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Concilio di Basilea, Ferrara, Firenze, Roma (1431-1437)

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2008 14:45
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SESSIONE XX (12 gennaio 1435)

(Decreto sui concubinari).

Il sacrosanto sinodo generale di Basilea, riunito legittimamente nello Spirito santo, espressione di tutta la chiesa, a perpetua memoria.

[…]Qualsiasi chierico - di qualunque stato, condizione, religione, dignità, anche vescovile o di altra preminenza esso sia quale, dopo esser venuto a conoscenza di questa costituzione - e si presume che egli abbia tale conoscenza entro due mesi dopo la sua pubblicazione nelle chiese cattedrali (che i vescovi sono tenuti a fare) - da quando la stessa costituzione è venuta a sua conoscenza, fosse un concubinario, sia ipso facto sospeso per tre mesi dal percepire i frutti di tutti i suoi benefici. Il suo superiore destini questi frutti a beneficio della fabbrica o ad altra evidente utilità delle chiese da cui essi sono percepiti.

Naturalmente, il superiore è tenuto ad ammonire questo pubblico concubinario, non appena si sappia che egli è tale, perché allontani entro brevissimo tempo la concubina. Se egli non la allontanasse, o se riprendesse quella che ha mandato via o altra, questo santo sinodo ordina che lo privi senz’altro di tutti i suoi benefici. Questi pubblici concubinari anche dopo l'allontanamento delle concubine e l'emendamento palese della loro vita siano inabili a ricevere qualsiasi bene, dignità, beneficio o ufficio, fino a che i loro superiori non li abbiano dispensati. Ma se, una volta dispensati, fossero recidivi (17) e tornassero al pubblico concubinato, siano del tutto inabili a quanto abbiamo detto, senza alcuna speranza di dispensa.

Se poi quelli, a cui spetta correggerli, fossero negligenti nel punirli come è stato disposto, i loro superiori puniscano con la dovuta pena sia loro per la loro negligenza, che i colpevoli per il loro concubinato.

E nei concili provinciali e sinodali si proceda severamente contro questi negligenti nel punire, o che hanno fama di aver commesso tale delitto, anche con la sospensione dal conferimento dei benefici o con altra pena proporzionata.

Se poi quelli, la cui destituzione spetta al Romano pontefice, dai concili provinciali o dai loro superiori fossero trovati degni della privazione per pubblico concubinato, con processo di inquisizione siano deferiti al sommo pontefice.

La stessa diligente indagine sia fatta in ogni capitolo generale e provinciale per quanto riguarda i propri membri, rimanendo in vigore le altre norme contro quelli di cui abbiamo parlato, e contro gli altri concubinari non pubblici.

Per "pubblici", poi, devono intendersi non solo quelli il cui concubinato è notorio per una sentenza o per una confessione giuridicamente rilevante o per l'evidenza del fatto, quando questo non possa essere tenuto nascosto, ma anche chi tiene una donna sospetta di incontinenza, o di cattiva fama, e, ammonito dal suo superiore, non la rimanda.

E poiché in alcune regioni vi è chi, avendo giurisdizione ecclesiastica, non si vergogna di accettare somme di denaro dai concubinari, sopportando che essi vivano in tale vergogna, si comanda sotto pena dell'eterna maledizione, che in futuro essi non tollerino in nessun modo o facciano finta di non vedere tali cose, con patti, composizioni, o con la speranza di qualche guadagno. In caso diverso, oltre la pena predetta per la loro negligenza, siano obbligati e costretti senz'altro a restituire il doppio di quanto hanno ricevuto per questo motivo, da destinarsi ad usi pii.

I prelati, inoltre, si preoccupino in ogni modo di allontanare dai loro sudditi - anche con l'aiuto del braccio secolare - queste concubine; e non permettano che i figli nati dal loro concubinato vivano presso il padre.

Comanda ancora, questo santo sinodo, che la presente costituzione venga pubblicata anche nei predetti sinodi e capitoli, e che ognuno ammonisce diligentemente i propri sudditi ad allontanare le loro concubine. Obbliga, inoltre, tutti i secolari, anche quelli che abbiano dignità regale, a non frapporre impedimento, con qualsiasi scusa, ai prelati che in ragione del loro ufficio intendono procedere contro i loro sudditi per questo concubinato.

E siccome ogni peccato di fornicazione è proibito dalla legge divina, e deve evitarsi sotto pena di peccato mortale, ammonisce tutti i laici, sia ammogliati che liberi, che vogliano astenersi ugualmente dal concubinato. E’ infatti degno di molta riprensione chi ha la propria moglie e va dalla donna altrui; e chi è libero, se non intende astenersi, sposi, secondo il consiglio dell'apostolo (18)

Per l'osservanza di questo divino precetto, quelli che ne hanno il dovere si diano da fare in ogni modo, sia con ammonizioni salutari che con gli altri rimedi canonici.

(Gli interdetti non si devono Porre troppo facilmente).

Poiché dalla facile imposizione degli interdetti nascono, di solito, molti scandali, questo santo sinodo stabilisce che nessuna città, paese, castello, villaggio o luogo possa esser sottoposto ad interdetto ecclesiastico se non per una colpa dei luoghi stessi o del signore o dei reggitori o degli officiali.

Per colpa, invece, o per causa di qualsiasi altra persona privata questi luoghi non possano essere sottoposti ad interdetto da qualsiasi autorità ordinaria o delegata, se tale persona non è stata prima scomunicata e denunziata, ossia pubblicata in chiesa, e se i signori, o reggitori od officiali di tali località, richiesti dall'autorità del giudice, non hanno allontanato effettivamente entro due giorni la persona scomunicata, ovvero non l'hanno costretta a dare soddisfazione.

