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Concilio di Trento

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2008 14:57
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24/11/2008 14:47

 

SESSIONE I (13 dicembre 1545)

(Decreto di inizio del concilio).

Reverendi Padri, credete opportuno, a lode e gloria della santa e indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, per l’incremento e l’esaltazione della fede e della religione cristiana, per l’estirpazione delle eresie, per la pace e l’unione della chiesa, per la riforma del clero e del popolo, per la repressione e l’estinzione dei nemici del nome cristiano, decretare e dichiarare aperto il sacro, generale concilio tridentino? [Risposero: sì].

(Indizione della futura sessione).

E poiché è già prossima la solennità della natività del signore nostro Gesù Cristo e seguiranno le altre festività del termine e dell’inizio dell’anno, credete bene che la prima futura sessione del concilio si debba tenere il giovedì dopo l’Epifania, che sarà il giorno 7 gennaio dell’anno del Signore I546? [Risposero: sì].


SESSIONE II (7 gennaio 1546)

(Decreto sul modo di vivere e su altre cose da osservarsi nel concilio).

Il sacrosanto concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, ben sapendo col beato Giacomo apostolo, che quanto di meglio ci vien dato ed ogni dono perfetto viene dall’alto, scendendo dal Padre dei lumi (1) - il quale a quelli che domandano la sapienza dà a tutti abbondantemente senza rimproveri (2) - ed anche che l’inizio della sapienza è il timore di Dio (3), ha stabilito che debbano esortarsi - ed esorta di fatto - tutti i fedeli cristiani raccolti nella città di Trento, perché vogliano correggersi del male e dei peccati finora commessi, e, nel futuro, camminare nel timore del Signore, e non seguire i desideri della carne (4), perché vogliano esser assidui alle orazioni, più spesso confessarsi e ricevere il sacramento dell’eucarestia, frequentare le chiese, mettere in pratica, per quanto ognuno lo potrà, i comandamenti di Dio e pregare ogni giorno, privatamente, per la pace dei principi cristiani e per l’unità della chiesa.

Quanto ai vescovi e a qualsiasi altro sacerdote che si trovi in questa città per la celebrazione del concilio ecumenico, li esorta a voler attendere assiduamente alle lodi di Dio, offrendo sacrifici, lodi, preghiere, celebrando il sacrificio della messa almeno ogni domenica, giorno nel quale il Signore creò la luce, risorse dai morti, ed effuse lo Spirito santo sui discepoli. Offrano, come lo stesso Spirito santo comanda per mezzo degli apostoli, suppliche, preghiere, richieste, rendimenti di grazie (5), per il santissimo nostro signore il papa, per l’imperatore, per i re, per tutti gli altri che sono costituiti in autorità e per tutti gli uomini, perché conduciamo una vita quieta e tranquilla (6), possiamo goder della pace e vedere l’espansione della fede.

Li esorta, inoltre, a voler digiunare almeno ogni venerdì, in memoria della passione del Signore e a far elemosine ai poveri.

Nella chiesa cattedrale sia celebrata, ogni giovedì, la messa dello Spirito santo, con le litanie e le altre preghiere stabilite a questo scopo. Nelle altre chiese vengano dette nello stesso giorno almeno le litanie e le orazioni. E durante il tempo delle funzioni sacre, non si chiacchieri e non si raccontino storie, ma si assista il celebrante con la bocca e col cuore.

E poiché bisogna che i vescovi siano irreprensibili, sobri, casti, bravi amministratori della loro casa (7), li esorta anche affinché prima di tutto ognuno conservi, a mensa, la sobrietà e la moderazione nei cibi; e poi, dato che in essa, di solito, si tengono discorsi oziosi, perché nelle mense dei vescovi si faccia sempre un po’ di lettura della Scrittura.

Ognuno istruisca e cerchi di educare i suoi familiari, perché sfuggano le risse, il vino, la disonestà, la cupidigia; perché non siano superbi, né bestemmiatori o amanti dei piaceri. Fuggano, finalmente, i vizi e abbraccino le virtù; nel modo di vestire e di ornarsi, ed in ogni loro altra azione si mostrino onesti, come si addice ai servi dei servi di Dio.

Inoltre, poiché la principale preoccupazione, sollecitudine, intenzione di questo sacrosanto concilio è che, - dissipate le tenebre delle eresie, che per tanti anni hanno imperversato sulla terra, - con l’aiuto di Gesù Cristo, luce vera (8), risplenda la luce, lo splendore, la purezza della verità cattolica, e sia riformato ciò che ne ha bisogno, lo stesso concilio esorta tutti i cattolici, convenuti o che converranno a Trento, e in modo particolare quelli che hanno una particolare conoscenza delle sacre scritture, perché vogliano seriamente riflettere per quali vie e con quali mezzi specialmente possa realizzarsi l’intenzione del concilio e sia conseguito l’effetto desiderato: una sollecita e consapevole condanna degli errori, la conferma delle cose degne di approvazione; così che per tutto il mondo tutti con una sola voce e con la confessione della stessa fede glorifichino Dio, Padre del signore nostro Gesù Cristo (9).

