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Aborto

Ultimo Aggiornamento: 31/07/2009 13:30
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Un’altra piaga purulenta della moderna società è l’aborto, cioè l’uccisione del bambino nel seno materno. Ad ogni aborto avviene l’uccisione di un bimbo. L’aborto consiste nello strappare dal seno materno un bimbo che non è capace di vivere fuori del grembo. L’essenza dell’aborto sta nella separazione violenta del bimbo dal seno materno cosicché il bambino viene ucciso. L’aborto si distingue dall’infanticidio perché questo ultimo si ha con l’uccisione del bimbo già maturo sia quando ancora è chiuso nel seno materno, sia durante il parto, sia dopo il parto. C’è un particolare che rende l’aborto ancora più odioso: si vuole uccidere all’oscuro, nel grembo materno; non si vuole guardare in faccia il bimbo e lo si pugnala da traditori ancora più spregevoli nell’ombra. L’aborto era già praticato dai medici pagani, sia greci che romani. Con l’avvento del Cristianesimo tale pratica pagana venne severamente riprovata.

La Chiesa aggravò le pene per l’aborto e riuscì ad estirpare questo nefando delitto. Dopo diversi secoli di relativo silenzio, con il rifiorire del paganesimo nel periodo dell’umanesimo (sec. XV), la questione dell’aborto si risollevò un’altra volta, ma ne venne riaffermata la gravissima illiceità. Nel secolo XIX e molto più nel presente secolo, tempo nel quale la società si è impregnata completamente di paganesimo, la questione dell’aborto è esplosa in forma più virulenta, tanto che in molti stati, cxnnpresa l’Italia, si è arrivati a legalizzare l’aborto. La Chiesa, per il mandato del suo Fondatore Gesù Cristo, ha parlato chiaro dichiarandone solennemente l’immoralità e rinnovando la sua condanna. Recentemente il Conncilio Vaticano II (Gaudium et Spes - 51c) ha condannato con molta severità l’aborto: «La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura: l’aborto e l’infanticidio sono abominevoli delitti».

Ecco una pagina scritta dal P. Werenfried van Straaten, il grande apostolo olandese che ha impegnato la sua vita nel soccorso dei fratelli più bisognosi. «Quanti uomini e quante donne dovrebbero chinare la testa quando si narra l’antica storia della stra«ge degli Innocenti (Mt. 2:16-18)! I bambini vennero strappati dalle braccia delle madri di Betlemme. Alcune di queste madri morirono perché la spada colpì loro per prima. Altre morirono perché il cuore di una madre facilmente si spezza quando vede morire il suo bambino. Ma voi, migliaia di padri e di madri nell’Occidente Cristiano, che cosa avete fatto? Non avete voluto udire neppure il pianto del vostro bambino. Voi avete tramato in silenzio e comprato un libro nel quale si descrive per filo e per segno come potervi premunire dal fardello dei figli». Vi siete incamminati sul sentiero dell’assassinio e avete ucciso o fatto uccidere quello che già aveva incominciato a vivere nel vostro grembo. L’avete fatto per salvarvi la linea? L’avete fatto per rimanere ancorati alla vostra balorda sicurezza borghese? L’avete fatto perché vostro marito era un buono a nulla che vi bramava come amante, ma non teneva alla vostra maternità? L’avete fatto spinte dal vile timore delle preoccupazioni, del dolore, delle responsabilità? O Pavete fatto perché sviate e ingannate dalle chiacchiere di falsi profeti, di dirigenti dimentichi dei loro doveri, o di un pugno di teologi usciti fuori dalla carreggiata? Eccovi dunque: un albero sterile del quale è scritto che dovrà essere abbattuto (Lc. 13:6-9); un fiore senza seme, un essere senza scopo, un’anima piena di vergogna.

Continua....