In caso poi che questa, anche se cacciata entro i due giorni, si ricredesse o offrisse riparazione, la celebrazione dei divini misteri può riprendere. Ciò può aver luogo anche quando la questione è in pendenza.

(Contro quelli che si appellano con troppa leggerezza).

Perché le liti possano terminare più presto, non sia permesso riappellarsi per lo stesso aggravio o per la stessa causa interlocutoria, che non abbia valore definitivo. E chi si appella senza seri e giusti motivi prima della sentenza definitiva sia condannato dal giudice di appello oltre che al pagamento delle spese, dei danni e dell'interesse, a pagare quindici fiorini d'oro alla parte appellata.

SESSIONE XXI (9 giugno 1435)

(Delle annate).

Il sacrosanto concilio generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.

In nome dello Spirito santo paraclito, questo santo sinodo stabilisce, che sia nella curia romana che altrove, per ottenere la conferma delle elezioni, l'accettazione delle postulazioni, la provvista delle presentazioni, e per ogni conferimento, collazione, elezione, postulazione, presentazione, anche fatta da laici, e ancora per ogni costituzione, installazione, investitura, non si esiga d'ora in avanti assolutamente nulla, sia prima che dopo, dalle chiese anche cattedrali e metropolitane, dai monasteri, dalle dignità, dai benefici, dagli offici ecclesiastici, qualsiasi essi siano, a titolo di sigillo della bolla di annate comuni, di servizi minori, di primi frutti, di redditi del primo anno o sotto qualsiasi altro titolo, colore, scusa, col pretesto di qualsiasi consuetudine, privilegio, o statuto, o per qualsiasi altra causa od occasione, direttamente, o indirettamente. Sarà dato solo il compenso dovuto agli scrittori, agli abbreviatori, e ai registratori delle lettere o minute per il loro lavoro.

Se qualcuno credesse di poter contravvenire a questo sacro canone esigendo qualche compenso, dandolo o promettendolo, incorra nelle pene stabilite contro i simoniaci, e non acquisti nessun diritto e nessun titolo alle dignità e ai benefici ottenuti in questo modo.

Anche gli obblighi, le promesse, le censure e le disposizioni date, e tutto quello che potesse esser fatto in pregiudizio di questo utilissimo decreto, non avranno nessuna forza e siano ritenuti nulli.

E se - Dio ci guardi - il romano pontefice, che più degli altri deve mettere in esecuzione ed osservare i canoni dei concili universali, scandalizzasse la chiesa col fare qualche cosa contro questa disposizione, sia deferito al concilio generale. Gli altri siano puniti con una degna punizione dai loro superiori in proporzione della loro colpa, secondo le disposizioni dei canoni.

(Come si debba celebrare in chiesa l'ufficio divino).

Se uno nel pregare un principe di questo mondo si preoccupa di presentarsi con abito decoroso, con portamento dignitoso, di non precipitare nel parlare, ma di pronunciare chiaramente le parole, e di essere attento con la mente, quanto più diligentemente deve fare attenzione ad usare queste cautele nel luogo sacro, nell'accingersi a pregare l'Onnipotente?

Stabilisce, quindi, il santo sinodo, che in tutte le cattedrali e chiese collegiate, ad ore opportune, dato il dovuto segnale col suono delle campane, si recitino con riverenza, da tutti, le lodi divine per ogni ora, non di corsa o in fretta, ma piano e adagio e con una pausa conveniente, specie a metà di ciascun versetto dei salmi, osservando la dovuta differenza tra l'ufficio solenne e quello fermale.

Nell'accingersi a recitare le ore canoniche, si entri in chiesa con la tunica talare e con le cotte pulite, lunghe fin sotto la metà della tibia, o con cappe, secondo la diversità delle stagioni e delle regioni, tenendo in capo non i cappucci, ma le almucie o le berrette. Giunti in coro, ci si comporti con serietà, come il luogo e l'ufficio esigono; non chiacchierando o parlando, o leggendo lettere o altri scritti. E poiché si recano li proprio per recitare i salmi, non devono tenere le labbra unite e chiuse, ma cantino tutti - specie quelli costituiti in maggiore dignità - gioiosamente i salmi, e i canti a Dio.

Quando si dicono le parole: Gloria al Padre, al Figlio, e allo Spirito Santo, si alzino tutti.

Quando si pronuncia quel glorioso nome di Gesù, nel quale ogni ginocchio si piega, dei celesti, degli abitatori della terra, degli inferi (19) tutti inchinino il capo.

Nessuno, mentre si cantano pubblicamente le ore in comune, legga o reciti privatamente l'ufficio; non solo, infatti, in tal modo defrauda il coro dell'onore che gli spetta, ma disturba anche gli altri che cantano i salmi.

Perché poi queste norme siano debitamente osservate, - ed anche le altre che riguardano il proseguimento del divino ufficio o la disciplina del coro - il decano, o quegli cui spetta sia solerte e vigilante, volgendo lo sguardo attentamente, qua e là, perché non sia fatto nulla senza il dovuto ordine.

Quanto ai trasgressori di queste disposizioni, siano puniti con la multa di quell'ora in cui le norme predette sono state trasgredite, o con una maggiore, secondo la gravità della trasgressione.

(In qual tempo ciascuno debba essere in coro).

