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VANGELO DI LUCA

Ultimo Aggiornamento: 23/11/2008 16:21
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23/11/2008 16:17

SEZIONE COMUNE CON MARCO (18,15-19,28)

a)    Gesù e i bambini (18, 15-17)

Nel mondo antico in generale, e anche in Palestina, il bambino era un essere debole e senza diritti, non aveva peso nella società, al punto che Gesù lo prenderà come “tipo” dell’emarginato, come la personificazione di colui che non conta. Il bambino può solo “ricevere” ed essere “accolto”, come qualsiasi povero, straniero, peccatore o donna. In netta antitesi con questa mentalità Gesù afferma che il regno “appartiene a quelli come loro”. Il bambino non è qui come rappresentante di una virtù (innocenza, purezza, semplicità), ma di una condizione di “emarginazione”.

C’è un secondo aspetto da mettere in luce. Gesù non si oppone soltanto alla mentalità del suo tempo, ma anche alla mentalità dei suoi discepoli. Questi li “rimproveravano”, mentre Gesù dice. “Non glielo impedite”. Gesù si ferma ed accoglie i bambini: perde tempo con loro. La serietà dl suo cammino verso Gerusalemme non lo distrae dai piccoli e dai poveri. Egli non ha cose più importanti da fare. La reazione dei discepoli tradisce, ancora una volta, una profonda incomprensione della natura del regno e della missione del loro maestro.

Ma cosa significa “accogliere il Regno come un bambino”? Luca non si cura di spiegarcelo, forse, a differenza degli adulti che si pongono mille problemi, il bambino si abbandona fiducioso, quasi per istinto, senza troppi perché. Entra nel regno chi è disponibile e fiducioso, senza calcoli, appunto, come un bambino.

TORNA ALL'INDICEb)    Il notabile ricco (18, 18-30)

Il racconto del ricco che interroga Gesù è sostanzialmente un dialogo: dapprima Gesù risponde al ricco che lo interroga (18,19), poi il suo discorso si allarga a tutti gli ascoltatori (18,26). Infine la sua parola è rivolta al discepolo. L’insegnamento riguarda tutti, ma in particolare Gesù pensa ai suoi discepoli.

In questione è il distacco per la sequela e dunque, ancora una volta, si tratta di una riflessione sulla ricchezza. Nel racconto si assiste però a un capovolgimento, che segnala una delle cose più importanti che il discepolo è chiamato a comprendere. Non un distacco ma un guadagno, non un lasciare ma un trovare.

La domanda sulle condizioni per ereditare la vita eterna non è certo nuova. Gli alunni la ponevano ai loro maestri: era un punto di discussione e di confronto tra opinioni teologiche diverse. Se il ricco si attendeva da Gesù un’opinione nuova, è rimasto certamente deluso, perché Gesù lo rinvia, infatti, ai comandamenti che già conosce. Può sorprendere il fatto che vengano elencati solo i comandamenti che riguardano il prossimo. E il primato di Dio? In realtà questo primato è già stato affermato con l’espressione iniziale di Gesù: “Nessuno è buono tranne Dio”.

Il ricco si dichiara giusto e osservante (18,21), ma la sequela richiede qualcosa di più: “Ancora una cosa ti manca” (18,22). Gesù invita alla sequela un uomo giusto, anche il giusto, infatti, ha un distacco da fare. Luca ne sottolinea, come è sua abitudine, la radicalità: “Vendi tutto quello che hai”, e poi precisa: “Distribuiscilo ai poveri”. Si lascia tutto per condividerlo, il discepolo non è chiamato alla povertà ma alla fraternità. E’ probabile che Luca, introducendo il verbo “diadidonai” (distribuire), pensi ai tratti di vita comunitaria da lui descritti negli Atti degli Apostoli (2, 44-45; 4, 34-35).

Di fronte all’invito di Gesù, il notabile se ne va “triste”. La molta ricchezza gli impedisce di cercare ciò che gli manca. Anche questo è un pericolo della ricchezza: non lascia spazio ti tempo e di libertà per la sequela. Di certo anche se ricchi si può essere giusti, più difficilmente però si può essere discepoli.

Il discorso di Gesù ora si allarga e riguarda tutti, ascoltatori e discepoli: “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno di Dio”. La frase è paradossale e su di essa sono state scritte molte pagine (cfr. il commento al Vangelo di Marco). Che le parole siano dure, lo si deduce dalla sbigottita domanda degli ascoltatori: “Ma allora chi si può salvare?”. L’uomo no ma Dio può salvare, è questione di fede: ciò che non può essere raggiunto con le proprie forze, può essere raggiunto come un dono. Bisogna cambiare il modo di pensare la via della salvezza.

L’affermazione di Pietro (“Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”) permette a Gesù di sottolineare un ultimo capovolgimento: il distacco per la sequela non è una perdita, ma un guadagno. Non un guadagno semplicemente nell’altra vita, ma già ora, in questa vita.