[Modificato da Cattolico_Romano 03/12/2008 22:38]
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Il nome di Erode è rimasto maledetto fino ai nostri giorni. Ma ai nostri giorni non occorre più un Erode per assassinare i bambini innocenti. Oggi si trovano dei medici disposti ad uccidere per un pugno di monete d’argento. Quando le madri assassinano i loro bambini, il mondo è maturo per la maledizione di Dio». Riesce incomprensibile che mentre politici, sociologi, filantropi si battono per il terzo mondo, si battono per salvare milioni di bambini dalla fame e dalla morte, chiedano poi, anzi pretendono che si consenta di sopprimere tranquillamente le nuove vite in seno alla madre. Hanno abolito la pena di morte per i criminali ed hanno introdotto, mediante la legge dell’aborto, la pena di morte per i bambini innocenti e indifesi! Si tuona contro le barbarie dei lager, dei campi di sterminio, camere a gas, forni crematori, torture, esecuzioni capitali, massacri di ogni genere. Però s’invoca e si legalizza l’assoluta impunità per quest’altro massacro ancora più odioso e più crudele perché compiuto su persone del tutto indifese. P adre Pio da pietralcina, assertore dell’Enciclica Humanae vitae» del Papa Paolo VI, scacciava via dal suo confessionale, indistintamente, tutti coloro che praticassero sistemi anticoncezionali.

Continua...
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Aborto: i pretesti per uccidere



1) Pretesto eugenico - Si giustifica la soppressione dei bimbi nel seno materno per impedire quella prole che nascerebbe con malattie o debolezze ereditarie. Si può rispondere che anche i sub-normali, come ogni persona umana, riflettono l’immagine di Dio, anzi somigliano di più a Gesù che per noi è arrivato a farsi «verme» (Ps. 21:7) e un «lebbroso» (Is. 53:4). Inoltre bisogna dire che sarebbe da inumani uccidere i bambini minorati che sono i più bisognosi del nostro aiuto. Proprio perché essi si trovano in condizioni di inferiorità fisica o psichica o intellettuale, vanno amati con amore più generoso. Chi si procura l’aborto sa solo uccidere anziché amare.


2) Pretesto sociale - Si dice: è lecito sopprimere la vita innocente dei bimbi per combattere l’esplosione della natalità, il sovrappopolamento della terra e si portano tutti i pretesti per non avere figli, o tutt’al più, uno o due. Si avanzano previsioni e statistiche allarmistiche per il 2000, quasicché domani dovessimo morire letteralmente di fame. Giustamente Herder Camara in un’intervista del 27-1-1981 alla TV italiana disse: « In America molti agricoltori vengono pagati per non produrre cereali; in Europa una immensa quantità di frutta negli ultimi anni è stata macinata per mantenere il prezzo della rimanente, invece di darla al terzo mondo, che non poteva pagarla. In India nel 1960, mentre morivano di fame 60 milioni di poveri, erano conservati nei magazzini dei commercianti 20 milioni di tonnellate di riso. In India e nell’America Latina il 5% della popolazione possiede più di un terzo di tutte le terre. In Olanda con un terreno pro capite dieci volte inferiore a quello che può avere un indiano, la produzione basta per mantenere la popolazione e si esportano delle eccedenze. «Non c’è», concludeva Herder Camara, «una esplosione demografica, ma una esplosione di egoismo e di ingiustizia». Basterebbe poi notare che le famiglie meno numerose o senza figli sono proprio quelle dei ricchi e dei benestanti. Perdippiù, a causa dileggi demagogiche dettate dai sindacati, una immensa quantità di terre sono abbandonate. Tanti braccianti agricoli ai quali venivano offerte, con l’aiuto dello stato, delle terre a buon prezzo e così divenire coltivatori diretti, non hanno accettato perché da braccianti agricoli guadagnavano di più. Se poi nel mondo si coltivasse razionalmente la terra e si coltivassero quell’85% di terre ancora incolte, la terra potrebbe dare da mangiare almeno a 40 miliardi di persone. Né parliamo delle infinite possibilità che potrà dare domani la coltivazione dei mari, mediante la produzione di quel tipo di alghe, ricchissimo di proteine, dalle quali i Giapponesi producono già su scala industriale farina alimentare. Se Dio Padre si occupa delle piante e degli animali, — dice Gesù — quanto più non si preoccupa dei bambini creati a sua immagine e somiglianza? (Lc. 12:2-3O). Siamo davvero «gente di poca fede» (Mt. 6:30).


