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Lettera ai COLOSSESI

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2008 11:36
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26/11/2008 11:33

SECONDA PARTE PARENETICA

LA SIGNORIA DI CRISTO NELLA CONDOTTA DEI CREDENTI

Mirate alle cose dell’alto!
(3,1-4)

1Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; 2pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. 3Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! 4Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.

Se fino a qui era stato detto che l’appartenenza al Cristo risorto e glorificato significa liberazione dalla schiavitù delle potestà e delle dominazioni, ora la nuova vita di coloro che sono risorti con Cristo viene descritta come una condotta obbediente che si attua nel dominio regale del Signore. In questo modo viene sviluppato ciò che nei primi due capitoli era già stato detto frequentemente e brevemente: la retta sapienza e la retta conoscenza si manifestano nell’adempimento della volontà di Dio (1,9-11). La riconciliazione ricevuta deve essere acquisita e conservata nella perseveranza nella fede e nell’incrollabile adesione alla speranza del Vangelo (1,21-23). "Come dunque avete ricevuto Gesù Cristo il Signore, in lui camminate" (2,6). Questa esortazione è ora concretizzata in considerazioni parenetiche. Il contenuto dei primi due capitoli della lettera è quindi strettamente connesso a quello dei due seguenti. All’inizio della parenesi si accenna quindi al battesimo come al fondamento della nuova vita e con ciò viene premessa una motivazione etica di stampo cristologico alle singole istruzioni. La vita con Cristo si attua con l’appartenenza totale al Signore e col seguirne i comandamenti.

v. 1. Il passaggio alla parenesi è segnato da un "dunque" con cui ci si collega al ragionamento fin qui sviluppato: voi siete stati risuscitati con Cristo ad una vita nuova. L’azione escatologica di Dio è già avvenuta, egli ci ha chiamati dalla morte alla vita. Dalla salvezza già concessa scaturisce l’appello ad appropriarsi di essa: "Cercate le cose di lassù". È necessario levare lo sguardo in alto per imprimere alla condotta dei cristiani una chiara direzione. Verso l’alto, cioè dove è Cristo innalzato da Dio e seduto alla sua destra. Pur nel mezzo di questo mondo i cristiani sono perciò già uniti al mondo celeste poiché il capo è lassù e i suoi aderiscono saldamente a lui in quanto sanno di essere liberi da tutto ciò che potrebbe attrarli verso il basso.

v. 2. Fronèin indica il pensare e l’aspirare da cui deve essere guidato l’agire. Esortando al pensare realistico è ripudiato qualsiasi fantasioso "entusiasmo". La retta conoscenza di Dio deve attuarsi nell’esame oggettivo di ciò che vale qui e adesso ed è conforme al suo comando. "Vera conoscenza significa sempre retta intelligenza anche riguardo alla situazione dell’uomo di fronte a Dio e verifica oggettiva e razionale di ciò che è buono, gradito e perfetto rispetto a Dio e al prossimo" (Bornkamm). Questo pensare è guidato da una "trasformazione che rinnova la mente" (Rm 12,2) e riceve dall’alto la sua caratterizzazione. Là deve essere rivolto il pensiero, perché là è la patria dei credenti (Fil 3,20-21). Questo non significa che i cristiani devono evadere dal mondo presente. Essi devono mirare a cercare le cose di lassù e intanto costruire il quotidiano in obbedienza al Signore. Per questo il loro cercare e il loro pensare è rivolto verso l’alto e non può volgersi pesantemente in basso dove l’uomo è prigioniero dei suoi pensieri ribelli e dei suoi istinti (vv.5 ss).

v. 3. Ciò che esisteva prima ora non ha più valore. La vecchia vita è stata eliminata una volta per sempre dalla morte di Cristo. L’unica determinante realtà è la vita che è stata procurata dalla potenza creatrice di Dio. Questa vita è attuale perché Dio "ci ha fatti rivivere con Cristo" (2,13). Ma questa vita è realtà solo dove è sostenuta e assunta "mediante la fede" (2,12). Con ciò si respinge decisamente la concezione fantasiosa di una salvezza già visibilmente presente in totale pienezza, della morte già scomparsa e della risurrezione totale e definitiva dei morti già avvenuta (2Tm 2,18). La vecchia vita è terminata con la morte e risurrezione di Cristo e quindi il passato non può più accampare diritti sui cristiani. La nostra risurrezione in Cristo è già iniziata nel battesimo, ma non è ancora compiuta in pienezza. Essa è nascosta con Cristo in Dio, sottratta agli sguardi umani, non percepibile ai sensi. Essa viene accolta nella fede e conservata nella tensione verso l’alto.

