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Vangelo di Matteo

Ultimo Aggiornamento: 25/11/2008 12:20
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25/11/2008 11:48

I RACCONTI DELL’INFANZIA DI GESU’ (Mt 1-2)
 
Sia Matteo che Luca parlano del concepimento e della nascita di Gesù e di alcuni eventi che seguirono la nascita. Né Marco né Giovanni accennano a questo periodo della vita di Gesù. L’assenza in Marco dei racconti dell’infanzia fa pensare che questi racconti non esistessero nella forma più antica delle tradizioni cristiane riguardanti Gesù e che varie tradizioni concernenti l’infanzia si siano formate più tardi. La versione di Matteo di queste tradizioni è fortemente influenzata dall’uso di testi veterotestamentari. Anche l’immaginazione teologica e il simbolismo giocano un ruolo importante nella composizione dei racconti dell’infanzia.
La genealogia di Gesù (1, 1-17)
La genealogia[2] con la quale Matteo apre il suo racconto suscita nel lettore un’impressione negativa: si direbbe una pagina arida e inutile, quindi da saltare. In realtà Matteo intende comunicarci profondi insegnamenti teologici, espressi però con il linguaggio di un’antica comunità giudeo-cristiana.
L’intenzione vera delle genealogie bibliche non è tanto quella di offrire un rapporto di discendenza, quanto quella di tracciare, attraverso aridi nomi e in modo scheletrico, una storia che continua. Il centro di interesse che guida Matteo nel costruire questa pagina è Gesù, e precisamente in quanto figlio di Davide. Questo nel contesto di una polemica con i giudei, gli echi della quale sono rimasti nel Vangelo di Giovanni (7, 41-43): “Alcuni dicevano: è il Messia! Ma altri ribattevano: il Messia viene forse dalla Galilea? La Scrittura non afferma che il Messia viene dal seme di Davide, e da Betlemme, il villaggio di Davide? Ci fu dunque dissenso tra la folla per causa sua”.
Con la genealogia, quindi, Matteo intende affermare che Gesù è figlio di Davide (tramite Giuseppe che lo adottò legalmente), ma nello stesso tempo ci fa capire che Gesù è molto di più. Difatti nel v. 16 (“Giacobbe generò Giuseppe, sposo di Maria, dalla quale fu generato Gesù, chiamato il Cristo”) Matteo introduce un’evidente rottura nella genealogia. Lo schema rigido (il tale generò il tale) che l’evangelista ha finora scrupolosamente osservato, qui viene spezzato: la generazione è sottratta a Giuseppe e il verbo non è più all’attivo (generò) ma al passivo (fu generato): chi è il generatore? La risposta ci verrà data più avanti, nel racconto della nascita (1, 18-25). Per ora ci basti vedere come la linea del sangue venga ridimensionata ed è accompagnata dalla linea dell’elezione: è questa ciò che conta. Gesù non è solo figlio di Davide, ma viene da Dio.
La genealogia è divisa in tre blocchi di 14 nomi ciascuno e i capisaldi di questa triplice divisione sono Abramo, Davide e l’esilio. Il nome Abramo evoca l’elezione e l’apertura universale di Dio (Gen. 12, 1-3), cioè un progetto di salvezza che non è legato al sangue ma che si estende a tutti. Il re Davide evoca, invece, lo splendore del regno e le speranze messianiche ad esso legate (2 Sam 7, 11-14; Sal 2). Ciò che Abramo e Davide rappresentavano, ora si compie in Gesù. Ma il passaggio tra Davide e Gesù non è immediato: c’è l’esilio che segnò la fine della casa di Davide come grandezza politica. Gesù è un re senza corona, nessun cedimento a un progetto messianico politico e restauratore.
Il numero 14 è un evidente tentativo simbolico-numerico di Matteo per mostrare la perfezione (il numero tre) e la pienezza (il numero sette) del piano di salvezza che Dio porta a compimento in Cristo.
La genealogia, infine, menziona quattro donne, e questo è qualcosa di insolito che va spiegato.
- Potrebbe darsi che Matteo abbia voluto ancora una volta mettere in luce l’universalismo della nuova Alleanza, già prefigurata nella discendenza del Messia (le donne sono infatti straniere): il Cristo viene dall’umanità, non solo da Israele.
