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Primo (1245) e Secondo (1274) Concilio di Lione

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2008 14:01
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24/11/2008 14:01

20.

Di ciò che vien fatto Per costrizione o timore.

La concessione dell'assoluzione dalla sentenza di scomunica, o qualsiasi revocazione di essa, o della sospensione o anche dell'interdetto, estorta con la forza o col timore, in forza della presente costituzione è priva di qualsiasi valore.

E perché l'impunità della violenza non cresca l'audacia, decretiamo che quelli che avessero estorto questa assoluzione o revocazione con la violenza o col timore, debbano sottostare alla sentenza di scomunica.

21

Delle prebende e delle dignità.

Il decreto di papa Clemente IV (18), di felice memoria, nostro predecessore, sulle dignità e benefici vacanti nella curia Romana, da non assegnarsi assolutamente da altri, che dal Romano pontefice, abbiamo creduto bene doversi modificare in tal modo, che quelli, cui spetta il conferimento degli stessi benefici e dignità, nonostante il decreto accennato, dopo un mese, da computarsi dal giorno in cui le dignità o i benefici si sono resi vacanti, possono conferirli, (ma) solo essi personalmente, o, se fossero lontano, per mezzo dei loro vicari generali delle loro diocesi, ai quali sia stato dato canonicamente l'incarico.

22

Non si devono alienare i beni della chiesa.

Con questo ben meditato decreto proibiamo a tutti e singoli i prelati di sottomettere, assoggettare o sottoporre ai laici le chiese loro affidate, i beni immobili e i diritti loro propri senza il consenso del loro capitolo e senza speciale licenza della sede apostolica. Non concederanno, cioè, ad essi gli stessi beni e diritti in enfiteusi, e neppure li alieneranno nella forma e nei casi permessi dal diritto; ma si dovrà stabilire, riconoscere e dichiarare (dai laici) che essi hanno dagli ecclesiastici questi beni e diritti come da -loro superiori; e dovranno impetrarli da loro - cosa che in alcune parti si esprime con la parola avoer -. Non dovranno, inoltre costituire i laici patroni o avvocati delle chiese e dei beni per sempre o per lungo tempo. Decretiamo pure che tutti i contratti, anche muniti dell'aggiunta del giuramento, della pena, o di qualsiasi altra conferma, che avvenga di fare per queste alienazioni senza tale licenza e consenso, e ogni effetto ad essi seguito, siano talmente privi di valore, da non garantire nessun diritto e da non costituire motivo di prescrizione. E tuttavia quei prelati che agissero diversamente siano sospesi ipso facto per tre anni dall'ufficio e dall'amministrazione (dei beni loro affidati); i chierici, inoltre, che, pur sapendo che in qualche cosa si è agito contro la proibizione predetta, hanno omesso di denunziare il fatto ai superiori, (siano sospesi) dal percepire il frutto dei loro benefici, che avessero nella chiesa cosi gravata.

I laici, poi, che finora avessero costretto i prelati o i capitoli delle chiese o altre persone ecclesiastiche ad assoggettarsi in tal modo, se, dopo una competente ammonizione, rinunziando a questo assoggettamento, che avevano ottenuto con la forza e con la paura, non lasceranno nella loro libertà le chiese e i beni ecclesiastici in tal modo loro sotto- posti, e anche quelli che in futuro costringessero i prelati o le stesse persone (nominate) a tali passi, di qualunque condizione e stato essi siano, incorreranno nella sentenza di scomunica.

Da questi contratti, inoltre, anche se fatti con la dovuta licenza e consenso, o da quelli che si faranno in seguito, o anche in occasione di essi, i laici non usurpino nulla, oltre quello che ad essi appartiene per la natura degli stessi con- tratti, o dalla legge in cui si basano.

Quelli poi che si comportassero diversamente, qualora, ammoniti a norma di legge, non desistessero da questa usurpazione, e non restituissero quanto in tal modo hanno usurpato, incorrano senz'altro nella sentenza di scomunica, e da quel momento si proceda liberamente con l'interdetto ecclesiastico, se necessario, a sottomettere la loro terra.

23

Le case religiose devono esser soggette al vescovo.

