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Concilio di Basilea, Ferrara, Firenze, Roma (1431-1437)

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2008 14:45
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24/11/2008 14:43

(Numero e qualità dei cardinali).

Poiché i cardinali della santa chiesa romana affiancano il sommo pontefice nel governo della chiesa, bisogna che siano di tale virtù, da esser davvero, come indica il loro nome, cardini, sui quali girino e poggino le porte della chiesa universale.

Stabilisce, quindi, il santo sinodo, che in futuro il loro numero sia talmente limitato, da non esser di aggravio alla chiesa (la quale al presente, per i tempi tristi che corrono, è afflitta da molti mali), e da non svilire la loro dignità con un numero eccessivo.

Siano scelti da tutte le re,-ioni della cristianità, per quanto è possibile, perché si possa avere più facilmente la conoscenza dei problemi che emergono nella chiesa, e si, possa provvedere ad essi in modo più maturo; perciò tra quelli esistenti e quelli da nominarsi non superino il numero di ventiquattro, e di una nazione non ve ne possano essere oltre un terzo di quelli esistenti in un dato momento, e da una città e diocesi non ne possa provenire più di uno, e non se ne crei di quella nazione che ora superasse il terzo sin che non siano ridotti a questa proporzione.

Siano uomini che spiccano per la loro scienza, per i loro costumi, per l'esperienza delle cose; non abbiano meno di trenta anni; siano maestri, dottori o licenziati con rigoroso esame nel diritto divino o umano. Almeno la terza o quarta parte di essi sia costituita da maestri o licenziati in sacra Scrittura.

Tra questi ventiquattro potranno esservi - ma in numero limitatissimo - alcuni figli, fratelli o nipoti di re o di grandi principi, che con l'esperienza e la maturità dei costumi abbiano anche la dovuta cultura nelle lettere.

Non siano creati cardinali i nipoti del romano pontefice, figli di fratelli o di sorella, o i nipoti di qualche cardinale vivente; non quelli nati illegittimamente; non gli imperfetti nel corpo, o macchiati per qualche delitto o per infamia.

A questo numero di ventiquattro, per una grande necessità o in vista di una grande utilità per la chiesa, potranno essere aggiunti altri due nei quali brilla la santità della vita o eminenti virtù, anche se non avessero i gradi richiesti ed anche alcuni insigni Greci, quando si saranno uniti alla chiesa romana.

L'elezione dei cardinali non sia fatta con voto orale, ma siano eletti solo quelli su cui, fatto un vero scrutinio pubblico, risulti essersi trovata d'accordo la maggioranza dei cardinali con firma fatta di propria mano.

Vengano redatte anche, poi, le lettere apostoliche, firmate dai cardinali, restando sempre fermo, naturalmente, in tutto il suo vigore, il decreto di questo sacro concilio, pubblicato solennemente nella quarta sessione (40).

Quando i cardinali riceveranno le insegne della loro dignità, il cui significato è che essi non devono temere di versare, se necessario, il proprio sangue per il bene della chiesa universale - giureranno in pubblico concistoro, se sono in curia; se fossero assenti, giureranno pubblicamente nelle mani di un vescovo, a cui sia stato conferito l'incarico con lettere apostoliche, nelle quali sia inclusa la formula del Giuramento.

(Delle elezioni)

Da tempo questo santo sinodo, abolita la generale riserva di tutte le chiese e dignità, elettive, stabilì provvidamente che alle chiese e dignità suddette si dovesse provvedere con elezioni canoniche e con le conferme. Con ciò voleva proibire anche le riserve speciali o particolari delle stesse chiese e

elettive, con cui si potesse impedire la libera facoltà, in esse, di eleggere e di confermare, e che il romano pontefice non facesse nulla contro questo decreto, a meno che vi fosse un motivo grave, ragionevole e chiaro, da esprimersi chiaramente nelle lettere apostoliche.

Poiché tuttavia molte cose sono state compiute senza questo giusto motivo contro l'intenzione del decreto, e con gravi conseguenze, - e si temono scandali sempre più gravi - questo santo sinodo volendo ovviare a ciò, e non volendo, d'altra parte, che l'intenzione del decreto - che fu quella di togliere qualsiasi ostacolo dalle elezioni e dalle conferme canoniche - venga frustrata nel suo effetto, stabilisce che le elezioni in queste chiese avvengano senza impedimento od ostacolo, e che esse, dopo averne esaminato lo svolgimento secondo il diritto comune e il decreto suddetto, vengano confermate.

Tuttavia se avvenisse qualche volta che si facesse una elezione, pur canonica sotto altri aspetti, ma che si teme possa portare a qualche disordine per la chiesa, per la patria, o per il bene pubblico, quando sarà deferita a lui la conferma, il sommo pontefice ove costasse che vi è tale urgentissima ragione, dopo averla discussa ed aver ottenuto il consenso scritto dei cardinali o della maggioranza di essi, che dichiarano che la causa è vera e sufficiente, respinta tale elezione, la rimetta al capitolo o al convento perché, entro il tempo stabilito dal diritto, o entro un altro termine a seconda della distanza del luogo, procedano ad altra elezione, da cui non si prevedano tali conseguenze.

(Delle riserve).

Poiché le molte riserve di chiese e di benefici fatte finora dai sommi pontefici sono riuscite di non piccolo peso per le chiese, questo santo sinodo le abolisce tutte, sia quelle generali che quelle speciali o particolari, - per qualsiasi chiesa e beneficio cui si è soliti provvedere con l'elezione, col conferimento o con altra disposizione, - introdotte sia con le estravaganti Ad regimen, ed Exsecrabilis, che con le regole della cancelleria, o con altre costituzioni apostoliche. Stabilisce, inoltre, che in futuro tali riserve non vengano assolutamente più fatte, eccetto solo quelle contenute espressamente nel diritto, e quelle relative ai territori direttamente o indirettamente soggetti alla chiesa Romana.

SESSIONE XXIV (14 aprile 1436)

(Salvacondotto dato ai greci).

Il sacrosanto sinodo generale di Basilea, riunito legittimamente nello Spirito santo, espressione della chiesa universale. Per volontà di Dio il sinodo universale ed ecumenico dovrà essere celebrato in occidente e nell'obbedienza della chiesa romana. In esso converranno, secondo quanto è stato concordato in questo santo sinodo, e poi ratificato a Costantinopoli, sia la chiesa occidentale che quella orientale.