-  Potrebbe anche aver voluto farci notare che la salvezza è offerta non solo ai giusti, ma anche ai peccatori (le donne nominate si ricollegano a situazioni di peccato) e che, comunque, il Cristo è solidale con la storia degli uomini, una storia non di santi ma di peccatori.
-  Potrebbe, infine, aver voluto sottolineare che il disegno di Dio finisce sempre col compiersi, anche se, a volte, per vie sconcertanti. Le tre ipotesi non si escludono.
Tamar ebbe tramite inganno un’unione incestuosa col suo genero Giuda (Gen 38).
Raab era la prostituta di Gerico che offrì rifugio alle spie di Israele (Giosuè 2).
Rut era una moabita, quindi straniera, che entrò a far parte della comunità israelitica.
Betsabea era la moglie di Urìa e la compagna di adulterio di Davide.
Dunque, la promessa di Dio si realizza a dispetto degli uomini, per vie sconcertanti e impensate. Accanto alla linea del sangue, prevedibile, c’è la linea della sorpresa e dell’elezione: accanto al popolo giudaico c’è quello degli stranieri.
In definitiva, il Cristo non è frutto della volontà degli uomini ma della volontà di Dio che sa procedere anche quando gli uomini vorrebbero sbarrarle la strada.
La nascita di Gesù (1, 18-25)
In questa sezione e nella successiva appaiono delle differenze degne di nota tra Matteo e Luca. Giuseppe è la figura centrale e attiva in Matteo. Egli è il destinatario della rivelazione che perviene a lui attraverso l’apparizione di un angelo nel sogno. Matteo è concorde con Luca nell’affermare la nascita verginale e la residenza di Gesù a Nazaret durante la sua infanzia.
Giuseppe è chiamato “giusto” perché da una parte è desideroso di osservare la legge (che obbligava il marito a sciogliere il matrimonio in caso di adulterio[3]: Maria, infatti, era incinta) e, dall’altra, mitiga con la magnanimità il rigore della legge (evita di esporre sua moglie alla pubblica diffamazione).
Ma Giuseppe è anche “giusto” perché constatando una presenza di Dio, una economia superiore, si ritira di fronte ad essa, senza pretese. “Giusto” ha così il senso tipico di Matteo, cioè accettazione del piano di Dio anche là dove esso sconcerta il proprio.
Tenendo presente questo senso che Matteo dà al termine “giusto”, possiamo concludere che l’annuncio dell’angelo non ha come oggetto il concepimento verginale, che Giuseppe già conosceva (e che costituiva appunto il motivo per cui pensava di ritirarsi nell’ombra). Ma l’oggetto è invece di fargli conoscere il compito che lo attendeva, cioè quello d’imporre il nome al bambino e assumerne la paternità legale.
La nascita di Gesù è collocata all’interno del grande disegno divino della salvezza, già annunziato ai profeti e già in atto nella prima alleanza con Israele: questo è lo scopo della citazione di Isaia (7,14) che Matteo colloca a questo punto del racconto. Non per nulla il nome di Gesù rimanda al verbo ebraico “salvare”, come puntualizza l’angelo (1,21), e a lui si adatta in pienezza il titolo di Emmanuele, cioè Dio-con-noi.
L’espressione “Dio con noi” la ritroveremo alla fine del Vangelo di Matteo: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (28,20). Cristo è presente nella Chiesa e continua ad essere il Dio con noi. Non solo è presente nella comunità, ma è il salvatore e il sostegno della comunità. Il vangelo di Matteo non perde occasione per dirci i luoghi privilegiati della presenza del Risorto: nella comunità radunata nel suo nome (18,20), negli apostoli missionari (10,40), nei fratelli bisognosi (25,31), nella chiesa che predica (28,20).
All’interrogativo “chi è Cristo?” Matteo risponde: Gesù è il Figlio di Dio, perché è nato dallo Spirito, è un dono dall’alto e non solo dalla discendenza Davide[4]. Egli viene da Davide, ma attraverso una via di elezione che supera quella del sangue. In lui avviene un compimento nuovo, inatteso e per molti deludente: quello della Croce.
