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Concilio di Basilea, Ferrara, Firenze, Roma (1431-1437)

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2008 14:45
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24/11/2008 14:44

SESSIONE VIII (22 novembre 1439)

(Bolla di unione degli Armeni).

Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.

Lodate Dio, nostra forza, glorificate il Dio di Giacobbe (64) voi tutti che avete il nome di cristiani. Ecco, il Signore, infatti, ricordandosi ancora della sua Misericordia (65), si è degnato rimuovere dalla sua chiesa un'altra causa di dissenso, che durava da oltre novecento anni. Colui che mantiene la concordia nei cieli (66) e in terra è pace per gli uomini di buona volontà (67) ci ha concesso, nella sua ineffabile misericordia, la desideratissima riunione degli Armeni.

Sia benedetto Dio, Padre del signore nostro Gesù Cristo, padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, il quale si degna consolarci in ogni nostra tribolazione (68). Infatti, il Signore piissimo vedendo che la sua chiesa, ora dall'esterno (69) ora dall'interno, è agitata da non piccole difficoltà, si degna consolarla e rafforzarla ogni giorno in molti modi, perché possa respirare tra le angustie e sia capace di far fronte a problemi sempre maggiori.

Poco fa egli ha restituito nel vincolo di fede e di carità con la sede apostolica i Greci che comprendono molte nazioni e lingue, diffuse per ampie, lontane regioni; oggi il popolo Armeno, diffuso verso settentrione e oriente in gran numero. Si tratta di benefici tanto grandi della divina pietà, che l'uomo non potrebbe render degne grazie alla divina maestà, nonché per entrambi, neppure per uno. Come non meravigliarsi grandemente che, in così breve tempo, siano state condotte felicemente a termine in questo sacro concilio due opere così grandi e desiderate per tanti secoli? Davvero questo è stato fatto dal Signore, ed è meraviglioso ai nostri occhi (70). Quale prudenza o industria umana, infatti, avrebbe potuto compiere tali e cosi grandi cose, se la grazia di Dio non le avesse iniziate e concluse?

Lodiamo, quindi, e benediciamo il Signore con tutto il cuore, lui che, solo, compie grandi meraviglie (71). Cantiamolo con lo spirito, con la mente, con la bocca e con le opere (72), com'è possibile all'umana fragilità. Ringraziamolo di tanti doni, pregandolo e scongiurandolo che come i Greci e gli Armeni si sono uniti con la chiesa romana, cosi avvenga delle altre nazioni, specie di quelle insignite del carattere cristiano; e cosi, finalmente, tutto il popolo cristiano, spenti gli odi e le guerre, goda di scambievole pace e di fraterna carità nella tranquillità.

Gli Armeni sono giustamente degni di grandi elogi e di lodi. Infatti non appena invitati al sinodo da noi, quasi avidi dell'unità della chiesa, da regioni lontanissime, attraverso molte fatiche e pericoli del mare, hanno mandato a noi e a questo sacro concilio i loro ambasciatori, nobili, devoti, dotti, col dovuto mandato, per esaminare, cioè, tutto quello che lo Spirito santo avesse suggerito a questo santo sinodo.

Da parte nostra, desiderando con tutto il cuore portare a compimento un'opera cosi santa, come del resto comportava il nostro ufficio di pastore, abbiamo spesso trattato con gli ambasciatori di questa santa unione. E perché non si tardasse neppure un poco in questa santa cosa, abbiamo incaricato persone di ogni stato di questo sacro concilio, dottissime nelle scienze divine e umane, perché con ogni cura, studio e diligenza trattassero il problema cori gli ambasciatori, informandosi diligentemente quale fosse la loro fede, sia circa l'unità della divina essenza e la trinità delle divine persone, che circa l'umanità di nostro signore Gesù Cristo, i sette sacramenti della chiesa, ed altri punti che riguardano la retta fede e i riti della chiesa universale.

Dopo molte dispute e confronti e dopo un profondo esame di testimonianze tratte dai santi padri e dottori della chiesa, finalmente, perché in futuro non sorga alcun dubbio sulla verità della fede presso gli Armeni, ed in tutto consentano con la sede apostolica e l'unione stessa possa durare senza incrinature, stabilmente e per sempre, abbiamo pensato, con l'approvazione di questo sacro concilio fiorentino e col consenso degli stessi ambasciatori, di presentare con questo decreto, in breve compendio, la verità della fede ortodossa, che su questi argomenti professa la chiesa di Roma.

Prima di tutto diamo loro il santo simbolo, approvato da centocinquanta vescovi nel concilio ecumenico di Costantinopoli, con l'aggiunta Filioque, apportata lecitamente e ragionevolmente allo stesso simbolo per chiarire la verità e sotto la spinta della necessità.

Il contenuto è questo: Credo... (73).

Stabiliamo poi che questo santo simbolo venga cantato o letto in tutte le lingue degli Armeni, durante la messa, almeno in tutte le domeniche e nelle maggiori festività, come si usa presso i Latini.

Secondo. Diamo loro la definizione del quarto concilio di Calcedonia, - rinnovata poi nel quinto e sesto concilio universale - stille due nature nella stessa persona di Cristo, che è questa: Sarebbe stato, dunque, già sufficiente... (74).

Terzo. La definizione delle due volontà e delle due operazioni del Cristo, promulgata nell'accennato sesto concilio, del seguente tenore: Sarebbe stato sufficiente, con tutto ciò che segue nella stessa definizione del concilio di Calcedonia riferita più sopra, fino alla fine, cui segue: Predichiamo anche in lui due volontà naturali... (75).

Quarto. Poiché gli Armeni, fino a questo momento, fuori dei tre sinodi Niceno, Costantinopolitano e primo di Efeso, non hanno accettato nessun altro sinodo universale posteriore, e neppure lo stesso beatissimo vescovo di questa santa sede Leone, per la cui autorità il concilio di Calcedonia fu indetto, - poiché era stato loro insinuato che sia il concilio di Calcedonia, che papa Leone avevano emanato la loro definizione in armonia con la dannata eresia di Nestorio - li abbiamo istruiti, spiegando loro che l'insinuazione era falsa e che il concilio di Calcedonia e il beatissimo Leone avevano definito santamente e rettamente la verità delle due nature nella stessa persona del Cristo contro le empie asserzioni di Nestorio e di Eutiche. Ed abbiamo comandato loro che in futuro ritengano e venerino come santo - e giustamente iscritto nel catalogo dei santi - lo stesso beatissimo Leone, che fu una colonna della vera fede, pieno di santità e dottrina; e che, come tutti gli altri fedeli, accettino con riverenza non solo i tre sinodi che abbiamo detto, ma anche tutti gli altri concili universali, legittimamente celebrati per autorità del romano pontefice.