Chi, a mattutino, non sarà presente all'ufficio divino da prima della fine del salmo Venite exsultemus (21), nelle altre ore da prima della fine del primo salmo, e nella messa da prima dell'ultimo kyrie, eleison alla fine, - a meno che, costretto da una necessità, e chiesta e ottenuta dal presidente del coro la licenza di allontanarsi, non debba andarsene per quell'ora sia considerato assente, salve le consuetudini delle chiese, qualora ve ne fossero di più strette su questo punto. Si osservi la stessa disciplina con coloro che non prendano parte alle processioni dal principio alla fine. Per l'osservanza di questa norma sia designato qualcuno, il quale abbia l'incarico di annotare le singole persone che non giungono al tempo stabilito, obbligato dal giuramento ad agire fedelmente e a non risparmiare nessuno.

Questo santo sinodo comanda anche che nelle chiese in cui non vi fossero distribuzioni per le singole ore, siano senz’altro stabilite norme di modo che ognuno percepisca un utile più o meno grande secondo il suo lavoro, togliendo assolutamente l'abuso, per cui chi è presente ad una sola ora, usurpa le distribuzioni di tutto il giorno; e l'altro, per cui i preposti, o decani, o gli altri officiali, solo per il fatto che sono officiali, anche se attualmente siano assenti non per utilità della chiesa, percepiscono le distribuzioni quotidiane.

(Come debbano recitarsi le ore canoniche fuori del coro).

Questo santo sinodo ammonisce tutti quelli che sono beneficiati o costituiti negli ordini sacri, che sono tenuti a recitare le ore canoniche, perché vogliano recitare l'ufficio diurno e notturno non con voce gutturale, o fra i denti, o mangiandosi o storpiando le parole; e neppure inframezzando discorsi o ridendo; ma che - lo dicano soli o in compagnia - lo recitino con riverenza e pronunciando bene le parole, e in luogo tale per cui non debbano perdere la devozione. Si devono, anzi, preparare e disporre ad esso, conformemente a quanto sta scritto: Prima della preghiera prepara l'anima tua, perché tu non sia uno di quelli che tentano Dio (21).

(Di quelli che durante i sacri misteri vanno in giro per la chiesa).

Coloro che godono di benefici ecclesiastici, specie se maggiori, se durante la celebrazione degli uffici divini fossero visti andare in giro per la chiesa o fuori, nei dintorni di essa, camminando o chiacchierando con altri, perdano ipso facto la presenza non solo di quell'ora, ma di tutto il giorno. Chi, ripreso una volta, non s i correggesse, sia privato delle distribuzioni per un mese; e sia sottoposto anche ad una pena maggiore, se la sua pertinacia lo richiedesse, cosi che alla fine sia costretto a desistere. Si faccia anche in modo che i divini uffici non vengano impediti o disturbati dall'andare e venire tumultuoso per la chiesa da parte di chiunque.

I religiosi che nelle chiese conventuali mancassero su questi punti, siano gravemente puniti a discrezione dei loro superiori.

(Della tabella appesa in coro).

Perché ogni cosa nella casa di Dio proceda con ordine e ciascuno sappia cosa deve fare, si ponga una tabella appesa in modo permanente nel coro, nella quale sia scritto cosa si deve leggere o cantare da ciascun canonico o dagli altri beneficiati in ogni ora per una settimana, o anche per un tempo più lungo.

Chi poi fosse negligente nel compiere - personalmente o per mezzo di altri - quanto è scritto in essa, perda per ogni ora le distribuzioni di un giorno intero.

(Di quelli che nella messa non cantano tutto il credo, o cantano o leggono a voce troppo bassa, o senza l'inserviente).

Volendo abolire l'abuso di alcune chiese, nelle quali il Credo - che è il simbolo e la professione della nostra fede - non viene cantato completamente fino alla fine, o si tralascia il Prefazio o l'orazione del Signore, o si cantano nella chiesa canzoni secolari, o si celebra la messa - anche privata - senza l'inserviente, o a voce talmente bassa, nelle orazioni, da non essere percepita dagli astanti, stabiliamo che chi sarà stato trovato colpevole su questi punti, sia debitamente punito a suo superiore.

(Di quelli che danno in pegno il culto divino).

Aboliamo anche l'abuso, che deroga apertamente al culto divino, per cui alcuni canonici, contraendo debiti si obbligano in tale forma coi loro creditori, che, se al tempo stabilito non avessero soddisfatto ai loro obblighi, cessino dai divini uffici; e dichiarando nulla questa obbligazione, anche se confermata con giuramento, stabiliamo che chi fa un contratto illecito di tal genere, perda ipso facto i frutti di tre mesi, da devolversi alla chiesa stessa. E fino a che non abbia ripreso la celebrazione dei divini uffici, non percepisca provento dalla stessa chiesa.

(Di quelli che tengono il capitolo durante la messa maggiore).

Questo santo sinodo proibisce che i canonici nel tempo della messa solenne, specie nei giorni festivi, tengano capitoli, o atti capitolari, o altre trattazioni a meno che non lo richieda una assoluta ed evidente necessità. Chi per tale ora indicesse il capitolo, sia sospeso per una settimana dalle distribuzioni quotidiane; ed anche i canonici per quella ora non percepiscano le stesse distribuzioni.

(Non si tengano spettacoli in chiesa).

