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Lettera ai Romani

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2008 10:13
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26/11/2008 10:13

9) La salvazione definitiva d’Israele (11,25-32).

25Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. 26Allora tutto Israele sarà salvato come sta scritto:
Da Sion uscirà il liberatore,
egli toglierà le empietà da Giacobbe.
27Sarà questa la mia alleanza con loro
quando distruggerò i loro peccati.
28Quanto al vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, 29perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! 30Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia per la loro disobbedienza, 31così anch’essi ora sono diventati disobbedienti in vista della misericordia usata verso di voi, perché anch’essi ottengano misericordia. 32Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!

Questo brano passa dallo stile della diatriba a quello dell’insegnamento teologico di rivelazione e comprende in primo luogo la comunicazione di un mistero seguita da una propria deduzione e dalla prova scritturistica (Vv.25-27), in secondo luogo la spiegazione di questo mistero in riferimento agli avvenimenti della storia della salvezza presso pagani e giudei, con la conclusione riassuntiva (Vv.28-32).

V. 25 - Alla comunità di Roma Paolo vuole comunicare questo mistero. Questo mistero non proviene dalle sue conoscenze e da quelle dei fratelli, ma è rivelazione del decreto divino, la sola in grado di concedere la vera conoscenza. Non si può parlare di Israele se non si accetta la rivelazione del mistero. Tutte le nozioni storiche, sociologiche e psicologiche riguardanti questo popolo non sono sufficienti, anzi inducono in errore. Per se stesso Israele è, in definitiva, un mistero.

L’indurimento parziale d’Israele durerà fino a che la totalità dei pagani, determinata da Dio, sarà entrata nella salvezza. Dopo di che tutto Israele sarà salvato.

Vv. 26 - 27 - Che Paolo abbia interpretato giustamente il mistero d’Israele e che i cristiani non debbano vedere il giudeo solo storicamente lo dimostra la Scrittura stessa in Is 59,20-21 e 27,9. Stando alla composizione paolina delle citazioni, il profeta conferma la dichiarzione dell’apostolo sul mistero d’Israele nel senso che Paolo in primo luogo associa la salvezza d’Israele con la venuta del Messia Gesù da Sion, dalla Gerusalemme di lassù (Gal 4,26), e in secondo luogo lo vede consistere nel fatto che il Messia toglierà da Israele le empietà e quindi proprio l’incredulità; infine che Dio, per mezzo del Messia Gesù, concluderà con Israele un nuovo patto. Questa è una nuova interpretazione dell’aspettativa giudaica, cioè del pentimento finale di Israele. È significativo che Is 59,20 fosse interpretato in senso messianico anche dai rabbini (Sanh. b. 98a,19). Il mistero di cui Paolo parla dicendo che Israele nella sua totalità alla fine sarà salvato, si può interpretare anche teologicamente col ricorso all’insondabile misericordia di Dio.

V. 28 - Questo verso espone anzitutto il rapporto dei giudei con Dio: essi gli sono nemici, ma sono da lui amati. Essi sono nemici di Dio per il contegno che tengono nei confronti del vangelo. Ma essi hanno qualcosa che i pagani non hanno o hanno solo in quanto cristiani: ad essi appartengono i padri per amore dei quali Dio ama l’intero Israele.

V. 29 - Grazie ai suoi padri Israele rimane amato. Infatti i doni della grazia di Dio e la sua chiamata sono irrevocabili. Dio è fedele (3,3), e la fedeltà di Dio mantiene il suo patto, fa sì che la sua fedeltà al patto si eserciti irrevocabilmente nonostante l’infedeltà d’Israele e che il suo amore per Israele nei suoi padri non cessi mai. Proprio per questo, tale fedeltà avrà anche l’ultima parola su tutto Israele, e la sua ultima parola è la salvezza d’Israele.

Vv. 30 - 31 - Questi due versi hanno lo scopo di mettere in risalto ancora una volta, riassuntivamente, la misericordia di Dio, che in definitiva dispone ogni avvenimento, e l’irrevocabile fedeltà di Dio a Israele. La verità della tesi del v.29 la si riconosce dalle sorti dei popoli e di Israele, che corrispondono l’una all’altra e che, ciascuna per sé e poi unitamente, mostrano la misericordia di Dio, dalla quale sono guidate.