Quinto. Per una più facile comprensione per gli Armeni, presenti e futuri, abbiamo compendiato in questa brevissima formula la dottrina sui sacramenti: sette sono i sacramenti della nuova legge: battesimo, confermazione, eucarestia, penitenza, estrema unzione, ordine e matrimonio. Essi sono molto differenti dai sacramenti dell'antica legge: quelli, infatti, non producevano la grazia, ma indicavano solo che questa sarebbe stata data per la passione di Cristo. I nostri, invece, contengono la grazia e la danno a chi li riceve degnamente. Di essi, i primi cinque sono ordinati alla perfezione individuale di ciascuno, i due ultimi, al governo e alla moltiplicazione di tutta la chiesa.

Col battesimo, infatti, noi rinasciamo spiritualmente. La confermazione aumenta in noi la grazia e ci fortifica nella fede. Rinati e fortificati, siamo nutriti col cibo della divina eucarestia. E se col peccato ci ammaliamo nell'anima, cori la penitenza veniamo spiritualmente guariti. Spiritualmente - e, se giova all'anima, anche corporalmente - ci guarisce l'estrema unzione. Con l'ordine la chiesa è governata e moltiplicata spiritualmente; col matrimonio cresce materialmente.

Tutti questi sacramenti constano di tre elementi: cose come materia, parole come forma, la persona del ministro che conferisce il sacramento, con l'intenzione di fare quello che fa la chiesa. Se manca uno di questi elementi, il sacramento non si compie.

Tra questi sacramenti, ve ne sono tre: battesimo, cresima e ordine, che imprimono indelebilmente nell'anima il carattere, ossia un segno spirituale che distingue dagli altri. Perciò non si ripetono nella stessa persona. Gli altri quattro non imprimono il carattere e possono ripetersi.

Primo di tutti i sacramenti è il battesimo, che è la porta della vita spirituale. Con esso diveniamo membra di Cristo e parte del corpo della chiesa. E poiché attraverso il primo uomo è entrata in tutti (76) la morte, se noi non rinasciamo per mezzo dell'acqua e dello Spirito, non possiamo, come dice la verità, entrare nel regno di Dio (77). Materia di questo sacramento è l'acqua vera e naturale; né importa se calda o fredda. Forma sono le parole: "Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo". Non neghiamo, però, che anche con le parole: "Sia battezzato il tale servo di Cristo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo"; o con le altre: "Con le mie mani viene battezzato il tale nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo", si amministri il vero battesimo. Ciò perché, essendo causa principale da cui il battesimo ha la sua efficacia - la SS. Trinità, causa strumentale, invece, il ministro che compie esteriormente il sacramento, se si esprime l'azione, che viene compiuta dal ministro, con l'invocazione della santa Trinità, si ha un vero sacramento. Ministro di questo sacramento è il sacerdote, cui, per ufficio, compete battezzare; ma in caso di necessità non solo può battezzare un sacerdote o un diacono, ma anche un laico o una donna; anzi, perfino un pagano o un eretico, purché usi la forma della chiesa e intenda fare quello che fa la chiesa. Effetto di questo sacramento è la remissione di ogni colpa, originale e attuale, e di ogni pena dovuta per la stessa colpa. Non si deve, quindi, imporre ai battezzati nessuna penitenza per i peccati passati; e quelli che muoiono prima di commettere qualche colpa, vanno subito nel regno dei cieli e alla visione di Dio.

Il secondo sacramento è la confermazione la cui materia è il crisma, composto di olio - che significa lo splendore della coscienza - e di balsamo, - che significa il profumo della buona fama -, benedetto dal vescovo. Forma sono le parole: "Ti segno col segno della croce, e ti confermo col crisma della salvezza, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo". Ministro ordinario è il vescovo. E mentre le altre unzioni può farle un semplice sacerdote, questa non può farla se non il vescovo, perché dei soli apostoli, di cui i vescovi fanno le veci, si legge che davano lo Spirito santo con l'imposizione delle mani, come mostra la lettura degli Atti degli Apostoli: Avendo infatti sentito gli apostoli che la Samaria aveva accolto la parola di Dio, mandarono ad essi Pietro e Giovanni; questi, giunti colà, pregarono per essi perché ricevessero lo Spirito santo:non era ancora disceso, infatti, in nessuno di essi, una erano stati solo battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imposero loro le mani e ricevettero lo Spirito santo (78). La confermazione, nella chiesa, tiene precisamente il luogo di quella imposizione delle mani. Si legge, tuttavia, che qualche volta, con dispensa della sede apostolica e per un motivo ragionevole e urgentissimo, un semplice sacerdote abbia amministrato il sacramento della confermazione col crisma consacrato dal vescovo. Effetto di questo sacramento è che per mezzo suo viene dato lo Spirito santo per rendere forti, come fu dato agli apostoli il giorno di Pentecoste (79), perché il cristiano possa audacemente confessare il nome del Cristo. E’ per questo che il confermando viene unto sulla fronte, dov'è la sede del sentimento dell'onore; perché non si vergogni di confessare il nome del Cristo, e specialmente la sua croce, che è scandalo Per i Giudei, stoltezza per le genti (80) secondo l'apostolo, e per cui viene segnato col segno della croce.