Detestando anche quel vergognoso abuso, divenuto frequente in alcune chiese, - per cui alcuni benedicono con mitra, pastorale e vesti pontificati come vescovi e altri si vestono da re e duchi (e questa festa in alcune regioni si chiama dei matti, o degli innocenti, o dei fanciulli), altri fanno giochi da maschere e da teatro, altri balli e baldorie tra uomini e donne e spingono la gente al divertimento e al riso, altri preparano banchetti e conviti, - questo santo sinodo stabilisce e comanda sia agli ordinari che ai decani e rettori di chiese, sotto pena della sospensione da tutti i proventi ecclesiastici per tre mesi, che non permettano più che nella chiesa, che deve essere casa di preghiera (22), e anche nel cimitero abbiano luogo questi e simili ludibri, e che si tengano mercati o commerci di fiere. E non manchino di punire i trasgressori con la censura ecclesiastica e con altri rimedi del diritto.

Questo santo sinodo stabilisce pure che siano nulle tutte le consuetudini, le leggi e i privilegi che su questi argomenti non si accordino con questi decreti.

SESSIONE XXII (15 ottobre 1435)

(Condanna del libello di Agostino Favaroni).

Il sacrosanto sinodo di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.

Poiché tra le altre opere di pietà, questo santo sinodo si è riunito in modo particolare per conservare la verità della fede cattolica e per estirpare gli errori e le eresie, è nostra precipua sollecitudine - non appena sappiamo che si diffonde qualcosa che possa offendere la purezza della fede cristiana ed annebbiare lo splendore della luce nelle menti dei fedeli - intervenire tempestivamente e liberare con ogni diligenza il campo del Signore dalla nociva zizzania (23) e dai rovi.

Questo santo concilio condanna quindi e riprova un libello, pubblicato dal maestro Agostino, detto volgarmente da Roma, arcivescovo di Nazareth. Il primo trattato riguarda il mistero dell'unità di Gesù Cristo e della chiesa, cioè del Cristo totale; il secondo, del Cristo capo e del suo principato; un altro della carità del Cristo per gli eletti e del suo infinito Minore. Lo condanna con i suoi sostenitori perché contiene una dottrina non sana ed erronea.

In particolare condanna la scandalosa affermazione con- tenuta nello stesso libro, erronea nella fede e che le pie orecchie dei fedeli non possono ascoltare senza orrore, che, cioè, il Cristo pecca ogni giorno, e che da quando cominciò ad essere ha peccato ogni giorno, quantunque egli dica che non intende affermare ciò del Cristo, capo della chiesa e nostro salvatore, ma delle sue membra, che egli ha affermato essere Un solo Cristo, col Cristo capo.

Condanna anche queste proposizioni ed altre simili, che esso dichiara ricadere negli articoli condannati nel sacro concilio di Costanza, e cioè: Non tutti i fedeli giustificati sono membra del Cristo, ma solo gli eletti, che alla fine regneranno col Cristo. Le membra di Cristo, da cui è formata la chiesa, sono costituite secondo l'ineffabile prescienza di Dio (24); essa tuttavia, non è formata se non da quelli che sono stati chiamati secondo il proposito (25) della scelta. Non è sufficiente, perché alcuni diventino membra del Cristo, essere uniti a lui dal vincolo dell'amore, ma si richiede un'altra unione.

Ed anche le seguenti proposizioni, contenute nel libro:

L'umana natura nel Cristo è veramente Cristo.

L'umana natura nel Cristo è la persona di Cristo.

L'intima causa che determina la natura umana nel Cristo, non si distingue realmente dalla stessa natura determinata.

La natura umana nel Cristo è senza dubbio la persona del Verbo: e il Verbo, nel Cristo, assunta la natura, è realmente la persona che assume.

La natura umana assunta dal verbo con unione personale è veramente Dio naturale e proprio.

Cristo secondo la volontà creata ama tanto la natura umana unita alla persona del Verbo, quanto ama la persona divina.

Come in Dio due persone sono ugualmente amabili, cosi nel Cristo le due nature, l'umana e la divina sono ugualmente amabili a causa della persona che hanno in comune.

L'anima del Cristo vede Dio cosi chiaramente ed intensamente, come Dio vede chiaramente ed intensamente se stesso.

Il santo sinodo condanna queste proposizioni ed altre che derivano dalla stessa radice e contenute nello stesso libro come erronee nella fede. Perché, quindi, non avvenga che qualcuno dei fedeli a causa di questa dottrina cada in errore, comanda severamente che nessuno osi insegnare, predicare, difendere o approvare la dottrina di questo libro e in particolare le proposizioni sopra riferite, già dannate e riprovate, come abbiamo riferito, ed anche quei trattati che lo difendessero.

Quelli poi che si comportassero diversamente vengano puniti come eretici ed anche con altre pene canoniche.

In nessun punto però, il concilio intende derogare con queste sue disposizioni alle espressioni ed agli scritti dei santi dottori che parlano di questi argomenti; anzi accetta e accoglie le loro dottrine secondo il loro vero significato, come viene comunemente esposto e dichiarato nelle scuole di teologia da essi stessi o da altri dottori.

Con questa sentenza il santo sinodo non intende neppure pregiudicare la persona dell'autore, perché anche se è statoconvocato, ha allegato le cause della sua assenza, ed in alcuni suoi scritti ed in altri modi ha sottomesso la sua dottrina al giudizio della chiesa.

Concludendo, questo santo sinodo comanda ed impone a tutti gli arcivescovi, vescovi, cancellieri delle università, e agli inquisitori per l'eresia, che vogliano usare la loro accorta diligenza e provvedere che nessuno possa avere questo libro e gli scritti che lo difendono, od osi conservarlo e tenerlo presso di sé, e che anzi lo consegni alle persone sopra indicate, perché ne facciano quello che le leggi dispongono. In caso diverso, si proceda contro di essi con, le sanzioni canoniche.