·        L’adorazione dei Magi (2, 1-12)
Il racconto dei Magi[5] illustra il tema del Cristo cercato e rifiutato: il Messia è il segno di contraddizione. L’arrivo dei Magi, guidati dalla stella[6], che li conduce a Betlemme[7], è il segno che Gesù compie le promesse antiche, ma il compimento è accompagnato dal giudizio su Israele: i lontani accolgono il Messia e i vicini lo rifiutano. Tutto il Vangelo di Matteo è segnato da questa sorpresa: basti pensare alla parabola dei vignaioli omicidi (21,33ss.) o alla parabola della grande cena (22, 1-14), ambedue mostrano che il regno passa da Israele ai pagani, e che questo passaggio rientra nel disegno di Dio. Abbiamo parlato di sorpresa, ma questo non significa novità nel comportamento di Dio, tanto meno rottura nel suo modo di condurre la storia. Al contrario: Dio non fa che applicare anche in questo caso, come sempre, il principio dell’accoglienza della Parola, che è un criterio decisivo: è l’accoglienza della Parola (con la disponibilità alla conversione), che distingue chi appartiene al regno e chi no.
Ma in questo episodio non c’è solo il significato di Cristo, ma anche quello della Chiesa. La pagina dei Magi è una solenne dichiarazione di missionarietà e di universalismo. Questo episodio richiama la conclusione dell’intero Vangelo: “Andate e istruite tutte le genti…” (28,18). Due pagine missionarie che aprono e chiudono la storia di Cristo, con una differenza: nell’episodio dei Magi sono le genti che arrivano a Gerusalemme, alla fine del vangelo è la Chiesa inviata al mondo. Questo seconda annotazione esprime più profondamente la concezione della missione come servizio, come un uscire da sé per andare alla ricerca degli altri.
·        La fuga in Egitto e la strage degli innocenti (2, 13-23)
Anche la fuga in Egitto, che poteva essere solo un rifugio temporaneo verso le vicine frontiere meridionali, è letta alla luce di un passo di Osea: “Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio” (11,1). Questo testo si riferisce alla liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto. Per Osea, la vera storia di Israele comincia con l’uscita dall’Egitto, e Gesù è presentato da Matteo come colui che attua di nuovo nella sua vita le fasi storiche d’Israele, egli è infatti il nuovo Israele.
La strage dei bambini di Betlemme corrisponde alle numerose uccisioni che hanno accompagnato il regno di Erode, particolarmente sensibile alla tutela del suo potere e attento a ogni notizia di eventuali pretese o usurpazioni. Ma l’evangelista citando Geremia (31,15)[8], mostra che anche attorno a Gesù si sta attuando una vicenda di morte e di vita, così come era accaduto nella storia di Rachele, considerata come la madre di Israele che piange le vittime del suo popolo. Geremia è citato per l’evidente parallelismo fra il pianto di Rachele e il pianto delle madri, ma se leggiamo tutto il contesto, Geremia non parla di pianto, ma di consolazione: la salvezza è vicina, il Signore è tornato a liberare e a salvare il suo popolo. E’ la sorprendente storia di Gesù: cercato dai Magi e rifiutato da Erode, egli è in cammino verso la croce, che non è la sua fine ma il suo trionfo. E’ un altro aspetto del mistero di Cristo: la potenza è nascosta nella debolezza.
Con questo racconto si chiude il Vangelo dell’infanzia. Matteo, fedele al suo programma narrativo, già chiarito con la genealogia, che aveva lo scopo di dimostrare che Gesù appartiene al popolo della promessa di Abramo e alla stirpe promessa di Davide, l’evangelista ci presenta il ruolo fondamentale ricoperto da Giuseppe: egli funge da vero custode della Santa Famiglia, ponendo la propria esperienza e disponibilità al servizio del piano divino, che gli fu rivelato di volta in volta attraverso il sogno (2,13.19.22).
Giuseppe, sull’esempio del grande patriarca Abramo, custodisce il figlio della promessa, il figlio amatissimo, anche se non suo. E’ un’esperienza che lo rende a tutti gli effetti modello per la paternità umana, fatta di lavoro e di semplicità, di affetto e di dedizione, di rispetto e di silenzio, di fede e d’abbandono al Signore.
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