Nell’esporre, poi, le proprie opinioni - poiché i sacerdoti del Signore siedono nel luogo della benedizione - secondo quanto stabilisce il concilio Toletano (10), nessuno deve strepitare con espressioni smodate, o disturbare con tumulti; così come non deve far valere le sue idee con dispute false, vane, ostinate. Tutto ciò che viene detto, invece, sia moderato da una forma così mite, che né offenda chi ascolta, né offuschi, per lo sconvolgimento dell’animo, il sereno giudizio della mente.

Lo stesso santo concilio ha stabilito, inoltre, e decretato che, se durante il concilio qualcuno esercitasse un diritto che non gli spetta persino col voto e con la partecipazione alle congregazioni non ne deriverà pregiudizio per alcuno né acquisizione di diritti.


SESSIONE III (4 febbraio 1546)

Si accoglie il simbolo della fede cattolica.

Nel nome della Santa ed indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo. Questo sacrosanto e generale concilio ecumenico tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, considerando l’importanza degli argomenti da trattare, specie di quelli che sono compresi nei due capitoli della estirpazione delle eresie e della riforma dei costumi, per cui principalmente è stato radunato; ben comprendendo, con l’Apostolo, che esso non deve lottare con la carne e il sangue, ma contro gli esseri spirituali del male che abitano le regioni celesti (11), con lo stesso apostolo esorta, in primo luogo, tutti e singoli, perché siano forti nel Signore, e nella potenza della sua forza; imbracciando in ogni cosa lo scudo della fede, con cui possano estinguere tutti i dardi infuocati del malvagio (nemico), e prendano l’elmo della speranza della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio (12).

Perché, quindi, questa sua materna sollecitudine abbia inizio e progredisca per la grazia di Dio, prima di tutto stabilisce e dispone di premettere la professione di fede. Esso segue, in ciò, l’esempio dei padri, i quali usarono opporre nei concili più venerandi questo scudo contro ogni eresia, all’inizio della loro attività; solo con esso condussero gli infedeli alla fede, espugnarono gli eretici, confermarono i fedeli. Ha creduto bene, quindi, che si professi il simbolo della fede in uso presso la santa chiesa Romana, come principio in cui tutti quelli che professano la fede di Cristo necessariamente convengono, e come fondamento fermo e unico, contro il quale le porte dell’inferno non prevarranno mai (13), con le esatte parole, con cui si legge in tutte le chiese. Eccone il testo: Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutti gli esseri, visibili e invisibili. Credo anche in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, nato dal Padre prima di qualsiasi tempo, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, consostanziale al Padre, per mezzo del quale sono state create tutte le cose. Per noi uomini e la nostra salvezza Egli è disceso dal cielo, si è incarnato dalla vergine Maria per opera dello Spirito santo, e si è fatto uomo. È stato anche crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, ha sofferto la passione ed è stato sepolto. È risuscitato il terzo giorno secondo le scritture, è salito al cielo e siede alla destra del Padre. Verrà di nuovo nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito santo, signore e vivificante, che procede dal Padre e dal Figlio. Egli è adorato e glorificato insieme col Padre e col Figlio, ed ha parlato per bocca dei profeti. Credo una sola chiesa santa, cattolica e apostolica. Confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati ed aspetto la resurrezione dei morti e la vita del tempo futuro. Amen.

Data della futura sessione.

Lo stesso sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, considerando che molti prelati si sono accinti al viaggio da diverse parti, che alcuni sono già in via per venire qui, e che tutto quello che dovrà esser deciso dallo stesso santo sinodo potrà incontrare presso tutti una stima ed un onore tanto più grandi, quanto più completa sarà l’assemblea e più numerosa la presenza dei padri che l’hanno sancito e rafforzato, ha stabilito e deciso che la sessione, successiva a questa sia celebrata il giovedì, che seguirà la prossima domenica Laetare.

In questo intervallo, tuttavia, non verrà sospesa la discussione e l’esame di quegli argomenti che sembrerà opportuno allo stesso sinodo discutere ed esaminare.


SESSIONE IV (8 aprile 1546)

Primo decreto: Si ricevono i libri sacri e le tradizioni apostoliche.

Il sacrosanto, ecumenico e generale concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dei medesimi tre legati della sede apostolica, ha sempre presente che, tolti di mezzo gli errori, si conservi nella chiesa la stessa purezza del Vangelo, quel Vangelo che, promesso un tempo attraverso i profeti nelle scritture sante (l4), il signore nostro Gesù Cristo, figlio di Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò che venisse predicato ad ogni creatura (15) per mezzo dei suoi apostoli, quale fonte di ogni verità salvifica e della disciplina dei costumi.

E poiché il sinodo sa che questa verità e disciplina è contenuta nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte - che raccolte dagli apostoli dalla bocca dello stesso Cristo e dagli stessi apostoli, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, tramandate quasi di mano in mano (16), sono giunte fino a noi, — seguendo l’esempio dei padri ortodossi, con uguale pietà e pari riverenza accoglie e venera tutti i libri, sia dell’antico che del nuovo Testamento, - Dio, infatti, è autore dell’uno e dell’altro ed anche le tradizioni stesse, che riguardano la fede e i costumi, poiché le ritiene dettate dallo stesso Cristo oralmente o dallo Spirito santo, e conservate con successione continua nella chiesa cattolica.