3) Pretesto terapeutico - Si dice che bisogna sacrificare il figlio quando c’è il pericolo per la salute della madre. La nascita di un altro bambino procurerebbe una perdita di salute o addirittura la morte della madre, quindi è meglio uccidere il figlio. In questo sembra che ci sia teoricamente un’apparenza di bene, poiché si parla di protezione della vita della madre. Sembra che si sia posti nella necessità di scegliere fra l’uccidere un essere o l’ucciderne due, concludendo che è più giusto ucciderne uno solo (il fìglio) perché è male minore. Questo è un inganno perché si tratta dì scegliere tra l’uccidere e il non impedire la morte, tra l’uccidere con le proprie mani un essere innocente e il non impedire che muoiano tutti e due. — La prima scelta è un male morale, la seconda scelta non è un male morale. Il primo male, essendo un male morale, è il più grande, perché si trasgredisce il Comandamento di Dio: Non uccidere. Il secondo in realtà non è un male perché, sia nell’eventualità che si salvi la vita della madre e del bambino, sia nell’eventualità della morte di entrambi, si dà testimonianza di amore a Dio ubbidendo ai suoi Comandamenti. Solo questo è il vero amore, come dice Gesù: « Se mi amate, osservate i miei comandamenti» (G. 14:15). Al riguardo quale esempio ci ha dato Giovanna Beretta Molla, beatificata il 24 aprile 1994. La signora Giovanna Beretta, nata a Magenta il 4 ottobre 1922, si era laureata in medicina nel 1949 e specializzata in pediatria tre anni dopo. Nell’esercizio della professione predilesse i bambini poveri. Sposatosi con l’ingegnere Molla nel 1955, ebbe tre figli. Quando si presentò la quarta maternità si manifestò un tumore che avrebbe messo a rischio la vita della madre. Nella piena coscienza della situazione, date anche le sue cognizioni mediche, si dichiarò pronta a tutto pur di salvare la vita della sua nuova creatura. Il 21 aprile del 1962 nasceva una bambina e sette giorni dopo Giovanna moriva. — Cristianesimo vissuto integralmente!


4) Pretesto psichico - Si dice che l’aborto sarebbe lecito per risparmiare alla madre la tensione nervosa della gravidanza, del parto ed anche dell’assistenza del neonato. Ma è facile rispondere che il nervosismo, se non si prendono efficaci rimedi contro di esso, è un elemento tale da poter rientrare in qualsiasi dovere o impegno della vita quotidiana. Può forse un insegnante dispensarsi dal compiere il dovere di scuola, solo perché è nervoso? Significherebbe il caos e la rovina di ogni struttura sociale. Nulla più potrebbe reggersi o essere garantito. Se questo pretesto psichico dovesse ritenersi valido per abortire, sarebbe il pretesto a portata di mano di chiunque voglia disfarsi di un figlio.

5) Pretesto etico - Si dice che è lecito sopprimere un bimbo che è stato concepito a seguito di una violenza carnale. Il caso è veramente triste, ma bisogna rispondere che non si può aggiungere delito a delitto. In simile penosa condizione è una dolorosa necessità che la maclre si accolli le conseguenze della violenza carnale subita, perché non può essere lecito sbarazzarsi di un male morale per mezzo di un altro male, anch’esso grave qual’è l’assassinio di una vita innocente. Non perché c’è chi fa il male a me, io posso fare del male a un terzo innocente. La soluzione di questo caso esige veramente eroismo, ma Dio solo sa quanta ricompensa merita chi rispetta la vita innocente anche in una situazione del genere.

