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Primo (1245) e Secondo (1274) Concilio di Lione

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2008 14:01
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24/11/2008 14:00

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Onde impedire, per quanto è possibile, inganni nelle elezioni, postulazioni e provviste ecclesiastiche, e perché le chiese non restino con pericolo a lungo vacanti o non venga differita la provvista dei personali, delle dignità e di altri benefici ecclesiastici, con decreto perpetuo decidiamo che se talora qualcuno si oppone ad una elezione, ad una postulazione o ad una provvista, sollevando difficoltà contro la forma, o contro la persona degli elettori o dell'eletto o di colui cui spettava la provvista, e perciò si interponga appello, gli appellanti, nel pubblico documento, o nelle lettere d'appello, espongano singolarmente ogni cosa che intendono obiettare contro la forma o le persone. Lo facciano dinanzi a persone qualificate, o a persona che in ciò renda davvero testimonianza alla verità, giurando personalmente di credere che quanto essi espongono in questo modo è vero e che possono provarlo. In caso diverso, tanto gli opponenti, quanto quelli che - messi in mezzo durante o dopo l'appello - aderiscono alla loro parte, sappiano che sarà loro proibito obiettare qualunque cosa che non sia contenuta in queste lettere o documenti, a meno che in seguito sia emerso qualche nuovo elemento o che sia sopravvenuta, quanto agli antichi fatti, la possibilità di provarli, o che ex novo siano venuti a conoscenza degli opponenti elementi passati che al tempo della presentazione dell'appello gli appellanti verosimilmente potevano ignorare e di fatto ignoravano.

Di questa loro ignoranza e della nuova facoltà di prova facciano fede col giuramento, da farsi di persona; ed in esso aggiungano espressamente che credono di poter sufficiente- mente provare quanto affermano.

Vogliamo, poi, che le disposizioni del papa Innocenzo IV (15) di felice memoria, contro coloro che non riescono a provare del tutto quanto hanno opposto contro la forma o la persona, conservino tutto il loro vigore.

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La cieca avarizia e una malvagia, disonesta ambizione, invaso l'animo di alcuni, li spinge a tanta temerità, da cercare di usurpare con inganni raffinati quello che sanno essere loro proibito dal diritto. Alcuni, infatti, eletti al governo delle chiese, poiché per la proibizione del diritto non possono, prima della conferma della loro elezione, ingerirsi nell'amministrazione delle chiese che soli chiamati a governare, fanno in modo che questa venga loro affidata in qualità di procuratori o economi.

Ma poiché non è bene favorire i sotterfugi degli uomini, noi, nell'intenzione di provvedere più opportunamente, con questa costituzione generale stabiliamo che nessuno, in futuro, si azzardi a tenere o a ricevere l'amministrazione della dignità a cui fosse stato eletto, o ad immischiarsi in essa, prima che la sua elezione sia confermata, col nome di economato o di procura, con qualche altro nuovo colore, nelle cose spirituali o temporali. direttamente o per mezzo di altri, in parte o in tutto; e stabiliamo che quelli che si regolano diversamente siano senz'altro privati del diritto che avessero acquistato con l'elezione.

5

Quanto sia dannosa alle chiese la loro vacanza, e quanto, di solito, sia pericolosa alle anime, non solo l'attestano le disposizioni del diritto, ma lo manifesta anche l'esperienza, efficace maestra delle cose.

Volendo dunque provvedere con i dovuti rimedi al protrarsi delle vacanze, con questo decreto stabiliamo per sempre che, quando in qualche chiesa è stata fatta una elezione, gli elettori, appena lo possono senza loro incomodo, sono tenuti a presentare l'elezione stessa all'eletto e a chiederne il con- senso; l'eletto, invece, a darlo entro un mese dal giorno di questa presentazione. Se poi l'eletto differisse il suo consenso, sappia che da allora sarà ipso facto privo del diritto che può avere acquistato con la sua elezione, a meno che la persona eletta sia di tale condizione che non possa acconsentire alla sua elezione senza il permesso del suo superiore, per qualche proibizione o per una disposizione qualsiasi della sede apostolica. In questo caso, l'eletto stesso o i suoi elettori, cerchino di chiedere e di ottenere la licenza dal superiore, con quella sollecitudine che la presenza o l'assenza dello stesso superiore permettono. Altrimenti, se, passato il tempo, da determinarsi, come si è detto, a seconda della presenza o dell'assenza del superiore, essi non avranno ottenuto questa licenza, da quel momento gli elettori abbiano libera facoltà di procedere ad altra elezione.

Del resto, qualsiasi eletto entro i tre mesi dall'espressione del suo consenso alla sua elezione, non manchi di chiedere la conferma della sua elezione. Se poi senza giusto impedimento egli trascurerà di fare ciò nei termini di questo trimestre, l'elezione sia senz'altro priva di ogni valore.