E perché nessuno possa dubitare quali siano i libri accettati dallo stesso sinodo come sacri, esso ha creduto opportuno aggiungere a questo decreto l’elenco.

Dell’antico Testamento: i cinque di Mosè, e cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth; i quattro dei Re; i due dei Paralipomeni; il primo e il secondo di Esdra (che è detto di Neemia); Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe; i Salmi di David; i Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei cantici, la Sapienza, l’Ecclesiastico, Isaia, Geremia con Baruch, Ezechiele, Daniele; i dodici Profeti minori, cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i due dei Maccabei, primo e secondo.

Del nuovo Testamento: i quattro Evangeli: secondo Matteo, Marco, Luca, Giovanni; gli Atti degli apostoli, scritti dall’evangelista Luca; le quattordici Lettere dell’Apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei; due dell’apostolo Pietro, tre dell’apostolo Giovanni, una dell’apostolo Giacomo, una dell’apostolo Giuda, e l’Apocalisse dell’apostolo Giovanni.

Se qualcuno, poi, non accetterà come sacri e canonici questi libri, interi con tutte le loro parti, come si è soliti leggerli nella chiesa cattolica e come si trovano nell’edizione antica della volgata latina e disprezzerà consapevolmente le predette tradizioni, sia anatema.

Sappiano quindi tutti, con quali argomenti lo stesso sinodo, posto il fondamento della confessione della fede, procederà, e soprattutto di quali testimonianze e difese si servirà nel confermare gli insegnamenti e nel riformare i costumi nella chiesa.

Secondo decreto: Si accetta l’edizione volgata della Bibbia e si prescrive il modo ai interpretare la sacra Scrittura ecc.

Lo stesso sacrosanto sinodo, considerando, inoltre, che la chiesa di Dio potrebbe ricavare non piccola utilità, se si sapesse quale, fra tutte le edizioni latine dei libri sacri, che sono in uso, debba essere ritenuta autentica, stabilisce e dichiara che questa stessa antica edizione volgata, approvata nella chiesa dall’uso di tanti secoli, si debba ritenere come autentica nelle pubbliche letture, nelle dispute, nella predicazione e che nessuno osi o presuma respingerla con qualsiasi pretesto.

Inoltre, per reprimere gli ingegni troppo saccenti, dichiara che nessuno, basandosi sulla propria saggezza, negli argomenti di fede e di costumi, che riguardano la dottrina cristiana, piegando la sacra Scrittura secondo i propri modi di vedere, osi interpretarla contro il senso che ha (sempre) ritenuto e ritiene la santa madre chiesa, alla quale spetta di giudicare del vero senso e dell’interpretazione delle sacre scritture o anche contro l’unanime consenso dei padri, anche se queste interpretazioni non dovessero esser mai pubblicate. Chi contravvenisse sia denunciato dagli ordinari e punito secondo il diritto.

Ma, volendo anche com’è giusto, imporre un limite in questo campo agli editori, i quali, ormai, senza alcun criterio - credendo che sia loro lecito tutto quello che loro piace — stampano, senza il permesso dei superiori ecclesiastici, i libri della sacra scrittura con note e commenti di chiunque indifferentemente, spesso tacendo il nome dell’editore, spesso nascondendolo con uno pseudonimo, e - cosa ancor più grave, - senza il nome dell’autore, e pongono in vendita altrove, temerariamente, questi libri stampati, il concilio prescrive e stabilisce che, d’ora in poi la sacra scrittura - specialmente questa antica volgata edizione, sia stampata nel modo più corretto, e che nessuno possa stampare o far stampare libri di soggetto sacro senza il nome dell’autore né venderli in futuro o anche tenerli presso di sé, se prima non sono stati esaminati ed approvati dall’ordinario, sotto minaccia di scomunica e della multa stabilita dal canone dell’ultimo concilio Lateranense (17).

Se si trattasse di religiosi, oltre a questo esame e a questa approvazione, siano obbligati ad ottenere anche la licenza dei loro superiori, dopo che questi avranno esaminato i libri secondo le prescrizioni delle loro regole.

Chi comunica o diffonde per iscritto tali libri, senza che siano stati prima esaminati ed approvati, sia sottoposto alle stesse pene riservate agli stampatori. Quelli che li posseggono o li leggono, se non diranno il nome dell’autore, siano considerati come autori. L’approvazione di questi libri venga data per iscritto, e quindi sia posta sul frontespizio del libro, sia esso scritto a mano o stampato. L’approvazione e l’esame siano gratuiti, così che le cose da approvarsi siano approvate e siano riprovate quelle da riprovarsi.

Volendo infine reprimere il temerario uso, per cui parole e espressioni della sacra scrittura vengono adattate e contorte a significare cose profane, volgari, favolose, vane, adulazioni, detrazioni, superstizioni, incantesimi empi e diabolici, divinazioni, sortilegi, libelli diffamatori, il concilio comanda ed ordina per togliere di mezzo questo irriverente disprezzo, ed anche perché in avvenire nessuno osi servirsi, in qualsiasi modo, delle parole della sacra scrittura per indicare simili cose, che tutti i corruttori e violatori della parola di Dio, siano puniti dai vescovi secondo il diritto o la discrezione dei vescovi stessi.

