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Storie di conversioni

Ultimo Aggiornamento: 22/03/2010 19:43
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Storie di conversione:  Alessandra di Rudinì da Gabriele D'Annunzio al Carmelo

Il bisogno insopprimibile
di essere amata davvero


di Lucetta Scaraffia

Il 5 agosto 1910, tra la folla che assisteva commossa a una guarigione miracolosa nella grotta di Lourdes, vi era un'aristocratica italiana leggendaria per bellezza ed eleganza, Alessandra di Rudinì. La nobildonna si era recata a Lourdes su consiglio del precettore dei suoi figli, il francese abbé Gorel, con la speranza di trovare finalmente la fede. Da anni cercava, con tutte le sue forze, la conversione:  si era ritirata a vivere nella splendida villa sul Garda che aveva ereditato dal marito morto precocemente di tisi, dedicandosi allo studio della teologia, della liturgia e delle vite dei santi, e ai colloqui con i prelati dei dintorni - e naturalmente con Gorel - che venivano sottoposti a stressanti sedute in cui erano costretti a rispondere ai suoi dubbi e alle sue critiche. Questo avvicinamento puramente intellettuale alla fede cattolica, vissuto per di più con la prepotenza di una aristocratica abituata sin dall'infanzia a ottenere quello che voleva, non poteva certo assicurarle quella pace interiore a cui tanto anelava.
Apparentemente Alessandra aveva avuto tutto dalla vita:  era nata in una potente e ricca famiglia siciliana - il padre Antonio, proprietario di latifondi, era stato più volte presidente del Consiglio - ed era bellissima, alta, bionda, piena di vita e di intelligenza. Ma le era mancato, sin da piccola, l'affetto dei genitori:  del padre, assorbito dalla carriera politica e dalle avventure amorose, e della madre, una nobile piemontese con ascendenze russe, sofferente per questa situazione e incapace di reagire, finita presto in un ospedale psichiatrico. Lasciata alle governanti, e poi nei collegi, aveva sviluppato un carattere ribelle e insofferente, che trovava pace solo nel rapporto con gli amatissimi cani e cavalli, che soli le davano quell'affetto a cui anelava.
Assediata dalle richieste di matrimonio, scelse un nobile timido e defilato come il marchese Marcello Carlotti del Garda, perché lo aveva visto slanciarsi in soccorso di un cavallo caduto per strada. Dal matrimonio, durato solo cinque anni per la morte del marito, erano nati due figli, con i quali Alessandra ebbe un rapporto freddo e contraddittorio. Rimasta vedova a ventitré anni, si gettò nella vita mondana e nei viaggi, anche esotici, fino alla svolta centrale della sua vita:  l'incontro con Gabriele D'Annunzio, che la corteggiò abilmente fino a ottenerne la resa. Nel poeta, nelle sue frasi trascinanti e nelle sue promesse di una passione totalizzante, le sembrò di trovare finalmente una risposta alla sua fame di amore. D'Annunzio, che l'aveva soprannominata Nike, le scriveva messaggi seducenti e ingannatori:  "Io sarò tutto per te. Sarò per te tutto ciò che vorrai che io sia; saprò colmare i vuoti che il mio amore avrà scavato intorno a te".
Alessandra gli crede con totale fiducia, si abbandona a questo amore accettando lo scandalo e i rimproveri del padre, che la disereda, e del cognato, che avoca a sé la custodia dei figli. Per D'Annunzio abbandona tutti e tutto, dimentica gli affetti più cari. Per qualche anno la coppia sembra vivere d'amore - e di spese pazze:  Alessandra, che va a vivere con D'Annunzio alla Capponcina, pretende per i suoi cani collari ornati di gemme e tappeti preziosi - e il poeta la assiste con amorevole abnegazione durante una lunga e brutta malattia, da cui Alessandra esce distrutta anche perché si è abituata all'uso di morfina per lenire i dolori. Ma, dopo quattro anni, per il poeta è tempo di altri amori. D'Annunzio si libera con crudeltà del legame con la nobildonna, che ormai lo ha stancato. Per Alessandra la delusione è insostenibile:  il vuoto affettivo che sente dentro di sé, la fame di amore, si riapre ancora più dolorosamente, e i suoi tentativi di rappacificazione sono tanto inutili quanto disperati. È in questa fase dolorosa che l'aristocratica cerca il conforto della religione, ma non riesce ad aprirsi alla fede, nonostante la desideri così intensamente. La dolcezza del pentimento di una Maddalena le è negata, e Alessandra alterna letture di teologia a messaggi disperati che invia al poeta.
Sarà proprio a Lourdes, nel raccoglimento della Grotta, che la nobildonna sentirà esaudita la sua preghiera, avvertendo la fede e la pace dentro di sé:  nei momenti più duri della sua vita aveva promesso a Dio che, se avesse ricevuto il dono della fede, si sarebbe donata interamente a lui, entrando nel Carmelo. La sera stessa del "miracolo", Alessandra chiede all'abbé Gorel di confessarla:  "Tutte le esitazioni, tutti i tentennamenti, tutte le resistenze, erano vinte, e questa volta per sempre", annota l'ecclesiastico dopo questa confessione, mentre a sua volta la penitente gli scriveva:  "Prego Dio che questa speranza e questa fede nate in me come una luce nuova, possano diventare una cosa nuova e piena di vita". Al ritorno da Lourdes Alessandra affretta i tempi per entrare in convento, e sceglie il Carmelo di Paray-le-Monial, dove trova un'affettuosa e comprensiva accoglienza presso la superiora, Marie de Jésus, della quale prenderà anche il nome. Rapidamente, si abitua alla durissima vita monacale, si impegna eroicamente come infermiera nel monastero, e alla morte della fondatrice viene eletta al suo posto. Le sue cospicue sostanze - nel frattempo, aveva ereditato dai figli morti di tisi e dal fratello suicida - vennero impiegate nel completamento del convento di Paray-le-Monial, e nella costruzione di altri tre:  a Parigi, accanto alla nuova basilica di Montmartre, a Valenciennes e nelle montagne della Savoia, dove Alessandra morì e ha trovato sepoltura.
Ma rimane il dubbio che la sua conversione resti incerta, come il suo animo sempre inquieto:  lo suggerisce il fatto che in alcune occasioni abbandona il monastero per recarsi in incognito in Italia, dove alloggia in un albergo in compagnia di una consorella anch'essa in vestiti normali, e che vi sono tracce di una sua corrispondenza con D'Annunzio anche dopo il suo ingresso in monastero, e soprattutto lascia perplessi il suo pressoché inesistente sentimento materno. Alessandra lascia i figli ancora bambini e bisognosi di lei, e non li assiste nei difficili momenti della loro malattia né nelle lunghe agonie, mentre invece si prodiga nell'assistenza delle consorelle malate. Sappiamo che, prima di lei, ci sono stati grandi esempi di sante che hanno lasciato i figli per diventare religiose, come Jeanne de Chantal, ma nondimeno colpisce la sua scelta di abbandonare i suoi figli, orfani del padre e malati, tanto più che anche prima non aveva dimostrato molta sollecitudine nei loro confronti. Non è possibile leggere nel suo cuore, ma possiamo sperare che nella vita religiosa Alessandra abbia placato infine la sua straziante fame di amore, sentendo accanto a sé quello di Dio.



(©L'Osservatore Romano - 18-19 agosto 2008)
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