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VANGELO DI MARCO

Ultimo Aggiornamento: 25/11/2008 11:40
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25/11/2008 11:35

MANIFESTAZIONE GLORIOSA DEL FIGLIO DELL'UOMO (13, 24-37)

Questa sezione è una descrizione che trascende le dimensioni storiche della distruzione di Gerusalemme, e usa quasi completamente immagini veterotestamentarie.<o:p></o:p>

Il discorso escatologico non riguarda esclusivamente "l'escaton" (la fine dei tempi), ma termina con una serie di detti e parabole esortanti alla vigilanza.<o:p></o:p>

In questa sezione la serie comprende la parabola del fico (28-29), due detti sulla caducità del mondo (30-31), due detti sull'ora (32-33), la parabola dei servi e del padrone partito per un viaggio (34-36) e l'esortazione finale alla vigilanza (37): La serie è in gran parte concatenata mediante parole-richiamo.<o:p></o:p>

"In quei giorni": un'espressione priva di qualsiasi associazione ben precisa (v. 1,9; 8,1).<o:p></o:p>

"Dopo quella tribolazione": la "grande tribolazione" degli scritti apocalittici e veterotestamentari (v. commento a 13,19).<o:p></o:p>

"Il sole si oscurerà": sono qui incorporati motivi veterotestamentari: Is. 13,10; 34,4; Ez. 32, 7-8; Am. 8,9; Gioe. 2,10. Sono immagini che simboleggiano il giudizio pronunciato da Dio nei confronti di coloro che vengono colpiti da queste calamità.<o:p></o:p>

"Il Figlio dell'uomo venire sulle nubi": questa è l'asserzione principale della sezione: la visione del Figlio dell'uomo. E' quasi certo che questo versetto riflette Dan. 7,13; implicitamente vi si afferma il ritorno del Figlio dell'uomo che viene a ereditare il suo regno.<o:p></o:p>

"I messaggeri": può darsi siano gli angeli.<o:p></o:p>

"Quando vedrete accadere queste cose": nel contesto marciano "queste cose" vanno riferite a tutto quanto è venuto prima e non semplicemente all'ultima sezione.<o:p></o:p>

"Non passerà questa generazione": l'evangelista sta pensando non semplicemente a una possibile distruzione di Gerusalemme ma al ritorno del Figlio dell'uomo nella potenza e nella gloria, evento a cui dovrà assistere la sua generazione.<o:p></o:p>

"Quanto poi a quel giorno nessuno sa nulla": questa asserzione è essenziale per l'esortazione alla vigilanza. Soggiacente all'affermazione è l'immagine veterotestamentaria del giorno di Jahwè (Am. 5, 18-20; Is. 2,12; Ger. 46,10).<o:p></o:p>

"Neppure il Figlio": la ragione è che Gesù nella cristologia marciana - che non è quella di Calcedonia - è soltanto il Figlio; egli non è il Padre, il quale indubbiamente conosce quel giorno. Non si dovrebbe qui cercare di dare una spiegazione esauriente ricorrendo alla conoscenza comunicativa che Gesù (il Figlio) ha della sua missione; tale distinzione non ha alcun fondamento nel testo, ma è soltanto il frutto di una visuale che non è quella dell'evangelista.<o:p></o:p>

"Sera tardi, a mezzanotte, al canto del gallo o la mattina": quattro divisioni della notte (in periodi di tre ore ciascuno) erano in uso presso i romani; l'uso palestinese giudaico la divideva invece in tre vigilie (Lc. 12,38).<o:p></o:p>

"Quello che dico a voi lo dico a tutti": questa affermazione innalza l'intero discorso al di sopra di ogni limite della visuale ristretta della crisi che l'imminente distruzione di Gerusalemme e del tempio avrebbe significato per i giudei e per i giudeo-cristiani.<o:p></o:p>

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TORNA ALL'INDICE

LA PASSIONE E LA RISURREZIONE DI GESU'<o:p></o:p>

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Marco legge la storia di Cristo a partire dalla morte-risurrezione, cioè da quel centro che illumina tutto ciò che precede e permette di coglierlo nel suo vero significato. Ed ecco perché Mc. prolunga all'indietro il tema della Passione. Ci sono le tre predizioni che dal cap. 8 in poi scandiscono la narrazione, ma già al cap. 3,6 si parlava con chiarezza della morte: "i farisei tennero consiglio con gli erodiani contro Gesù, sul modo come farlo perire".<o:p></o:p>