Terzo decreto: Indizione della futura sessione.

Questo sacrosanto concilio stabilisce e comanda che la futura sessione debba esser celebrata il giovedì dopo la prossima santissima festa di Pentecoste.


SESSIONE V (I7 giugno 1546)

Decreto sul peccato originale.

Perché la nostra fede cattolica, senza la quale è impossibile piacere a Dio (18), rimossi gli errori, resti integra e pura e perché il popolo cristiano non sia turbato da ogni vento di dottrina (19) dal momento che l’antico, famoso serpente (20), sempre nemico del genere umano, tra i moltissimi mali da cui è sconvolta la chiesa di Dio in questi nostri tempi, ha suscitato nuovi e vecchi dissidi, anche nei riguardi del peccato originale e dei suoi rimedi il sacrosanto, ecumenico e generale concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, volendo richiamare gli erranti e confermare gli incerti, seguendo le testimonianze delle sacre scritture, dei santi padri, dei concili più venerandi ed il giudizio e il consenso della chiesa stessa, stabilisce, confessa e dichiara quanto segue sul peccato originale.

1. Chi non ammette che il primo uomo Adamo, avendo trasgredito nel paradiso il comando di Dio, ha perso subito la santità e la giustizia, nelle quali era stato creato e che è incorso per questo peccato di prevaricazione nell’ira e nell’indignazione di Dio, e, quindi, nella morte, che Dio gli aveva prima minacciato, e, con la morte, nella schiavitù di colui che, in seguito, ebbe il potere della morte e cioè il demonio (21); e che Adamo per quel peccato di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo: sia anatema.

2. Chi afferma che la prevaricazione di Adamo nocque a lui solo, e non anche alla sua discendenza; che perdette per sé soltanto, e non anche per noi, la santità e giustizia che aveva ricevuto da Dio; o che egli, inquinato dal peccato di disobbedienza, abbia trasmesso a tutto il genere umano solo la morte e le pene del corpo, e non invece anche il peccato, che è la morte dell’anima: sia anatema. Contraddice infatti all’apostolo, che afferma: Per mezzo di un sol uomo il peccato entrò nel mondo e a causa del peccato la morte, e così la morte si trasmise a tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono (22).

3. Chi afferma che il peccato di Adamo, uno per la sua origine, trasmesso con la generazione e non per imitazione, che aderisce a tutti, ed è proprio di ciascuno, possa esser tolto con le forze della natura umana, o con altro mezzo, al di fuori dei meriti dell’unico mediatore, il signore nostro Gesù Cristo, che ci ha riconciliati con Dio per mezzo del suo sangue (23), diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione (24); o nega che lo stesso merito di Gesù Cristo venga applicato sia agli adulti che ai bambini col sacramento del battesimo, rettamente conferito secondo il modo proprio della chiesa: sia anatema. Perché non esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo essere salvi (25). Da cui l’espressione: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo (26) e l’altra: Tutti voi che siete stati battezzati, vi siete rivestiti di Cristo (27).

4. Chi nega che i fanciulli, appena nati debbano esser battezzati, anche se figli di genitori battezzati oppure sostiene che essi sono battezzati per la remissione dei peccati, ma che non contraggono da Adamo alcun peccato originale, che sia necessario purificare col lavacro della rigenerazione per conseguire la vita eterna, e che, quindi, per loro la forma del battesimo per la remissione dei peccati non debba credersi vera, ma falsa sia anatema. Infatti, non si deve intendere in altro modo quello che dice l’apostolo: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e col peccato la morte, così la morte si è trasmessa ad ogni uomo perché tutti gli uomini hanno peccato (28), se non nel senso in cui la chiesa cattolica universale l’ha sempre inteso. Secondo questa norma di fede per tradizione apostolica anche i bambini, che non hanno ancora potuto commettere peccato, vengono veramente battezzati, affinché in essi sia purificato con la rigenerazione quello che contrassero con la generazione. Se, infatti, uno non rinasce per l’acqua e lo Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (29).

5. Chi nega che per la grazia del signore nostro Gesù Cristo, conferita nel battesimo, sia rimesso il peccato originale, o anche se asserisce che tutto quello che è vero e proprio peccato, non viene tolto, ma solo cancellato o non imputato (30) sia anatema. In quelli infatti che sono rinati a nuova vita Dio non trova nulla di odioso, perché non vi è dannazione per coloro (31) che col battesimo sono stati sepolti con Cristo nella morte (32), i quali non camminano secondo la carne (33), ma spogliandosi dell’uomo vecchio e rivestendosi del nuovo (34), che è stato creato secondo Dio, sono diventati innocenti, immacolati, puri, senza macchia, figli cari a Dio, eredi di Dio e coeredi di Cristo (35); di modo che assolutamente nulla li trattiene dall’ingresso nel cielo.