[Modificato da Cattolico_Romano 03/12/2008 22:41]
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ABORTO DIRETTO
Si ha l’aborto diretto ogni qualvolta viene interrotta la gravidanza uccidendo direttamente il bambino nel seno materno per qualsiasi motivo (ad esempio per salvare la vita della madre o per disfarsi di un tiglio ecc.). Ogni caso di aborto diretto è sempre vietato dal costante insegnamento della Chiesa, perché si tratta di un vero omicidio, di un terribile delitto contro un piccolo innocente che non può difendersi dalla mano assassina. Questo insegnamento costante della Chiesa «non è mutato ed è immutabile» ha detto il Papa Paolo VI il 9 dicembre 1972. Il Concilio Vaticano Il aveva già solennemente ribadito: « Dio, Padre della vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggerla: missione che deve essere adempiuta in modo umano. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura, e l’aborto come l’infanticidio sono abominevoli delitti» (Gaudium et Spes - 51c). Anche l’aborto procurato, perché si ritiene che il bimbo chiuso in grembo non sia vitale, non è ammesso dalla morale cattolica. Tale divieto si fonda soprattutto sulla costatazione che tale certezza (la morte del bimbo nel seno) è sempre relativa, per cui molte volte si ritiene morto il bimbo mentre poi risulta che era vivo! Inoltre bisogna salvare il principio che non si può mai accorciare la vita a nessuno, neppure a chi è destinato per grave infermità a perderla entro breve tempo.
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ABORTO INDIRETTO


L’aborto indiretto si ha quando il medico opera un intervento clinico o chirurgico su una donna gravida per motivi sanitari del tutto indipendente dallo stato di gravidanza della donna, e tale intervento produce la morte del bimbo soltanto come effetto collaterale, cioè secondario, non voluto. Ad es. il medico interviene necessariamente per asportare l’utero affetto da cancro e in questo caso c’è un bambino in gestazione. L’aborto indiretto è moralmente lecito quando il medico non vuole uccidere il bimbo per salvare la madre, ma vuole e deve effettuare l’intervento necessario ad eliminare un male dell’organismo; ciò facendo, come effetto non voluto anche se previsto, consegue la morte del bimbo. In questo caso non c’è colpa perché l’intenzione e l’azione del medico non colpiscono direttamente il bambino, ma il cancro; non vogliono eliminare- il bimbo, ma il tumore. La morte del bimbo quindi è una dolorosa conseguenza non voluta, e spesso tragica per la madre. L’aborto è sempre illegale Solo Dio è l’origine e il fine della vita umana. La vita umana è vigilata dall’amore di Dio (Gn. 4:10), ed è difesa dal Comandamento divino: «Non uccidere» (Es. 20:13 - Mt. 5:21). Perciò nessuna legge civile può pretendere di legalizzare l’aborto e renderlo moralmente lecito, perché violerebbe un Comandamento di Dio e approverebbe un abominevole delitto. Le parole del Vangelo: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie Me» (Mc. 9:37), indicano chiaramente quale debba essere la condotta dei coniugi cristiani nell’accettare ogni nuovo figlio. L’accoglienza a un bambino che viene in questo mondo va fatta con la consapevolezza di accogliere un essere umano destinato ad essere, mediante il ricevimento del Battesimo, un figlio adottivo di Dio, partecipe della natura divina (2 Pt. 1:4), amato da sempre dal Padre (Ef. 1:4), e fratello di Gesù Cristo, nostro divino Primogenito (Rom. 8:29).

