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Lettera ai COLOSSESI

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2008 11:36
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26/11/2008 11:31

L’aggiudicazione e le esigenze della riconciliazione
(1,21-23)

21E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici con la mente intenta alle opere cattive che facevate, 22ora egli vi ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto: 23purché restiate fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo e di cui io, Paolo, sono diventato ministro.

Con le parole "anche voi" si riprende il discorso per dire alla comunità che il messaggio della riconciliazione, riguardante il mondo intero, vale anche per essa. La riconciliazione si compie mediante la morte di Cristo, "nel suo corpo di carne, mediante la morte" (v.22). Ma il dono della riconciliazione include l’esigenza di rimanere saldi nella fede e di non lasciarsi distogliere dalla "speranza del Vangelo" (v.23).

v. 21. La comunità cristiana è presentata come la mèta a cui è diretto l’evento che abbraccia cielo e terra: condurre alla riconciliazione quelli che erano lontani e nemici di Dio, attrarli e collocarli sul saldo fondamento della fede e della speranza. Il tempo della perdizione è terminato con la mirabile azione di Dio e quindi ne consegue che il passato non ha più valore.

Essere estranei a Dio significa: non servirlo, adorare divinità e idoli stranieri. La lontananza da Dio comporta necessariamente che tutto l’operare degli uomini sia malvagio.

Perciò il giudaismo considera tutti i pagani immersi nella corruzione morale. Infatti l’avversione a Dio si esprime necessariamente in opere malvage (Rm 1,18-32).

v. 22. Sul buio del passato risalta tanto più luminoso il presente: "ora egli vi ha riconciliati". L’azione di Dio ha fatto spuntare la nuova èra, ha riconciliato la comunità. Perciò il passato è stato cancellato e vige soltanto il presente, segnato dalla riconciliazione (Rm 3,21). Essa è avvenuta mediante la morte di Cristo, che egli ha subìto "nel suo corpo di carne". Con l’aggiunta "di carne" il corpo è descritto come l’organismo fisico soggetto al dolore (cfr. 2,11). In tal modo il corpo di Cristo offerto alla morte è chiaramente distinto dalla chiesa, che è il corpo del Signore glorificato.

Poiché è stato uomo come noi, ha sperimentato nel suo corpo l’amarezza della morte. Ma con questa morte Dio ha operato la riconciliazione (Rm 8,3) e in questo modo è stato tolto di mezzo ciò che esisteva prima ed è subentrato l’"adesso".

L’aggiudicazione della riconciliazione divina include l’esigenza del mutamento di vita dei riconciliati. Dio ha compiuto la riconciliazione allo scopo di "farvi apparire santi e senza macchia e irreprensibili davanti a lui". Àghios e Àmomos (= santo e senza macchia) si adoperano nella lingua della liturgia per designare un animale senza macchia, messo a parte per Dio, per essergli sacrificato (Eb 9,14; 1Pt 1,19). Parastesai (= farvi comparire) è usato nel linguaggio giuridico nel senso di "presentare uno in tribunale". Noi tutti dovremo comparire davanti al tribunale di Dio (Rm 14,10), perché egli pronunci su di noi la sua sentenza (Rm 8,33-34). L’opera di riconciliazione di Dio fa in modo che i riconciliati mediante la morte di Cristo stiano davanti a lui irreprensibili.

Con l’espressione "al suo cospetto" non si pensa soltanto o soprattutto al giorno del giudizio finale, quanto piuttosto alla vita attuale del cristiano che si realizza al cospetto di Dio e viene vissuta in maniera santa, immacolata e irreprensibile. L’azione riconciliatrice di Dio ha già tutto operato; perciò la perfezione non deve essere conseguita con le proprie forze, ma deve essere accolta come grazia di Dio.

v. 23. La sola condizione che deve essere osservata, perché determinante di tutto, è questa: perseverare nella fede. Con la fede è posto il fondamento della condizione del cristiano (1,4), al quale occorre attenersi saldamente. Allora la vita della comunità sorgerà su solide fondamenta.

Come una casa è salda solo se è costruita sulla roccia (Mt 7,24-27), così la comunità, come edificio di Dio, è sorretta dal fondamento che le conferisce una saldezza incrollabile (1Cor 3,10-11; Ef 2,20; 2Tm 2,19). Come nell’inno introduttivo di ringraziamento, anche qui, accanto alla fede viene collocata la speranza come genuino contenuto del Vangelo (1,5). Anche qui la speranza è concepita come il bene sperato di cui si parla nel Vangelo. Il Cristo predicato in ogni luogo è la "speranza della gloria" (1,27), e la speranza, quale salvezza predicata, permea già il presente.