SESSIONE XXIII (16 marzo 1436)

(Dell'elezione del sommo pontefice).

Il sacrosanto concilio generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.

Poiché un buon pastore è la salvezza del popolo, è giusto che questo santo sinodo cerchi in tutti i modi - almeno per quanto è possibile alla diligenza della legge umana, - che il romano pontefice, che è il primo e più alto pastore del gregge del Signore, sia eletto e continui ad essere tale da provvedere alla salvezza di tutte le anime e all'utilità di tutto il mondo cristiano, e possa degnamente adempiere un ufficio cosi grave.

Perciò questo santo sinodo, rinnovando le costituzioni dei sacri concili e dei sommi pontefici sull'elezione del romano pontefice, ed aggiungendo ad esse alcune norme salutari, stabilisce che ogni qualvolta la sede apostolica divenga vacante, i cardinali della santa romana chiesa, presenti nel luogo dove si deve procedere all'elezione del sommo pontefice, nel decimo giorno della vacanza della sede, si raccolgano tutti in una cappella o in un luogo vicino al conclave. Di qui, camminando a due a due dietro la Croce, cantando devotamente Vieni Spirito creatore, entrino nel luogo del conclave.

Ciascuno introduca in esso solo due servitori necessari.

Per ordinare le cerimonie si possono ammettere anche due chierici, di cui almeno uno notaio. Il Camerlengo, poi, insieme con quelli cui è stata affidata la custodia del conclave, faccia in modo che nessuno vi entri, oltre a quelli che abbiamo ricordato. Egli, poi, dopo l'ingresso dei cardinali, chiuse le porte, entri con gli incaricati, e faccia un diligente sopralluogo alle celle dei cardinali; ed eccettuate le medicine degli infermi e dei deboli, se trova li cose da mangiare o cibi preparati, li faccia rimuovere.

Quindi uscendo e chiudendo la porta del conclave, faccia una guardia severa, ed ogni giorno esamini diligentemente i cibi portati ai cardinali; e non permetta che venga introdotto se non quanto sembra necessario ad un onesto sostentamento, fermi restando nella loro efficacia i decreti di questo sacro concilio promulgati nella quarta e nella settima sessione (26).

Il giorno seguente, tutti i cardinali, alla. presenza di quelli che sono in conclave, ascoltata la messa dello Spirito santo, ricevano l'eucarestia. E prima di cominciare lo scrutinio, giurino sui santi evangeli in questa, forma: Io, cardinale tale, giuro e prometto a Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito santo, e al beato Pietro, principe degli apostoli, di eleggere come pontefice quello che crederò utile alla chiesa universale, sia nello spirituale che nel temporale, e idoneo a tanta dignità; di non dare il voto a chi capirò che verisimilmente cerca di procurarsi l'elezione con la promessa o con la donazione di qualche bene temporale, o con suppliche, presentate da sé o da altri - o in qualunque altra maniera, direttamente o indirettamente. E giuro di non prestare obbedienza a chi è stato eletto pontefice, prima che questi abbia prestato giuramento secondo la formula del decreto del sacro concilio di Basilea. Cosi mi aiuti Dio, al quale il giorno del tremendo giudizio dovrò render conto di questo giuramento e di tutte le mie opere.

Dopo ciò, ognuno di essi consegnerà la sua scheda, in cui dovranno essere indicati non più di tre nomi; se ne nominasse più di uno, che un nome sia scelto fuori dal collegio cardinalizio.

Non si faccia più di uno scrutinio al giorno. E questo subito dopo la messa. Lette le schede, se i voti dei due terzi non confluiscono nella stessa persona, siano subito bruciate.

Prima di sei scrutini, non si può fare accesso nei confronti di nessuno.

Durante questo tempo i cardinali considerino attentamente quanto merito o demerito possono acquistare per sé con l'elezione del pontefice, e quanto frutto o quanto danno, quanto bene e quanto male possono fare al popolo cristiano. E certo che in nessuna cosa si può conseguire la grazia del signore nostro Gesù Cristo o meritare la sua ira, più di quando si tratta di preporre il suo vicario alle sue pecore: quelle pecore che egli ha talmente amato, da degnarsi di morire (27) e di soffrire per esse il supplizio della croce.

(Della Professione del sommo Pontefice).

Questo santo sinodo dispone che chi è stato eletto papa deve esprimere il suo consenso all'elezione fatta nella sua persona, nel modo che segue. Se egli è presente in curia il consenso sia manifestato ai cardinali, o, se fuori di essa, a qualcuno di essi, o ad altri che ne abbia da essi il mandato, alla presenza di un notaio e di almeno dieci persone. Se poi egli, comunicatagli l'elezione, dopo esserne stato richiesto non accettasse entro un giorno naturale dall'ora della richiesta, la sua elezione sia considerata come non avvenuta e i cardinali siano tenuti a procedere ad un'altra nel nome del Signore.

Ma espresso, come si diceva, il consenso, i cardinali gli prestino subito la dovuta obbedienza come a sommo pontefice. Una volta, poi, prestata l'obbedienza dai cardinali, a nessuno sia più lecito dubitare della legittimità del suo pontificato.

(Forma del consenso).