v. 4. La vita nuova sarà un giorno manifestata, quando Cristo apparirà nella parusia. Cristo è già ora la nostra vita; chi appartiene a lui è già passato dalla morte alla vita (Gv 5,24-25; 11,25-26 ecc.).

Ma quando Cristo comparirà alla fine dei tempi, allora sarà anche manifestato che i suoi sono con lui nella vita. La comunione con Cristo che è già iniziata nel battesimo e che riempie la vita dei cristiani, avrà la sua compiutezza nella gloria eterna.

I cristiani sono sollecitati a dare dimostrazione con la loro condotta esterna di ciò che è avvenuto, mediante la fede, in loro. Questa dimostrazione sta nella decisione pratica di "rivolgere il pensiero alle cose dell’alto e non a quelle che sono sulla terra" (v.2). Nella morte e risurrezione con Cristo, avvenuta nel battesimo, questa decisione è già avvenuta con validità vincolante; perciò nel comportamento dei credenti non c’è da fare altro che spogliarsi dell’uomo vecchio, che è morto con Cristo, e rivestirsi del nuovo, che Dio ha creato e che ha chiamato in vita nella risurrezione con Cristo.

Rivestitevi dell’uomo nuovo!
(3,5-17)

5Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, 6cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono. 7Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. 8Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. 9Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni 10e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. 11Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti. 12Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; 13sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. 14Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. 15E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti! 16La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. 17E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.

Poiché i credenti nel battesimo sono morti con Cristo (2,12-13; 3,3), questo è il loro dovere: far morire le loro membra terrene (v.5). Lo svestimento del corpo della carne (2,11) avviene nello spogliarsi dell’uomo vecchio con le sue opere (3,9). Ma ad esso segue necessariamente il rivestirsi dell’uomo nuovo, che viene rinnovato per la conoscenza, ad immagine di colui che l’ha creato (v.10).

L’esortazione prosegue spiegando positivamente che cosa vuol dire rivestirsi dell’uomo nuovo. Perciò dopo due cataloghi di vizi (vv.5.8) viene esposto un catalogo di virtù e un’esortazione alla sopportazione e al perdono (vv.12-13). Nell’agàpe la vita della comunità giunge alla sua forma perfetta (v.14). La vita della comunità è descritta come pace e celebrazione di ringraziamento (v.15), accoglimento e testimonianza della parola nell’insegnamento e nel canto (v.16) e anche come attività nel nome del Signore Gesù (v.17).

v. 5. Della morte avvenuta nel battesimo con Cristo ognuno deve ora appropriarsi facendo morire le membra terrene. L’uomo agisce con le sue membra sottomettendole o all’hamartìa (= il peccato) come strumenti di ingiustizia, o a Dio come strumenti di giustizia per Dio (Rm 6,13). Dalla scelta del proprio signore dipende se le membra sono schiave del peccato o serve obbedienti della giustizia di Dio. Non si esorta a uccidere le membra corporee dell’uomo, ma i cinque vizi che sono enumerati e operano nelle membra dell’uomo. Quindi solo attraverso la morte dei vizi, in cui muore la nostra vecchia identità, può aprirsi la via alla nuova vita.

Accanto ai peccati carnali e alla concupiscenza malvagia, la pleonexìa (= brama di possedere) è indicata come un peccato di particolare gravità. La cupidigia e la brama di possesso corrompono il cuore dell’uomo, lo allontanano da Dio e lo gettano in braccio all’idolatria.