Il racconto della Passione è stato di solito considerato la prima parte della tradizione primitiva che abbia acquisito la forma di una narrazione continua. Non è possibile identificare il racconto marciano della passione con questa forma primitiva. In ogni caso, la relazione marciana è la più vicina a quanto deve essere realmente accaduto. Quando la versione marciana viene confrontata con quella di Mt. o Lc. appare chiaramente come la più primitiva, nella nuda realtà della sua descrizione e nella scarsa entità di ciò che può essere frutto di redazione tendenziosa.<o:p></o:p>

Il racconto marciano della passione è presentato come il compimento e l'evento culminante nella vita di Gesù che viene finalmente riconosciuto come il Messia, perciò è il vertice del suo "vangelo".<o:p></o:p>

Non si può negare che nel suo racconto della Passione, Marco (come gli altri) sia preoccupato di sottolineare l'innocenza di Gesù di fronte alla decisione del governatore romano. C'è inoltre l'accento sulla attuazione della volontà di Dio in quella morte, a questo punto ricorrono numerose in tutto il racconto le citazioni veterotestamentarie. <o:p></o:p>

L'uso frequente di citazioni tratte dall'A.T. colora la narrazione dei fatti, dandole un carattere teologico e mostrando nel contempo che l'evangelista non intendeva scrivere un racconto puramente storico.<o:p></o:p>

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L'UNZIONE A BETANIA (14, 1-11)<o:p></o:p>

Questo episodio che consiste in un annuncio del tradimento di Giuda (14, 1-2.10-11), un tempo fu un brano isolato della tradizione evangelica; non soltanto esso interrompe la narrazione del complotto, ma riceve una collocazione differente in Gv. (12, 1-8) e viene omesso in Lc. che riferisce invece un racconto (differente?) agganciato al ministero galilaico (7, 36-38).<o:p></o:p>

Questo racconto riguardante Gesù è quasi un detto cristallizzato il che indica che originariamente aveva poco a che fare con il racconto della passione.<o:p></o:p>

"Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azimi": la festa di Pasqua (greco "pascha"; ebraico "pesah"), celebrata in Gerusalemme, iniziava al calar del sole con l'uccisione degli agnelli nel tempio. La cena di Pasqua che segnava l'inizio del giorno 15 Nisan, era la più importante delle tre festività la cui osservanza era obbligatoria per ogni giudeo maschio che avesse superato il dodicesimo anno di età (Es. 23, 14-17). La Pasqua era seguita dagli Azzimi ("Ta azjma", lett. "la festa dei pani non lievitati"), i sette giorni dal 15 al 21 Nisan (v. Lev. 23, 5-6). L'aggancio popolare fra queste due festività è ereditato dalla tradizione Sacerdotale (P) del Pentateuco.<o:p></o:p>

"Non durante la festa": immense folle si radunavano a Gerusalemme per celebrare la festa. Implicitamente viene affermata la popolarità di Gesù presso questi pellegrini e viene in tal modo creato un contrasto con l'ostilità del gruppo dirigente giudaico.<o:p></o:p>

"Versò l'unguento sul suo capo": in Gv. 12,3 vengono unti i piedi di Gesù. Nell'A.T. si usava ungere la testa di un re (2 Re 9, 1-13; 1 Sam. 10,1), ed è possibile che venga in tal modo insinuata la dignità regale di Gesù.<o:p></o:p>

Di questo gesto "discusso" Mc. ricorda tre motivi importanti: qualcuno vede nel gesto uno "spreco": poteva servire per i poveri! Come se Cristo, solo e abbandonato da tutti che va a morire, non fosse un povero! Come se non fosse giusto "sprecare" un po' della nostra amicizia per lui! Infine la donna vede in quel gesto un segno di amore e di rispetto: un riconoscimento messianico (Messia, vuol dire appunto, "unto", "consacrato"). Ma quale Messia? L'interpretazione di Gesù svela il significato ultimo e vero di questo gesto (che non è capito neanche dalla donna): è un anticipo della sua sepoltura. Gesù è un Messia che va a morire. Questo è il pensiero che domina Cristo e che i discepoli non capiscono.<o:p></o:p>

"Alcuni dissero": in Mt. 26,8 essi diventano i "discepoli" e in Gv. 12,4 "Giuda".<o:p></o:p>

"Trecento denari": l'equivalente del salario di trecento giorni: v. Mt. 20,2.<o:p></o:p>

"Dovunque sarà annunciato il Vangelo": questo versetto è probabilmente un commento della chiesa primitiva, quando la diffusa predicazione del "vangelo" era già in atto.<o:p></o:p>