Questo santo sinodo confessa che tuttavia nei battezzati rimane la concupiscenza o passione. Ma, essendo questa lasciata per la lotta, non può nuocere a quelli che non acconsentono e che le si oppongono virilmente con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, chi avrà combattuto secondo le regole, sarà coronato (36).

Il santo sinodo dichiara che mai la chiesa cattolica ha inteso che venga chiamato "peccato" la concupiscenza, qualche volta chiamata dall’apostolo peccato (37), per il fatto che nei rinati alla grazia non è un vero e proprio peccato, ma perché ha origine dal peccato e ad esso inclina. Chi pensasse il contrario sia anatema.

6. Questo santo sinodo dichiara tuttavia, che non è sua intenzione comprendere in questo decreto, dove si tratta del peccato originale, la beata ed immacolata vergine Maria, madre di Dio, ma che si debbano osservare a questo riguardo le costituzioni di papa Sisto IV (38), di felice memoria, sotto pena di incorrere nelle sanzioni in esse contenute che il sinodo rinnova.

Secondo decreto: Sulla lettura della s. scrittura e la predicazione.

1. Lo stesso sacrosanto sinodo, aderendo alle pie costituzioni dei sommi pontefici e dei concili approvati, le fa sue; e volendo completarle, perché non avvenga che il tesoro celeste dei libri sacri, che lo Spirito santo ha dato agli uomini con somma liberalità, rimanga trascurato, ha stabilito e ordinato che nelle chiese, in cui vi sia una prebenda o una dotazione, o uno stipendio comunque chiamato destinato ai lettori di sacra teologia, i vescovi, gli arcivescovi, i primati e gli altri ordinari locali obblighino, anche con la sottrazione dei frutti relativi, quelli che hanno questa prebenda, dotazione o stipendio, ad esporre e spiegare la sacra scrittura personalmente, se sono idonei, altrimenti per mezzo di un sostituto adatto, da scegliersi dai vescovi, dagli arcivescovi, dai primati e dagli altri ordinari stessi.

Per il futuro tale prebenda, dotazione o stipendio non dovrà esser conferito se non a persone adatte, che siano capaci di esplicare tale ufficio da se stessi. Ogni provvista fatta altrimenti sia nulla e invalida.

2. Nelle chiese metropolitane o cattedrali, se la città è importante e popolosa, ed anche nelle collegiate che si trovassero in un centro importante, - anche di nessuna diocesi, - purché vi sia numeroso clero, qualora non si trovi prebenda, dotazione o stipendio da destinare a questo scopo, si consideri ipso facto destinata per sempre a ciò la prima prebenda che in qualsiasi modo si renda vacante, salvo il caso di rinunzia e qualora vi sia annesso un altro onere incompatibile. Se non vi fosse in queste stesse chiese alcuna prebenda o fosse insufficiente, il metropolita o il vescovo stesso, con l’assegnazione dei frutti di un beneficio semplice (di cui però bisogna soddisfare gli oneri), o col contributo dei beneficiati della sua città e diocesi, o anche in altro modo, come si potrà fare più facilmente, col consiglio del capitolo provveda in maniera tale, che si abbia la lettura della sacra scrittura. Ciò però, avvenga in modo che qualsiasi altra lettura, istituita o consuetudinaria non sia, per questo motivo, omessa.

3. Quelle chiese i cui proventi annuali fossero limitati, o dove il clero e il popolo fosse tanto scarso, da non potersi tenere opportunamente la lezione di teologia, abbiano almeno un maestro, scelto dal vescovo col consiglio del capitolo, che insegni gratuitamente la grammatica ai chierici e agli altri scolari poveri, perché, con l’aiuto di Dio, possano poi passare agli studi della sacra scrittura. Il maestro di grammatica riceva i frutti di un beneficio semplice fino a che eserciterà tale ufficio senza che, tuttavia, il beneficio stesso sia distolto dal proprio scopo, o un adeguato compenso dalla mensa capitolare o vescovile o il vescovo stesso escogiti qualche altro mezzo adatto alla sua chiesa e diocesi, perché questa pia, utile e così fruttuosa disposizione, sotto qualsiasi pretesto, non venga trascurata.

4. Anche nei monasteri dove possa essere convenientemente realizzata, si tenga tale lettura della sacra scrittura. Se gli abati fossero negligenti, i vescovi quali delegati della sede apostolica, li costringano a farlo con i mezzi opportuni.

5. Nei conventi dei regolari, in cui gli studi possono essere facilmente coltivati la lezione di sacra scrittura abbia ugualmente luogo, essa sia assegnata dai capitoli generali o provinciali ai maestri più degni.

6. Anche nei ginnasi pubblici, dove questa lezione, più necessaria di tutte le altre non fosse stata ancora istituita, sia attivata dalla pietà e dalla carità dei religiosissimi principi e delle repubbliche, per la difesa e l’incremento della fede cattolica e per la conservazione e propagazione della sana dottrina. E dove fosse stata istituita ma fosse trascurata, la si rimetta in auge.

7. E perché sotto l’apparenza della pietà non venga diffusa l’empietà, lo stesso santo sinodo stabilisce che nessuno debba essere ammesso a tale ufficio di lettore, sia in pubblico che in privato, se prima non è stato esaminato dal vescovo del luogo circa la sua vita, i suoi costumi, la sua scienza, e approvato. Ciò, tuttavia, non si applica ai lettori dei monasteri.