Un concilio generale (19) con apposita proibizione ha cercato di evitare l'eccessiva diversità degli ordini religiosi, causa di confusione.

Ma l'inopportuno desiderio dei richiedenti in seguito ha strappato, quasi, il loro moltiplicarsi e la sfacciata temerità di alcuni ha prodotto una moltitudine di nuovi ordini, specie mendicanti, ancor prima di aver ottenuto un'approvazione di principio. Rinnovando la costituzione, proibiamo assolutamente a chiunque di istituire un nuovo ordine o una nuova forma di vita religiosa, o di prendere l'abito in un nuovo ordine. Proibiamo per sempre tutte, assolutamente tutte, le forme di vita religiosa e gli ordini mendicanti sorti dopo quel concilio, che non abbiamo avuto la conferma della sede apostolica e sopprimiamo quelli che si fossero diffusi.

Quegli ordini, tuttavia, che sono stati confermati dalla sede apostolica e sono stati istituiti dopo il concilio suddetto, ai quali la professione (religiosa) o la regola, o qualsiasi costituzione proibiscano di avere redditi o possedimenti per il loro sostentamento, e vi provvedono con una disordinata mendicità mediante la pubblica questua, decretiamo che possano sopravvivere nel modo seguente: sia permesso ai professi di questi ordini di rimanere in essi, se vogliono, ma senza ammettere, in seguito, nessuno alla professione, senza acquistare nuove case e nuovi terreni e senza poter alienare le case e i beni che possiedono senza speciale licenza dalla santa sede. Intendiamo, infatti, riservarli a disposizione della sede apostolica, per destinarli all'aiuto della Terra Santa o dei poveri, o ad altri usi pii, attraverso gli ordinari dei luoghi o per mezzo di coloro, cui la stessa sede abbia conferito l'incarico.

Se poi si sarà creduto di poter fare diversamente, né l'accettazione delle persone, né l'acquisto delle case o dei terreni, o la vendita degli stessi e di altri beni sia valida; ed inoltre quelli che agiscono contrariamente siano soggetti alla sentenza di scomunica. Agli appartenenti a questi ordini proibiamo assolutamente, inoltre, il ministero della predicazione e della confessione e il diritto di sepoltura, per quanto riguarda gli estranei.

Non vogliamo tuttavia che la presente costituzione si applichi agli ordini dei Predicatori e dei Minori, la cui evidente utilità per la chiesa universale ne testimonia l'approvazione.

Quanto agli ordini dei Carmelitani e degli Eremiti di Sant'Agostino, la cui fondazione risale a prima del concilio generale di cui abbiamo parlato, concediamo che essi possano rimanere nella propria condizione, fino a che per essi non sia presa una diversa decisione: è nostra intenzione, infatti, provvedere loro e agli altri ordini non mendicanti, come ci sembrerà meglio per la salvezza delle loro anime e per il loro stato.

Vogliamo aggiungere che agli appartenenti agli ordini che cadono sotto questa costituzione concediamo una generale licenza di poter passare agli altri ordini approvati, in modo, tuttavia, che nessun ordine possa passare ad altro ordine e nessun convento ad altro convento con tutto ciò che possiede, senza aver prima ottenuto su ciò uno speciale permesso della stessa sede.

24

Delle imposte e delle prestazioni.

Fa si l'audacia dei malvagi che non possiamo accontentarci della sola proibizione del male, ma che imponiamo anche pene a quelli che mancano.

Volendo, quindi, che la costituzione di Innocenzo IV (20), di felice memoria, predecessore nostro, riguardante l'obbligo di non ricevere prestazioni in denaro, e la proibizione di accettare doni per quelli che fanno la visita (pastorale) e per quelli che li accompagnano - che si dice venir trasgredita dalla temerità di molti - venga assolutamente osservata, abbiamo deciso di sostenerla con l'aggiunta della pena. Stabiliamo, dunque, che tutti e singoli quelli che osassero esigere del denaro quale compenso loro dovuto per la visita o solo anche accettarlo da chi lo offre; o che violassero la stessa costituzione ricevendo doni, o, pur senza aver compiuto l'obbligo della visita, dei contributi in viveri, o qualche altra cosa in occasione della visita, entro lo spazio di un mese dovranno restituire il doppio di quanto hanno ricevuto alla chiesa dalla quale hanno ricevuto. Altrimenti i patriarchi, gli arcivescovi, i vescovi sappiano che, se trascureranno di restituire il doppio stabilito entro il tempo predetto, da quel momento sarà loro proibito l'ingresso nella chiesa; gli inferiori saranno sospesi dall'ufficio e dal beneficio, fino a che non abbiano soddisfatto completamente restituendo il doppio alle chiese gravate; e nulla gioverà ad essi il condono, la liberalità o la benevolenza di quelli che hanno dato.