"Giuda uno dei Dodici": questa frase, spesso associata al nome di Giuda nei vangeli registra con orrore il ricordo della sua vita intima con Gesù. E' il tradimento dell'amicizia e della elezione. Deve essere stato usato abitualmente in questo senso dalla primitiva comunità cristiana.<o:p></o:p>

"Promisero di dargli denaro": Mc. non specifica mai l'ammontare; cfr. invece Mt. 26,15 e Zc. 11,12.<o:p></o:p>

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L'ULTIMA CENA (14, 12-25)<o:p></o:p>

Questa sezione è divisa in tre parti.<o:p></o:p>

1.     Preparativi per la Pasqua (12-16) <o:p></o:p>

2.     L'annuncio del tradimento (17-21) <o:p></o:p>

3.     L'eucarestia (22-25) <o:p></o:p>

Insieme esse formano il ciclo dell'ultima cena, comune ai sinottici; Lc. vi aggiunge un discorso di addio (22, 21-38) che è, in un certo modo, un parallelo della tradizione giovannea.<o:p></o:p>

Per comprendere questa sezione, che ha come centro l'ultima cena e che introduce al racconto della Passione, occorre ricostruire un triplice retroterra.<o:p></o:p>

1) Anzitutto, l'intera vita di Gesù, di cui la cena è simultaneamente il culmine e la rivelazione. La cena, in effetti, non è un gesto isolato e improvviso, bensì fortemente radicato nel contesto evangelico: svela in profondità il significato della "via" del Cristo, permettendoci di coglierne la tensione interiore che l'ha guidata sin dall'inizio.<o:p></o:p>

2) In secondo luogo si deve tenere presente il retroterra veterotestamentario (in particolare Is. 53 e Es. 24) e la liturgia giudaica della celebrazione della Pasqua.<o:p></o:p>

3) Infine occorre tenere presente il quadro liturgico della comunità cristiana, nel nostro caso della comunità di Marco. Nel brano evangelico non troviamo solo le parole e i gesti di Gesù, ma troviamo i suoi gesti e le sue parole inquadrate nella liturgia comunitaria, in cui appunto venivano ricordati e riproposti: parole del Signore, dunque, e riflessioni comunitarie, ricordo e meditazione. Con più precisione potremmo dire che i gesti e le parole del Signore ci vengono tramandate in un contesto liturgico e omiletico (cioè di insegnamento per la vita).<o:p></o:p>

La cornice in cui Marco colloca la cena non è un semplice quadro esteriore, una precisazione cronologica, bensì un quadro che avvia già alla comprensione del significato interiore dell'evento.<o:p></o:p>

Era vicina la pasqua dei Giudei (14,1) e Gesù intende celebrare la cena pasquale con i suoi discepoli (14,14): ecco la prima annotazione.<o:p></o:p>

Con ogni probabilità la Pasqua era, in origine, la forma israelita della festa di primavera, comune ai semiti nomadi del deserto. Ma un testo dell'Esodo (12,1 ss.) pone la Pasqua in riferimento al gesto di Dio che liberò i figli di Israele dall'Egitto e fece morire, invece, i primogeniti degli egiziani. La festa venne in tal modo inserita nella storia della salvezza e la sua celebrazione fu arricchita di gesti fortemente evocatori. Un testo del Deuteronomio (16, 1-8) sottolinea ancora più fortemente l'idea di memoriale: "Così ti ricorderai del giorno che uscisti dal paese d'Egitto, per tutto il tempo della tua vita".<o:p></o:p>

La festa fu sempre accompagnata da una cornice festosa. Al tempo di Gesù la sala ben preparata, il vino e l'agnello caratterizzavano la cena pasquale come il convito della gioia. Si festeggiava la partenza dall'Egitto, la libertà conseguita. Ma non si trattava semplicemente di una gioia che scaturiva da un ricordo: la festa assume la dimensione dell'attesa. La celebrazione del gesto liberatore di Dio non è solo ricordo del passato e non è solo gioia per la libertà posseduta: è anticipo della liberazione escatologica. Al tempo di Gesù questa dimensione escatologica era vivissima. La cena pasquale presentava un doppio aspetto: uno rivolto al passato e l'altro al futuro.<o:p></o:p>

Ed è appunto qui che si innesta la novità del Cristo: egli anticipa nella cena il dono d'amore che farà di se stesso sulla Croce. La via messianica è quella della Croce.<o:p></o:p>