Perché, dunque, sia chiara a tutti la sincerità della nostra intenzione verso la chiesa orientale e venga meno ogni sospetto che potrebbe sorgere circa la sicurezza e la libertà di quanti verranno, col presente decreto questo santo sinodo di Basilea, a nome e in vece di tutta la chiesa occidentale e di tutti quelli che ad essa appartengono, di qualsiasi stato siano, anche papale, imperiale, regale, vescovile, o di qualsiasi altra inferiore dignità, potestà, o ufficio spirituale o secolare siano rivestiti, stabilisce, dà e concede al serenissimo imperatore dei Greci, ai reverendissimi patriarchi costantinopolitano, alessandrino, antiochieno, e gerosolimitano, e agli altri, fino al numero di settecento persone - anche se fossero di dignità imperiale, regale, arcivescovile e di qualsiasi altro stato, o condizione, - che verranno ora o in futuro per celebrare il concilio universale ed ecumenico in occidente, come è stato già detto, concede un completo e libero salvacondotto. Esso ha preso e prende con le presenti lettere sotto la sua certa e sicura salvaguardia tutti e ciascuno dei predetti, per quanto riguarda sia le loro persone che gli onori e qualsiasi altra loro cosa, nei regni, province, domini, territori, comuni, città, castelli, paesi, villaggi, e in tutti i luoghi dell'obbedienza della chiesa occidentale, attraverso, i quali essi passeranno o che avranno la sorte di toccare, nel venire, fermandosi, o nel tornare. Promette, inoltre, con questo decreto sinodale e concede a tutti e a ciascuno di essi sicura e libera facoltà di andare a venire nella o presso la città o il luogo nella quale o nel quale dovrà esser celebrato il predetto, sacrosanto concilio universale; di stare, dimorare, risiedere abitare li con tutte le immunità, libertà, garanzie di sicurezza con cui vi abitano quelli che appartengono alla chiesa romana, ed anche di disputare e ragionare, di allegare i diritti e le autorità, e di fare, dire, trattare con tutta libertà e senza impedimento di nessuno, tutte quelle cose che sembrerà loro necessario ed opportuno per la unione delle chiese del Cristo.

Essi potranno andarsene a loro piacere e ritornare una o più volte, e tante volte quante sembrerà e piacerà loro, sia soli che insieme, con i loro beni, cose, denaro, o senza di essi, tranquillamente, liberamente, impunemente, senza alcun impedimento per le cose o le persone, anche se - Dio non voglia! - tale unione non seguisse e non avesse effetto. In questo ed in qualsiasi altro caso, il serenissimo imperatore, i signori patriarchi e gli altri sopra nominati, completamente a nostre spese e con nostre galere, senza alcun indugio e senza alcun impedimento, con gli stessi onori, benevolenza e amicizia con cui saranno condotti a celebrare il concilio universale, saranno anche ricondotti a Costantinopoli, sia che durante la celebrazione del concilio ecumenico segua l'unione, sia che non segua. Tutto ciò, non ostante qualunque differenza che possa esservi nelle cose già accennate, o in qualcuna di esse; non ostante le discordie e i dissensi che vi sono al presente e che potrebbero sorgere ed esservi in futuro fra le chiese occidentale ed orientale, ossia tra la stessa chiesa romana e quelli che sono ad essa soggetti e aggregati, e il serenissimo imperatore e gli altri aderenti alla chiesa di Costantinopoli; non ostante sentenze, decreti, condanne, leggi e decretali in qualsiasi modo ed in qualsiasi maniera fatte ed emesse, o da farsi; ed anche non ostante accuse, eccessi, colpe e delitti, qualora ne fossero commessi e perpetrati in qualunque modo ed in qualunque maniera dalle due parti o da una di esse; e, in generale, non ostante qualsiasi altro impedimento, fosse anche tale per cui fosse necessario farne speciale menzione nelle presenti lettere.

E se per caso avvenisse che uno o qualcuno dei nostri facesse ingiuria ad essi o ad alcuno di essi, o arrecasse loro qualche molestia nella persona, nell'onore, nelle cose o in qualsiasi altro campo, chi manca in tal modo verrà giudicato da noi o dalla nostra parte, in modo da dare alla parte lesa una giusta e ragionevole soddisfazione.

Analogamente, se qualcuno di loro faccia, come abbiamo detto, qualche ingiuria a qualcuno dei nostri, sarà giudicato da loro fino a dare una degna e ragionevole soddisfazione a colui che ha sofferto l'ingiuria, secondo l'uso e la consuetudine di ognuna delle due parti.

Quanto agli altri crimini, mancanze e colpe di qualsiasi genere, ciascuna di esse istituirà il processo e giudicherà dei suoi.

Questo santo sinodo, infine, esorta tutti i cristiani, e inoltre con l'autorità della chiesa universale, in virtù dello Spirito santo e di santa obbedienza comanda e ordina a tutti e singoli i prelati, i re, i duchi, i principi, gli officiali, le comunità, e alle altre singole persone, di qualsiasi stato, condizione e dignità essi siano, appartenenti alla nostra chiesa occidentale, che osservino inviolabilmente quanto è stato detto nel suo complesso ed in ogni singolo punto, e, per quanto sta in essi, lo facciano osservare; che onorino e trattino con benevolenza e con reverenza il serenissimo imperatore e tutti gli altri e ciascuno di quelli che verranno per la celebrazione del sacro concilio, e quando se ne riandranno, sia insieme che singolarmente; e li facciano onorare e trattare allo stesso modo.

Se dovesse sorgere qualche dubbio circa il salvacondotto e quanto esso contiene, si starà alla dichiarazione del sinodo universale che sarà celebrato.

Questo santo sinodo vuole che il presente salvacondotto abbia valore e conservi la sua validità fino a che, in ultimo, il serenissimo imperatore, i patriarchi, e le altre persone suddette coi loro nobili e coi loro servi - fino al numero, come già detto, di settecento - e con le altre cose e beni, non saranno tornati nella città di Costantinopoli.

Se poi qualcuno tentasse di fare qualche cosa contro quanto abbiamo detto o qualche sua singola disposizione, sappia che egli incorrerà nella indignazione di Dio onnipotente e del santo sinodo.

SESSIONE XXV (7 maggio 1437)

(Delle località del futuro concilio ecumenico per i Greci).

Il sacrosanto sinodo di Basilea, riunito legittimamente nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.