Sesto e Nono Comandamento - Molte volte, si sa, la violazione del sesto e nono comandamento causa la violazione del quinto comandamento. Il sesto e nono comandamento — pecialmente oggi — sono i due comandamenti più calpestati dagli Uomini. Il demonio fa proprio cuccagna con la nostra lussuria. Non per niente la Madonna disse per mezzo di Giacinta di Fatima: «I peccati che mandano più anime all’inferno sono i peccati della carne». E non per niente Dio ha dato all’umanità due comandamenti in materia di castità e di continenza. Anche nei riguardi dell’aborto molto spesso la causa è solo la concupiscenza della carne! La degenerazione della sessualità anziché alla propagazione porta alla distruzione della vita. Non commettere atti impuri — Non desiderare la donna d’altri», dice il Signore, e cioè non profanare il tuo corpo, il tuo cuore, non fornicare, non avere rapporti adulterini, non avere rapporti prematrimoniali. Il frutto di questi peccati può essere il concepimento di un bimbo. Però questo bimbo così concepito non è voluto, non è gradito, anzi è di fastidio e spesso lo si odia a tal punto da ucciderlo per disfarsene. E l’aborto, è l’assassinio dell’innocente. La lussuria, la concupiscenza carnale, l’immoralità e l’erotismo, la nefandezza di comportamento da bruti, la glorificazione della pornografia e della pornocinematografia, del pansessualismo, del nudismo più rivoltante: tutto questo è oggi una realtà cancrenosa che sta putrefacendo la società e sta operando i massacri di milioni e milioni di innocenti ogni anno. A tre anni dell’approvazione della legge 194 sull’aborto, ogni anno gli aborti aumentano in Italia sempre più. Il prof. Luigi Perniola, della Terza Clinica di Patologia ostetrica dell’Università di Roma, a un convegno scientifico sullo « stato attuale e prospettive della contraccezione», organizzato a Roma dal Club Europeen de la Santé, ha parlato di oltre 800 mila aborti, legali e clandestini, all’anno. Eppure questo numero, osserva il prof. Perniola, è inferiore alla realtà. Infatti un’indagine conferma che in Italia il numero degli aborti soltanto clandestini supera i 500 mila l’anno. Impressionante, poi, è la crescita degli aborti tra leminorenni. Tra il 1979 e il 1980, per esempio, le doinande per l’autorizzazione all’aborto, rivolte dalle minorenni ai giudici tutelati, sono aumentate del 47,69%! Da quanto è stato detto si calcola che nel mondo cristiano vengono uccisi più di 10 milioni di bambini ogni anno. Nel mondo intero più di 60 milioni.

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Un turpe «mercato» - Sotto tale titolo l’Osservatore Romano (edizione settimanale) del 23 agosto 1984 scriveva: «Alcuni organi di stampa e dell’informazione hanno fatto conoscere gli estremi di una ‘realtà’, di uno dei ‘segni’ più aberranti e mostruosi di questi nostri anni (ma ci sono parole sufficienti per definirlo?): il mercato dei feti umani. È doveroso citare questi organi di stampa: “Il Sabato”, il “Corriere della sera”, “Avvenire”, la denuncia va a loro onore. C’è da augurarsi che dell’argomento si continui a parlare e che lo scandalo “necessario’ tocchi la coscienza dell’opionione pubblica mondiale. Questi organi di stampa hanno attinto alla documentazione raccolta dall’associazione francese “Laissez vivre” creata e guidata dal magistrato Claude Jacquinot che, insieme alla giornalista di “Antenne 2”, Jacques Delay, l’ha ordinata in un libro dal titolo “Les trafiquants de bebé-à-naitre” con il sottotitolo: “Sì, feti umani ancora vivi vengono utilizzati per le sperimentazioni scientifiche e per la cosmesi”. C’è stata anche una denunzia al Parlamento del suo Paese del deputato belga Geyselings: «Le donne vengono pagate per protrarre la loro gravidanza sino al sesto e addirittura al settimo mese in maniera da cedere il feto il più sviluppato possibile alla scienza e alle industrie di cosmetici”. Va detto che già da tempo erano giunte notizie di questa turpitudine, ma noi abbiamo voluto pensare che fossero soltanto supposizioni. Non potevamo credere che si potesse giungere a tanto. Ora non più: la denuncia è precisa e circostanziata e indica i riferimenti internazionali di questo satanico mercato che, come tutti i mercati, ha le sue centrali di produzione, i suoi listini e i suoi consumatori. Consumismo di vita umana! Neanche la fantasia, talvolta cupa, degli scrittori di fantascienza ha potuto immaginare una così allucinante degradazione delle creature umane; della persona che concepisce e del concepito delittuosamente schiavitizzata o annientata per la ricerca scientifica che così si distrugge come cultura, e per la barbarie consumistica che nega ogni senso di civiltà... Viviamo, in questo scorcio del secondo millennio cristiano, di fronte a drammi e a paure, di fronte ad incertezze di ogni genere. Queste cresceranno sino al parossismo, sino a distruggere — se non fisicamente — l’uomo nella sua stessa nozione, nella sua coscienza se non si vorrà far fronte senza indugio ad una forma come questa di assassinio pianificato, reso più mostruoso perché compiuto con il gelo della ragione priva di ogni senso della vita e (se pur si nega la carità) di un barlume di umanità». Si legga al riguardo il libro di Michael LitchfieldSusan Kentish: Bambini da bruciare (L’industria dell’aborto in Inghilterra). Edizioni Paolini.

