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Storie di conversioni

Ultimo Aggiornamento: 22/03/2010 19:43
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Storie di conversione:  Berdjaev

«Tu non sei mai solo, Nikolaj»


di Adriano dell'Asta

Siamo agli inizi della seconda guerra mondiale, nella casa di Nikolaj Berdjaev, vicino a Parigi. Con il grande filosofo russo, espulso dall'Unione Sovietica nel 1922 per diretto ordine di Lenin, ci sono alcuni amici; come racconta la moglie nei suoi diari, il tema della conversazione è "lo scopo e il senso degli avvenimenti. Chi si preoccupa più di ogni altro di quanto sta accadendo è il buon Mocul'skij, un altro dei grandi pensatori russi costretti ad emigrare dopo la rivoluzione.
"Nikolaj gli chiede se lavora, se scrive. "Oh, no, non riesco a scrivere neanche una riga. Solo giornali e informazioni, e niente altro!". Al che Nikolaj ribatte:  "Io invece ho un'incredibile capacità di scrivere in qualsiasi condizione. Anche adesso sto scrivendo un libro, scrivo articoli, preparo conferenze. Il mio sistema nervoso è definitivamente sconvolto, o meglio, lo è la sua struttura esteriore, mentre all'interno c'è una sorta di nucleo che nulla riesce a toccare!"".
Ciò che colpisce e desta immediatamente l'attenzione nella persona di Berdjaev - a detta di chi lo ha conosciuto direttamente o ne ha studiato la vita e il pensiero - è appunto questo nucleo solido di umanità che da nulla può essere messo in crisi e che resta incrollabile, quali che siano le condizioni esteriori e a dispetto delle stesse peculiarità del suo carattere. Umanamente una persona di grande emotività e tensione nervosa; che aveva attraversato tutta la tragedia della Russia tra la fine del xix secolo e l'inizio del xx:  la lotta allo zarismo, la guerra, la rivoluzione, l'emigrazione.
C'era di che essere scossi; eppure Berdjaev colpisce proprio per questa sorprendente solidità che lo rende capace di resistere anche là dove persone meno impressionabili di lui cedono alle spinte esterne. A questo proposito, nel suo Arcipelago Gulag, Aleksandr Solzenicyn, parlando della resistenza di Berdjaev nei primi anni del regime sovietico, dice:  "Sono riusciti a trasformare in marionette la cerchia di Berdjaev, ma non lui medesimo. Berdjaev non si umiliò, non supplicò, ma espose con fermezza i suoi principi religiosi e morali:  L'uomo aveva un punto di vista proprio!"; poteva restare solo contro tutti, ma niente gli avrebbe potuto togliere quel "punto di vista proprio", che non è il segno di chi vuol far l'originale ma di chi è libero di fronte alle circostanze, di chi non dipende da nulla che sia esterno al suo cuore.
Per quanto potesse restare solo, in realtà Berdjaev non restava mai veramente tale; come ci dice ancora la moglie:  "Tu non sei mai solo Nikolaj, tu sei con Cristo".
Il mistero della solidità di Berdjaev era tutto in questa compagnia che trasformava "un'anima malata", un individualista solitario, che si era sempre sentito un estraneo in questo mondo, in un solido punto di aggregazione e di riferimento per tutti:  non solo per filosofi o pensatori come lui, ma anche per gente semplice di ogni tipo, che grazie a lui ritrovava la voglia di vivere, come quel povero vecchio russo, anch'egli emigrato a Parigi - dove viveva nel totale squallore - che non poté fare a meno di regalargli una principesca azalea rosa per dimostrare in qualche modo la propria gratitudine a chi gli "aveva restituito la fede".
Qui non si può che restare ulteriormente colpiti se si pensa che quest'uomo, ormai diventato un modello di fede, aveva avuto una storia religiosa tutt'altro che semplice.