Poco fa questo sacrosanto sinodo, tra le varie cure con le quali la inscrutabile provvidenza della divina profondità, per l'invocazione del suo spirito Paraclito, si è degnata adunarlo e spingerlo a coltivare il campo del gregge del Signore, come zelante agricoltore, ha prestato particolare attenzione alla deplorevole divisione delle chiese occidentale ed orientale che dura da tanto tempo nella chiesa di Dio, pur nella professione della stessa fede. Attingendo speranza e fiducia alla clementissima bontà di colui, presso il quale niente è impossibile (41) e che dà abbondantemente (42) e largamente a chi lo supplica in modo conveniente, per ristabilire tra le stesse chiese l'unità della fede cattolica, il concilio ha stabilito di mettere in opera le risorse della sua diligenza con tanto maggiore accuratezza, senza badare a fatiche e a spese, quanto più prevede che da ciò possa sgorgare, a lode e gloria di Dio onnipotente, una più abbondante salute delle anime e un maggior incremento della stessa fede.

Desiderando, quindi, con l'aiuto della grazia dello Spirito santo, affrontare ed abbracciare questa salutarissima opera dell'unione, ha creduto bene con diversi inviati e lettere di invitare ed esortare il serenissimo imperatore, il venerabile patriarca di Costantinopoli e gli altri prelati e il popolo dei Greci a compiere quest'opera.

L'imperatore e il patriarca e gli altri Greci, sotto l'influsso dell'Altissimo, che ha infiammato i loro cuori, hanno accolto queste esortazioni con animo gioioso ed hanno manifestato con sincerità di voler affrontare il problema dell'unione. Hanno quindi pensato di mandare allo stesso sacrosanto

sinodo, con grande solennità, i loro ambasciatori e nunzi con adeguato mandato, autenticato con bolla d'oro e con firma autentica dell'imperatore, e con bolla d'argento del patriarca greco, perché con somma devozione esprimessero il loro vivissimo zelo per questa unità della fede. Con essi questo santo sinodo, dopo varie trattative e deliberazioni, ha convenuto alcuni decreti e convenzioni per l'esecuzione e il felice compimento di un'opera cosi salutare, recentemente pubblicati solennemente in una delle sessioni del santo si- nodo nella cattedrale di Basilea.

Volendo poi, questo santo sinodo mettere in esecuzione, con tutte le vie e i modi necessari ed opportuni questi decreti e convenzioni e procedere con sollecitudine, conforme ad essi, alla scelta del luogo per il futuro concilio ecumenico, a cui potessero e dovessero partecipare l'imperatore, il patriarca e gli altri Greci, si ebbero su questo ed altri problemi riguardanti questa santa questione, diverse proposte e discussioni nelle diverse commissioni dello stesso sinodo, che furono concluse una per una con uno scrutinio diligente dei voti dei partecipanti. Finalmente, nella congregazione generale, indetta a questo scopo nella chiesa cattedrale citata, secondo la prassi, esaminati nuovamente i voti dei singoli, si è costatato ripetutamente che la maggioranza ed anche più erano per Basilea, per Avignone o per la Savoia.

Invocata, allora, la grazia dello Spirito santo, dopo la santa messa si concluse e si convenne di fare presso l'imperatore, il patriarca e gli altri Greci predetti diligente e dovuta istanza, allegando ed esponendo le ragioni perché essi volessero accettare la città di Basilea per celebrarvi il concilio ecumenico. Se non l'avessero accettata, allora il luogo per celebrare il concilio ecumenico sarebbe stata la città di Avignone. E se neppure in essa questo avesse potuto esser celebrato, allora sarebbe stato celebrato nella Savoia.

Perché, quindi, tutte e singole le proposte accennate possano sortire il dovuto e desiderato effetto, con tutta la solennità solita ad essere usata altre volte in questo sacro concilio di Basilea quando si trattava di condurre a termine affari di una certa gravità, mentre i padri, dopo la s. messa siedono nella chiesa maggiore di Basilea, questo santo Sinodo determina, vuole, stabilisce, ordina e dichiara che il futuro concilio ecumenico, secondo la conclusione sopra accennata, debba esser celebrato nella città di Basilea, o, se questa fosse rifiutata, in Avignone oppure nella Savoia.

Inoltre, l'imperatore, il patriarca e gli altri Greci, in, conformità a queste disposizioni e a questi decreti, e ugualmente tutti e singoli gli altri, di qualunque grado, stato, dignità o preminenza essi siano, che per diritto o per consuetudine hanno il dovere di prender parte ai concili generali, anche se rivestiti di dignità vescovile, - siano tenuti e debbano recarsi e andare ad esso, specie per portare a compimento un'opera cosi salutare.

Il santo sinodo vuole, stabilisce e determina che questa scelta sia ferma, inconcussa ed inviolabile, cosicché qualsiasi altra modifica, ordinamento, disposizione, designazione o scelta, fatta o fatte dallo stesso sacro concilio o da qualche altro, o da altri, qualsiasi autorità essi possano avere, anche papale, in senso contrario, non abbia o non abbiano alcun valore; e questo santo sinodo le rende vane, cancella, revoca, annulla, da ora, con cognizione di causa, cioè le denunzia come cancellate, nulle e vane, e vuole che esse siano considerate come non fatte, e tali le considera, in ciò in cui esse si oppongono o sono in contrasto, in tutto o in parte, con la scelta suddetta.

Con cognizione di causa supplisce anche, questo santo sinodo a qualsiasi difetto, che possa essere sfuggito in ciò che riguarda quanto abbiamo detto o qualche suo punto in particolare.

Inoltre, poiché un'impresa cosi grandiosa, che porterà alla chiesa di Dio molto frutto, non potrebbe essere condotta a termine, e i Greci non potrebbero esser condotti qua e mantenuti senza gravi spese; e poiché è giusto e doveroso che per il compimento di un'opera cosi bella tutti i fedeli, e specie le persone ecclesiastiche, si prestino con generosa larghezza con le sostanze del patrimonio del signore nostro Gesù Cristo loro affidato, questo santo sinodo decreta, stabilisce e dichiara che a tutti e singoli gli ecclesiastici, esenti e non esenti, con qualsiasi formula, anche a quelli dell'ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, di qualunque stato, dignità, grado, ordine, condizione essi siano, anche se insigniti della dignità cardinalizia o vescovile, venga imposta la decima generale di tutti e singoli i loro frutti e proventi ecclesiastici eccettuate solo le distribuzioni quotidiane - provenienti dalle loro chiese, monasteri, dignità e uffici, e dagli altri benefici ecclesiastici, già imposta e conclusa nella sua congregazione generale, perché sia pagata e riscossa.