25

Della immunità delle chiese.

Alla casa del Signore si addice la santità (21) perché il culto di colui la cui dimora è nella pace (22), sia reso nella pace e con la dovuta venerazione. Sia, dunque, l'ingresso alla chiesa umile e devoto; vi sia in esse un comportamento tranquillo, gradito a Dio, fonte di pace per chi vede, che non solo istruisca chi guarda, ma gli faccia anche bene. Quelli che vi si radunano lodino con un atto di speciale reverenza quel nome, che è al di sopra di ogni nome (23) al di fuori del quale non ne è stato dato altro gli uomini, in cui i fedeli possano esser salvati (24): cioè il nome di Gesù Cristo, che salverà il suo popolo dai suoi peccati (25). Ciò, inoltre, che generalmente si scrive: che nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio (26), ognuno, adempiendolo singolarmente in sé, - specie quando si celebrano i sacri misteri della messa - ogni volta che si ricorda quel nome glorioso, pieghi i ginocchi del suo cuore; cosa che si può fare anche col solo inchino del capo. In quei luoghi si attenda con tutta l'attenzione del cuore alle sacre solennità; si attenda con animo devoto alla preghiera. Nessuno in quei luoghi - in cui conviene offrire suppliche nella pace e nella tranquillità, ecciti una sedizione, provochi il clamore, faccia impeto. Si smetta di tenere in esse i consigli delle Università e di altre associazioni, qualsiasi esse siano; di tener discorsi, e pubblici parlamenti. Si smettano discorsi inutili, e molto più quelli volgari e profani. Cessino le chiacchiere. Sia estranea, finalmente (a chi entra in essi), qualunque altra cosa che possa turbare il divino ufficio o che possa offendere gli occhi della divina maestà; e non avvenga che dove si va per chiedere perdono dei peccati, li si dia occasione di peccare, o si debba constatare che si commettono peccati. Cessino, nelle chiese e nei loro cimiteri il commercio, e specialmente i mercati e il tumulto di una piazza qualsiasi. Taccia in esse ogni rumore di cause secolari. Non si discuta in esse alcuna causa secolare, specialmente criminale né le cause giudiziarie dei laici.

Gli ordinari dei luoghi facciano osservare queste disposizioni, cerchino di persuadere, impediscano quanto è stato proibito da questo canone con la loro autorità, deputando anche, a questo scopo, quelli che sono maggiormente assidui alle stesse chiese e che sembrano adatti a quanto abbiamo predetto. E inoltre i processi dei giudici secolari e specialmente le sentenze pronunciate negli stessi luoghi, siano del tutto nulle.

Chi poi osasse sfacciatamente disprezzare le proibizioni predette, oltre al processo degli ordinari e di quelli che essi deputeranno a ciò, dovrà davvero temere l'acerbità della vendetta divina e della nostra, fino a che, confessato il suo peccato, non abbia fatto fermo proposito di astenersi da una simile condotta.

26.

Dell'usura.

Desiderando impedire la voragine degli interessi, che divora le anime ed esaurisce quanto si possiede, vogliamo che venga osservata inviolabilmente la costituzione del concilio Lateranense (27), emessa contro gli usurai: ciò sotto minaccia della divina maledizione.

E poiché quanto minore sarà per gli usurai la possibilità di prestare ad usura, tanto maggiormente verrà tolta la libertà di esercitarla, con questa generale costituzione stabiliamo che né un collegio, né altra comunità o singola per- sona, di qualsiasi dignità, condizione o stato, permetta a dei forestieri o ad altri non oriundi delle loro terre, che esercitassero o volessero esercitare pubblicamente l'usura, di prendere in affitto, a questo scopo, case nelle loro terre, o di tenerle, se già le hanno prese in affitto, o, comunque, di abitarle; devono, invece, entro tre mesi, scacciare tutti questi usurai manifesti dalle loro terre, senza ammettere più nessuno, mai, in avvenire.