TORNA ALL'INDICEc)     Il terzo annuncio della passione (18, 31-34)

E’ l’ultimo e il più particolareggiato. Gesù ricorda che sta salendo a Gerusalemme. Per Luca questo è importante. Sono qui enumerati tutti i quadri della passione, dai quali emerge molto nitida, la figura del Servo sofferente di cui parla Isaia 50, 6-7.

La passione di Gesù è “scritta”, non è dunque una cieca fatalità ma un disegno e Gesù l’affronta con consapevolezza, obbedienza e dono. Ma tutte le volte che ne parla, incontra l’incomprensione dei discepoli.

TORNA ALL'INDICEd)    Il cieco di Gerico (18, 35-43)

Sul punto di affrontare il momento decisivo della sua missione, Gesù non esita a fermarsi sulla strada per guarire un mendicante cieco. Non dimentica di servire i bisognosi, non ha mai cose più importanti da fare. Sorprendente è la trasformazione del cieco: era seduto e cieco e Gesù lo trasforma in un discepolo che segue e ci vede. Seguire e vedere sono due caratteristiche del discepolo.

Il primo miracolo di Gesù è stato la liberazione di un indemoniato (4,31ss.), l’ultimo, la guarigione di un cieco. Sono due gesti scelti con intenzione che illustrano la vittoria di Gesù sulle due forze ostili, che ostacolano la presenza di Dio nella storia degli uomini: il maligno e l’incredulità.

TORNA ALL'INDICEe)     Zaccheo (19, 1-10)

Zaccheo[37] è la figura del peccatore convertito, la cui conversione testimonia che “ciò che è impossibile per gli uomini, è possibile per Dio” (18,27). Anche il ricco può diventare un testimone del Regno. Zaccheo è anche la figura della potenza di Dio che sa trasformare un uomo facendogli cambiare vita: “ Zaccheo, oggi devo fermarmi a casa tua”. Si noti la delicatezza delle parole di Gesù, che non dice: scendi perché voglio convertirti, ma: voglio essere tuo ospite. Gesù sembra farsi bisognoso per avere poi la possibilità di perdonare. Gesù accoglie Zaccheo prima della conversione. Non è la conversione che determina la simpatia di Gesù, ma è la l’amore di Gesù verso i peccatori che suscita la conversione. L’incontro con Dio è sempre, e allo stesso tempo, un dono e il compimento di una ricerca. L’incontro con Gesù cambia la vita.

Il pubblicano Zaccheo è la figura del discepolo cristiano che non lascia tutto, come altri, ma rimane nella propria casa, continuando il proprio lavoro, testimone però di un nuovo modo di vivere: non più il guadagno al di sopra di tutto, ma la giustizia (“restituisco quattro volte tanto”) e la condivisione (“dò la metà dei miei beni ai poveri”). C’è il discepolo che lascia tutto per farsi annunciatore itinerante del Regno e c’è il discepolo che vive la medesima radicalità restando nel mondo a cui appartiene.

Il racconto di Zaccheo riunisce i motivi che costituiscono le strutture della conversione.

1)     La prima è la “fretta”: l’occasione è vicina e bisogna afferrarla subito, non c’è tempo da perdere: “Zaccheo scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua; in fretta scese e lo accolse pieno di gioia”.

2)     Poi la disponibilità, cioè la ricerca, il desiderio: Zaccheo cerca di vedere, ma non gli riesce a causa della folla. Gesù approfitta di questa disponibilità di Zaccheo per inserirsi nella sua vita e cambiarla.

3)     In terzo luogo, la “rinuncia”, cioè il distacco dalle proprie ricchezze per distribuirle ai poveri.

4)     Infine la “gioia”[38]. Incontrare Gesù e accogliere la sua proposta è come trovare la perla per la quale vale la pena di vendere tutto, gioiosamente, convinti non di perdere ma di aver trovato.

Infine Luca non si dimentica di ricordarci che anche questo gesto di misericordia ha suscitato scandalo: “Tutti mormoravano”. Come se il Regno fosse solo per i giusti! E invece è il contrario.

TORNA ALL'INDICEf)      Parabola delle mine (19, 11-28)

La parabola di Luca delle mine[39] è simile a quella di Matteo dei talenti (25, 14-30).

Luca costruisce la sua parabola sullo sfondo di un fatto storico[40], che al tempo di Gesù era ancora vivo nella memoria della gente.

Ma questo è soltanto lo sfondo della parabola. Il suo significato, invece, è da ricercarsi nella storia dei beni lasciati in custodia: bisogna fruttificare i beni che Dio ha consegnato a ciascuno di noi, perché dobbiamo rendere conto.