Inoltre lo stesso santo sinodo stabilisce, vuole, ordina e dichiara che i venerabili fratelli Giovanni, vescovo di Lubecca; Ludovico, vescovo di Viseu; Delfino, vescovo di Parma e Ludovico, vescovo di Losanna, inviati dello stesso sacrosanto sinodo per condurre i Greci al luogo del concilio ecumenico e la maggior parte di essi, ora presente, hanno piena facoltà di scegliere e designare il porto latino più adatto e più vicino ai luoghi sopra scelti e nominati, e dà ad essi questa facoltà con le presenti lettere, secondo la forma delle altre lettere, date ad essi su questa impresa.

Vuole, da ultimo, questo santo sinodo, comanda e stabilisce che per la dovuta e desiderata esecuzione di quanto è stato detto e di quanto ne dipende, e per maggiore sicurezza di questi incaricati e del concilio, ad ogni loro richiesta ed istanza o dei loro procuratori o messi, siano loro concesse, compilate e sbrigate tutte le altre lettere opportune, utili e necessarie, con bolla dello stesso santo sinodo, attraverso la sua cancelleria, in forma dovuta e conveniente.

Il sacrosanto sinodo generale di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione della chiesa universale, a perpetua memoria.

Questo sacrosanto sinodo fin dal suo inizio, perché con l'assistenza della grazia dello Spirito santo venissero concretamente risolti i problemi per cui sono stati istituiti i concili generali, ha usato la massima diligenza per perseguire l'unione tra i popoli occidentali ed orientali; perché come a causa del lungo contrasto la chiesa di Dio è andata incontro a innumerevoli sventure, cosi dall'unione fraterna potesse conseguire la massima utilità. Per questo mandò a Costantinopoli suoi ambasciatori per promuovere questa santa opera; al loro ritorno, insieme con i solenni ambasciatori del serenissimo imperatore dei Romani e del venerabile patriarca di Costantinopoli, dopo lunghe trattative sull'argomento e matura deliberazione, finalmente tra questo sacro concilio e gli stessi ambasciatori furono concordate delle clausole, confermate in sessione pubblica.

In esse lo stesso santo sinodo si volle obbligare, per una cosi santa impresa, a mandare a Costantinopoli i suoi rappresentanti con alcune somme di denaro, due galere più grosse, due più piccole, trecento balestrieri entro un certo tempo, e a designare uno dei luoghi compresi nel decreto per il concilio ecumenico, dove l'imperatore e il patriarca con settecento persone potessero riunirsi con noi per portare a termine questa santa unione.

Il tempo di eseguire questi disegni è ormai alle porte e questo santo concilio desidera soddisfare completamente alle sue promesse e condurre alla desiderata conclusione un cosi pio negozio, di cui in questo tempo non potrebbe pensarsi uno più utile. Nelle sue discussioni, perciò, e poi nella congregazione generale è venuto a questa conclusione; che cioè Firenze o Udine, nel Friuli - da porsi sotto l'autorità del concilio - o qualunque altro luogo sicuro compreso nel decreto e comodo per il sommo pontefice e per i Greci, venga scelto per il concilio ecumenico: quello, cioè, tra gli elencati, che più presto avrà preparato e messo a punto le galere, il denaro e le altre cose necessarie, con tutte le opportune garanzie.

Il porto sia Venezia, Ravenna o Rimini: quello, di questi, che l'imperatore e il patriarca di Costantinopoli preferiranno.

Similmente, perché il clero non venera gravato senza motivo, si è deciso che la decima non venga stabilita né riscossa fino a che i Greci non siano sbarcati ad uno dei porti predetti; che per tutto il tempo determinato nel decreto il sacro concilio rimanga in questa città; e che i legati e i presidenti della sede apostolica, convocati i padri che a loro sembrerà, scelgano gli ambasciatori per condurre i Greci e per l'esecuzione di quanto convenuto. Questi dovranno insistere per la città di Basilea.

Perché, dunque, con l'assistenza della grazia divina, tutto ciò che abbiamo ricordato, nel suo complesso e in ogni singola parte, possa sempre aver l'effetto dovuto, in questa pubblica e solenne sessione il santo sinodo vuole, stabilisce, dichiara che la conclusione accennata rimane ferma, valida, da tenersi e da seguirsi; cancella, rende vano, annulla, dichiara vano, irrito, nullo, tutto ciò che da chiunque, sia era uno che da più, venga fatto o compiuto, o venisse fatto in futuro, o fosse attentato contro le precedenti disposizioni o contro quanto consegue da esse, o potesse impedire in

qualsiasi modo la loro esecuzione. E vuole anche che per la loro esecuzione i legati e presidenti apostolici facciano redigere qualsiasi lettera opportuna con bolla del concilio, nella forma dovuta e sbrighino tutte le altre pratiche necessarie o adatte a questa santa opera.

SESSIONE I (8 gennaio 1438)

(Dichiarazione del card. 2Vicola Albergati, presidente del concilio).

Noi, Nicola, legato della sede apostolica, dichiariamo solennemente che presiediamo a questo sacro sinodo, trasferito da Basilea a Ferrara e ormai legittimamente riunito, a nome del santissimo Signore nostro il papa Eugenio IV; e che oggi, 8 gennaio, ha avuto luogo la continuazione del medesimo concilio trasferito; e che da questo giorno in poi esso deve continuare per raggiungere gli scopi per cui fu riunito il sinodo di Basilea, anche in vista del concilio ecumenico in cui si possa trattare e, con la grazia di Dio, realizzare l'unione della chiesa occidentale con quella orientale.

SESSIONE IV (9 aprile 1438)

(Eugenio IV e i partecipanti al sinodo dichiarano il concilio di Ferrara legittimo ed ecumenico).

Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.

Dobbiamo davvero render molte grazie a Dio onnipotente, che, memore della sua antica misericordia, arricchisce sempre la sua chiesa e benché permetta che essa sia talvolta sconvolta dai flutti delle prove e delle tribolazioni, non permette mai, tuttavia, che venga sommersa; ma tra i flutti la conserva inviolata, e con la sua clemenza fa si che dalle varie prove essa esca sempre più forte.

Ecco, infatti che i popoli occidentali ed orientali, per tanto tempo separati gli uni dagli altri, si preparano a concludere un patto di concordia e di unità; e quelli che, separati reciprocamente da una lunga discordia, giustamente la sopportavano di mal animo, dopo molti secoli, certo sotto la spinta di colui, dal quale proviene ogni dono migliore (43), ora si riuniscono personalmente in questo luogo mossi dal desiderio della santa unione.