Il terzo sacramento è l'eucarestia. La sua materia è il pane di frumento e il vino di uva, cui prima della consacrazione deve aggiungersi un po' d'acqua. L'acqua si aggiunge perché, secondo le testimonianze dei santi padri e dottori della chiesa, addotte nelle discussioni, si crede che il Signore stesso abbia istituito questo sacramento con vino misto a acqua, e anche perché questo rappresenta bene la passione del Signore. Dice infatti il beato papa Alessandro, V dopo S. Pietro: "Nelle offerte dei sacramenti, che vengono presentate al Signore durante la messa, siano offerti in sacrificio solo il pane e il vino misto ad acqua. Non si deve, infatti, offrire nel calice dei Signore o il vino solo o l'acqua sola, ma l'uno e l'altra insieme, perché l'uno e l'altra, cioè il sangue e l'acqua, si legge essere sgorgati dal fianco di Cristo" (81); ciò esprime anche l'effetto di quello sacramento: l'unione del popolo cristiano con Cristo. L'acqua, infatti, significa il popolo, secondo l'espressione dell'Apocalisse: acque molte, popoli molti (82). E papa Giulio, secondo dopo il beato Silvestro, dice: Il calice del Signore dev'essere offerto, secondo i canoni, con acqua e vino mischiati insieme, perché l'acqua prefigura il popolo e il vino è il sangue di Cristo. Perciò quando si mischia nel calice l'acqua col vino, si unisce il popolo a Cristo, e la schiera dei fedeli si congiunge con colui, nel quale crede. Se, dunque, sia la santa chiesa e romana, istruita dai beatissimi apostoli Pietro e Paolo, che tutte le altre chiese latine e greche, nelle quali fiorirono splendori di santità e dottrina, hanno conservato quest'uso fin dall'inizio della chiesa nascente, e lo conservano ancora, sembrerebbe sommamente sconveniente che qualsiasi altra nazione differisca da questa pratica universale e ragionevole.

Stabiliamo, quindi, che anche gli Armeni si conformino a tutto il resto del mondo cristiano, e che i loro sacerdoti nell'offrire il calice aggiungano un po’ d'acqua al vino.

Forma di questo sacramento sono le parole del Salvatore, con le quali lo offrì. Il sacerdote, infatti, lo compie parlando nella persona di Cristo. E in virtù delle stesse parole la sostanza del pane diviene corpo di Cristo, e quella del vino sangue; in modo che tutto il Cristo è contenuto sotto la specie del pane e tutto sotto la specie del vino e in qualsiasi parte di ostia consacrata e di vino consacrato, fatta la separazione, vi è tutto il Cristo. L'effetto, di questo sacramento, che si operi nell'anima di chi lo riceve degnamente, è l'unione dell'uomo col Cristo. E poiché per la grazia l'uomo viene incorporato al Cristo, e viene unito alle sue membra, ne consegue che per mezzo di questo sacramento, in quelli che lo ricevono degnamente, la grazia viene accresciuta, e che tutti gli effetti che il cibo e la bevanda materiale producono nella vita del corpo, sostentandolo, aumentandolo, rigenerandolo, dilettandolo, questo sacramento li produce nella vita spirituale; esso nel quale, come dice papa Urbano IV, commemoriamo la grata memoria del nostro Salvatore, siamo preservati dal male, rafforzati nel bene e progrediamo accrescendo le virtù e le grazie.

Il quarto sacramento è la penitenza, di cui materia sono gli atti del penitente, distinti in tre categorie: prima è la contrizione del cuore, che consiste nel dolore del peccato commesso, col proposito di non peccare in avvenire. Seconda, la confessione orale, nella quale il peccatore confessa integralmente al suo sacerdote tutti i peccati di cui si ricorda; terzo, la soddisfazione dei peccati, ad arbitrio del sacerdote. Si soddisfa specialmente con la preghiera, col digiuno e con l'elemosina. Forma di questo sacramento sono le parole dell'assoluzione, che il sacerdote pronuncia quando dice: "Io ti assolvo". Ministro di questo sacramento è il sacerdote che ha il potere di assolvere, ordinario, o delegato dal superiore. Effetto di questo sacramento è l'assoluzione dai peccati.

Quinto sacramento è l'estrema unzione; sua materia è l'olio d'oliva benedetto dal vescovo. Questo sacramento non si deve dare se non ad un infermo di cui si teme la morte. Egli dev'essere unto in queste parti: negli occhi, per la vista; nelle orecchie, per l'udito; nelle narici, per l'odorato; nella bocca, per il gusto e la parola; nelle mani, per il tatto; nei piedi, per camminare; nei reni, per il piacere, che vi ha la sua sede. Forma del sacramento è questa: "Per questa unzione e per la sua piissima misericordia, il Signore ti perdoni tutto ciò che hai commesso con la vista". E similmente nell'ungere nelle altre parti. Ministro di questo sacramento è il sacerdote. Effetto è la sanità della mente, e, se giova all'anima, anche quella del corpo. Di questo sacramento dice S. Giacomo: Si ammala qualcuno fra voi? Chiami gli anziani della chiesa; questi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. La preghiera della fede salverà l'infermo e il Signore lo solleverà. E se avesse peccato, gli sarà perdonato (83).

Il sesto sacramento è quello dell'ordine: Materia di esso è ciò con la cui consegna viene conferito l'ordine. Cosi il presbiterato viene conferito con la consegna del calice col vino e della patena col pane; il diaconato con la consegna del libro degli Evangeli; il suddiaconato, con la consegna del calice e della patena vuoti. E cosi per gli altri ordini, con la consegna delle cose che sono proprie del ministero relativo. Forma del sacerdozio è questa: "Ricevi il potere d offrire il sacrificio nella chiesa, per i vivi e per i morti, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo". E cosi per le forme degli altri ordini, come sono ampiamente riferite nel pontificale romano. Ministro ordinario di questo sacramento è il vescovo. Effetto è l'aumento della grazia, perché si possa essere buoni ministri di Cristo.

Settimo è il sacramento del matrimonio, simbolo dell'unione di Cristo e della chiesa, secondo l'apostolo, che dice: Questo sacramento è grande; lo dico in riferimento al Cristo e alla chiesa (84). Causa efficiente del sacramento è regolarmente il mutuo consenso, espresso verbalmente di persona. Triplice è lo scopo del matrimonio: primo, ricevere la prole ed educarla al culto di Dio; secondo, la fedeltà, che un coniuge deve conservare verso l'altro; terzo, la indissolubilità del matrimonio, perché essa significa la unione indissolubile di Cristo e della chiesa. E quantunque a causa della infedeltà sia permesso separarsi, non è lecito, però, contrarre un altro matrimonio, poiché il vincolo del matrimonio legittimamente contratto è eterno.

In sesto luogo, diamo agli ambasciatori la norma sintetica di fede composta dal beato Atanasio, il cui contenuto è questo: [E,segue il simbolo Atanasiano, che inizia con le parole: Chiunque vuole salvarsi...]

Settimo, diamo ad essi il decreto d'unione coi Greci, già promulgato in questo sacro concilio ecumenico fiorentino.

Esso inizia con le parole: Si rallegrino i cieli...