La salvezza di cui la comunità ha avuto notizia nella parola del Vangelo è predicata ad ogni creatura che è sotto il cielo. La vastità cosmica dell’evento di Cristo, sviluppata nell’inno, viene così riferita al Vangelo destinato a tutto il mondo. Poiché Cristo è il Signore al di sopra di tutto, l’annuncio gioioso deve risuonare nel mondo intero. Quando si dice che il Vangelo deve essere predicato ad ogni creatura (Mc 16,15-16) si intende a tutta l’umanità.

Questo lieto annuncio è il Vangelo insegnato da Paolo, di cui egli è servitore. La definizione di Paolo come "diacono del Vangelo" mette in risalto che compete al ministero apostolico una funzione fondamentale per la chiesa. In tal modo si stabilisce un aggancio con il brano che segue. La chiesa vive della predicazione apostolica ed è, così, vincolata all’ufficio apostolico.

Ufficio e compito dell’apostolo
(1,24-2,5)

24Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. 25Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di realizzare la sua parola, 26cioè il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, 27ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria. 28È lui infatti che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con ogni sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo. 29Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.

1Voglio infatti che sappiate quale dura lotta io devo sostenere per voi, per quelli di Laodicèa e per tutti coloro che non mi hanno mai visto di persona, 2perché i loro cuori vengano consolati e così, strettamente congiunti nell’amore, essi acquistino in tutta la sua ricchezza la piena intelligenza, e giungano a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo, 3nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza. 4Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti, 5perché, anche se sono lontano con il corpo, sono tra voi con lo spirito e gioisco al vedere la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo.

Affermando che l’apostolo è il servitore del Vangelo (1,23), Paolo ha posto la premessa per il passaggio alla sezione seguente. In questa pericope si delinea l’importanza dell’apostolo per tutta la chiesa. La sua sofferenza torna a profitto del corpo di Cristo, cioè della chiesa, in favore della quale egli esercita l’ufficio affidatogli da Dio (1,24-25). Il mistero affidato al ministero è la proclamazione pubblica del mistero ormai svelato, del Cristo predicato ai popoli (1,26-27). Perciò Paolo mette ogni impegno nell’ammaestrare ogni uomo (1,28-29); il suo mandato universale vale perciò anche per la comunità di Colossi e di Laodicea (2,1-5).

v. 24. La sofferenza di Paolo non si contrappone al messaggio gioioso annunciato ad ogni creatura sotto il cielo (1,23). Al contrario, il dolore ricolma l’apostolo di gioia, perché lo sopporta per i cristiani. La frase: "supplisco nella mia carne a ciò che manca delle tribolazioni del Cristo" non può in alcun modo essere intesa come se nel dolore vicario di Cristo mancasse qualcosa a cui Paolo dovrebbe sopperire. Paolo e tutti gli altri testimoni del NT sostengono unanimemente che nella morte di Cristo la riconciliazione è avvenuta veramente e definitivamente e non occorre alcun completamento. La lettera ai colossesi insegna che Cristo ha cancellato i peccati con la sua morte e risurrezione (2,13-14). Gesù ha sofferto per stabilire il regno di Dio e tutti coloro che condividono la sua opera devono condividere le sue sofferenze. Paolo non pretende certamente di aggiungere qualcosa al valore propriamente redentivo della croce, a cui non manca nulla; ma si associa alle prove di Gesù, cioè alle sue tribolazioni apostoliche (2Cor 1,5; Fil 1,20). Queste prove dell’era messianica (Mt 24,8; At 14,22; 1Tm 4,1) comportano una misura prevista dal piano divino e che Paolo si sente chiamato a colmare per la sua parte.

v. 25. La grazia di Dio ha chiamato Paolo e si mostra operante nel suo servizio. Il compito del suo ufficio è di "adempiere la parola di Dio", cioè eseguire la volontà e l’ordine di Dio. La parola di Dio sarà adempiuta quando verrà proclamata in tutti i luoghi e annunciata a tutte le creature che stanno sotto il cielo (1,23).

v. 26. Il messaggio affidato a Paolo è ora meglio precisato col termine mystèrion. Ciò che esisteva dall’eternità nel disegno di Dio, ma la cui conoscenza non era accessibile agli angeli e agli uomini, ora è manifestato e annunciato (1Cor 2,7-8). E poiché la rivelazione del mistero riguarda il mondo intero, essa avviene nella proclamazione del Vangelo a tutti i popoli (1Tm 3,16).