Noi comprendiamo dunque che nostro dovere è e deve essere quello di sforzarci in ogni modo perché questa felice impresa progredisca e giunga a felice conclusione, affinché noi meritiamo di essere, e di esser chiamati cooperatori di Dio.

Finalmente, il carissimo nostro figlio Giovanni Paleologo, imperatore dei Romani, il giorno 8 del mese di febbraio ultimo scorso è sbarcato a Venezia, cioè all'ultimo porto, col venerabile fratello Giuseppe, patriarca di Costantinopoli, con i rappresentanti delle altre sedi patriarcali e una grande moltitudine di arcivescovi e vescovi e nobili; qui, come aveva già fatto spesso, dichiarò apertamente di non poter recarsi, per giusti motivi, a Basilea per il concilio ecumenico, cioè universale, e lo annunciò con lettere a quelli che erano riuniti a Basilea, esortando e pregando tutti perché volessero trasferirsi a Ferrara, scelta per la celebrazione di questo concilio destinato ad attuare l'opera tanto pia di questa santissima unione.

Noi, quindi, cui stette sempre a cuore questa sacratissima unione, e che desideriamo ardentissimamente che sia condotta a termine, intendiamo eseguire diligentemente il decreto del concilio di Basilea, convenuto con gli stessi Greci, e rispettare la scelta del luogo per celebrare il concilio ecumenico fatta nel sinodo di Basilea, e quindi confermata da noi a Bologna, dietro istanza anche degli ambasciatori dell'imperatore e del patriarca, e tutte le altre cose che riguardano l'opera della santa unione, come del resto è nostro ufficio e dovere.

In ogni modo e forma, quindi, che ci sono possibili, decretiamo e comandiamo, col consenso dell'imperatore predetto e del patriarca e di tutti quelli che sono presenti a questo concilio, che è universale, ossia ecumenico, il sacro sinodo riunito in questa città di Ferrara, libera e sicura per tutti, e che tutti devono giudicarlo e chiamarlo cosi; in esso senza risse e liti e senza rigidità, anzi con ogni carità, deve essere discusso l'argomento dell'unione e con l'aiuto di Dio come speriamo - condotto felicemente a compimento, con tutti gli altri santi problemi, per la cui risoluzione questo santo sinodo è stato indetto.

SESSIONE VI (6 luglio 1439)

(Definizione del santo concilio ecumenico fiorentino).

Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria. Col consenso per quanto segue del nostro carissimo figlio Giovanni Palcologo, nobile imperatore dei Romani, dei rappresentanti dei venerabili fratelli nostri patriarchi, e degli altri che rappresentano la chiesa orientale.

Si rallegrino i cieli ed esulti la terra (44): è stato abbattuto il muro che divideva la chiesa occidentale e quella orientale ed è tornata la pace e la concordia, poiché quella pietra angolare, Cristo, che ha fatto delle due cose una sola (45), vincolo fortissimo di carità e di pace, ha congiunto le due pareti e le ha unite e le tiene strette col vincolo della perfetta unità. E dopo la lunga nebbia della tristezza e la scura e spiacevole caligine della lunga separazione, è apparso a tutti il raggio sereno della desiderata unione.

Gioisca anche la madre chiesa, che ormai vede i suoi figli, fino a questo momento separati, tornare all'unità e alla pace; essa, che prima piangeva amaramente per la loro separazione, ringrazi l'onnipotente Dio con ineffabile gaudio per la loro meravigliosa concordia di oggi. Esultino tutti i fedeli in ogni parte del mondo, e i cristiani si rallegrino con la loro madre, la chiesa cattolica.

Ecco, infatti: i padri occidentali ed orientali, dopo un lunghissimo periodo di dissenso e di discordia, esponendosi ai pericoli del mare e della terra, superate fatiche di ogni genere, sono venuti, lieti e gioiosi, a questo sacro concilio ecumenico col desiderio di rinnovare la sacratissima unione e l'antica carità. E la loro attesa non è stata vana.

Infatti dopo lunga e laboriosa ricerca finalmente, per la clemenza dello Spirito santo, hanno raggiunto la desideratissima e santissima unione. Chi potrebbe, quindi, rendere le dovute grazie per i benefici di Dio onnipotente? (46) Chi potrebbe non meravigliarsi per l'abbondanza di una cosi grande misericordia divina? Chi avrebbe un cuore tanto indurito da non essere commosso dalla grandezza della divina pietà?

Tali opere sono schiettamente divine, non frutto dell'umana fragilità. Esse devono essere accolte, quindi, con somma venerazione e celebrate con lodi a Dio. A te la lode, a te la gloria, a te il ringraziamento, Cristo, fonte di misericordie, che hai ricolmato di tanto bene la tua sposa, la chiesa cattolica ed hai mostrato a questa nostra generazione i prodigi della tua pietà, perché tutti lodino le tue meraviglie (47).

Dio, infatti, ci ha fatto davvero un dono grande e divino e abbiamo visto coi nostri occhi quello che molti, prima di noi avevano intensamente desiderato, ma non avevano potuto vedere (48).

Radunatisi, infatti, i Latini e i Greci in questo sacrosanto concilio ecumenico, gli uni e gli altri hanno posto grande impegno perché, tra le altre cose, con somma diligenza e assidua. ricerca fosse discusso anche l'articolo della divina processione dello Spirito santo.

Addotte, quindi, le testimonianze scavate dalle divine scritture e da molti passi dei santi dottori orientali ed occidentali, poiché qualcuno dice che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio, qualcuno, invece, che procede dal Padre attraverso il Figlio, dato che con diverse formulazioni tutti intendono la medesima realtà, i Greci affermano che dicendo che lo Spirito santo procede dal Padre non intendono escludere il Figlio; ma poiché sembrava loro, come dicono, che i Latini asseriscono che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio come da due principi e da due spirazioni, per questo si astengono dal dire che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio.

I Latini dal canto loro affermano che dicendo che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio non intendono escludere che il Padre sia la fonte e il principio di ogni divinità, cioè del Figlio e dello Spirito santo; né vogliono negare che il Figlio abbia dal Padre [il fatto] che lo Spirito santo procede dal Figlio; né ritengono che vi siano due principi o due spirazioni; ma affermano che unico è il principio ed unica la spirazione dello Spirito santo, come finora hanno asserito.