La disobbedienza dei pagani (Rm 1,18 ss; Ef 2,2; 5,6) ha trovato risposta e fine nella misericordia di Dio, quando Israele disobbediente non accettò il vangelo. Analogamente si deve parlare dei giudei, i quali, al tempo di Gesù, sono diventati disobbedienti. La disobbedienza dei giudei tornò a profitto della misericordia usata da Dio con i pagani. Il vangelo passò dai giudei ai pagani. Ma ciò avvenne affinché ora i giudei trovassero misericordia. Ai pagani nel periodo della loro lontananza da Dio corrispondono i giudei nel periodo della loro lontananza da Cristo. Come là all’inizio sta una fase di disobbedienza (Rm 1,18 ss) aggravata dal giudizio di Dio che provoca l’ostinazione (1,24.26.28), la quale poi nel tempo della salvezza viene sostituita da un’epoca di grazia (Rm 9,25-30; 10,19-20) provocata dall’incredulità dei giudei che non accettarono il vangelo, così anche Israele deve passare attraverso una fase di disobbedienza, ossia di resistenza al vangelo, per diventare così maturo per il prodigio della misericordia divina.

V. 32 - Questo verso è riassunto e conclusione. La legge dell’alternanza di disobbedienza e misericordia, che è legge di Dio, è universale. Paolo considera la sorte dell’umanità al completo: è una disobbedienza universale. Ma tale chiusura universale di giudei e pagani nella disobbedienza avviene soltanto perché si realizzi il progetto di salvezza di Dio che si manifesta nell’usare misericordia a tutti. Così l’ultima parola per l’umanità e quindi anche per Israele è misericordia: il mistero della grazia che alla fine vincerà.

10) Esultanza di lode a Dio (11,33-36).

33O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!
34Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero
del Signore?
O chi mai è stato suo consigliere?
35O chi gli ha dato qualcosa per primo,
sì che abbia a riceverne il contraccambio?
36Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.

Le argomentazioni dei Cap. 9-11 si concludono con una specie di inno. Queste esclamazioni di confessione e di giubilo sono state poste da Paolo tra due testi dell’AT: Is 40,13; Gb 41,3.

V. 33 - Di fronte alla sorte d’Israele, alla sua elezione, alla sua caduta e alla sua salvezza escatologica, ma anche di fronte alla sorte dei pagani, che è intrecciata nel modo più stretto con quella d’Israele, quindi al cospetto dell’agire di Dio che si volge a tutto il mondo e se ne impietosisce, Paolo non può far altro che prorompere nel grido che esalta l’abissale ricchezza, sapienza e scienza dell’amore di Dio. L’essenza di Dio è un insondabile abisso d’amore.

Vv. 34 - 35 - Nessuno ha capito lo Spirito di Dio, i suoi piani e le sue decisioni. Nessuno è consigliere di Dio. A nessuno Dio è debitore di qualche cosa. Le sue vie che egli percorre e fa percorrere, le decisioni giudiziarie che egli prende, sono incomprensibili. Esse vengono stabilite dalla sua abissale ricchezza, sapienza e scienza, di fronte alle quali si può stare soltanto in adorazione, sopraffatti dallo stupore.

V. 36 - Da lui e per mezzo di lui e in vista di lui: queste espressioni indicano Dio come l’origine unica e sempre attuale della creazione dell’universo e di tutta la storia come fonte di ogni evento; come autore e operatore di ogni evento; e, da ultimo, come il fine di tutto ciò che accade e verso il quale ogni cosa è orientata e tende. Non vi è nulla che non sia debitore a Dio, che non rimandi a lui, che non arrivi a lui e non finisca in lui. Questo brano di genere innico conclude appropriatamente con l’amen. In tal modo si concludono tutti gli enunciati dei cap. 9-11 che trattano proprio di questo Dio impenetrabile nelle sue vie, con speciale riguardo alla sua inimmaginabile grazia nei confronti d’Israele e dei pagani.

IV°
ESORTAZIONE APOSTOLICA
(12,1-15,13)

Col cap. 12 inizia la quarta parte della lettera ai Romani. Essa ha il carattere di esortazione e di incoraggiamento e presenta le conseguenze e le applicazioni alla vita pratica del kerigma.