6

Con valore di sanzione perpetua dichiariamo che coloro che in un'elezione votano consapevolmente un indegno, a meno che non abbiano talmente insistito da far dipendere dai loro voti l'elezione non siano privati del potere di eleggere, quantunque votando un indegno, agiscano apertamente contro la loro coscienza e debbano temere la divina vendetta e l'intervento della sanzione apostolica, che la qualità del fatto potrà suggerire.

7

Stabiliamo che non è lecito a nessuno, dopo aver votato qualcuno, o dopo aver acconsentito all'elezione che altri hanno fatto, opporsi all'elezione, se non per motivi che siano emersi soltanto dopo, o a meno che l'indegnità dei suoi costumi, prima a lui sconosciuta, ora gli si manifesti, o che venga a conoscere l'esistenza di qualche altro vizio o difetto nascosto, che con tutta probabilità poteva ignorare. Egli, però, deve far fede di questa sua ignoranza con giuramento.

8

Se dopo due scrutini, una parte degli elettori supera gli altri del doppio, col presente decreto noi intendiamo privare sia la minoranza che colui che essa ha votato di qualsiasi

facoltà di opporre alcunché contro la maggioranza asserendo una carenza di zelo, di merito, o di autorità.

Se poi si intendesse opporre qualche cosa che potrebbe rendere ipso iure nulla l'elezione di colui, contro cui si fa opposizione, non intendiamo che ciò sia proibito.

9

Quantunque la costituzione di papa Alessandro IV (16) di felice memoria, nostro predecessore, considerando giustamente le cause dei vescovi - o quelle sorte sulla loro elezione - tra le cause maggiori, affermi che la loro trattazione, in seguito a qualsiasi appello, deve essere demandata all'esame della sede apostolica, tuttavia, volendo frenare l'audacia temeraria di quelli che si appellano e la enorme frequenza degli appelli, con questo decreto generale abbiamo creduto bene disporre come segue. Se nelle elezioni all'episcopato o in quelle che riguardano le dignità superiori dovesse avvenire che uno, extragiudizialmente, si appelli per un motivo evidentemente frivolo, la causa non venga devoluta alla sede apostolica. Se però in queste cause di elezione l'appello - giudizialmente e extragiudizialmente - viene fatto per un motivo che, se venisse provato, dovrebbe esser ritenuto legittimo, allora queste cause vengano deferite alla stessa sede (apostolica). D'altra parte, in questi casi, dovrebbe sempre esser lecito alle parti, esclusa naturalmente ogni malizia, recedere da questi appelli, prima che vengano sottoposti alla Sede apostolica.

I giudici inferiori che erano competenti per le stesse cause, cessando l'appello, cerchino prima di tutto di appurare con diligenza se in ciò vi sia stata malizia; e se troveranno che vi è stata, non si intromettano in nessun modo in queste cause, ma stabiliscano alle parti un equo termine perentorio, entro il quale si presentino con tutti i loro atti e documenti al cospetto della sede apostolica.

10

Se si oppone all'eletto, a chi è stato designato, o a chi in qualsiasi modo dev'essere promosso ad una dignità, la mancanza evidente di scienza, o qualche altro difetto della persona stabiliamo che nella discussione dell'accusa debba esser seguito rigorosamente quest'ordine: chi deve essere promosso venga esaminato prima di tutto sul difetto stesso, il cui esito darà inizio all'esame degli altri o lo precluderà.

Se però questo esame dovesse dimostrare che le accuse sono destituite di fondamento, escludiamo senz'altro gli oppositori dal proseguimento della causa e stabiliamo che vengano puniti come se non fossero riusciti a provare nessuna delle accuse avanzate.

11

Chi osasse molestare i chierici o qualsiasi altra per- sona ecclesiastica, cui in certe chiese, monasteri o altri luoghi pii spetta l'elezione, perché non hanno voluto eleggere colui per cui erano stati pregati o forzati; oppure osasse molestare i loro parenti o le stesse chiese, monasteri o altri luoghi, spogliandoli, direttamente o per mezzo di altri, dei benefici o di altri beni, o comunque perseguitandoli senza motivo, sia ipso facto colpito dalla sentenza di scomunica.

12

Stabiliamo che chi tentasse di usurpare le regalie, la custodia o guardia, il titolo di avvocato o di difensore nelle chiese, nei monasteri o in qualsiasi altro luogo pio, e presumesse di occupare i beni delle chiese, dei monasteri e degli stessi luoghi (pii), qualsiasi dignità ed onore possa rivestire, - e cosi pure i chierici delle chiese, i monaci dei monasteri, e le altre persone addette a questi stessi luoghi, che procurassero che si facciano tali cose vanno incontro senz'altro alla sentenza di scomunica. A quei chierici, inoltre, che non si oppongono, come dovrebbero, a chi agisce cosi proibiamo severamente, per tutto il tempo che hanno per- messo, senza impedirlo, quanto abbiamo accennato, di percepire qualsiasi provento delle chiese o degli stessi luoghi pii.