E poiché da tutto ciò scaturisce un unico ed identico senso della verità, finalmente con lo stesso senso e con lo stesso significato essi si sono intesi e hanno convenuto nella seguente formula d'unione, santa e gradita a Dio.

Nel nome della santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, con l'approvazione di questo sacro ed universale concilio fiorentino, definiamo che questa verità di fede debba essere creduta e accettata da tutti i cristiani; e così tutti debbono professare che lo Spirito santo è eternamente dal Padre e dal Figlio, che ha la sua essenza e l'essere sussistente ad un tempo dal Padre e dal Figlio, e che dall'eternità procede dall'uno e dall'altro come da un unico principio e da un'unica spirazione; e dichiariamo che quello che affermano i santi dottori e padri - che lo Spirito santo procede dal Padre

per mezzo del Figlio, - tende a far comprendere che anche il Figlio come il Padre è causa, secondo i Greci, principio, secondo i Latini, della sussistenza dello Spirito santo.

E poiché tutto quello che è del Padre, lo stesso Padre lo ha dato al Figlio con la generazione, meno l'essere Padre; questa stessa processione della Spirito santo dal Figlio l'ha dall'eternità anche il Figlio dal Padre, da cui è stato pure eternamente generato.

Definiamo, inoltre, che la spiegazione data con l'espressione Filioque, è stata lecitamente e ragionevolmente aggiunta al simbolo per rendere più chiara la verità e per necessità allora incombenti.

Similmente definiamo che nel pane di frumento, sia azzimo che fermentato, si consacra veramente il corpo del Cristo, e che i sacerdoti devono consacrare il corpo del Signore nell'uno o nell'altro, ciascuno, cioè, secondo la consuetudine della sua chiesa, occidentale o orientale.

Inoltre definiamo che le anime di chi, veramente pentito, muore nell'amore di Dio, prima di aver soddisfatto per i peccati e le omissioni con degni frutti di penitenza, vengono purificate dopo la morte con le pene del purgatorio; che, perché siano sollevate da queste pene, sono loro utili i suffragi dei fedeli viventi, cioè il sacrificio della messa, le preghiere, le elemosine, ed altre pratiche di pietà, che i fedeli usano offrire per gli altri fedeli, secondo le consuetudini della chiesa.

Le anime di quelli che dopo aver ricevuto il battesimo non sono incorse in nessuna macchia; e anche quelle che, dopo aver contratto la macchia del peccato, sono state purificate o durante la loro vita, o, come sopra è stato detto, dopo essere state spogliate dai loro corpi, vengono subito accolte in cielo e vedono chiaramente Dio stesso, uno e trino, cosi com'è, nondimeno uno più perfettamente dell'altro, a seconda della diversità dei meriti. Invece, le anime di quelli che muoiono in peccato mortale attuale, o anche solo nel peccato originale, scendono subito nell'inferno; subiranno tuttavia la punizione con pene diverse.

Definiamo inoltre che la santa sede apostolica e il romano pontefice hanno il primato su tutta la terra; che lo stesso romano pontefice è il successore del beato Pietro principe degli apostoli e vero vicario di Cristo, capo di tutta la chiesa e padre e maestro di tutti i cristiani; che a lui, nel beato Pietro, è stato dato da nostro signore Gesù Cristo pieno potere di pascere, reggere e governare la chiesa universale, come del resto è detto (49) negli atti dei concili ecumenici e nei sacri canoni.

Rinnoviamo, infine, l'ordine trasmesso nei canoni tra gli altri venerabili patriarchi, per cui il patriarca di Costantinopoli sia il secondo dopo il santissimo pontefice romano; che il terzo sia il patriarca alessandrino; il quarto quello di Antiochia; il quinto quello di Gerusalemme, salvi tutti i loro privilegi e diritti.

SESSIONE VII (4 settembre 1439)

(Decreto del concilio fiorentino contro il concilio di Basilea).

Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.

Mosè, uomo di Dio, zelante per la salvezza del popolo affidatogli e temendo che l'ira di Dio si abbattesse su di esso, se avesse seguito lo scisma sedizioso di Core, Datan e Abiron, per comando di Dio disse a tutto il popolo: Allontanatevi dalle tende degli empi, e non toccate quanto loro appartiene, perché non siate coinvolti nei loro peccati (50). Aveva compreso, infatti, per ispirazione del Signore stesso, che quei sediziosi e scismatici avrebbero ricevuto una gravissima punizione, come poi mostrarono gli avvenimenti, quando la terra stessa non poté sostenerli e li inghiotti, per giusto giudizio di Dio; e cosi discesero viventi nell'inferno.

Cosi anche noi, cui il signore Gesù Cristo, anche se indegni, si è degnato affidare il suo popolo, sentendo il delitto esecrando che alcuni scellerati hanno perpetrato in questi ultimi giorni a Basilea per scindere l'unità della santa chiesa, e temendo che possano sedurre con le loro frodi gli incauti e avvelenarli, ci vediamo costretti a gridare con uguali espressioni allo stesso popolo del signore nostro Gesù Cristo: Allontanatevi dalle tende degli empi (51); tanto più che il popolo cristiano è molto più numeroso di quello dei Giudei di allora e la chiesa è più santa della sinagoga, e il vicario di Cristo è superiore per autorità e dignità allo stesso Mosè.

Questa empietà dei Basileesi già da tempo l'avevamo prevista; vedevamo infatti quel concilio scivolare verso la tirannide: molti di grado inferiore, allora, venivano costretti ad andare o a restare secondo l'arbitrio dei capi di una fazione; i voti e i giudizi di parecchi venivano estorti con diversi artifici ed altri venivano ingannati con buie ed inganni; e quasi tutto doveva sottostare a cospirazioni, congiure, accaparramenti, conciliaboli, e per ambizione del papato si cercava di allungare all'infinito la durata del concilio, dove, infine, si introducevano innumerevoli novità, disordini, deformazioni e si perpetravano quasi infiniti mali, cui concorrevano anche chierici costituiti negli ordini sacri, ma ignoranti, inesperti, vagabondi, indisciplinati, fuggiaschi, apostati, condannati per crimini, fuggiti dalle carceri, ribelli a noi e ai loro superiori ed altri simili campioni, i quali attingevano da questi maestri di scelleratezze ogni macchia di corruzione.

Notiamo ancora per quanto riguarda l'opera santissima dell'unione della chiesa orientale, che noi la vedevamo in, serio pericolo proprio per l'inganno di alcuni faziosi.