Ottavo. Tra le altre cose si è anche disputato con gli armeni in quali giorni debbano celebrarsi le festività dell'annunciazione della beata vergine Maria, della natività di S. Giovanni Battista, e, conseguentemente, della natività e circoncisione del signore nostro Gesù Cristo e della sua presentazione al tempio, cioè della purificazione della beata vergine Maria; ed è stata dimostrata abbastanza chiaramente la verità, sia con le testimonianze dei santi padri, che con l'uso della chiesa romana e di tutte le altre sia latine che greche.

Perché, dunque, nella celebrazione di cosi grandi solennità il rito dei cristiani non sia diverso e non si dia occasione di turbare la carità, stabiliamo, conforme alla verità e alla ragione, che, secondo l'uso di tutto il resto del mondo, anche gli Armeni debbano solennemente celebrare la festa dell'annunciazione della beata vergine Maria il 25 marzo; la natività di S. Giovanni Battista, il 24 giugno; la nascita carnale del nostro Salvatore, il 25 dicembre; la sua circoncisione, il primo gennaio; l'epifania, il 6 dello stesso mese; la presentazione del Signore al tempio, cioè la purificazione della madre di Dio, il 2 febbraio.

Spiegate tutte queste cose, i predetti ambasciatori degli Armeni, a nome proprio, del loro patriarca, e di tutti gli Armeni, accettano, ricevono e abbracciano con ogni devozione e obbedienza questo salutarissimo decreto sinodale, con tutti i suoi capitoli, dichiarazioni, definizioni, tradizioni, precetti e statuti ed ogni dottrina in esso contenuta e tutto quello che ritiene ed insegna la santa sede apostolica e la chiesa romana.

I dottori, inoltre, e santi padri che la chiesa romana approva, li approvano anch'essi con riverenza: Qualsiasi persona, e qualunque cosa essa disapprova e condanna, la considerano riprovata e condannata anch'essi. E promettono, come veri figli d'obbedienza di obbedire agli ordini e ai comandi della sede apostolica.

Letto, poi, solennemente alla presenza nostra e di questo santo sinodo il decreto suddetto, subito il diletto figlio Narsete, armeno, a nome degli stessi ambasciatori lesse nella lingua armena, pubblicamente, quanto segue: e il diletto figlio Basilio, dell'ordine dei Minori, comune interprete nostro e degli Armeni, lo lesse immediatamente dallo Scritto, in pubblico, nella lingua latina, in questo modo:

Beatissimo padre e santissimo sinodo, tutto questo santo decreto, ora letto pubblicamente in latino alla vostra presenza, ci è stato esposto e tradotto ieri nella nostra lingua, parola per parola; e ci è piaciuto e ci piace sommamente. Per una più chiara espressione del nostro pensiero, ne ripetiamo sommariamente il suo contenuto.

In esso si dice: primo, che consegnate al nostro Popolo armeno, perché almeno nelle domeniche e nelle maggiori festività si debba leggere o cantare, durante la messa, nelle nostre chiese, il santo simbolo costantinopolitano con l’aggiunta del Filioque.

Secondo, la definizione del quarto concilio universale di Calcedonia, sulle due nature nell'unica persona del Cristo.

Terzo, la definizione delle due volontà ed operazioni di Cristo, promulgata nel sesto concilio universale.

Quarto, voi dichiarate che lo stesso sinodo di Calcedonia e il beatissimo papa Leone hanno definito rettamente la verità delle due nature in una sola persona nel Cristo, contro le empie asserzioni di Nestorio e Eutiche. E comandate che veneriamo lo stesso beatissimo Leone come santo e colonna della fede e che non accettiamo solo questi tre sinodi: Niceno, Costantinopolitano, Elesino primo, ma che riconosciamo con riverenza anche tutti gli altri sinodi universali, celebrati per autorità del romano pontefice.

Quinto, una breve esposizione dei sette sacramenti della chiesa: battesimo, cresima, cucarestia, penitenza, estrema unzione, ordine e matrimonio, dichiarando quale sia la materia, la forma, e il ministro di ciascun sacramento; e che nel sacrificio dell'altare, quando si offre il vino, vi si debba

mischiare un po' d'acqua.

Sesto, un breve riassunto della regola della fede: quello del beatissimo Atanasio, che comincia: Chi vicolo salvarsi...

Settimo, il decreto dell'unione conclusa con i Greci, promulgato già in questo santo concilio, in cui si spiega come lo Spirito santo procede ab eterno dal Padre e dal Figlio, e come l'aggiunta del Filioqtte al simbolo costantinopolitano è stata fatta lecitamente e ragionevolmente. Che il corpo del Signore viene consacrato nel pane di frumento, sia azzimo che fermentato; e che cosa bisogna credere delle pene del purgatorio e dell'inferno, della vita beata e dei suffragi che si fanno per i defunti. Cosi pure della pienezza del potere della sede apostolica, trasmessa da Cristo al beato Pietro e ai suoi successori, e dell'ordine delle sedi patriarcali.

In ottavo luogo, stabilito che per il futuro gli Armeni debbano celebrare le seguenti festività, nei giorni indicati sotto, come tutto il resto della chiesa universale e cioè: l'annunciazione della beata vergine Maria, il 25 marzo; la natività di S. Giovanni Battista, il 24 giugno; la nascita carnale del nostro Salvatore, il 25 dicembre; la sua circonci-sione, il primo gennaio, l'epifania, il 6 dello stesso mese; la presentazione del Signore al tempio, o purificazione della beata Maria, il 2 febbraio.

Noi ambasciatori, quindi, a nome nostro, del nostro reverendo patriarca e di tutti gli Armeni, come anche la santità vostra attesta nello stesso decreto, accettiamo, accogliamo, e abbracciamo con ogni devozione e obbedienza questo salutarissimo decreto sinodale con tutti i suoi capitoli, dichiarazioni, definizioni, tradizioni, precetti e statuti, e tutta la dottrina in esso contenuta ed inoltre, tutto ciò che ritiene ed insegna la santa sede apostolica e la chiesa romana.

Accettiamo anche con riverenza i dottori e santi padri che la chiesa romana approva; mentre consideriamo riprovata e condannata qualsiasi persona e qualsiasi cosa che la stessa chiesa romana riprova e condanna, dichiarando, come veri figli d'obbedienza di obbedire fedelmente agli ordini e ai comandi della stessa sede apostolica.

SESSIONE XI (4 febbraio 1442)

(Bolla di unione dei copti).

Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.