1) La caratteristica fondamentale della vita cristiana (12,1-2)

1Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. 2Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

V. 1 - Il testo contiene due esortazioni. Questi ammonimenti hanno il senso di una deduzione da quanto precede, specialmente dai cap. 5-8. La frase: Ora io vi esorto, fratelli, attraverso la misericordia di Dio significa che per mezzo di Paolo la misericordia e la pietà di Dio fanno sentire il proprio incoraggiamento e la propria esigenza. Paolo è colui del quale si serve la misericordia di Dio, la quale parla attraverso la parola di lui. L’esortazione apostolica è la chiamata - che richiede, comanda, scongiura e incoraggia - della sempre preveniente misericordia di Dio.

Questa esortazione mira prima di tutto a ottenere che i cristiani offrano i loro corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. Quindi la misericordia di Dio esige e richiede l’offerta di un sacrificio, di un sacrificio corporeo, dell’offerta dell’intera vita della persona. Il corpo è l’uomo nella sua presenza corporea. La misericordia di Dio esige che questo corpo in carne e ossa si doni in sacrificio, che ognuno offra concretamente in sacrificio se stesso. Paolo esorta i cristiani di Roma ad essere al tempo stesso sacerdoti e vittime.

Questo sacrificio è vivente, santo e gradito a Dio perché viene offerto da viventi, santi e graditi a Dio. I viventi sono i battezzati che conducono la nuova vita escatologica sotto l’impulso dello Spirito (Rm 6,1 ss; 8,1 ss). Questi viventi sono anche i santi, che per Paolo significa: i chiamati alla santificazione (1Ts 4,7; 2Ts 2,13), i santificati nel battesimo (1Cor 6,11). Questo sacrificio santo è gradito a Dio. Questa dedizione di se stessi a Dio è il culto razionale, spirituale, morale o mistico, in cui l’uomo si offre come un essere simile a Dio.

V. 2 - Una componente del sacrificio vivente, santo e gradito a Dio è il non conformarsi a questo mondo, il non comportarsi secondo la logica del mondo che non conosce Cristo.

Nei confronti di questo mondo occorre un radicale non conformismo. Il non conformarsi al mondo esige anzitutto non di trasformare il mondo, ma di trasformare se stessi. E questa trasformazione non si compie una sola volta per tutte, ma deve avvenire sempre di nuovo. Questa radicale e fondamentale metamorfosi esistenziale si compie innanzitutto attraverso il rinnovamento del pensiero. Secondo Col 3,10 l’uomo nuovo rivestito nel battesimo viene rinnovato per mezzo di una piena conoscenza in modo da diventare immagine del suo Creatore. Ma nel battesimo viene rinnovato non solo l’essere del cristiano, ma anche il suo modo di esistere. La rinascita nel battesimo è una nuova creazione prodotta dallo Spirito santo che Dio ha riversato abbondantemente su di noi per opera di Gesù Cristo. Questa nuova creazione in Rm 12,2 riguarda il modo di pensare, è un nuovo modo di pensare. La trasformazione sempre nuova del cristiano consiste primariamente nell’incessante rinnovamento del pensiero, del modo di valutare che deve manifestarsi nelle scelte pratiche. Questo modo nuovo di pensare e di valutare sta alla base di tutto il resto. Questo pensiero rinnovato è il modo di pensare proprio della carità. Questa nuova mentalità serve per poter distinguere la volontà di Dio da ogni altra esigenza e decidersi a suo favore. Tale volontà di Dio è la santificazione (1Ts 4,3) e può essere parafrasata con le parole di 1Ts 5,17: Siate sempre lieti, pregate incessantemente, rendete grazie per tutto; questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù per voi. La volontà di Dio che il pensiero rinnovato sa discernere e per la quale esso riesce a decidersi è ciò che è buono e gradito e perfetto. Ma che cosa è vero, giusto e puro? È ciò che i cristiani hanno imparato, ricevuto e udito da Paolo e visto in lui: Ciò che avete imparato, ricevuto e ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare (Fil 4,9).

Il tèleion (= ciò che è perfetto) è il fine da perseguire ininterrottamente (cf. Col 1,28). Solo l’amore rende perfetti (Col 3,14).

Riassumendo: la misericordia divina esorta i cristiani alla vera donazione di sé, al sacrificio vivente, al culto di Dio spirituale, morale, mistico. Per fare ciò occorre una distanza critica e non un conformismo rispetto al mondo presente e una novità nel pensare che dia al cristiano la possibilità di vedere e di fare la volontà di Dio.

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