Volendo, quindi, provvedere a tanti mali, almeno per quanto era in noi, per le ragioni accennate e per altre cause ragionevoli e necessarie, chiaramente esposte nel decreto di traslazione, col consiglio dei nostri venerabili fratelli cardinali della santa chiesa romana, con la piena approvazione di moltissimi venerabili fratelli e diletti figli arcivescovi, vescovi, abati e di altri prelati e maestri e dottori, abbiamo trasferito il concilio di Basilea nella città di Ferrara, dove abbiamo dato anche l'avvio, con l'aiuto di Dio, al concilio ecumenico con la chiesa occidentale ed orientale.

Poi, sopravvenuto il contagio della peste e dato che esso non cessava, con la grazia di Dio e con l'approvazione del sacro concilio lo abbiamo trasferito in questa città di Firenze; qui il piissimo e clementissimo Iddio ha mostrato le sue meraviglie: infatti lo scisma dannosissimo che si protraeva nella chiesa di Dio con enorme danno di tutta la cristianità da quasi cinquecento anni, alla cui estirpazione si erano duramente affaticati moltissimi santi pontefici nostri predecessori, molti re e principi ed altri cristiani con grandi fatiche e spese, finalmente, dopo molte discussioni pubbliche e private in entrambe le città, dopo diverse trattative e non poche fatiche, è stato eliminato ed è stata felicemente realizzata la santissima unione dei Latini e dei Greci, come più ampiamente viene riferito nel decreto precedentemente emanato e solennemente promulgato.

Perciò, rendendo all'eterno Padre innumerevoli grazie e gioiendo con tutto il popolo fedele, abbiamo offerto a Lui il sacrificio del giubilo e della lode. Abbiamo visto, infatti, chiamato alla terra promessa, non un solo popolo come quello Ebreo, ma popoli e nazioni e genti di ogni lingua (52) incontrarsi per proclamare e servire unanimemente la divina verità; per cui sorge ormai anche la grande speranza che lo stesso sole di giustizia (53), che sorge in oriente, estenda i raggi

della sua luce alle tenebre di molte altre genti, anche infedeli, e si operi la salvezza di Dio fino agli ultimi confini della terra (54).

Di tutto ciò abbiamo già, per divina volontà, ottime garanzie poiché Dio onnipotente, per mezzo nostro, ci ha concesso che gli ambasciatori degli Armeni giungessero in questi giorni dalle lontanissime parti del settentrione presso di noi, presso la sede apostolica e presso questo sacro concilio con pieni poteri.

Questi, considerandoci e venerandoci come il beato Pietro, principe degli apostoli, e riconoscendo nella stessa sede apostolica la madre e la maestra di tutti i fedeli, hanno affermato di essere venuti ad essa e al concilio per ottenere cibo spirituale e la verità della sana dottrina. Per questo avvenimento abbiamo di nuovo reso molte grazie al nostro Dio.

Ma lo spirito trema nel ricordare quante molestie, quante opposizioni, quante persecuzioni abbiamo incontrato finora in questa divina opera, e non certo dai Turchi o dai Saraceni, ma da chi si dice cristiano.

Riferisce s. Gerolamo che dai tempi di Adriano fino all'impero di Costantino sul luogo della resurrezione del Signore i pagani veneravano una statua di Giove e sul dirupo della croce una statua marmorea di Venere: gli autori della persecuzione credevano che avrebbero spento in noi la fede nella resurrezione e nella croce se avessero profanato quei luoghi coi loro idoli.

Qualcosa di simile è perpetrato in questi giorni, contro di noi e la chiesa di Dio da quegli sciagurati che sono a Basilea; sennonché quello è stato fatto da pagani, che non conoscevano il vero Dio; questo, da gente che lo conosce e lo odia (55); quindi la loro superbia, come dice il profeta, cresce sempre (56), e tanto più pericolosamente, inquantoché essi diffondono i loro veleni col pretesto della riforma, che essi però hanno sempre avuto in orrore per se stessi.

Per prima cosa, infatti, questi fautori di ogni scandalo a Basilea hanno mancato di fede ai Greci. Essi avevano appreso dagli ambasciatori degli stessi Greci e della chiesa orientale che il nostro carissimo figlio in Cristo Giovanni Paleologo, illustre imperatore dei Romani, Giuseppe, patriarca di Costantinopoli, di buona memoria, e gli altri sia prelati che membri della chiesa orientale intendevano recarsi al luogo legittimamente scelto per la celebrazione del concilio ecumenico dai nostri legati e presidenti e da altri dei più insigni personaggi a cui, dopo gravi dissensi tra i partecipanti al concilio, era stato devoluto il diritto di scegliere il luogo, secondo l'accordo raggiunto col comune consenso del concilio stesso. Sapendo anche che noi, dietro supplica e istanza dei suddetti ambasciatori nel concistoro generale di Bologna, avevamo confermato questa scelta e inviavamo a Costantinopoli le galere e le altre cose necessarie per l'opera di questa santissima unione con molte fatiche e denaro, hanno osato indirizzare un volgare documento di ammonizione o di citazione contro di noi e i suddetti cardinali, per interrompere questa santa impresa, e mandarlo all'imperatore e al patriarca di Costantinopoli per distoglierli - loro e tutti gli altri - dal venire. Sapevano bene, infatti, che essi, come si è detto, non sarebbero andati assolutamente in nessun altro posto, fuorché in quello scelto.

Inoltre, quando essi hanno saputo che l'imperatore, il patriarca e gli altri erano giunti da noi per l'opera santissima dell'unione, hanno tentato di tendere a quest'opera divina un altro laccio di empietà emanando cioè contro di noi un'empia sentenza di sospensione dall'esercizio del papato.

Da ultimo, questi maestri di scandali, - in verità pochissimi di numero, e quasi tutti di modestissima condizione e di nessun nome - veri odiatori della pace, accumulando iniquità su iniquità temendo di trovarsi davanti alla giustizia del Signore (57) accortisi che la grazia dello Spirito santo per l'unione dei Greci gia operava in noi, deviando dalla retta via per i tortuosi sentieri dell'errore, il 16 maggio scorso hanno tenuto una pretesa sessione, dichiarando di attenersi ad alcuni decreti, anche se emanati da una sola delle tre obbedienze, dopo la fu-a di colui che nella sua obbedienza era chiamato Giovanni XXIII quando a Costanza vi era ancora lo scisma. Essi hanno enunciato, considerando noi, tutti i principi e prelati e gli altri fedeli e devoti della sede apostolica come eretici, tre proposizioni, che chiamano verità di fede, e che sono contenute in queste frasi:

"La verità che enuncia il potere del concilio generale, espressione della chiesa universale, sul papa e su chiunque altro, dichiarata dai concili generali di Costanza e da questo di Basilea, è verità di fede cattolica.