8. Gli insegnanti di sacra scrittura, nel tempo in cui insegnano pubblicamente nelle scuole, e così pure gli studenti godano ed usufruiscano di tutti i privilegi concessi dal diritto di percepire i frutti delle loro prebende e dei loro benefici anche durante la loro assenza.

9. Poiché, tuttavia, alla società cristiana non è meno necessaria la predicazione del Vangelo, che la sua lettura, e questo è il principale ufficio dei vescovi (39), lo stesso santo sinodo ha stabilito e deciso che tutti i vescovi, arcivescovi, primati, e tutti gli altri prelati di chiese siano tenuti a predicare personalmente il santo Vangelo di Gesù Cristo se non ne sono legittimamente impediti.

10. Se i vescovi e le altre persone nominate fossero impedite da un legittimo motivo, siano tenuti, conformemente a quanto prescrive il concilio generale (40), a farsi sostituire da persone adatte per questo ufficio della predicazione. Se qualcuno trascurasse di adempiere ciò, sia sottoposto ad una pena severa.

11. Anche gli arcipreti, i pievani, e tutti coloro che abbiano cura d’anime nelle parrocchie o altrove, personalmente o per mezzo d’altri se ne fossero legittimamente impediti, almeno nelle domeniche e nelle feste più solenni, nutrano il popolo loro affidato con parole salutari, secondo la propria e la loro capacità, insegnando quelle verità che sono necessarie a tutti per la salvezza e facendo loro conoscere, con una spiegazione breve e facile, i vizi che devono fuggire e le virtù che devono praticare, per evitare la pena eterna e conseguire la gloria celeste.

Se poi qualcuno di loro fosse negligente anche se pretendesse di essere esente dalla giurisdizione del vescovo per qualsiasi motivo o anche se le chiese fossero ritenute in qualsiasi modo esenti, o forse annesse o unite a qualche monastero, situato magari fuori diocesi, purché in realtà si trovino nella diocesi, non manchi la provvidenziale sollecitudine dei vescovi, perché non debba avverarsi il detto: I piccoli chiesero il pane e non vi era chi lo spezzasse loro (41) Se però, pur ammoniti dal vescovo, per tre mesi mancassero al loro ufficio, vi siano costretti con le censure ecclesiastiche, o in altro modo secondo la decisione dello stesso vescovo. Se a lui sembrasse opportuno, potrà anche esser dato ad altri un onesto compenso sui frutti del beneficio perché compia questo dovere, fino a che il titolare si ravveda e adempia il suo dovere.

12. Nelle chiese parrocchiali soggette a monasteri non dipendenti da alcuna diocesi, qualora gli abati e i superiori dei religiosi fossero negligenti in ciò che abbiamo detto, vi siano costretti dai metropoliti, nelle cui province si trovano le stesse diocesi, i quali si considereranno, in questa occasione, delegati della sede apostolica.

Né valgano ad impedire l’esecuzione di qesto decreto la consuetudine, l’esenzione, l’appello o il reclamo, cioè il ricorso, fino a che il giudice competente, con procedimento sommario e tenendo solo conto della verità del fatto, non abbia esaminato e deciso l’argomento.

13. I religiosi di qualunque ordine, se non sono stati esaminati e approvati dai loro superiori circa la vita, i costumi e la scienza, e se non consta di questa loro licenza, non potranno predicare neppure nelle chiese dei loro ordini. Essi devono presentarsi con essa personalmente ai vescovi e chiedere la loro benedizione, prima di dare inizio alla predicazione (42).

14. I religiosi nelle chiese, che non appartengono al loro ordine, oltre alla licenza dei loro superiori, sono tenuti ad avere anche quella del vescovo; senza di essa, non potranno in nessun caso predicare nelle chiese che non sono del loro ordine (43). Questa licenza i vescovi la concedano gratuitamente.

15. Se un predicatore seminasse errori o scandali in mezzo al popolo, anche se predica in un monastero del proprio o di un altro ordine, il vescovo gli proibisca la predicazione. Se predicasse delle eresie proceda contro di lui secondo il diritto o l’uso del luogo, anche se il predicatore pretendesse di essere esente per un privilegio generale o speciale. In questo caso il vescovo proceda con autorità apostolica e come delegato della sede apostolica. I vescovi impediscano che un predicatore sia molestato per false informazioni o comunque calunniosamente, e che possa a giusto motivo di lamentarsi di essi.

16. I vescovi inoltre abbiano cura che nessuno dei regolari viva fuori del convento e dell’obbedienza del proprio ordine, o che un sacerdote secolare (a meno che sia loro noto e possano approvarne i costumi e la dottrina) predichi nella loro città o diocesi, anche col pretesto di qualsiasi privilegio, fino a quando dagli stessi vescovi non sia stata consultata a questo proposito la santa sede apostolica, da cui, a meno che non si sia taciuta la verità o non si sia detta una menzogna, è difficile che gli immeritevoli possano estorcere tali privilegi.