La cupidigia è idolatria. L’uomo può servire soltanto a un padrone: a Dio o a mammona (Mt 6,24). Se il suo cuore è attaccato al possesso, allora adora gli idoli e rinnega l’unico Dio.

v. 6. Come più volte, alla fine dei cataloghi di vizi, si accenna al futuro giudizio (1Ts 4,3-6; 1Cor 5,10-11; Rm 1,18-32), così anche qui si ricorda che, a causa delle azioni malvage degli uomini, sopraggiunge l’ira del giudizio di Dio.

v. 7. Un tempo anche i credenti avevano vissuto ignobilmente in questi vizi ed erano morti nei loro peccati (2,3; Ef 2,1-2). Ma la vita passata è stata eliminata con la morte, avvenuta nel battesimo con Cristo.

Perciò al posto del passato è subentrato il presente, che d’ora innanzi è il solo valido.

v. 8. I vizi da ripudiare sono elencati in un catalogo di stampo tradizionale. Con essi deve sparire qualsiasi specie di malvagità che rovina la convivenza umana (1Cor 5,8; 14,20; Rm 1,29; Ef 4,31). I sentimenti cattivi si manifestano nelle parole cattive.

v. 9. Nella comunità cristiana solo la verità ha la parola. Dio non può mentire (Eb 6,18); perciò anche il cristiano non deve mentire (Gal 1,20; 2Cor 11,31; Rm 9,1; 1Tim 2,7; ecc.). Nel contatto quotidiano con tutti bisogna conformarsi all’imperativo della veridicità assoluta.

L’immagine dello spogliarsi e del rivestirsi di un indumento era diffusa nel mondo antico e fu usata nelle religioni mistiche per spiegare l’evento che si operava con l’iniziazione. Va deposto quell’uomo vecchio il quale non solo aderisce come un vestito all’uomo, ma è l’uomo stesso. Egli deve essere abbandonato alla morte perché "il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui" (Rm 6,6). Poiché egli è già morto deve ora essere eliminato col suo modo di agire e di comportarsi che era descritto nei cataloghi dei vizi. "Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo" (Gal 3,27). "Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri" (Rm 13,14).

v. 10. Al posto dell’uomo vecchio bisogna indossare l’uomo nuovo che è fatto a immagine del suo Creatore. L’immagine di Dio è Cristo (1,15). La nuova creazione, iniziata nel battesimo, si attua così in una perenne novità: "il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno" (2Cor 4,16), La conoscenza a cui l’uomo nuovo perviene, consiste nel comprendere la volontà di Dio (1,9). L’uomo vecchio non possedeva questa conoscenza, l’uomo nuovo invece deve vivere conforme alla volontà del Creatore.

v. 11. Nella comunità di Gesù Cristo è eliminato ciò che nel mondo è causa di divisione tra gli uomini. "Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Gal 3,28). "Tutti noi siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, giudei o greci, schiavi o liberi" (1Cor 12,13). Con le parole "ma tutto e in tutti è Cristo" si afferma che la regalità di Cristo dischiude la pienezza della salvezza, così che Cristo è tutto in tutti. La sua regalità abbraccia ogni cosa (1,15-20). Perciò l’unità della nuova umanità può fondarsi unicamente in lui.

v. 12. La comunità è considerata come il popolo eletto, santo e amato da Dio. Come sopra sono stati menzionati per due volte cinque vizi, che devono scomparire con l’uomo vecchio (vv. 5.8), così ora vengono enumerate cinque virtù di cui bisogna rivestirsi. I cinque concetti che descrivono l’attività dell’uomo nuovo servono tutti, in altri passi, a designare l’agire di Dio o di Cristo. Nel rivestirsi delle virtù, che senza eccezione sono frutto dello Spirito, si manifesta quindi il rinnovamento che l’uomo nuovo, creato da Dio, contemporaneamente sperimenta e realizza.

Al primo posto è nominata la misericordia amorosa, al secondo la bontà, nella quale avviene l’incontro con gli uomini (Gal 5,22; 2Cor 6,6; Ef 2,7). Segue l’umiltà, nella quale l’uomo fa attenzione all’altro e nessuno pensa alle cose proprie ma a quelle altrui (Fil 2,3-4). Nella mitezza uno soccorre l’altro nel momento giusto (Gal 6,1). Nella longaminità si può pazientare a lungo e usare sopportazione (1,11).