Sapete come si compie l’assassinio dell’aborto? A) I bambini in età tra 7 e 12 settimane vengono tagliati a pezzi con un coltello ricurvo e tolti dall’utero. B) Quando si tratta di bambini sopra i 4 mesi, il liquido amniotico viene risucchiato e al suo posto viene iniettata una soluzione salma concentrata. Il bambino inghiotte questo veleno e ne muore. L’agonia dura un paio d’ore. C) I bambini sopra i 6 mesi vengono tolti vivi dal grembo materno per mezzo di un taglio cesareo e buttati nel secchio dell’immondizia per morirvi. D) in un caso su quattro si inietta attualmente una soluzione chimica nell’utero per ammorbidire il bambino finché verrà ritirato fuori dal grembo della madre a mezzo di un aspiratore a pressione riducendolo così ad una brodaglia umana in cui si riconoscono chiaramente manine, piedini, la gabbia toracica e parti della testa.

Il signor Van Schaik, il medico che in Olanda mizò le cliniche abortive e che riconosce apertamente di aver operato più di duemila aborti, dichiara nel settimanale «Haagse Post» del 24 marzo 1973: «Ogni aborto mi ha sconvolto, soprattutto quando mi sono sbagliato e ho tirato fuori pezzi e bocconi, piccole braccia e gambe ecc. Ho pensato allora che veramente non doveva farsi. Mi sembrava di squartare un coniglio! Anche quello è un brutto lavoro!». Squartare un coniglio! Questo assassinio dell’aborto non è più un’eccezione: esso viene coscientemente difeso, propagato, ammesso, legalizzato e milioni di volte commesso. Il fatto che il bambio non nato sia invisibile e anonimo, che il piccolo non possa urlare e dimenarsi, che non possa telefonare alla polizia o rivolgersi ai deputati e ministri, tutto ciò non costituisce motivo per assassinarlo, ma al contrario ragione di più per difendere il suo diritto alla vita. Fin dal primissimo giorno della sua esistenza — fin dal concepimento — ogni parte del suo aspetto esteriore, il colore dei suoi capelli, dei suoi occhi, la forma delle sue mani, le sue impronte digitali, il suo sesso, il suo gruppo sanguigno, tutto è esattamente stabilito. Quest’uomo sovrano e irrepetibile si è incamminato sulla strada della vita. Nessuno ha il diritto di sbarrargli il cammino. Chi osa farlo per il suo sporco tornaconto vuole dimenticare che uccidere l’innocente nel seno materno è delitto gravissimo contro la legge di Dio ed è peccato che grida vendetta al cospetto di Dio, Padrone della vita. Quante lacrimé di commozione per i milioni di bambini che ogni anno muoiono di fame; quanto dispiacere per il sangue che i terroristi spargono sulle nostre strade, e non si piange e non ci si dispiace per tanti milioni d’innocenti bambini che quasi ogni giorno si uccidono (e legalmente) nel seno materno! Dio è pronto alla misericordia e lento all’ira, ma vuole che ci gioviamo della sua misericordia per convertirci, per cambiare vita e non per abusarne e per inabissarci sempre più nel male e provocare così i suoi giusti castighi.


Articolo tratto dall'interessantissimo sito Christus Castitas

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15/12/2008 09:29

Le conseguenze dell'aborto


Prosegue il dibattito sui possibili effetti collaterali

di Padre John Flynn, LC


ROMA, domenica, 14 dicembre 2008 (ZENIT.org).- I temi riguardanti aborto e vita sono stati tra gli argomenti più discussi durante le recenti elezioni negli Stati Uniti. Se dalle ultime notizie si può trarre un’indicazione, questi argomenti continueranno ad essere sotto i riflettori dell’opinione pubblica.