Questa verità che il papa non può con la sua autorità sciogliere o prorogare ad altro tempo o trasferire da un luogo ad un altro, senza il suo consenso, un concilio generale espressione della chiesa universale, legittimamente riunito per le materie dichiarate nella suddetta verità o qualche loro punto particolare, è verità di fede cattolica.

Chi pertinacemente non accetta le predette verità dev'essere considerato eretico (58).

In ciò sono dannosissimi, perché camuffano la loro malvagità sotto parvenza di verità di fede e distorcono il concilio di Costanza ad un significato empio, riprovevole e dei tutto alieno dalla sua dottrina; e seguono l'insegnamento di tutti gli scismatici ed eretici, che cercano sempre di costruirsi i loro erronei ed empi dogmi sulla base delle divine scritture e dei santi padri, interpretati perversamente.

Finalmente, allontanando completamente il loro cuore e svolgendo altrove i loro occhi per non vedere il cielo e per non ricordare i giudizi dei giusti (59) a somiglianza di Dioscoro e del condannato sinodo di Efeso, con inespiabile scelleratezza sono giunti ad emanare una velenosa ed esecrabile sentenza circa la pretesa privazione della dignità e dell'Ufficio del sommo apostolato, il cui contenuto, inaccettabile per ogni mente sana, intendiamo qui sufficientemente espresso; e non hanno trascurato nulla, per quanto era in loro, per far naufragare completamente questo incomparabile beneficio dell'unione.

O figli miseri e degeneri! O generazione malvagia e adultera! (60) Cosa c'è di più crudele di questa empietà ed iniquità? Cosa si può pensare di più detestabile, di più orribile, di più pazzo?

Avevano detto, un tempo, che niente di meglio né di più glorioso ed utile di questa santissima unione era stato mai visto o sentito in mezzo al popolo cristiano dai primi tempi della chiesa; e che non era bene, in cosa di tanta importanza, far questione di luogo, ma che per conseguirla si doveva essere disposti non solo a mettere i repentaglio i possessi di questo mondo, aria il corpo e la vita stessa; e per questo hanno gridato per tutto il mondo e hanno messo sottosopra il popolo cristiano, come si può desumere dai loro decreti e dalle loro lettere. Ora, invece, perseguitano tutto ciò con tanto furore, con tanta empietà da sembrare che siano confluiti a quel latrocinio di Basilea tutti i demoni del mondo.

E benché Dio non abbia permesso finora che la loro iniquità, che sempre mentisce loro (61), prevalesse, poiché, tuttavia, essi cercano con tutte le loro forze di portare a compimento l'abominazione della desolazione nella chiesa di Dio (62), noi, non potendo in nessun modo ignorare tutto ciò senza gravissima offesa di Dio e pericolo imminente di confusione e abominazione nella sua chiesa, secondo il dovere del nostro ufficio pastorale, - anche perché molti, accesi dello zelo di Dio, ci sollecitano a ciò - intendiamo ovviare a tanti mali e, per quanto è in noi, opportunamente e salutarmente provvedere, eliminando questa odiosa empietà e perniciosissima peste dalla chiesa di Dio.

Seguendo, perciò, le orme dei nostri predecessori, soliti, come scrive papa Nicola di santa memoria, cancellare anche i concili iniquamente celebrati dai sommi pontefici, come avvenne del concilio universale efesino secondo, - che papa Leone rinnegò, riconoscendo autorità a quello di Calcedonia,

con la nostra autorità apostolica e con l'approvazione di questo sacro concilio fiorentino, rinnoviamo il solenne e salutare decreto contro quei sacrileghi, da noi pubblicato nel sacro concilio generale di Ferrara il 15 febbraio 1438; decreto con cui, tra l'altro, con l'approvazione dello stesso concilio, dichiarammo che tutti e singoli quelli che a Basilea, sotto il nome del preteso concilio - che è piuttosto una conventicola -, contravvenivano al trasferimento e alla dichiarazione da noi fatti, ed osavano cose scandalose e nefande - anche se si fosse trattato di persone rivestite della dignità cardinalizia, patriarcale, arcivescovile, vescovile, abbaziale, o di qualsiasi altra dignità ecclesiastica o secolare - sarebbero incorsi nelle pene di scomunica, di privazione delle dignità, dei benefici ed uffici, e di inabilità ad averne in futuro, contenute nelle nostre lettere di trasferimento.

Stabiliamo e decretiamo di nuovo che tutto ciò che è stato fatto e tentato dagli empi che sono a Basilea, di cui si fa menzione nel nostro decreto di Ferrara, e ugualmente ciò che è stato fatto, compiuto, tentato dopo, e specialmente nelle due pretese sessioni, o, per essere più precisi cospirazioni cui abbiamo accennato da ultimo e tutto ciò che possa essere seguito da esse o che potrebbe derivarne in futuro, poiché si tratta di cose fatte da uomini empi, senza alcuna potestà, ma. rigettati e riprovati da Dio, è stato ed è tutto nullo, vano e senza effetto, come atti presunti e assolutamente privi di efficacia, valore ed importanza.

Con l'approvazione del santo concilio, inoltre, condanniamo e riproviamo le proposizioni sopra menzionate nel senso corrotto inteso dagli stessi Basileesi, contrario al senso genuino delle sacre scritture, dei santi padri e dello stesso concilio di Costanza; ed inoltre la asserita sentenza di privazione, di cui si è parlato, con tutte le conseguenze già verificatesi o che si verificheranno in futuro: sono, infatti, empie e scandalose, e tendono ad un aperto scisma nella chiesa di Dio e al sovvertimento di ogni ordine ecclesiastico e del potere cristiano.

Decretiamo anche e dichiariamo che tutti e singoli quelli di cui parliamo sono stati e sono scismatici ed eretici e che come tali, oltre alle pene stabilite nel concilio di Ferrara, sono da punirsi nel modo meritato con tutti i loro fautori o difensori, di qualunque stato, condizione o grado, sia ecclesiastico che secolare, anche se fossero insigniti della dignità, cardinalizia, patriarcale, arcivescovile, vescovile, abbaziale, o di qualsiasi altra dignità, perché abbiano la meritata. parte con i predetti Core, Datan e Abiron (63).


continua

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