Nessuno dia in affitto, a scopo di usura, una casa; neppure sotto qualsiasi altro pretesto (o colore). Chi facesse il contrario, se fossero persone ecclesiastiche, patriarchi, arcivescovi, vescovi, sappiano che incorreranno nella sospensione; persone minori, ma singole, nella scomunica; se fosse un collegio o altra comunità, incorrerà nell'interdetto. Se poi si indurissero, nel loro animo, per un mese, contro di esso, le loro terre, da quel momento, siano sottoposte all'interdetto ecclesiastico, fino a che questi stessi usurai dimorano in esse.

Se si trattasse di laici siano costretti dai loro ordinari con la censura ecclesiastica ad astenersi da questo eccesso, venendo meno ogni privilegio.

27

Ancorché gli usurai manifesti abbiano stabilito nelle loro ultime volontà di soddisfare, per quanto riguarda gli interessi che avevano percepito, o determinando la quantità (del denaro da restituire), o in modo indeterminato, sia negata ad essi, tuttavia, la sepoltura ecclesiastica, fino a che non si sia completamente soddisfatto - nei limiti delle loro possibilità - per gli interessi stessi, o finché non sia stata data assicurazione della restituzione (e ciò nel modo dovuto) a coloro, cui dev'essere fatta la restituzione, se sono presenti essi stessi, o altri che possano ricevere in loro nome; o, se essi fossero assenti, all'ordinario del luogo, o a chi ne fa le veci, o al rettore della parrocchia nella quale il testatore abita, dinanzi ad alcune persone della parrocchia stessa degne di fede (a questo ordinario, vicario, rettore sia lecito il forza di questa costituzione accettare tale cauzione in loro nome, cosicché possano aver poi diritto all'azione [legale]) o ad un pubblico impiegato, incaricato dallo stesso ordinario.

Se poi si conosce la somma precisa degli interessi, vogliamo che essa sia sempre espressa nella cauzione; altrimenti sia determinata un'altra cauzione secondo il criterio di chi la riceve. Questi, però, non ne stabilisca scientemente una minore di quella che verosimilmente si ritiene per vera; se si comporterà diversamente, sia tenuto lui a soddisfare per il resto.

E stabiliamo che tutti i religiosi od altri, che contro la presente disposizione osassero ammettere alla sepoltura ecclesiastica degli usurai manifesti, debbano andar soggetti alla pena stabilita dal concilio Lateranense contro gli usurai.

Nessuno assista ai testamenti di pubblici usurai o li ammetta alla confessione o li assolva, se non avranno soddisfatto per gli interessi, o non avranno dato la debita assicurazione, come abbiamo premesso, che soddisferanno secondo le loro possibilità. I testamenti degli usurai manifesti redatti in modo diverso non abbiano alcun valore, ma siano ipso iure invalidi.

28.

Delle ingiurie e del danno arrecato.

Quantunque i pignoramenti, che con parola usuale si chiamano rappresaglie, in cui uno sconta per un altro, siano proibiti dalla legislazione civile come cose gravi e contrarie alle leggi e all'equità naturale, perché, tuttavia, la loro proibizione nei riguardi delle persone ecclesiastiche sia tanto maggiormente temuta, quanto più particolarmente è proibita verso di essi, proibiamo assolutamente, in forza del presente decreto, che essi vengano concessi contro le persone predette o contro i loro beni, o - per quanto siano forse generalmente concessi, col pretesto di qualche consuetudine, che noi giudichiamo abuso - che vengano estesi ad esse.

Quelli, quindi, che agissero diversamente, concedendo contro le stesse persone dei pignoramenti o rappresaglie, o estendendoli ad esse, siano soggetti alla sentenza di scomunica, se si tratta di singole persone; all'interdetto ecclesiastico, se si tratta di comunità, a meno che non abbiano revocato il loro atto arbitrario entro un mese dalla concessione o dalla sua estensione (alle persone ecclesiastiche).