17. I raccoglitori di elemosine (44), che con espressione popolare, sono detti ‘questuantl’, di qualsiasi condizione essi siano, non presumano in nessun modo di poter predicare, sia personalmente, che per mezzo di altri. Chi facesse il contrario, ne sia assolutamente impedito con opportuni rimedi dai vescovi e dagli ordinari dei luoghi, non ostante qualsiasi privilegio.

Decreto di indizione della futura sessione.

Questo sacrosanto sinodo stabilisce e determina che la futura sessione si tenga e celebri il giovedì, feria quinta dopo la festa di S. Giacomo apostolo.


SESSIONE VI (13 gennaio I547)

Decreto sulla giustificazione

Proemio

In questi anni è stata divulgata con grave danno per molte anime e per l’unità della chiesa, una dottrina erronea sulla giustificazione. Perciò questo sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale, riunito legittimamente nello Spirito santo, a lode e gloria di Dio onnipotente, per la tranquillità della chiesa e per la salvezza delle anime, sotto la presidenza dei reverendissimi signori Gianmaria del Monte, cardinale vescovo di Palestrina, Marcello Cervini, cardinale presbitero del titolo di S. Croce in Gerusalemme, cardinali della santa chiesa romana, e legati apostolici de latere, a nome del nostro santissimo padre in Cristo e signore Paolo III, per divina provvidenza papa, intende esporre a tutti i fedeli cristiani la vera e sana dottrina sulla giustificazione che Gesù Cristo, sole di giustizia (45), autore e perfezionatore della nostra fede (46), ha insegnato che gli apostoli hanno trasmesso e che la chiesa cattolica, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, ha sempre ritenuto. E proibisce assolutamente che, d’ora innanzi, qualcuno osi credere, predicare e insegnare diversamente da quello che col presente decreto si stabilisce e si dichiara.

Capitolo I.

L’impotenza della natura e della legge a giustificare gli uomini.

Prima di tutto il santo sinodo dichiara che, per una

conoscenza esatta e corretta della dottrina della giustificazione, è necessario che ognuno riconosca e confessi che tutti gli uomini, perduta l’innocenza per la prevaricazione di Adamo, fatti immondi (47) e (come dice l’apostolo) per natura figli dell’ira (48), come ha esposto nel decreto sul peccato originale, erano talmente servi del peccato (49) e sotto il potere del diavolo e della morte, che non solo i gentili con le forze della natura, ma neppure i Giudei con l’osservanza della lettera della legge di Mosè potevano esserne liberati e risollevati, anche se in essi il libero arbitrio non era affatto estinto, ma solo attenuato e indebolito.

Capitolo II.

L’economia della salvezza e il mistero della venuta di Cristo.

Perciò il Padre celeste, padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione (50), quando giunse quella beata pienezza dei tempi (51), mandò agli uomini Gesù Cristo, suo figlio, annunciato e promesso, sia prima della legge, sia durante il tempo della legge da molti santi padri, affinché riscattasse i Giudei, che erano sotto la legge (52), e i gentili i quali non cercavano la giustizia, ottenessero la giustizia (53); e tutti ricevessero l’adozione di figli (54). Questo Dio ha posto quale propiziatore mediante la fede nel suo sangue (55), per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto l’universo (56).

Capitolo III.

Chi sono i giustificati da Gesù Cristo.

Ma benché egli sia risorto per tutti (57), tuttavia non tutti ricevono il beneficio della sua morte, ma solo quelli cui viene comunicato il merito della sua passione.

Come infatti gli uomini, in concreto, se non nascessero dalla discendenza del seme di Adamo, non nascerebbero ingiusti, proprio perché con questa propagazione, quando vengono concepiti, contraggono da lui la propria ingiustizia: così se essi non rinascessero nel Cristo, non potrebbero mai essere giustificati, proprio perché con quella rinascita viene attribuita loro, per il merito della sua passione la grazia per cui diventano giusti.

Per questo beneficio l’apostolo ci esorta a rendere sempre grazie al Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla eredità dei santi nella luce, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del Figlio del suo amore, nel quale abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati (58).

Capitolo IV.

Descrizione della giustificazione dell’empio.

Suo modo sotto la grazia.

Queste parole indicano chiaramente che la giustificazione dell’empio è il passaggio dallo stato, in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio (59), per mezzo del secondo Adamo, Gesù Cristo, nostro Salvatore. Questo passaggio, dopo la promulgazione del Vangelo, non può avvenire senza il lavacro della rigenerazione o senza il desiderio di esso, conformemente a quanto sta scritto: Se uno non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (60).

Capitolo V.

Necessità degli adulti di prepararsi alla giustificazione, e da dove essa scaturisce.

Dichiara ancora il concilio che negli adulti l’inizio della stessa giustificazione deve prender la mosse dalla grazia preveniente di Dio, per mezzo di Gesù Cristo, cioè della chiamata, che essi ricevono senza alcun loro merito, di modo che quelli che coi loro peccati si erano allontanati da Dio, disposti dalla sua grazia, che sollecita ed aiuta, ad orientarsi verso la loro giustificazione, accettando e cooperando liberamente alla stessa grazia, così che, toccando Dio il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, l’uomo non resti assolutamente inerte subendo quella ispirazione, che egli può anche respingere, né senza la grazia divina possa, con la sua libera volontà, rivolgersi alla giustizia dinanzi a Dio.