Non si tratta semplicemente di conservare, di non perdere, ma di far fruttificare. Occorre vivere in attesa di un padrone esigente, che vuole raccogliere “dove non ha seminato”, cioè vuole dall’uomo intraprendenza e coraggio. L’uomo non è un semplice custode dei beni di Dio: ha il compito di commerciare per moltiplicarli.



TORNA ALL'INDICEVI.           IL MINISTERO A GERUSALEMME (19,29-21,38)


In questa sezione Gesù è visto nell’atto di prendere possesso di Gerusalemme, specialmente del tempio, e di purificarlo perché possa diventare un luogo consono al suo ministero. Luca sviluppa qui gradatamente la nozione teologica che la città e il tempio materiali non sono più i luoghi sacri della presenza di Dio: Gesù ha assunto in se stesso quella prerogativa e quell’onore.


TORNA ALL'INDICEA.  EPISODI ALL'INGRESSO DI GESU’ (19, 29-48)


Questi includono il suo ingresso messianico, il suo pianto su Gerusalemme e la purificazione del tempio.

TORNA ALL'INDICEa)    L’ingresso messianico (19, 29-40)

E’ il primo momento di trionfo di Gesù, ma è un trionfo che unisce insieme tratti di grandezza e tratti di umiltà. E’ la solita tensione che pervade tutta la vicenda del Messia.

Questa entrata di Gesù a Gerusalemme è certamente una scena regale, che ha come sfondo Zaccaria 9,9: “Esulta, figlia di Sion… ecco viene a te il tuo re… cavalca un asino[41]”. E’ una profezia regale, ma si parla di un re umile e il primo atto di questo re è il pianto su Gerusalemme: è un re che visita il suo popolo e il suo popolo lo rifiuta.

TORNA ALL'INDICEb)    Il pianto su Gerusalemme (19, 41-44)

Improvvisamente il canto regale di giubilo è interrotto dal pianto di Gesù; a Luca sono cari i forti contrasti: fariseo e pubblicano; il ricco e Lazzaro; beati e guai.

Gesù è impotente di fronte a coloro che lo rifiutano. Il suo pianto (il verbo greco “klaio” dice un pianto vero, che si vede e si sente ed è fatto di lacrime) esprime impotenza, sconfitta e delusione, ma anche amore e preoccupazione. Egli sa che verrà il castigo che gli darà ragione, ma come tutti i veri profeti, preferirebbe che non si avverasse. Non è motivo di gioia che venga punita la città che lo rifiuta, egli prova solo dolore, e piange.

Rifiutare Gesù è rifiutare la “visita” di Dio, la grande occasione che occorre afferrare. Questa occasione è indicata come “la via della pace”, ed è tutto il contrario di quello che poi accadrà. Rifiutare Gesù è rifiutare la pace (termine biblico che indica tutto ciò che l’uomo ha bisogno). Non è spiegato esplicitamente perché la città lo rifiuta, ma Gesù lo ha già detto in più occasioni: la città aspettava una visita trionfale, invece il Signore è arrivato umilmente.

TORNA ALL'INDICEc)     Purificazione del Tempio (19, 45-48)

L’episodio della cacciata dei venditori del tempio è riportato da tutti e quattro i vangeli. Sul significato storico di questo episodio le opinioni sono differenti. La più diffusa è che Gesù non abbia voluto colpire il tempio in sé, ma piuttosto il modo con cui gli uomini nel tempio trattavano Dio. Letto così, il gesto polemico di Gesù non andrebbe oltre la tradizione dei profeti, i quali hanno sempre criticato il culto al tempio ogni volta che, con la scusa di onorare Dio, diveniva un mercato vantaggioso per gli uomini. Le due citazioni di Gesù: Isaia 56,7 (“La mia casa sarà casa di preghiera”) e Geremia 7,11 (“Ne avete fatto una spelonca di ladri”) sembrano andare in questa direzione.

La riflessione neotestamentaria – che raggiunge il suo vertice in Giovani – tende sempre più a scorgere nell’episodio un significato più radicale: non la purificazione del tempio, ma la sua abolizione. Alla base c’è una convinzione, che si è fatta strada molto presto nella fede dei primi cristiani: il vero spazio della presenza di Dio fra gli uomini non è più il tempio, ma il Signore Gesù.

Che si tratti di un episodio che va oltre un semplice gesto di purificazione è suggerito anche da un’altra annotazione. I venditori di animali e i cambiavalute non costituivano una presenza illegale, al contrario, la loro presenza era necessaria per il normale svolgimento del culto: i numerosi pellegrini che giungevano da ogni parte dovevano comprare animali per offrire i sacrifici prescritti e per le offerte in denaro era necessario che le monete straniere (ritenute impure) venissero cambiate in monete ebraiche. Il gesto di Gesù sembra dunque impedire il normale svolgimento delle funzioni, ma  questo gesto, ha invece un altro significato: l’economia della salvezza rappresentata dal Tempio è ormai decaduta.

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