Chi rivendica a sé questi diritti per la fondazione delle stesse chiese e degli altri luoghi pii o per antica consuetudine, si guardi dall'abusarne - e faccia si che non ne abusino neppure i suoi dipendenti - non usurpando ciò che non riguarda i frutti o redditi del tempo della vacanza; e non permetta che gli altri beni, di cui ha la custodia, vadano in rovina, ma li conservi in buono stato.

13

Il canone emanato da papa Alessandro III (17) di felice memoria, nostro predecessore, stabilisce, fra l'altro, che nessuno assuma la responsabilità di una chiesa parrocchiale se non abbia raggiunto il venticinquesimo anno di età, e se non sia ragguardevole per scienza e onestà di costumi. Chi, una volta assunto a questo ufficio, non sarà stato ordinato sacerdote nel tempo stabilito dai sacri canoni, sarà rimosso dall'ufficio che sarà dato ad altri. Poiché molti sono negligenti nell'osservare questa norma, intendiamo che la loro negligenza sia sostituita con l'osservanza del diritto e perciò stabiliamo col presente decreto, che nessuno riceva il governo di una parrocchia, se non sia adatto per scienza, costumi, età; e che i conferimenti di chiese parrocchiali a chi non avesse compiuto i venticinque anni di età siano privi di qualsiasi valore.

Chi sarà assunto a questo ufficio, perché curi il suo gregge con maggior diligenza, sia obbligato a risiedere personalmente nella chiesa parrocchiale, di cui è divenuto rettore; ed entro un anno da quando gli è stato affidata la parrocchia procuri di esser promosso al sacerdozio. Se entro questo tempo non sarà promosso sacerdote, anche senza previo ammonimento, in forza della presente costituzione rimane rivo della chiesa che gli è stata affidata.

Quanto alla residenza obbligatoria di cui abbiamo parlato, l'ordinario potrà concedere per un certo tempo una dispensa se un motivo ragionevole lo richieda.

14

Nessuno affidi una chiesa parrocchiale a chi non abbia l'età legittima e non sia sacerdote. E se anche il soggetto sia in queste condizioni, non gli se ne affidi se non una, a meno che un'evidente necessità o l'utilità della chiesa stessa lo esiga. Questa commenda, in ogni caso non deve durare più di un semestre; qualsiasi cosa, riguardante le commende delle chiese parrocchiali, venga regolata in modo diverso, sia ipso iure invalida.

15

Il tempo delle ordinazioni e la qualità degli ordinando.

Chi senza licenza del superiore degli ordinando, scientemente, o con ignoranza affettata, o con qualsiasi altro pretesto osasse ordinare chierici di un'altra diocesi, per un anno sia sospeso dal conferimento degli ordini, fermo restando quanto le norme del diritto stabiliscono contro quelli che vengono ordinati in tal modo.

I chierici dei vescovi cosi sospesi hanno facoltà di ricevere intanto - anche senza la loro licenza - gli ordini dagli altri vescovi vicini.

16

Di coloro che hanno sposato due volte.

Mettendo fine ad un'antica questione, dichiariamo pubblicamente che quelli che si sono risposati restano privi di qualsiasi privilegio proprio dei chierici, e soggetti alle norme repressive del foro secolare, nonostante qualsiasi contraria consuetudine. A questi proibiamo, inoltre, sotto pena di scomunica, di portare la tonsura o l'abito clericale.

17

L'ufficio del giudice ordinario.

Se i canonici volessero cessare dalla celebrazione dei divini uffici, come essi per consuetudine o per altri motivi rivendicano, prima di questa cessazione, espongano in un pubblico documento le ragioni per cui cessano, e lo mandino a colui contro il quale intendono cessare. Se essi cessassero senza questa formalità, o la causa da essi espressa non fosse legittima, saranno obbligati a restituire tutto quello che hanno percepito da quella chiesa per tutto il tempo della cessazione. Le rendite loro dovute per quel tempo essi non le percepiranno in nessun modo, ma dovranno darle alla stessa chiesa, e, ciò nonostante, riparare anche i danni e le perdite di colui, contro il quale hanno cessato.

Se la causa sarà trovata legittima, chi ha dato occasione alla cessazione, sia condannato, a giudizio del superiore, a pagare ogni interesse ai canonici e alla chiesa, cui per sua colpa è stato sottratto il servizio, secondo una data tassa, e a destinarla ad aumento del culto divino.

