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Voleva Hitler allontanare da Roma Pio XII?

Ultimo Aggiornamento: 02/09/2009 20:30
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25/11/2008 19:07

Ma continuiamo con la documentazione in ordine cronologico,

Gli allarmi continuano: 1942

Il 27 gennaio 1942, il cardinal Maglione si lamentò di nuovo per alcune osservazioni che, secondo quanto gli era stato riferito, erano state fatte da diplomatici tedeschi a Roma. Questa volta le predizioni più nere venivano attribuite al principe Otto von Bismarck. Bismarck era ministro plenipotenziario all’ambasciata del Reich in Italia e veniva subito dopo l’ambasciatore von Mackensen. Qualcuno disse al papa che il principe Bismarck avrebbe dichiarato in pubblico: «Oh, il Vaticano, quello è un museo che fra qualche anno noi faremo visitare con un biglietto d’ingresso da dieci lire». Le stesse parole o quasi vennero attribuite anche al segretario dell’ambasciatore von Bergen, Kurt von Tannstein. Quando Maglione chiese spiegazioni su queste presunte dichiarazioni, l’ambasciatore von Bergen rispose che i due personaggi negavano di aver mai detto nulla di simile. Ma ciò non servì a convincere né a tranquillizzare (7).

Man mano che passavano i mesi, l’Italia era sempre più succube della Germania. Ciò si vedeva chiaramente dal numero crescente di funzionari tedeschi a Roma. Verso la fine dell’anno il nervosismo era aumentato. Il 12 dicembre, l’ambasciatore von Bergen non poteva più evitare di far presente a Berlino questa nuova ondata di voci allarmistiche. Egli si riferì ad un dispaccio del 4 giugno inviato a Berlino dall’addetto aeronautico di Roma, che accusava il Vaticano di «essere un nido di spie e un centro di propaganda antinazista». Ciò venne considerato come una preparazione per giustificare misure drastiche contro il Vaticano. Bergen riassumeva così le voci più recenti: «La Germania concentra qui delle truppe, per occupare a tempo opportuno la città del Vaticano» (8).

Alcuni giorni dopo, in data 19 dicembre, con o senza alcun riferimento al rapporto inviato da von Bergen a Berlino, il cardinale Segretario di Stato mandò un dispaccio dello stesso tenore a mons. Gaetano Cicognani, fratello del delegato a Washington e nunzio apostolico a Madrid. Maglione dava istruzioni al nunzio, affinché facesse presente alle autorità politiche e religiose in Spagna il pericolo da cui il Vaticano si sentiva minacciato da parte tedesca, e lo informava che alti funzionari tedeschi si erano espressi ostilmente nei riguardi della Santa Sede, qualificandola come istituzione per la quale non può esservi posto in un nuovo ordine europeo. Sono gli stessi temi del maggio 1941, ma ora i particolari sono più precisi: si sente parlare, per esempio, di invasione e di bombardamento del Vaticano da parte dei tedeschi; di manomissione degli archivi, di espulsione dei diplomatici dei paesi nemici dell’Asse, ecc. Evidentemente Maglione stimava opportuno far sapere alle autorità spagnole la vera natura dei rapporti tra il Vaticano e i nazisti, e terminava il suo dispaccio dicendo al nunzio di distruggere il messaggio.

Questo si spiega, perché era recentissimo lo sbarco alleato in Nord Africa e si sentiva dire che Hitler aveva intenzione di attraversare la Spagna. Inutile dire che avrebbe pensato ad impadronirsi man mano dei documenti diplomatici. Un’organizzazione delle SS, conosciuta come «Künsberg-Kommando» e composta di esperti archivisti, aveva già compiuto missioni del genere e fra non molto avrebbe fatto lo stesso negli archivi del ministero degli Esteri in Italia.