Perciò quando nelle sacre scritture si dice: Convertitevi a me, ed io mi rivolgerò a voi (61), si accenna alla nostra libertà e quando rispondiamo: Facci tornare, Signore, a te e noi ritorneremo (62), noi confessiamo di essere prevenuti dalla grazia di Dio.

Capitolo VI.

Il modo di prepararsi.

Gli uomini si dispongono alla stessa giustizia, quando, eccitati ed aiutati dalla grazia divina, ricevendo la fede mediante l’ascolto (63), Si volgono liberamente verso Dio, credendo vero ciò che è stato divinamente rivelato e promesso, e specialmente che l’empio viene giustificato da Dio col dono della sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù (64). Parimenti accade quando, riconoscendo di essere peccatori, scossi dal timore della divina giustizia passano a considerare la misericordia di Dio e sentono nascere in sé la speranza, confidando che Dio sarà loro propizio a causa del Cristo, e cominciano ad amarlo come fonte di ogni giustizia; e si rivolgono, quindi, contro il peccato con odio e detestazione, cioè con quella penitenza, che bisogna fare prima del battesimo; infine si propongono di ricevere il battesimo, di cominciare una nuova vita e di osservare i comandamenti divini.

Di questo atteggiamento sta scritto: È necessario che chiunque nascosta Dio, creda che egli esiste e che ricompensa quelli che lo cercano (65); e: Confida, figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati (66); come pure: Il timore del Signore scaccia il peccato (67); e: Fate penitenza e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati e riceverete il dono dello Spirito santo (68); e: Andate dunque e istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato (69) Finalmente: Rivolgete al Signore i vostri cuori (70).

Capitolo VII.

Cosa è la giustificazione del peccatore e quali le sue cause.

A questa disposizione o preparazione segue la stessa giustificazione. Essa non è solo remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore, attraverso l’accettazione volontaria della grazia e dei doni, per cui l’uomo da ingiusto diviene giusto, e da nemico amico, così da essere erede secondo la speranza della vita eterna (71).

Cause di questa giustificazione sono: causa finale, la gloria di Dio e del Cristo e la vita eterna; causa efficiente la misericordia di Dio, che gratuitamente lava (72) e santifica, segnando ed ungendo (73) con lo Spirito della promessa, quello santo che è pegno della nostra eredità (74); causa meritoria è il suo dilettissimo unigenito e signore nostro Gesù Cristo, il quale, pur essendo noi suoi nemici (75), per l’infinito amore con cui ci ha amato (76), ci ha meritato la giustificazione con la sua santissima passione sul legno della croce e ha soddisfatto per noi Dio Padre. Causa strumentale è il sacramento del battesimo, che è il sacramento della fede (77), senza la quale a nessuno, mai, viene concessa la giustificazione. Finalmente, unica causa formale è la giustizia di Dio, non certo quella per cui egli è giusto, ma quella per cui ci rende giusti; con essa, cioè per suo dono, veniamo rinnovati interiormente nello spirito (78), e non solo veniamo considerati giusti, ma siamo chiamati tali e lo siamo di fatto (79), ricevendo in noi ciascuno la propria giustizia, nella misura in cui lo Spirito santo la distribuisce ai singoli come vuole (80) e secondo la disposizione e la cooperazione propria di ciascuno.

Quantunque infatti nessuno possa esser giusto, se non colui al quale vengono comunicati i menti della passione del signore nostro Gesù Cristo, ciò, tuttavia, in questa giustificazione del peccatore, si opera quando, per mento della stessa santissima passione, l’amore di Dio viene diffuso mediante lo Spirito santo nei cuori (81) di coloro che sono giustificati e inerisce loro. Per cui nella stessa giustificazione l’uomo, con la remissione dei peccati, riceve insieme tutti questi doni per mezzo di Gesù Cristo nel quale è innestato: la fede, la speranza e la carità. Infatti la fede, qualora non si aggiungano ad essa la speranza e la carità, non unisce perfettamente a Cristo né rende membra vive del suo corpo. Per questo motivo è assolutamente vero affermare che la fede senza le opere è morta ed inutile (82) e che in Cristo non valgono né la circoncisione, né la incirconcisione, ma la fede operante per mezzo della carità (83).

Questa fede, secondo la tradizione apostolica, chiedono i catecumeni alla chiesa prima del sacramento del battesimo quando chiedono la fede che dà la vita eterna, che la fede non può garantire senza la speranza e la carità. È per questo che essi ascoltano subito la parola di Cristo: Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti (84). Perciò a chi riceve lo vera giustizia cristiana, non appena rinato viene comandato di conservare candida e senza macchia la prima stola, donata loro da Gesù Cristo in luogo di quella che Adamo ha perso con la sua disobbedienza per sé e per noi. Essi dovranno portarla dinanzi al tribunale del signore nostro Gesù Cristo per avere la vita eterna (85).

continua

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