In nome della santa ed indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo.

lo N., eletto papa, col cuore e con la bocca confesso e prometto a Dio onnipotente, la cui chiesa col suo aiuto mi accingo a governare, e al beato Pietro, principe degli apostoli, che, fino a che vivrò questa fragile vita, crederò e terrò fermamente la fede cattolica come è stata tramandata dagli apostoli, dai concili generali, e dagli altri santi padri, specialmente dagli otto santi concili universali, e cioè dal primo di Nicea; dal secondo, di Costantinopoli; dal terzo, primo di Efeso; dal quarto, di Calcedonia; dal quinto e sesto, ugualmente di Costantinopoli; dal settimo, di Nicea; dall'ottavo, similmente di Costantinopoli; ed inoltre dal Lateranense da quelli di Lione, di Vienne, di Costanza, e di Basilea, concili generali anch'essi; prometto di conservare intatta questa fede fino all'ultima sillaba (28), di difenderla e di predicarla fino all'effusione della vita e del sangue; e similmente di seguire in ogni modo e di osservare il rito dei sacramenti della chiesa ad essa trasmesso.

Prometto anche di lavorare fedelmente per la difesa della fede cattolica, per la estirpazione delle eresie e degli errori, per la riforma dei costumi, e per la pace del popolo cristiano.

Giuro anche di attendere alla celebrazione dei concili generali e alla conferma delle elezioni, secondo le prescrizioni del sacro concilio di Basilea.

Ho sottoscritto questa professione di mia mano: la offro a te, con mente sincera, sull'altare, o l)io onnipotente, cui nel giorno del tremendo giudizio dovrò render conto di questo e di tutte le mie opere. Ripeterò solennemente questa professione nel primo concistoro pubblico.

Perché col passare del tempo una cosi salutare prescrizione non venga dimenticata dal sommo pontefice, ogni anno, nel giorno in cui si celebra l'anniversario della sua elezione o della sua incoronazione, durante la messa il primo dei cardinali presenti, pubblicamente, ad alta voce, legga in questo modo dinanzi al sommo pontefice: "Santissimo padre, rifletta la tua santità e consideri attentamente questa promessa che ha fatto a Dio il giorno dell'elezione". Quindi la legga; e in fine dica: "Veda, dunque, la santità tua, per l'onore di Dio, per la salvezza della sua anima, per il bene della chiesa universale, di osservare come meglio può quanto è stato premesso, in buona fede, senza inganno e frode.

Ricordati anche di chi fai le veci in terra: di colui, cioè, che diede la sua vita per le pecore (29), che per tre volte, prima di affidarle a Pietro, gli chiese se lo amasse (30); e che, giusto giudice, cui nessun segreto è nascosto (31), ti chiederà conto fino all'ultimo centesimo (32).

Ricordati di quanto hanno fatto il beato Pietro e gli altri pontefici che gli successero. Essi non pensarono ad altro che all'onore di Dio, alla propagazione della fede, al pubblico bene della chiesa, alla salvezza e all'utilità dei loro figli. E finalmente, ad imitazione del maestro e Signore, non esitarono a dar la vita per le pecore loro affidate.

Non voler accumulare tesori in terra, per te o per i tuoi, dove la tignola e la ruggine li consumano, dove i furfanti e i ladroni scassinano; ma accumula per il cielo (33).

Non fare accezione di persone, di sangue, di patria, di nazione (34). Tutti sono figli di Dio e affidati ugualmente alla tua cura. E di', come Cristo: Chi farà la volontà del Padre mio, che è nei cieli, quegli è mio fratello, mia sorella, mia madre (35).

Nell'assegnare le dignità e i benefici, non considerare la carne, i doni, o altro motivo temporale, ma solo Dio, le virtù e i meriti delle persone. Nel correggere i difetti, usa la disciplina ecclesiastica, memore di quale grazia meritò Pincas (36), di quale pena meritò Eli (37), l'uno riparando le

ingiurie fatte a Dio, l'altro fingendo di non vedere. Difendi; aiuta e sostieni i poveri e i miseri. Usa con tutti una paterna carità".

Terminate le solennità dell'incoronazione – e poi ogni anno dopo l'anniversario dell'incoronazione – almeno per otto giorni di seguito il sommo pontefice studi attentamente con i cardinali quale sia il modo migliore per mettere in pratica quello che con tanta solennità ha promesso a Dio.

E per prima cosa esamini con attenzione in quale parte del mondo la religione cristiana sia perseguitata dai Turchi, dai Saraceni, dai Tartari, e dagli altri infedeli; in quale regione prosperi l'eresia, lo scisma o qualsiasi altra specie di superstizione; in quali province i costumi, l'osservanza dei divini comandamenti e il retto modo di vivere vadano peggiorando, sia nel campo ecclesiastico che in quello secolare; ove, inoltre, la libertà della chiesa viene conculcata; tra quali re, principi e popoli imperversino gli odi, le guerre, o i pericoli di guerre. E dovunque come padre pietoso, cerchi di provvedere diligentemente, assieme ai suoi fratelli, con opportuni rimedi.

Provveduto a questi affari di carattere più universale ponga mano a ciò che gli è più vicino; e cominci ad ordinare in modo esemplare la casa, la servitù, la curia romana, dove e come riterrà necessario, e a riformarle sul serio, di modo che dalla sapiente riforma di quella che è la prima di tutte le altre chiese, le altre, che sono minori, sappiano attingere la purezza dei costumi, e non si dia ad alcuno occasione di calunnia e di maldicenza.