Il pericolo cresce: primavera-estate 1943

Nell’aprile 1943 avvennero importanti cambiamenti nel personale della missione tedesca presso il Vaticano. L’ambasciatore Diego von Bergen, debole e malato, venne sostituito da Ernst von Weizsaecker. Suo ministro plenipotenziario e numero due divenne il dr. Ludwig Wemmer, un funzionario della Cancelleria del partito, a capo della quale era il fanatico anti-cattolico Martin Bormann. Wemmer non aveva alcuna esperienza diplomatica, ma era il consigliere di Bormann per gli affari religiosi. L’arrivo di un agente di questi diede maggior credito alle voci che correvano, e non solo in Vaticano.

Il dott. Eugen Dollmann, rappresentante. personale di Himmler a Roma, scriveva al suo capo, il Reichsführer, il 10 maggio:

«Con particolare attesa si guarda qui a Roma e in Vaticano non tanto all’arrivo del signor Weizsaecker quanto a quello del suo compagno della Cancelleria del Partito. Le voci allarmanti recentemente sparse ad arte da alcuni interessati circa un’offensiva antivaticana del Reichsleiter Bormann sono state da me smentite nella forma già altre volte comunicata, usando di nuovo i ben conosciuti argomenti» (9).

Due mesi dopo cadeva Mussolini. L’ira di Hitler per il «tradimento» fu enorme. Sospettò subito che il papa avesse contribuito al colpo. Anzi è in questa circostanza che è dato incontrare l’unica indicazione documentata del suo modo di vedere circa il papa e il Vaticano. Durante alcune discussioni con i suoi collaboratori, fra cui Keitel, Jodl e altri, sulle misure da prendere per assumere il controllo dell’Italia (Operazione Alarico), il 26 luglio troviamo questi significativi sfoghi sulla neutralità in Vaticano:

«Il Führer: È perfettamente uguale, io entro subito in Vaticano. Credete che il Vaticano mi dia fastidio? Quello è subito preso. Là dentro c’è prima di tutto l’intero corpo diplomatico. Non me ne importa nulla. La canaglia è là, e noi tiriamo fuori tutta la p... canaglia. Che cos’è? Poi, a cose fatte, ci scuseremo; per noi fa lo stesso. Laggiù noi siamo in guerra... ».
All’accenno di uno dei presenti (Hewel) sulla possibilità di scoprire dei documenti, Hitler rispose con entusiasmo: «Certo, noi vi buscheremo dei documenti, vi troveremo qualcosa del tradimento» (10).

Per quanto siano drammatiche. queste parole non contengono un’esplicita minaccia di costringere il papa a lasciare il Vaticano. Ma una volta violata la neutralità della Città del Vaticano, Hitler si sarebbe forse limitato a confiscare dei documenti e ad arrestare i diplomatici nemici? Un’annotazione di Goebbels del giorno seguente, 27 luglio, dice che il Führer intendeva prendere i Vaticano ma che ne era stato dissuaso da Ribbentrop e dallo stesso Goebbels (11).

In quanto ai diplomatici e ai militari tedeschi, nonché al Vaticano, non il calmava il fatto che si facesse distinzione fra violazione della neutralità del Vaticano e mettere le mani sul Pontefice. In effetti non vennero fatte distinzioni. In quei giorni intervenne l’ammiraglio Canaris, capo dell’Abwehr, o Servizio Segreto militare. Prima dell’armistizio di Badoglio, ai primi di agosto, Canaris si era incontrato a Venezia con i collega italiano generale Amé, capo del SIM. L’ammiraglio era accompagnato dai suoi fedeli aiutanti: i generali Erwin Lahousen e Wessel barone Freytag-Loringhoven. Disgustato per i piani di cui aveva avuto sentore, Canaris informò Amé che Berlino aveva intenzione di allontanare il re, il principe ereditario e persino il papa. Il suo biografo ne descrive l’atteggiamento in questi termini:

«Egli era non solo profondamente indignato, ma prevedeva chiaramente che l’estensione dei metodi da gangster, ormai divenuti una consuetudine dei nazisti in altri settori, giunta adesso ad una testa coronata e addirittura al papa, avrebbe distrutto definitivamente l’ultimo resto di prestigio goduto ancora dal popolo tedesco nel mondo ed avrebbe reso indicibilmente più duro il destino che aspettava la Germania alla fine della guerra» (12).