Riproviamo poi assolutamente l'odioso abuso e la mancanza di ogni devozione di chi, trattando con irriverente audacia le immagini o le statue della Croce, della beata Vergine e degli altri Santi, per rendere più evidente questa loro cessazione le gettano per terra, le mettono tra le spine e le ortiche, e proibiamo assolutamente che in seguito si faccia qualche cosa di simile; stabiliamo che contro chi agisse diversamente sia por-tata una severa sentenza, che punisca talmente quelli che mancano, da scoraggiare gli altri.

18

I vescovi costringano severamente chi ha più dignità o chiese con annessa cura d'anime a presentare entro un tempo determinato le dispense in forza delle quali essi asseriscono di tenere canonicamente queste chiese o dignità.

Se non sarà stata presentata alcuna dispensa, nel tempo stabilito, le chiese, i benefici o le dignità, tenuti senza dispensa, e quindi per ciò stesso illecitamente, siano assegnati liberamente a persone idonee. Se invece la dispensa presentata sembrerà sufficiente, chi la presenta non sia molestato nel possesso di questi benefici, che ha canonicamente. Curi tuttavia, l'ordinario, che in queste chiese non venga trascurata la cura delle anime, e che gli stessi benefici non manchino dei dovuti servizi.

Se la validità della dispensa presentata fosse dubbia, si deve ricorrere alla Sede apostolica, cui spetta giudicare in materia di benefici. Inoltre nel conferire benefici con cura d'anime, gli ordinari abbiano l'accortezza di non conferirli a chi ne abbia già uno, se prima non sia mostrata con chiara

o evidenza la dovuta dispensa. Ed anche in tal caso, vogliamo che si proceda al conferimento, solo quando appaia dalla dispensa che l'interessato può lecitamente cumulare quel beneficio con gli altri, o se egli liberamente e spontaneamente rinunzia a quelli che già ha.

Diversamente, la concessione di benefici a chi ne abbia altri non avrà assolutamente alcun valore.

19

Sulle cause giudiziarie.

Sembra necessario rimediare al protrarsi subdolo delle liti, ed confidiamo che ciò avvenga se vi si impegnano quanti prestano la loro opera nelle cause, con adeguati rimedi.

Poiché sembrano cadute in desuetudine le norme sui difensori, noi le rinnoviamo - con qualche aggiunta, e qualche temperamento - e stabiliamo che chi esercita l'ufficio di avvocato nel foro ecclesiastico, sia presso la sede apostolica, sia altrove, presti giuramento sui santi Evangeli che in tutte le cause delle quali essi hanno assunto o assumeranno la difesa, faranno comprendere con tutta la loro capacità ai loro clienti ciò che essi crederanno esser vero e giusto, e che in qualsiasi momento del giudizio comprendessero che la causa che difendono è ingiusta smetteranno di difenderla e, anzi, l'abbandoneranno del tutto, e cesseranno di avere qualsiasi relazione con essa.

Anche i procuratori sono tenuti a fare un simile giuramento. E sia gli avvocati che i procuratori siano obbligati a rinnovare tale giuramento ogni anno; nel foro in cui hanno assunto questo ufficio.

Chi si reca alla Sede apostolica, o alla curia di qualsiasi giudice ecclesiastico nella quale non avesse ancora prestato tale giuramento, per prestare la propria assistenza in qualche causa, presti il giuramento davanti ad essi, volta per volta, all'inizio della causa. Gli avvocati e i procuratori che non intendessero giurare nel modo accennato, sappiano che è loro proibito l'esercizio dei loro incarichi. Se poi essi violassero il giuramento fatto, oltre che essere rei di spergiuro, incorrano nella divina maledizione e nella nostra; e da questa non siano assolti se non avranno restituito il doppio di quanto abbiano percepito da una cosi malvagia difesa. Siano anche tenuti a riparare i danni che da una tale ingiusta assistenza fossero derivati alle parti.

Perché il desiderio sfrenato del denaro non spinga qualcuno a trasgredire queste salutari prescrizioni, proibiamo severamente che un avvocato possa ricevere per qualsiasi causa più di venti libbre di monete di Tours, e un procuratore più di dodici, come salario o come compenso per la vittoria. Quelli che ricevessero più di questo, non acquistino la proprietà di quanto eccede la quantità prescritta, ma siano costretti alla restituzione, ed in modo tale, che nulla di quanto devono restituire possa, con frode di questa costituzione, esser loro condonato.

Gli avvocati, inoltre, che violassero la presente costituzione, siano sospesi per un triennio dal loro ufficio di avvocati; i procuratori sappiano che da quel momento è loro negata la facoltà di esercitare qualsiasi procura in tribunale.



continua

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