Cantate al Signore, perché ha fatto cose magnifiche: annunziatelo per tutta la terra. Godi e lodalo, abitante di Sion, perché è grande, in mezzo a te, il santo di Israele (85). E’ davvero giusto che la chiesa di Dio canti e si rallegri nel Signore per questo grande splendore e gloria del suo nome, che Dio clementissimo si è degnato di compiere oggi. Conviene, infatti, lodare e benedire con tutto il cuore il Salvatore nostro, che ogni giorno accresce la sua santa chiesa con nuove aggiunte. E quantunque sempre i suoi benefici verso il popolo cristiano siano molti e grandi, - ed essi ci dimostrano più chiaramente della luce la sua immensa carità verso di noi - tuttavia, se consideriamo più attentamente quali meraviglie in questi ultimissimi tempi la divina clemenza si è degnata operare, dovremo certamente costatare che i doni del suo amore sono stati più numerosi e più grandi in questo nostro tempo che in molte altre età passate.

Ecco, infatti, che in meno di un triennio il signore nostro Gesù Cristo con la sua inesauribile pietà ha realizzato in questo santo sinodo ecumenico, la salutarissima unione di tre grandi nazioni, a comune, perenne gaudio di tutta la cristianità; per cui quasi tutto l'oriente, che adora il glorioso nome di Cristo, e non piccola parte del settentrione, dopo Lunghi dissidi, condividono con la santa chiesa romana lo stesso vincolo di fede e di carità.

Prima, infatti, si sono uniti alla sede apostolica i Greci e quelli che dipendono dalle quattro sedi patriarcali, che comprendono molte genti e nazioni e lingue; poi gli Armeni, gente dai molti popoli; oggi, i Giacobiti, grandi popoli dell'Egitto.

E poiché niente potrebbe esser più grato al nostro Salvatore e signore Gesù Cristo della mutua carità, e niente più glorioso per il suo nome e più utile per la chiesa che i cristiani, rimossa tra loro ogni divisione, convengano nella stessa fede, giustamente noi tutti dobbiamo cantare dalla gioia e giubilare nel Signore; noi, che la divina misericordia ha fatto degni di vedere in questi tempi tanta magnificenza della fede cristiana.

Annunziamo, quindi, con animo gioioso queste meraviglie in tutto il mondo cristiano, perché, come noi per la gloria di Dio e l'esaltazione della chiesa siamo stati inondati da ineffabile gaudio, cosi anche gli altri partecipino di tanta letizia; e tutti, ad una sola bocca, magnifichiamo e lodiamo Dio (86) e rendiamo, com'è giusto, grandi grazie, ogni giorno, alla sui maestà per tanti e cosi mirabili benefici concessi in questa età alla sua chiesa.

E poiché, inoltre, chi compie l'opera di Dio diligentemente, non solo deve aspettarsi il compenso e la retribuzione nei cieli, ma merita anche una grande gloria e lode presso gli uomini, crediamo che il venerabile fratello nostro Giovanni, patriarca dei Giacobiti, che ha tanto desiderato questa santa unione, a buon diritto debba esser lodato da noi e da tutta la chiesa e innalzato e giudicato degno, con tutta la sua gente della comune benevolenza di tutti i cristiani.

Egli, sollecitato per mezzo di un nostro inviato e di lettere, perché mandasse una legazione a noi e a questo sacro concilio e si unisse con la sua gente a questa sede romana nella stessa fede, ha destinato a noi e allo stesso sinodo il diletto figlio Andrea, egiziano, abate del monastero di S. Antonio in Egitto, nel quale si dice che abbia dimorato e sia morto lo stesso S. Antonio, noto per la sua pietà e i suoi costumi. E, acceso di zelo per la religione, gli impose e gli ordinò di accettare con riverenza, a nome del patriarca e dei suoi Giacobiti, la dottrina di fede che professa e predica la santa romana chiesa e di portarla, poi, allo stesso patriarca e ai Giacobiti, perché potessero conoscerla e approvarla e predicarla nelle loro regioni.

Noi, quindi, incaricati dalla vocedel Signore di pascere le pecore del Cristo (87) abbiamo fatto esaminare diligentemente questo abate Andrea da alcuni insigni membri di questo sacro concilio sugli articoli della fede, i sacramenti della chiesa e tutto ciò che riguarda la salvezza; e alla fine, esposta allo stesso abate - per quanto necessario - la fede cattolica della santa chiesa romana, da lui umilmente accettata, oggi, in questa solenne sessione, con l'approvazione del sacro concilio ecumenico fiorentino, gli abbiamo affidato, nel nome del Signore, la dottrina che segue, vera e necessaria.

In primo luogo, dunque, la sacrosanta chiesa romana, fondata dalla voce del nostro Signore e Salvatore, crede fermamente, professa e predica un solo, vero Dio, onnipotente, incommutabile, eterno: Padre, Figlio e Spirito santo; uno nell'essenza, trino nelle persone; Padre, non generato, Figlio, generato dal Padre, Spirito santo, procedente dal Padre e dal Figlio; crede che il Padre non è il Figlio o lo Spirito santo, che il Figlio non è il Padre o lo Spirito Santo che lo Spirito santo non è il Padre o il Figlio; ma che il Padre è solo Padre, il Figlio, solo Figlio, lo Spirito santo, solo Spirito santo. Solo il Padre ha generato il Figlio dalla sua sostanza; solo il Figlio è stato generato dal solo Padre; solo lo Spirito santo procede nello stesso tempo dal Padre e dal Figlio. Queste tre persone sono un solo Dio, non tre Dei poiché una sola è la sostanza una l'essenza, una la natura, una la divinità, una l'immensità, una l'eternità di tutti e tre, tutti sono uno, dove non si opponga la relazione. Per questa unità il Padre è tutto nel Figlio e tutto nello Spirito santo; il Figlio è tutto nel Padre e tutto nello Spirito santo; lo Spirito santo è tutto nel Padre e tutto nel Figlio. Nessuno precede l'altro per eternità, o lo sorpassa in grandezza, o lo supera per potenza: è eterno, infatti, e senza principio che il Figlio ha origine dal Padre; ed eterno e senza principio, che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio. Tutto quello che il Padre è od ha, non lo ha da un altro, ma da sé; ed è principio senza principio. Tutto ciò che il Figlio è od ha, lo ha dal Padre, ed è principio da principio. Tutto ciò che lo Spirito santo è od ha, lo ha dal Padre e dal Figlio insieme; ma il Padre ed il Figlio non sono due principi dello Spirito santo, ma un solo principio, come il Padre, il Figlio e lo Spirito santo non sono tre principi della creatura, ma un solo principio.