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- Preparativi per la Pasqua (12-16)<o:p></o:p>

Questo passo collega l'ultima cena di Gesù alla pasqua giudaica, anche se gli elementi essenziali del pasto (agnello, erbe amare, salsa) non figurano mai nel racconto. Scopo dell'episodio: non riferire che Gesù ha adempiuto il rito pasquale giudaico, ma mostrare che egli stava per celebrare la sua propria Pasqua. La struttura e la fraseologia dell'episodio sono parallele in modo sorprendente a quelle usate nella descrizione del suo ingresso a Gerusalemme (11, 1-6).<o:p></o:p>

"Quando si immolava la Pasqua": benché Dt. 16,7 avesse ordinato ai Giudei di "cuocere l'agnello e mangiarlo nel luogo scelto dal Signore", cioè nei recinti del tempio di Gerusalemme (2 Cr. 25, 1-9), col passare del tempo ciò finì per designare l'intera Gerusalemme, a condizione che l'agnello venisse ucciso nel tempio e fossero date ai sacerdoti le parti prescritte.<o:p></o:p>

"Un uomo che porta una brocca": la prescienza di Gesù indica un segno caratteristico: i maschi usavano portare l'acqua in otri, le donne in brocche. Quest'uomo singolare che porta la brocca invece dell'otre avrebbe condotto i discepoli alla casa giusta.<o:p></o:p>

"Il Maestro dice: dov'è la mia stanza?": forse il proprietario della casa era un discepolo di Gesù per il quale il nome "Maestro" era un'indicazione sufficiente. <o:p></o:p>

"Perché io vi possa mangiare la Pasqua?": ci doveva essere un gruppo sufficientemente grande per consumare un agnello maschio, di un anno, senza difetti (Es. 12,4).<o:p></o:p>

"Una grande sala con i tappeti": in contrasto con la prima pasqua e l'usanza giudaica primitiva quando l'agnello veniva mangiato in fretta, stando in piedi (Es. 12,4), la cena di Pasqua era diventata nella Palestina del I sec. un pranzo festoso durante il quale anche i più poveri si adagiavano a tavola (un segno della liberazione di Israele dalla schiavitù).<o:p></o:p>

"Là preparate per noi": forse facevano parte dei preparativi anche l'uccisione dell'agnello, le erbe amare, la salsa (haroset). Nei sinottici, comunque, non si parla di questi elementi della cena pasquale ma soltanto del pane ("massot" cioè non lievitato) e del vino.<o:p></o:p>

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- L'annuncio del tradimento (17-21)<o:p></o:p>

Riguardo a questo annuncio esistono due tradizioni evangeliche differenti.<o:p></o:p>

La prima è questa presente in Mc., in Lc. 22, 21-23 e Gv. 13,18 che però non identifica il traditore.<o:p></o:p>

L'altra in Mt. 26,25 e Gv. 13, 21-30 che identifica il traditore con Giuda.<o:p></o:p>

Inoltre, la prima tradizione presenta l'annuncio in tempi differenti: in Mc. prima dell'eucarestia; in Lc. dopo di essa. La collocazione dell'annuncio in Mc. (Mt. e Gv.) può essere dovuta a un tentativo primitivo di eliminare la supposizione che Giuda avesse preso parte alla eucarestia.<o:p></o:p>

"Venuta la sera": l'inizio del 15 Nisan, l'agnello pasquale doveva essere mangiato tra il calar del sole e mezzanotte.<o:p></o:p>

"Giunse con i Dodici": non sono "i discepoli".<o:p></o:p>

"Uno di voi mi tradirà": Mc. aggiunge le parole del Sal. 41,10 "uno che mangia con me", insinuando in tal modo l'avveramento di una profezia veterotestamentaria: il tradimento di un commensale.<o:p></o:p>

"Colui che intinge con me nel piatto": può essere sia un riferimento al fatto di condividere un pasto ordinario sia un riferimento al fatto di condividere la salsa (haroset) della pasqua.<o:p></o:p>

"Il Figlio dell'uomo se ne va": questo versetto è probabilmente il commento dell'evangelista e rappresenta una fusione cristiana primitiva dei temi del Servo sofferente di Jahwè e del Figlio dell'uomo. Certo questo tradimento rientra nella storia di Dio (e quindi non deve scandalizzare), ma è anche dovuto alla responsabilità dell'uomo: "Meglio per quell'uomo se non fosse mai nato"; forse non è un giudizio di condanna, quanto piuttosto un lamento e un avvertimento.

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