Cercando, quindi, di vigilare attentissimamente e di far vigilare sui grandi e sui piccoli, non tardi a correggere tutto ciò che egli troverà degno di correzione, e non lo dissimili, ben sapendo che doppio è il peccato: uno, quello che li si commette; l'altro, assai più grave, quello che ne consegue. Qualsiasi cosa, infatti, si compie nella curia romana facilmente viene preso come esempio. Di conseguenza, se languisce il capo, il male invade tutto il resto del corpo. La casa del pontefice, invece, e la curia devono essere come uno specchio terso; e gli altri, guardandolo, devono potersi conformare ad esso e vivere secondo il suo esempio.

Disperda, perciò, e sradichi del tutto da esse qualsiasi macchia di simonia, qualsiasi indegno concubinato, e qualsiasi cosa che possa offendere Dio o scandalizzare gli uomini.

Curi che i suoi impiegati non amministrino male i loro uffici; che non gravino nessuno, che non estorcano nulla abusando del loro potere o illecitamente; e che i capi degli officiali non permettono che le loro mancanze restino impunite. Non permettono neppure che qualcuno usi vesti e colori proibiti dai sacri canoni.

Istruisca con cura il clero romano, che gli è particolarmente e immediatamente soggetto, in ogni virtù ecclesiastica, ammonendolo che Dio non si compiace delle pompe dei vestiti, ma dell'umiltà, della dignità, della purezza della mente, della semplicità del cuore, della santità dei costumi, e dell'ornamento delle altre virtù: queste raccomandano chi le ha a Dio e agli uomini.

Riformi, inoltre il culto divino nelle chiese di Roma perché venga esercitato con la venerazione e disciplina che si conviene. Insegni, istruisca, diriga il popolo di Roma, che è la sua parrocchia per la via della salvezza. Imponga ai cardinali che visitino e riformino i loro titoli e le loro parrocchie, come è dovere del loro ufficio. Costituisca vicario in Roma un prelato di grande scienza, di vita provata ed esemplare, il quale eserciti la cura di vescovo in sua vece verso il clero e il popolo. E si informi spesso se questi attende diligentemente al suo ufficio.

Dopo di ciò attenda con cura, insieme ai suoi fratelli cardinali agli affari temporali della chiesa romana, provveda perché le province, le città, i paesi, i castelli, le terre soggette alla stessa chiesa, siano governati nella giustizia e nella pace; cioè con tale moderazione, che tra il governo degli ecclesiastici e quello dei principi secolari vi sia la stessa differenza che vi è tra il padre e il padrone.

Non abbia di mira il guadagno, ma la protezione e la tutela; e scaldando tutti con la paterna carità, li consideri non tanto sudditi, quanto figli. E poiché ha la loro cura spirituale, cerchi di togliere di mezzo ogni odio di parte e le sedizioni, specie dei guelfi e dei ghibellini, e qualsiasi altro nome simile a questi, che uccide le anime e i corpi; e con ogni industria cerchi di conservarli tutti, unanimemente, a difesa della chiesa, eliminando, con pene spirituali e temporali, e con tutti i modi a sua disposizione, ogni causa di dissenso.

A governare le province e le città principali destini i cardinali, o prelati di fama integra ed incorrotta, che non siano avidi di denaro, ma che attendano a procurare la giustizia e la pace ai loro sudditi. Il loro incarico duri due anni, o, al massimo, tre.

E poiché è normale che ciascuno renda conto della sua amministrazione (38), vengano scelte, alla fine di ogni legazione, una o due persone ragguardevoli che ascoltino la relazione dell'amministrazione, le lamentele e le richieste dei cittadini e facciano giustizia. Quello che esse non possono fare, lo riferiscano al papa, il quale deve in ogni modo conoscere ciò che è stato fatto: e se risulterà che essi hanno agito illecitamente in qualche cosa, non li lasci impuniti in modo che i loro successori imparino dal loro esempio a guardarsi da quanto non è lecito.

Perché gli officiali non debbano appropriarsi di ciò che è illecito, si stabilisca per essi un giusto salario, con cui possano vivere onestamente.

Si informi spesso il sommo pontefice sul governo dei legati, dei governatori e dei commissari, nonché dei vicari e dei feudatari della chiesa romana e se per caso non gravino i sudditi di nuove tasse ed esazioni. E non tolleri severità o ingiusti pesi imposti ai sudditi; sarebbe, infatti, empio tollerare che quelli che il papa da sé governerebbe paternamente, siano trattati malamente dagli altri.

Procuri anche che le antiche disposizione e costituzioni, con cui le province e le terre sono governate con buoni effetti, vengano conservate fedelmente. E se vi fossero leggi emanate in seguito per invidia o per partigianeria, conosciuto il motivo, vengano riviste e riformate.

Entro un anno dal giorno della sua elezione il Romano pontefice convochi gli ambasciatori o procuratori delle province e delle principali città della chiesa romana e mostrando loro l'affetto di un amore paterno, si informi sullo stato e sulla condizione delle loro terre; come fossero trattati all'epoca del suo predecessore; se siano gravati da qualche ingiusto peso; e veda che cosa si possa fare perché il loro governo sia salutare. E finalmente apporti in ogni cosa i rimedi necessari. E non gli dispiaccia di ripetere tutto ciò almeno di biennio in biennio.

Tra le altre cose, poi, che i feudatari, i capitani, i governatori, i senatori, i castellani e gli altri più alti officiali di Roma e dei territori della chiesa devono giurare, vi sia anche questa: che giurino, cioè, nella loro assunzione, che durante la sede vacante essi reggeranno le città, le terre, i luoghi, le fortezze, i castelli e i popoli secondo gli ordini dei cardinali, a nome della chiesa romana, e che li riconsegneranno liberamente e senza alcuna opposizione.