Essa condanna, perciò, riprova e anatematizza tutti quelli che credono diversamente e contrariamente e li dichiara solennemente estranei al corpo di Cristo, che è la chiesa. Condanna, quindi, Sabellio, che confonde le persone e toglie del tutto la distinzione reale di esse; condanna gli Ariani, gli Eunomiani, i Macedoniani, che affermano che solo il Padre è vero Dio, e collocano il Figlio e lo Spirito santo nell'ordine delle creature. Condanna anche qualunque altro, che ponga dei gradi o l'ineguaglianza nella Trinità.

Crede fermissimamente, ritiene e predica che un solo, vero Dio, Padre, Figlio e Spirito santo, è il creatore di tutte le cose visibili e invisibili, il quale, quando volle, creò per sua bontà tutte le creature, spirituali e materiali: buone, naturalmente, perché hanno origine dal sommo bene, ma mutevoli, erché fatte dal nulla; ed afferma che non vi è natura cattiva in sé stessa, perché ogni natura, in quanto tale, è buona.

Essa confessa che un solo, identico Dio è autore dell'antico e dei nuovo Testamento, cioè della legge e dei profeti, e del Vangelo, perché i santi dell'uno e dell'altro Testamento hanno parlato sotto l'ispirazione del medesimo Spirito santo. Essa accetta e venera i loro libri, che sono indicati da questi titoli: I cinque di Mosè, cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth, i 4 dei Re, i 2 dei Paralipomeni, Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta, Ester Giobbe, Salmi di David, Parabole, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, Sapienza, Ecclesiastico, Isaia, Geremia, Baruc, Ezechiele, Daniele, i 12 Profeti minori, e cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i 2 dei Maccabei, i 4 Evangeli: di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni; le 14 lettere di S. Paolo: ai Romani, le 2 ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, le 2 ai Tessalonicesi, ai Colossesi, le 2 a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei; le 2 di Pietro, le 3 di Giovanni; 1 di Giacomo; 1 di Giuda; gli Atti degli Apostoli, e l'Apocalisse di Giovanni. Essa anatematizza, quindi, la pazzia dei Manichei, che ammettevano due primi principi, uno delle cose visibili, l'altro delle invisibili e dicevano che altro è il Dio del nuovo Testamento, altro quello dell'antico. Crede fermamente, professa e predica che una delle persone della Trinità, vero figlio di Dio, generato dal Padre, consostanziale al Padre e coeterno con lui, nella pienezza dei tempi, stabilita dalla inscrutabile profondità del divino consiglio, ha assunto la vera e completa natura umana nel seno immacolato della vergine Maria per la salvezza del genere umano; e che ha unito a sé questa natura in una unità personale cosi stretta, che tutto quello che è di Dio non è separato dall'uomo, e quello che è proprio dell'uomo non è diviso dalla divinità; ed è un essere solo ed indiviso, pur rimanendo l'una e l’altra natura con le sue proprietà; Dio e uomo; Figlio di Dio e figlio dell'uomo; uguale al Padre secondo la divinità, minore del Padre secondo l'umanità; immortale ed eterno, per la natura divina, soggetto alla sofferenza e al tempo per la condizione umana che ha assunto. Crede fermamente, professa e predica che il Figlio di Dio è veramente nato dalla Vergine, nell'umanità che ha assunto; che in essa ha veramente sofferto, è veramente morto ed è stato sepolto, è veramente risorto dai morti, è asceso al cielo, siede alla destra del Padre, e verrà alla fine dei secoli a giudicare i vivi e i morti. Essa anatematizza, quindi, detesta e condanna ogni eresia che professi dottrine contrarie a queste.

E prima di tutti condanna Ebione, Cerinto, Marcione, Paolo di Samosata, Fotino e tutti quelli che proferiscono simili bestemmie, i quali, non riuscendo a comprendere l'unione personale dell'umanità col Verbo, negano che Gesù Cristo, nostro Signore, sia vero Dio e lo ritennero semplice uomo: un uomo, cioè che per una più intensi partecipazione alla grazia divina - che avrebbe ricevuto per merito di una vita più santa - sarebbe detto uomo divino.

Anatematizza anche Manicheo con i suoi seguaci, i quali fantasticando che il Figlio di Dio non ha assunto un corpo vero, ma apparente, annullarono del tutto, nel Cristo, la verità dell'umanità. Ed inoltre Valentino, il quale afferma che il Figlio di Dio non ha ricevuto nulla dalla Vergine Madre, ma che ha assunto un corpo celeste e che è passato per il seno della Vergine, proprio come l'acqua scorre attraverso un acquedotto. Ed Ario, il quale afferma che il corpo assunto dalla Vergine non avesse l'anima e pone al posto di essa la divinità. Ed Apollinare, il quale, ben comprendendo che, se si negasse che l'anima informa il corpo, non potrebbe più parlarsi nel Cristo di vera umanità, pone in lui solo l'anima sensitiva e, quindi, la deità del Verbo sostituirebbe l'anima razionale.

Anatematizza anche Teodoro di Mopsuestia e Nestorio, i quali affermano che l'umanità è unita al Figlio di Dio per mezzo della grazia, e che quindi in Cristo vi sono due persone, come ammettono esservi due nature. Essi non riuscirono a comprendere che l'unione dell'umanità col Verbo è ipostatica, e negarono, quindi, che essa abbia avuto la sussistenza del Verbo. Secondo questa bestemmia, infatti, il Verbo non si è fatto carne, ma per mezzo della grazia ha abitato ne a carne e cioè non il Figlio di Dio si è fatto uomo ma, piuttosto, il Figlio di Dio ha abitato nell'uomo.

Anatematizza pure, detesta e condanna Eutiche, archimandrita. Questi comprese che secondo la bestemmia di Nestorio veniva annullata la verità dell'incarnazione e che, quindi, era necessario che l'umanità fosse unita al Verbo di Dio in modo che vi fosse una sola persona per la divinità e per l'umanità. Non potendo però capire l'unità della per- sona, stante la pluralità delle nature, e quindi, che in Gesù Cristo una sola fosse la persona per la divinità e per l'umanità, ammise una sola natura: ammise, cioè, che prima dell'unione vi fossero due nature, ma che esse nell'assunzione si fossero trasformate in una sola natura, ammettendo, con orrenda bestemmia e somma empietà, che o l'umanità si era trasformata nella divinità, o la divinità nella umanità. Anatematizza ancora, detesta e condanna Macario di Antiochia e tutti quelli che seguono dottrine simili. Questi, non ostante che avesse una giusta opinione delle due nature e dell’unità della persona, errò tremendamente, però, circa le operazioni di Cristo: disse, infatti, che delle due nature, in Cristo, una sola era l'operazione e la volontà.

