabola è raccontata per noi, oggi.

TORNA ALL'INDICEp)    Guarigione di un’inferma e parabole del regno (13, 10-30)

Questo miracolo ha molti tratti in comune con la guarigione dell’uomo che aveva la mano paralizzata, già letto nel contesto delle controversie galilaiche (6, 6-11). È un giorno di sabato, Gesù sta insegnando nella sinagoga e guarisce di sua iniziativa la persona ammalata. Lo sdegno del capo della sinagoga è per Gesù ipocrisia profonda, perché si svuota alla radice proprio ciò che si dice di voler celebrare. L’osservanza del sabato non è forse la memoria della liberazione di Israele dalla schiavitù del Faraone? E allora perché si ritiene che liberare una persona da una situazione di schiavitù sia, al contrario, una violazione del sabato? Compiere un gesto di liberazione è la vera celebrazione del sabato, non la sua violazione!

Strettamente collegate a quanto precede, Luca introduce qui due parabole: il granello di senapa e il lievito, entrambe hanno come tema, il regno di Dio.

Luca legge la parabola quando la chiesa è già in espansione e osserva, meravigliato, gli umili inizi del grande albero: chi avrebbe potuto prevederlo?

Quando, invece, Gesù raccontava la parabola c’era soltanto il piccolo seme e il pizzico di lievito: due cose tanto piccole ma con grande potenzialità: la forza del Regno di Dio. Quella di Gesù era dunque una lezione di fiducia, di coraggio, e di speranza.

Ma le parabole sono anche un invito all’impegno, un ultimo richiamo all’importanza della situazione presente: è importante questa occasione, questo incontro. L’umiltà della situazione non deve divenire motivo di trascuratezza e di rifiuto. Non si tratta di rifiutare cose banali (come, appunto, la piccolezza esteriore potrebbe suggerire), ma di rifiutare occasioni dalle conseguenze incalcolabili.

Al tempo di Gesù, nelle scuole di teologia, si svolgeva un dibattito su chi si sarebbe salvato: alcuni rabbini sostenevano che tutto Israele si sarebbe salvato, e ciò in forza della fedeltà di Dio, che non può abbandonare il suo popolo. Altri più rigorosi sostenevano che solo pochi si sarebbero salvati. Ma Gesù, interrogato sull’argomento, non risponde e non si interessa a questo dialogo teologico. A lui non interessa il numero, ma togliere la falsa sicurezza derivante da un’errata concezione dell’appartenenza al Signore. La salvezza non è un fatto scontato per nessuno. L’imperativo che usa: “sforzatevi” e l’immagine che l’accompagna: “la porta stretta”, stanno a significare che non c’è tempo da perdere e che non bisogna arrivare in ritardo. Il padrone di casa, una volta chiusa la porta e iniziata la festa, non apre più a nessuno, nemmeno agli amici e non serve dire: “hai mangiato con noi…”. Dunque nessuna sicurezza ma vigilanza, fiducia e anche un po’ di serenità perché ci riconosciamo indegni di meritare un così grande dono: la salvezza.

Il popolo di Dio può rimanere tagliato fuori dal banchetto messianico (13,28). Non è sufficiente la parentela con il Signore, non basta l’appartenenza alla stirpe di Abramo. Gesù descrive il Regno alla maniera giudaica, secondo l’immagine del festino messianico (Is 25,6, Lc 14,5.16-24; 22,16.18-30) in cui gli eletti sono radunati accanto ai patriarchi. Ma ciò che dà diritto a stare con i patriarchi non è la comunanza del sangue, ma la fede. E’ facile scorgere dietro tutto questo la constatazione dei primi cristiani che videro passare il regno dagli Ebrei ai pagani.

L’avvertimento di Gesù termina con una frase che nel vangelo ricorre altre volte, quasi fosse un riassunto di molti insegnamenti: “Alcuni degli ultimi saranno i primi…”. Questo detto afferma con forza e chiarezza che l’annuncio del vangelo porta con sé il sovvertimento dei vecchi criteri di valutazione. Molti di quelli che si credevano sicuramente ammessi al banchetto, si vedranno esclusi; altri (come ad esempio i pagani) verranno dall’oriente e dall’occidente e saranno ammessi. I criteri di Dio sono diversi da quelli dell’uomo, non bisogna giudicare la situazione degli altri, ma ognuno deve rispondere di sé stesso a Dio.


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