Perché, inoltre, il sommo pontefice non sembri esser mosso da affetto umano, più che dal giudizio della ragione, e perché si possano evitare gli scandali che, per quanto si può dedurre dall'esperienza, spesso ne sono seguiti, in avvenire non nomini e non permetta che qualche suo consanguineo od affine, fino al terzo grado incluso sia duca, marchese, conte, feudatario, enfiteuta, vicario, governatore, officiale, castellano di qualche provincia, città, paese, castello, fortilizio, o luogo della chiesa romana, e che abbia giurisdizione e autorità su questi luoghi, o sia capitano, o duce di gente d'armi.

Gli stessi cardinali, se il sommo pontefice volesse fare diversamente, non consentano in nessuna maniera. E facciano in modo che il pontefice successivo riveda completamente e revochi ciò che fosse stato fatto diversamente.

Secondo la costituzione di papa Nicolò IV, questo santo sinodo stabilisce che ai cardinali della santa chiesa romana sia destinata metà di tutti i frutti, redditi, proventi, multe, condanne e tasse, che provengono da qualsiasi terra e luogo soggetto alla chiesa romana; e che la scelta e la destituzione di tutti i reggitori, dei governatori e dei custodi, comunque essi si chiamino, che presiederanno alle terre e ai luoghi suddetti, ed anche di quelli che raccoglieranno i frutti, debbano esser fatte col consiglio e col consenso degli stessi cardinali.

Questo santo sinodo ammonisce, quindi, i cardinali per ché proteggano le terre e i sudditi della chiesa romana dalle ingiustizie e dalle oppressioni e, avendo di mira la pace, la salvezza e il loro buon governo, li mettano in buona luce, se fosse necessario, presso il sommo pontefice.

Se, poi, il sommo pontefice e i cardinali devono avere una grande cura di tutte le terre della chiesa romana, tuttavia hanno il dovere di rivolgere sollecitamente le loro cure alla città di Roma e nutrire verso di essa un amore ed un affetto particolare: è, infatti, la loro figlia particolare e la loro principale parrocchia, nella quale riposano i corpi sacri dei beati Pietro e Paolo e di innumerevoli martiri di Cristo e dei santi; dov'è la sede del romano pontefice, e da dove egli stesso e l'impero romano regnano; e nella quale confluiscono per devozione tutti i cristiani, perché sia governata nella pace, nella tranquillità e nella giustizia, e non debba soffrire danno nelle sue chiese, nelle sue mura, nelle sue vie, e nella sicurezza delle strade.

Perciò questo santo sinodo stabilisce che una parte adeguata di tutti i redditi e proventi di Roma venga destinata alla conservazione delle chiese, delle mura, delle vie, dei ponti, della sicurezza delle strade della stessa Roma e del suo distretto. Ciò venga fatto per mezzo di uomini di nota fama, da scegliersi col consiglio dei cardinali.

Dato che il sommo pontefice si professa servo dei servi di Dio, lo dimostri con le opere. E dal momento che da ogni parte la gente viene a lui come al padre comune, egli consenta che tutti possano facilmente recarsi da lui. Stabilisca, quindi, almeno un giorno alla settimana per l'udienza pubblica nella quale possa ascoltare pazientemente e benignamente tutti, specie i poveri e gli oppressi e, per quanto gli è possibile in coscienza li accontenti, e, come padre coi figli, provveda benevolmente a tutti col consiglio e con l'aiuto, secondo le loro necessità e conforme alle sue possibilità. Se ne fosse impedito da qualche materiale necessità, ne affidi l'incarico a qualche cardinale o ad altra degna persona, che gli riferisca ogni cosa; e comandi a tutti gli officiali della curia, specialmente al vice cancelliere, al penitenziere e al camerlengo di sbrigare le cose dei poveri subito e gratis, memore della carità apostolica, per cui Pietro e Paolo si diedero la destra, perché si ricordassero dei poveri (39).

Nelle domeniche e nei giorni festivi celebri pubblicamente la messa, dopo la quale per qualche tempo dia udienza ai bisognosi. Ogni settimana, o almeno due volte al mese, tenga pubblici concistori, in cui tratti i problemi delle chiese cattedrali e dei monasteri, ovvero dei principi e delle università, ed altre cose d'importanza. Rimetta le liti e le cause minori al vice cancelliere. Egli, quanto più può, resti estraneo dai litigi e dalle questioni di minore importanza, perché possa attendere più liberamente a quelle più gravi.

Poiché i cardinali della santa chiesa romana sono ritenuti parte del corpo del romano pontefice, è utilissimo per la cristianità che, secondo l'antica consuetudine, le questioni più gravi e più difficili, in futuro siano risolte col loro consiglio, sotto la loro direzione, e dopo matura deliberazione, specie per quanto riguarda le decisioni delle cause della fede, le canonizzazioni dei santi, le elezioni, le soppressioni, le divisioni, le soggezioni, le unioni delle chiese cattedrali e dei monasteri, le promozioni di cardinali, le conferme e le provviste delle chiese cattedrali e dei monasteri, le privazioni e i trasferimenti degli abati, dei vescovi e dei loro superiori, le leggi, o costituzioni, le legazioni de latere, ossia le nomine dei vicari e dei nunzi con autorità di legati de latere, la fon- dazione di nuove istituzioni religiose, le nuove esenzioni alle chiese e ai monasteri o alle cappelle, o le revocazioni di quelle

già fatte loro, salvo il decreto del concilio di Costanza sul non doversi trasferire i prelati contro la loro volontà.



continua

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