Nato nel 1874 in una famiglia di antica nobiltà, Berdjaev era diventato ben presto marxista, perché nel marxismo credeva di poter trovare una giustificazione e una risposta alla propria ansia di libertà, delusa dal conformismo e dal formalismo della società nella quale era cresciuto e della stessa Chiesa, che a un certo punto, a lui come a molti altri, era apparsa nulla più che un "involucro esterno e infangato".
Il periodo marxista non era durato molto a lungo, anche se la sua militanza rivoluzionaria era bastata a renderlo famoso come "marxista legale" e a procurargli arresti e periodi di confino; ne era uscito grazie a un percorso umano e intellettuale che aveva alcuni punti fermi:  la passione per la libertà e per la persona intesa come essere irriducibile, l'attenzione alla realtà e al suo mistero, e la coscienza che tutto ciò poteva essere percepito pienamente solo con lo sguardo di Cristo, presente nella sua Chiesa. Era quanto egli stesso avrebbe detto diversi anni dopo, quando, ricordando il proprio ritorno alla Chiesa, avrebbe così riassunto l'esigenza che lo aveva caratterizzato:  "Dopo le deserte vacuità del pensiero astratto, la filosofia deve tornare sotto le volte del tempio, alla sua funzione sacra, e ritrovarvi il realismo perduto, e di nuovo ricevere la consacrazione ai misteri della vita".
Il realismo e il mistero irriducibile della vita e della persona erano esattamente quello che il marxismo non poteva rispettare e quanto Berdjaev trovò in Cristo e nella Chiesa.
In effetti, in Berdjaev, la critica al marxismo e la riscoperta del cristianesimo nascono proprio attorno alla questione della realtà poiché una delle critiche più decise di Berdjaev a Marx è appunto quella di essere venuto meno alla realtà e, come dirà più tardi, di aver trasformato, per le esigenze della rivoluzione, la stessa realtà del proletariato nell'idea di proletariato. Quella che dovrebbe essere una filosofia scientifica si rivela così una cattiva scienza e una cattiva filosofia, nella quale l'idea sostituisce la realtà e nella quale, non essendoci più spazio per nulla di oggettivo, finisce per scomparire anche la verità; ma "se non c'è Dio, se non c'è Verità che lo innalzi al di sopra del mondo, l'uomo è totalmente subordinato alla necessità. L'esistenza di Dio è la carta delle libertà dell'uomo", dice Berdjaev, saldando il problema della libertà e della verità con quello di Dio e indicando quindi l'altro grande limite del marxismo nel suo ateismo. Anzi era proprio l'ateismo che rendeva impossibile per Marx un autentico rispetto della realtà:  se voleva garantirsi il proprio dominio totalmente immanente sul mondo, il marxismo era infatti costretto a negare la realtà, che per la sua natura stessa rimandava necessariamente a un creatore, a un essere infinito irriducibile a qualsiasi realtà finita.
Tutta la genialità di Berdjaev e della sua riscoperta del cristianesimo stava qui però nella sua capacità di superare, in Cristo, le vecchie contrapposizioni:  tra finito e infinito, trascendenza e immanenza, materia e spirito, libertà e necessità, rivoluzione e tradizione. In Cristo infatti, per Berdjaev abbiamo il superamento della sterile dialettica che paralizza l'uomo contemporaneo, insofferente ai sistemi - anche religiosi - fatti di divieti e di mondi chiusi ma nello stesso tempo umiliato dalla pura negazione, diviso tra la soppressione totalitaria della libertà e la sua riduzione borghese a indifferenza della scelta.
Tra schiavitù e anarchia, fissità e cattivo infinito, Cristo, per Berdjaev, mostra l'esistenza di un atteggiamento diverso:  l'atteggiamento del Figlio, il Dio-Uomo che si incarna, e l'atteggiamento degli uomini che in Cristo divengono amici di Dio e possono rispondere liberamente al suo amore.