Queste informazioni pervennero immediatamente in Vaticano, attraverso canali rimasti ignoti. Von Rintelen afferma nel suo libro di essere stato lui a dirlo allora all’ambasciatore presso il Vaticano Weizsaecker, mettendolo in grado di venire a conoscenza delle rivelazioni di Venezia. Citando il precedente testo di Abshagen, Rintelen dice di avere anche avuto notizia dei piani di Berlino di portar via il papa:

«L’intenzione di Hitler, di allontanare da Roma il papa, venne allora anche alle mie orecchie. Ne diedi notizia immediatamente all’ambasciatore presso il Vaticano, barone von Weizsaecker, che fu assai colpito da questa comunicazione. Di fatto però nulla fu intrapreso contro la Santa Sede» (13).

I cardinali residenti a Roma vennero immediatamente convocati per il 4 agosto. Il Segretario di Stato parlò chiaramente della situazione, ricordando le antiche minacce naziste: «Dal governo italiano si temeva un colpo tedesco su Roma. In questo caso si prevedeva anche un’invasione del Vaticano». Ciò non poteva davvero escludersi, date anche le minacce che da parte tedesca si andavano facendo da qualche anno contro il Vaticano. Maglione aggiunse poi che il governo italiano (ossia il regime di Badoglio) prevedeva che in caso di un’azione contro il Vaticano il papa sarebbe stato trasportato a Monaco.

L’occupazione nazista di Roma

L’8 settembre Roma cadde nelle mani del Reich. Dapprima i nuovi occupanti mantennero un comportamento ostentatamente corretto nei riguardi del Vaticano. Presto, però, ricominciarono le preoccupazioni sulla sorte riservata al papa, e in un’udienza privata concessa all’ambasciatore Weizsaecker il 9 ottobre, Pio XII sollevò la questione. La versione, che l’ambasciatore pubblicò in seguito nelle sue Memorie, contiene le linee essenziali dell’udienza, ma esiste un’altra versione precedente dello stesso Weizsaecker che è ancora più rivelatrice. Si tratta di un suo promemoria inedito, scritto anch’esso dopo la guerra, quando, naturalmente, egli non era più un funzionario del Reich. Il promemoria, di due pagine. scritto, come dice l’autore, basandosi sulla sua memoria, è datato «Città del Vaticano, 15 aprile 1946». Weizsaecker parla dell’intenzione di rapire il papa e dell’udienza del 9 ottobre:

«Credo che, secondo una prima versione, il governo del Reich voleva espellere la Curia papale da Roma e trasferirla nel Liechtenstein. Da principio non presi sul serio la cosa. Nella prima metà di ottobre ebbi un’udienza di Sua Santità, nella quale il papa accennò alle voci che i tedeschi nel caso di una ritirata da Roma volevano evacuarlo con loro. Sua Santità aveva saputo ciò da italiani seri, i quali a loro volta si riferivano a tedeschi di alti gradi. Il papa aggiunse con un sorriso: “Io resto qui”. Io gli domandai se potevo fare uso di tali accenni, perché me ne ripromettevo vantaggi. Sua Santità non lo desiderò. Io corrisposi a tale desiderio».

Weizsaecker dice di essersi accinto a cercare una conferma sulla veridicità di quanto aveva fatto oggetto l’implicita protesta rivoltagli dal papa. Non risulta da questa versione che il papa avesse chiesto espressamente all’ambasciatore di verificare le voci, per quanto ciò sia possibile. Si tratta piuttosto di un episodio caratteristico di quella strana situazione che si stava creando a Roma sotto l’occupazione tedesca: la vittima designata di un rapimento chiede al rappresentante dell’eventuale rapitore se può scoprire ciò che le riserba il futuro.