Mystèrion corrisponde al vocabolo ebraico raz che designa la volontà escatologica di Dio, la rivelazione della conoscenza del suo piano. Il mistero di cui dà testimonianza l’annuncio cristiano non riguarda l’evento futuro, che è segretamente nascosto nel piano di Dio, ma l’opera che Dio ha già attuata. Ciò che era rimasto nascosto dall’eternità, ora è svelato e proclamato, nella parola predicata, a tutte le genti (Rm 16,25-26). Ciò che da tempi e da generazioni innumerevoli era tenuto chiuso, viene ora aperto (Ef 3,4-5). I santi a cui viene rivelato il mistero non sono gli angeli, né una stretta cerchia di carismatici, ma i credenti, "ai santi, fedeli fratelli in Cristo" (v. 2). La magnifica ricchezza del mistero che Dio volle rivelarci e che viene annunciato tra i popoli è indicato con le semplici parole "Cristo in voi (tra di voi), speranza della gloria". Non si tratta di una pluralità di misteri, come nell’apocalittica giudaica, ma di un solo mistero: Cristo, speranza della gloria. La speranza riguarda la gloria, che diviene visibile nel tempo del compimento (3,4); Cristo solo è il suo fondamento e il suo contenuto.

v. 28. L’annuncio, proclamato in tutti i luoghi, che Cristo è il Signore, è chiarito e sviluppato nell’insegnamento esortativo. "Ammonendo e istruendo" connotano l’insegnamento intensivo nella cura dei fedeli e l’istruzione. Secondo 3,16 è compito di tutta la comunità istruirsi ed esortarsi a vicenda. L’apostolo ha intrapreso ovunque questo insegnamento, sforzandosi di istruire tutti in questa dottrina. Tre volte è indicato come destinatario dell’esortazione apostolica "ogni uomo", per mettere in evidenza il carattere universale del messaggio apostolico che viene diffuso in tutto il mondo. Il fine dell’istruzione è "presentare ogni uomo perfetto in Cristo". La sapienza e la perfezione consistono nel compimento obbediente della volontà di Dio: "affinché siate perfetti e totalmente ripieni di ogni volere di Dio" (4,12). L’esigenza del "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48) è adempiuta quando viene fatta la volontà di Dio. Chi appartiene al Cristo risorto e segue il suo comando arriverà ad essere perfetto in Cristo.

v. 29. Paolo si affatica nel trasmettere questo messaggio. La forza di Dio si manifesta efficace nell’opera del suo inviato. Solo così l’apostolo si sente capace di sopportare gli sforzi che tale missione richiede.

2,1. Le comunità cristiane di Colossi e di Laodicea stanno in contatto stretto tra di loro e sono esortate a scambiarsi le lettere apostoliche ad esse inviate (4,16).

Il grave pericolo da cui la lettera ai colossesi vorrebbe mettere in guardia (2,6-23) minaccia anche le altre comunità cristiane della regione. Benché Paolo non conosca personalmente i cristiani di Colossi e di Laodicea, tuttavia si sente responsabile anche di loro e in comunione con essi.

v. 2. La dedizione dell’apostolo a sostegno della comunità riempie il cuore dei cristiani di conforto. Con la parola agàpe viene indicato ciò che conferisce stabilità a questa coesione. L’intima coesione di tutta la comunità è fondata, mantenuta e rafforzata dall’amore, che è il vincolo della perfezione. In questa unità la comunità deve giungere "ad ogni ricchezza della pienezza della comprensione, alla conoscenza del mistero di Dio: Cristo". Cristo annunciato alle genti è il contenuto del mistero di Dio.

v. 3. La retta conoscenza della comunità dipende solo del suo legame con Cristo. Solo in lui sono fondate la sapienza e la conoscenza. Perciò sarebbe erroneo cercare fuori di Cristo o accanto a Cristo altre fonti di conoscenza: "Tutti i tesori della sapienza e della conoscenza si trovano nascosti in Cristo". Come l’indizio di un tesoro nascosto spinge a fare di tutto per trovarlo, così anche qui risuona l’invito a cercare l’unico luogo nel quale si possono trovare tutti i tesori della sapienza e della conoscenza.

Il mistero nascosto dall’eternità è ora rivelato ai santi di Dio (1,26) e viene fatto conoscere nella misura in cui Cristo è annunciato alle genti (1,27).

v. 4. Ciò che è stato detto mira soprattutto ad evitare che la comunità presti ascolto alle parole dei seduttori.

V. 5. Il pericolo non va sottovalutato. Paolo è lontano e non può essere accanto alla comunità per parlarle direttamente. Ma, benché assente con il corpo, è presente con lo spirito. Questo spirito, è l’io individuale di Paolo al quale è unito lo Spirito di Dio che gli dona la forza di unirsi alla comunità per un’azione comune. In questa unione egli si rallegra di vedere che nella comunità tutto è rivolto al bene. Tàxis è la situazione ben ordinata che la comunità presenta. Sterèoma è la saldezza, la robustezza che sorregge la fede della comunità. La fede della comunità è saldamente fondata perché è orientata unicamente a Cristo. Se la comunità si tiene stretta a lui, nessuna tentazione può realmente minacciarla: essa persevera forte e salda nella fede. Per poter smascherare e rigettare la nuova dottrina proposta dagli eretici, è necessaria la conoscenza del Vangelo proclamato da Paolo. Su questo Vangelo è posta la base sulla quale è possibile condurre la disputa contro la falsa predicazione. Il Vangelo predicato dall’apostolo costituisce la norma su cui va misurato ogni altro discorso.

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