Tutti e cinque i concetti mostrano come debba comportarsi il cristiano nei riguardi del prossimo. Deve rinunciare alla propria autoaffermazione e alla difesa dei propri privilegi, e aprirsi completamente al prossimo che necessita della sua comprensiva disponibilità e della sua azione soccorritrice.

v. 13. Qui non si allude ad una precisa situazione della comunità, ma viene espresso un ammonimento generico, che vale per qualsiasi situazione della vita comunitaria: sopportarsi a vicenda, concedere il perdono quando uno abbia rinfacciato qualcosa a un altro. Perdonarsi a vicenda come il Signore ha perdonato. L’agire del Signore è il fondamento e la direttiva dell’agire dei credenti. Col battesimo Dio concede il perdono dei peccati (2,13). Il perdono ricevuto nel battesimo deve rendere capaci di non serbare rancore e di non fare i conti col prossimo quando c’è motivo di recriminazione e di lagnanza.

v. 14. L’amore è il legame che conduce alla perfezione. Esso lega i membri della comunità e porta alla perfezione la comunione dell’unico corpo di Cristo.

v. 15. L’esortazione si conclude con un augurio di pace. Questa pace è chiamata, con singolare espressione, "la pace di Cristo". In Ef 2,14 sta scritto: "Egli (Cristo) è la nostra pace". Tutto l’uomo deve essere afferrato dalla pace di Cristo, perché "la pace di Cristo" esprime proprio l’ambito in cui il battezzato esiste come uomo nuovo. La chiamata, rivolta ai credenti con la predicazione del Vangelo, li ha introdotti in questo spazio di pace. Essi vivono "in un solo corpo", cioè nella chiesa che è il corpo di Cristo. È lì il luogo della regalità del Signore glorificato (1,18.24).

La comunità deve esprimere riconoscenza professando la sua fede in Dio che l’ha liberata dal potere delle tenebre e l’ha trasferita nello spazio della regalità del suo diletto Figlio (1,12-13). Nell’ambito della chiesa deve essere celebrata l’eucaristia, intonando l’inno di lode, col quale Cristo è celebrato come immagine del Dio invisibile e Signore su tutto (1,15-20).

v. 16. Il giusto ringraziamento avviene nell’ascolto e nella meditazione della parola di Cristo e nei cantici intonati dalla comunità ad onore di Dio. La parola di Cristo è il Vangelo. Il suo annuncio deve trovare nella comunità il suo terreno naturale. Come la sapienza trovò dimora in Israele (Sir 24,8), così la parola di Cristo deve trovare piena cittadinanza nella comunità cristiana e svolgervi la sua attività. A questa attività della parola, la comunità deve corrispondere con la meditazione e l’interpretazione della parola nella istruzione e nell’ammonimento. L’insegnare e l’ammonire, che in 1,28 erano designati come attività dell’apostolo, non sono legati a un preciso ministero, ma esercitati dai membri della comunità, secondo i carismi loro assegnati (1Cor 12,28; 14,16). L’oggettiva comprensione della dottrina deve dimostrarsi nella pratica. Mediante la sapienza, resa operante dallo Spirito, la comunità comprende qual è la volontà di Dio (1,9-10). I tre concetti, salmi, inni e cantici non si possono distinguere in modo netto; essi descrivono, integrandosi a vicenda, la pienezza del cantico suggerito dallo Spirito. Dicendo che questo canto deve essere intonato "nei vostri cuori" si vuole indicare, con un’espressione ebraicizzante, che non soltanto la bocca deve aprirsi, ma tutto l’uomo dev’essere ripieno del cantico di ringraziamento.

v. 17. Tutto ciò che i credenti fanno, deve essere fatto nel nome del Signore Gesù, ossia nell’obbedienza al Signore. Ciò che essi dicono o fanno, deve essere una professione di fede, a parole e a fatti, nel loro Signore. In mezzo alle occupazioni quotidiane il cristiano deve prestare il "culto spirituale" (Rm 12,1-2), ascoltando e ripetendo la parola nel canto e nella preghiera, ma ancor più facendo risuonare, nel lavoro e nel contatto col prossimo, la lode di Dio. Questa lode è innalzata a Dio Padre per mezzo di Cristo. Infatti Cristo è il Signore che dà fondamento e scopo alla vita dei credenti; perciò possono glorificare il Padre nel ringraziamento solo proclamando la loro fede nel Cristo Signore che egli ha mandato (Gv 17,3).

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