La sacrosanta chiesa romana li condanna tutti questi con le loro eresie, e afferma che in Cristo due sono le volontà e due le operazioni. Crede fermamente, professa e insegna che nessuno, concepito dall'uomo e dalla donna, sia stato mai liberato dal dominio del demonio, se non per la fede in Gesù Cristo, nostro Signore, mediatore tra Dio e gli uomini (88). Questi, concepito, nato e morto Senza peccato, ha vinto da solo il nemico del genere umano cancellando i nostri peccati con la sua morte, ed ha riaperto l'ingresso al regno celeste, che il primo uomo col suo peccato aveva perduto con tutti i suoi successori. Tutti i santi sacrifici, i sacramenti e le cerimonie dell'antico Testamento prefigurarono che egli un giorno sarebbe venuto.

Crede fermamente, conferma e insegna che le prescrizioni legali dell'antico Testamento, cioè della legge mosaica, che si dividono in cerimonie, santi sacrifici e sacramenti proprio perché istituite per significare qualche cosa di futuro, benché fossero adeguate al culto divino in quella età, venuto,

però, nostro signore Gesù Cristo, da esse significato, sono cessate e sono cominciata i sacramenti della nuova alleanza. Chiunque avesse riposto in quelle la sua speranza e si fosse assoggettato ad esse anche dopo la passione, quasi fossero necessarie alla salvezza e la fede nel Cristo non potesse salvare senza di esse, pecca mortalmente. Non nega, tuttavia, che dalla passione di Cristo fino alla promulgazione evangelica, esse potessero osservarsi, senza pensare con ciò minimamente che fossero necessarie alla salvezza. Ma da quando è stato predicato il Vangelo, esse non possono più osservarsi, pena la perdita della salvezza eterna.

Essa, quindi, dichiara apertamente che, da quel tempo, tutti quelli che osservano la circoncisione, il sabato e le altre prescrizioni legali, sono fuori della fede di Cristo, e non possono partecipare della salvezza eterna, i meno che non si ricredano finalmente dei loro errori. Ancora, comanda assolutamente a tutti quelli che si gloriano del nome di cristiani, che si deve cessare dal praticare la circoncisione sia prima che dopo il battesimo perché, che v si confidi o meno, non si può in nessun modo praticarla senza perdere la salvezza eterna.

I bambini - dato il pericolo di morte, che spesso vi può essere - non possono essere aiutati se non col sacramento del battesimo, che li sottrae al dominio del demonio e in forza del quale sono adottati come figli di Dio. Essa ammonisce che il ]Battesimo non deve essere differito per quaranta od ottanta giorni o altro tempo, secondo l'uso di alcuni, ma deve essere amministrato quanto prima si può senza incomodo, con la precauzione che, in pericolo di morte, siano battezzati subito senza alcun ritardo, anche da un laico o da una donna, se mancasse il sacerdote, nella forma della chiesa, come più diffusamente viene esposto nel decreto per gli Armeni.

Crede fermamente, confessa e predica che ogni creatura Dio è buona e niente dev'essere respinto quando è accettato con rendimento di grazie (89); poiché, secondo l'espressione del Signore non ciò che entra nella bocca contamina l'uomo (90). E afferma che la differenza tra cibi puri e impuri della legge mosaica deve considerarsi cerimoniale e che col sopravvenire del Vangelo è passata e ha perso efficacia. Anche la proibizione degli apostoli delle cose immolate ai simulacri, del sangue e delle carni soffocate (91) era adatta al tempo in cui dai giudei e gentili, che prima vivevano praticando diversi riti e secondo diversi costumi, sorgeva una sola chiesa. In tal modo giudei e gentili avevano osservanze in comune e l'occasione di trovarsi d'accordo in un solo culto e in una sola fede in Dio, e veniva tolta materia di dissenso. Infatti ai Giudei per la loro lunga tradizione potevano sembrare abominevoli il sangue e gli animali soffocati, e poteva sembrare che i gentili tornassero all'idolatria col mangiare cose immolate agli idoli.

Ma quando la religione cristiana si fu talmente affermata da non esservi più in essa alcun Giudeo carnale, ma anzi tutti d'accordo erano passati alla chiesa, condividendo gli stessi riti e cerimonie del Vangelo, persuasi che per quelli che sono puri ogni cosa è pura (92), allora venne meno la causa di quella proibizione, e perciò anche l'effetto. Essa dichiara, quindi, che nessun genere di cibo in uso tra gli uomini deve essere condannato, e che nessuno, uomo o donna, deve far differenza di animali, qualunque sia il genere di morte che abbiano incontrato, quantunque per riguardo alla salute del corpo, per l'esercizio della virtù, per la disciplina regolare ed ecclesiastica, molte cose, anche se permesso, possano e debbano non mangiarsi. Secondo l'apostolo, infatti, tutto è lecito, ma non tutto conviene 93.

Crede fermamente, confessa e predica che nessuno di quelli che sono fuori della chiesa cattolica, non solo pagani, ma anche Giudei o eretici e scismatici, possano acquistar la vita eterna, ma che andranno nel fuoco eterno, preparato per il demonio e per i suoi angeli (94), se prima della fine della vita non saranno stati aggregati ad essa; e che è tanto importante l'unità del corpo della chiesa, che solo a quelli che rimangono in essa giovano per la salvezza i sacramenti ecclesiastici, i digiuni e le altre opere di pietà, e gli esercizi della milizia cristiana procurano i premi eterni. Nessuno

per quante elemosine abbia potuto fare, e perfino se avesse versato il sangue per il nome di Cristo si può salvare, qualora non rimanga nel seno e nell'unità della chiesa cattolica.