29

La Sentenza di scomunica.

Vogliamo (meglio) illustrare la costituzione di Innocenzo IV (28), di felice memoria, nostro predecessore, - la quale proibisce che quelli che comunicano con gli scomunicati nelle materie che importano la sola scomunica minore, vengano legati dalla scomunica maggiore, senza la necessaria ammonizione canonica, e che stabilisce che la sentenza di scomunica promulgata in maniera diversa non abbia alcun valore. Per togliere lo scrupolo di ogni ambigua interpretazione, stabiliamo che l'ammonizione, in questo caso, può dirsi canonica se, oltre all'osservanza esatti di ogni altra prescrizione, essa specifichi nominatamente quelli che vengono ammoniti.

Stabiliamo anche che tra quelle ammonizioni, che le norme giuridiche permettono potersi fare perché si intenda promulgata canonicamente la sentenza, i giudici, sia che ne facciano tre, sia che ne facciano una per tutte, si attengano alla norma di concedere i dovuti intervalli di alcuni giorni, a meno che l'urgenza del momento non consigli di regolarsi diversamente.

30

Col presente generale decreto, dichiariamo che il beneficio della sospensione ad cautelam, quando riguarda sentenze di interdetto promulgate in generale contro le città, i castelli, e qualsiasi altro luogo, non ha luogo.

31

Quelli che, chiunque essi siano, per il fatto che sia stata promulgata una sentenza di scomunica, di sospensione o di interdetto contro re, principi, baroni, nobili, balivi, o contro qualsiasi dei loro ministri o altri, dessero il permesso a qualcuno di uccidere, prendere o anche molestare nelle persone, o nei beni, o in quelli dei loro (parenti) chi ha emesso tali sentenze, o a causa dei quali sono state pronunziate, o chi le osserva, o chi non vuole comunicare con gli scomunicati, a meno che non abbiano revocato, in tempo, la licenza stessa, incorrano ipso facto nella sentenza di scomunica. Nella stessa sanzione incorra chi in base a analoga licenza si è impossessato dei beni, a meno che essi non siano stati restituiti entro otto giorni o data soddisfazione adeguata.

Siano legati dalla stessa sentenza tutti coloro che avessero osato servirsi della predetta licenza, o commettere di loro iniziativa qualche altra cosa, di quelle per cui abbiamo proibito che si possa dare tale licenza.

Chi rimarrà per due mesi (implicato) nella stessa sentenza, da quel momento non potrà avere più la grazia dell'assoluzione, se non dalla sede apostolica.



NOTE

(1) Cfr. Gen 6, 6.
(2) Cfr. Sal 104, 11.
(3) Cfr. Sal 73, 12.
(4) Cfr. Sai 113, 2.
(5) 1 Gv 1, 1.
(6) Cfr. Lc 1, 37.
(7) Cfr. Is 40, 4; Lc 3, 5.
(8) Cfr. Mt 23, 4.
(9) Cfr. c. 2, X, V, 26 (Friedberg, 2, 826-827).
(10) Cfr. Mt 16, 19; 18, 18.
(11) Cfr. Sal 113, 1.
(12) Lc 1, 78.
(13) Cfr. Fil 2, 21.
(14) Gb 25, 2.
(15) Innocenzo IV nel concilio I di Lione (1245), c. 4.
(16) Cfr. Les registres d'Alexandre IV, Recueil des bulles de ce pape..., edd. J. de Loye - P. de Cenival, Paris, 1917, 684-686.
(17) Alessandro III nel concilio Lateranense III (1179), C. 3.
(18) Cfr. Les registres de Celement IV, Recueil des bulles de ce pape..., edd. E. Jordan I, Paris, 1893, n. 212 (p.50).
(19) Concilio Lateranense IV (1245), c. 13.
(20) Cfr. c. i, III, 20, in VI (Friedberg, 2, 1056-1057).
(21) Sal 92, .
(22) Sal 75, 3.
(23) Fil -2, 9.
(24) Cfr. At 4, 12.
(25) Mt 1, 21.
(26) Fil 2, 10.
(27) Concilio Lateranense III (1179), c. -25.
(28) Innocenzo IV nel concilio I di Lione (1245), c. -21.
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