I dispacci ufficiali di Weizsaecker a questo punto sono un esempio del metodo da lui usato per comunicare un suo pensiero senza dire tutta la verità. Il 12 ottobre l’ambasciatore entrò in materia con il solito sistema di citare una terza fonte. Radio Londra del 10 ottobre, scrisse Weizsaeckor (come se Berlino non avesse il modo di saperlo per mezzo del «Sonderdienst Seehaus»,, il servizio di ascolto del ministero degli Esteri), aveva trasmesso una dichiarazione della radio della repubblica di Salò del 7 ottobre in cui si diceva che «si stavano preparando in Germania degli alloggiamenti per il papa». Il progetto di allontanare il papa era messo in relazione da Radio Londra con la sua udienza. Weizsaecker suggeriva di emettere una smentita benché egli stesso, diceva, smentisse recisamente le voci ad ogni occasione. Naturalmente egli non disse a Berlino che era stato il papa stesso a chiedere informazioni. Weizsaecker così telegrafava:

«A Roma simili voci corrono già da parecchio tempo. Non sono rimaste inosservate anche in Vaticano e non sono rimaste del tutto senza qualche effetto. Quando mi si accenna al sospetto che noi vogliamo deportare il papa, io smentisco categoricamente. Se i sospetti non cessassero, una rettifica ufficiale vi starebbe forse bene».

Due giorni dopo, il 14 ottobre, dal ministero degli Esteri il funzionario Hilger rispose che «non si prevedeva alcuna smentita delle voci». Ciò poteva significare naturalmente sia che il rapporto non era degno di una smentita, sia che il ministero degli Esteri non era in grado di dire se fosse vero o falso (14).

Nelle sue Memorie, Weizsaecker riferisce di aver mandato un secondo telegramma al ministero degli Esteri mettendo in ridicolo l’idea di far partire il papa e ricordando un aneddoto su Pio VII — nello. stile del cardinal Pacca —, secondo il quale, se Napoleone avesse arrestato il pontefice si sarebbe trovato nelle mani «non il papa ma il povero monaco Chiaramonti». Questo secondo dispaccio non si trova oggi negli archivi tedeschi perché gli incartamenti relativi al Vaticano, conservati al ministero degli Esteri, giungono solo fino all’ottobre 1943 e il resto probabilmente andò perduto nei primi mesi del 1945, quando l’archivio fu evacuato da Berlino.

Wizsaecker e Canaris

Sempre nelle Memorie, Weizsaecker scrisse che fino all’ultimo giorno della occupazione tedesca di Roma, nel giugno del 1944, egli non fu mai in grado di ricevere né una conferma né una smentita del progetto nazista di allontanare il papa, e che aveva chiesto informazioni a tutti, persino a Kappler, capo delle SS di Roma e ad un non meglio identificato assistente di Bormann, “nemico n. 1 della Chiesa”, verso i quali si dirigevano evidentemente i sospetti, e di essersi rivolto anche all’ammiraglio Canaris.
Invece nel citato promemoria del 15 aprile 1946, Weizsaecker dà ulteriori notizie dei suoi sondaggi presso Canaris: di tono alquanto diverso, affermando di essere stato avvisato da Canaris e da un diplomatico suo collega, già membro dell’ambasciata presso il Vaticano, verso il Capodanno del 1944, che in Germania in alcuni circoli non militari si parlava di una deportazione del papa. E conclude di non poter affermare con precisione se fosse esistito un piano serio e determinato per la deportazione del papa (15).

Dal sin qui detto si può dedurre che non possiamo avere un documento diretto sulle vere intenzioni di Hitler nei confronti di Pio XII. È tuttavia certo che il papa e i suoi collaboratori credevano che nulla di ciò che veniva loro riferito fosse troppo assurdo da non dover meritare attenzione. Essi erano stati messi in guardia sia da tedeschi sia da italiani, i quali — per la loro posizione — potevano essere ben informati.
 
Continua...
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