Accoglie, poi, approva e accetta il santo concilio di Nicea dei trecentodiciotto padri, raccolto ai tempi del beatissimo Silvestro, nostro predecessore, e di Costantino il grande, principe piissimo. In esso fu condannata l'empia eresia ariana assieme al suo autore, e fu definito che il Figlio è consustanziale e coeterno al Padre. Abbraccia anche, approva e accetta il santo concilio di Costantinopoli, dei centocinquanta padri, convocato al tempo del beatissimo Damaso, nostro predecessore, e di Teodosio il vecchio, che anatematizzò l'errore di Macedonio, il quale asseriva che lo Spirito santo non è Dio, ma una creatura. Quelli che essi condannano, li condanna, quello che approvano, approva; e intende che ciò clic in essi è definito, rimanga intatto ed inviolato in ogni sua prescrizione. Abbraccia anche, approva e accetta il santo primo concilio di Efeso, dei duecento padri, terzo nella serie dei concili universali, convocato sotto il beatissimo nostro predecessore Celestino e sotto Teodosio il giovane. In esso fu condannata la bestemmia dell'empio Nestorio; fu definito che del signore nostro Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo è una sola la persona, e che la beata Maria sempre vergine deve esser chiamata da tutta la chiesa non solo madre del Cristo, ma anche di Dio. Condanna, poi, anatematizza e respinge l'empio secondo concilio di Efeso, riunito

sotto il beato Leone, nostro predecessore, e il suddetto principe. In esso Dioscoro, patriarca di Alessandria, difensore dell'eresiarca Eutiche ed empio persecutore di S. Flaviano, vescovo di Costantinopoli, trasse quel sinodo esecrando, con l'astuzia e con le minacce, ad approvare l'empietà eutichiana.

Accoglie anche, approva e accetta il santo concilio di Calcedonia, quarto nella serie dei sinodi universali, dei sei- centotrenta padri, celebrato al tempo del predetto predecessore nostro Leone e dell'imperatore Marciano, nel quale fu condannata l'eresia eutichiana col suo autore Eutiche e con Dioscoro, suo difensore. Vi fu anche definito che Gesù Cristo, nostro signore, è vero Dio e vero uomo e che in una stessa identica persona sono rimaste integre, intatte, incorrotte, inconfuse, distinte la natura divina e la natura umana; in cui l'umanità operava quello che è proprio dell'uomo, la divinità, quello che è proprio di Dio. Quelli che esso condanna, li condanna anch'essa; quelli che approva, li approva anch'essa. Abbraccia pure, approva e accetta il santo quinto concilio, il secondo celebrato a Costantinopoli al tempo del beato Vigilio, nostro predecessore, e dell'imperatore Giustiniano, nel quale fu confermata la definizione del concilio di Calcedonia sulle due nature e un'unica persona in Cristo e furono riprovati e condannati molti errori di Origene e dei suoi seguaci, specie quelli riguardanti la penitenza e la liberazione dei demoni e degli altri dannati.

Abbraccia anche, approva e accetta il santo, terzo concilio di Costantinopoli, dei centocinquanta padri, - sesto nella serie dei concili universali - celebrato al tempo del beato predecessore nostro Agatone e di Costantino, IV imperatore di questo nome, nel quale fu condannata l'eresia di Macario antiocheno, e fu definito che in Gesù Cristo, nostro signore, vi sono due nature perfette ed integre, due operazioni, ed anche due volontà, benché in una sola persona, a cui competono le azioni dell'una e dell'altra natura, inquantoché la divinità compie quanto è proprio di Dio, l'umanità quello che è proprio dell'uomo.

Abbraccia, approva e accetta anche tutti gli altri concili Universali legittimamente convocati, celebrati e confermati dall'autorità del romano pontefice, e specialmente questo santo concilio fiorentino, nel quale, tra le altre cose, è stata con- dotta a termine la santissima unione con i Greci e con gli Armeni, e sono stati emanati molti utilissimi insegnamenti riguardanti l'una e l'altra unione, completamente riferiti nei decreti promulgati su questi argomenti, il cui testo segue qui appresso. Si rallegrino i cieli... Lodato Dio...

Ma poiché nel decreto per gli Armeni, riportato sopra, non è stata espressa la forma delle parole che la sacrosanta chiesa romana - confermata dalla dottrina e dall'autorità degli apostoli Pietro e Paolo - ha sempre usato nella consacrazione del corpo e del sangue del Signore, abbiamo creduto opportuno inserirla nel presente testo. Nella consacrazione del corpo del Signore essa usa questa formula: Questo è, infatti, il mio corpo. In quella del sangue, invece: Questo è il calice del mio sangue del nuovo ed eterno testamento, mistero della fede, che sarà versato per voi e per molti in remissione dei Peccati (95).

Che poi il pane di frumento, usato per il sacramento, sia stato cotto quel giorno o prima, non ha proprio alcuna importanza: purché, infatti, rimanga la sostanza del pane, non c'è affatto da dubitare che dopo le predette parole della consacrazione del corpo, pronunciate dal sacerdote con intenzione adeguata, si trasforma subito nel vero corpo di Cristo.

Poiché si dice che qualcuno non ammette le quarte nozze come se fossero condannate, perché non avvenga che si ponga il peccato dove non è, - e dato che, secondo l'apostolo, morto il marito, la donna è sciolta dal legame che a lui la stringeva ed ha la libertà di sposare, nel Signore, chiunque voglia (96), e non distingue se sia morto il primo, il secondo o il terzo, - dichiarando che si possono contrarre non solo seconde e terze nozze, ma anche quarte ed oltre, se nessun impedimento canonico le impedisce. Riteniamo tuttavia più degno di lode chi, astenendosi da altre nozze, rimanga nella castità, perché come crediamo che la verginità sia da preferirsi alla vedovanza, così una casta vedovanza è da preferirsi alle nozze, per lode e merito.

Spiegate tutte queste cose, il suddetto abate Andrea, a nome del suo patriarca e suo proprio e di tutti i Giacobiti riceve e accetta con ogni devozione e riverenza questo saluberrimo decreto sinodale con tutte le sue prescrizioni, dichiarazioni, definizioni, tradizioni, precetti e statuti, ogni dottrina contenuta in esso, e tutto quello che ritiene e insegna la santa sede apostolica e la chiesa romana. E riceve anche con riverenza i dottori e santi padri che la chiesa romana approva; qualunque altra persona invece e cosa la stessa chiesa romana riprova e condanna, anch'egli la considera come riprovata e condannata. E, come vero figlio de l'obbedienza, a nome di quelli, di cui sopra, promette di obbedire fedelmente e sempre agli ordini e ai comandi della sede apostolica.



continua

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