In Cristo, che assume l'umanità e si espone al rischio della libertà sino alla morte di Croce, Berdjaev vede la rivelazione e il compimento della libertà umana:  "La libertà umana raggiunge la sua espressione definitiva nella libertà suprema che è libertà nella Verità". In questa Verità che crea un essere libero di negarLa, e che libera donandosi sino alla morte, Berdjaev scopre che la libertà non è il risultato di una ribellione e di una lotta, ma non è neppure una condizione beata; essa è piuttosto qualcosa di originario, che costituisce l'uomo, un dono enorme, dalla grandezza drammatica e di cui molte volte l'uomo stesso vorrebbe fare a meno. Ma finché resta tale l'uomo non può fare a meno di rispondere a questo dono, che si manifesta come un'ansia di verità, un infinito che lo costituisce e lo eccede e gli impedisce di ripiegarsi sulle proprie miserie e sulle proprie cadute:  "È Dio stesso e non l'uomo che non può fare a meno della libertà umana", dice Berdjaev con una delle sue formule spesso paradossali.
Definito dal dono e dall'incontro con la libertà divina, per Berdjaev, l'uomo si scopre persona a immagine della Persona di Cristo, e proprio per questo si trova a essere irriducibile, incessantemente chiamato a superarsi e investito di una nuova capacità di resistenza a ogni forma di potere:  segnato dall'assoluto non può più essere soggetto a nulla di relativo.
Il radicamento di questa irriducibilità e della sua vocazione nella realtà della Persona di Cristo, Verbo fatto carne, distingue la posizione di Berdjaev da altre filosofie a lui contemporanee; non si tratta di un semplice spiritualismo contrapposto alla violenza materialista:  lo Spirito di cui parla non è un altro mondo confinato tra le nuvole, ma l'altro mondo che ha fatto irruzione in questo mondo, non un'idea contrapposta a un'altra idea ma qualcuno che restando definitivamente altro rispetto a questo mondo ne diventa il cuore, il movente e lo scopo.
Questa irriducibilità costantemente ribadita, d'altro canto, libera l'azione dell'uomo dalla pretesa del successo e di una realizzazione immediata, da quella pretesa di perfettismo che trasforma spesso l'agire umano in un moralismo soggettivistico e utopista e che Berdjaev definisce né più né meno che una forma di nichilismo, perché l'idea del moderno umanesimo antropocentrico, l'idea di un uomo che si costruisce tutto da solo un mondo perfetto, "l'ideale della perfezione senza grazia porta al nichilismo".
E qui c'è un altro elemento fondamentale, anche se spesso poco sottolineato, del cristianesimo di Berdjaev. Il pensatore russo è giustamente considerato il filosofo della creatività:  il carattere personale dell'uomo si compie autenticamente nella misura in cui l'uomo, a immagine del Creatore, crea a sua volta in piena libertà; ma questo non significa mai in Berdjaev la pretesa di un'autonomia o di una cattiva indipendenza. Per quanto riguarda la stessa creatività umana, Berdjaev ricorda che, proprio là dove essa è più alta e più originale, "l'idea stessa di creatività è possibile solo perché c'è un Creatore e perché quest'ultimo ha compiuto un atto creatore originale grazie al quale ha cominciato a esistere qualcosa che prima non c'era".
Lo spirito del ribelle, nel Berdjaev che riscopre Cristo, si trasforma nello spirito di responsabilità; e questa responsabilità si radica ed è possibile solo nella Chiesa; a dispetto di tanti atteggiamenti polemici e di tanta insofferenza nei confronti di certe chiusure della sua Chiesa, Berdjaev ripeterà sino alla morte (1948):  "Io confesso la religione dello spirito, sono un cristiano libero, non uno che ha rotto con la Chiesa, cioè non voglio essere un settario"; e questo perché, come aveva detto in uno dei suoi articoli di poco successivi al ritorno nella Chiesa, solo "la Chiesa ha conservato l'immagine del Cristo crocifisso e il mistero della comunione con Lui".



(©L'Osservatore Romano - 24 agosto 2008)
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