Secondo uno studio pubblicato nell’edizione di dicembre del British Journal of Psychiatry, le donne che si sottopongono ad aborto presentano maggiori rischi di sviluppare problemi di salute mentale.

Il 30 novembre scorso, Medical News Today ha pubblicato una sintesi di questo studio svolto dai ricercatori dell’Università di Otago, in Nuova Zelanda. Lo studio si è basato su un campione di più di 500 donne nate nella città di Christchurch, nell’isola meridionale del Paese.


Le donne sono state intervistate sei volte da quando avevano 15 fino ai 30 anni di età. Ad ogni intervista, oltre a rispondere a domande su gravidanze e aborti, le donne sono state sottoposte anche a valutazione psichiatrica.

Dal campione risulta un totale di 686 gravidanze, riguardanti 284 donne di età fino a 30 anni. Di queste gravidanze, 153 sono finite con altrettanti aborti, operati su 117 donne.

I ricercatori hanno constatato che le donne che erano state sottoposte ad aborto hanno sviluppato problemi di salute mentale per un’incidenza del 30% superiore alle altre.

Ciò nonostante, lo studio ha concluso che gli aborti avevano solo un moderato effetto sulla salute mentale delle donne. Secondo i ricercatori, dallo studio non si può concludere che l’aborto produca effetti “devastanti” sulla salute mentale delle donne, anche se la ricerca ha chiaramente respinto le posizioni pro-abortiste secondo cui l’aborto non comporterebbe alcun danno collaterale.

“L’aborto è da considerare come un evento traumatico della vita, che espone le donne ad un modesto incremento nel rischio di una serie di comuni problemi di salute mentale”, hanno concluso gli autori.

Ricerche contrastanti

La questione dell’aborto e della salute mentale è al centro del dibattito da diverso tempo. Qualche mese fa, l’American Psychological Association (APA) ha dichiarato di non riscontrare evidenze credibili per poter dire che l’aborto sia causa di problemi di salute mentale, secondo il quotidiano Telegraph di Londra del 18 agosto scorso.

Brenda Major, presidente della task force dell’APA su questo argomento, ha tuttavia riconosciuto che la causalità dell’insorgenza di problemi di salute mentale in donne che hanno avuto più di un aborto è più incerta.

Secondo il Telegraph, la task force ha riconosciuto che secondo alcuni studi nelle donne che subiscono aborti emergono sentimenti di tristezza, dolore e perdita, e talvolta anche depressione. Allo stesso tempo questi affermano che non vi sono prove per attribuire questi malesseri all’aborto stesso.

La conclusione dell’American Psychological Association è stata anche oggetto di critiche. Secondo quanto dichiarato dal Family Research Council (FRC) in un comunicato stampa del 14 agosto, le conclusioni della task force non trovano riscontro nella letteratura maggioritaria in materia.

“Alcuni esperti hanno osservato che il criterio usato per selezionare gli studi di cui tenere conto era fortemente tendenzioso che il rapporto non provvedeva a quantificare il numero delle donne con probabilità di subire effetti collaterali dall’aborto”, ha osservato il presidente dell’FRC, Tony Perkins.

“Molti studiosi di medicina e di scienze sociali concordano sul fatto che almeno il 10% - 30% delle donne che abortiscono soffrono di conseguenze psicologiche negative gravi e durature”, ha affermato.

Anche lo psicologo Vincent Rue ha preso le distanze dall’American Psychological Association, secondo un servizio pubblicato il 9 settembre da LifeNews.com.

Rue ha affermato che la posizione dell’APA contrasta con una dichiarazione del Royal College of Psychiatrists inglese pubblicata qualche mese fa. Questa organizzazione ha avvertito che la questione “rimane ancora da chiarire”, che ulteriori ricerche sono necessarie e che le donne dovrebbero poter disporre di informazioni sulle possibili conseguenze.

Rue ha anche fatto riferimento ad un articolo pubblicato il 23 agosto dalla rivista medica Lancet, che avverte che, nonostante l’opinione dell’APA secondo cui l’aborto sarebbe sicuro dal punto di vista psicologico per le donne, il rischio di conseguenze esiste.

Da non sottovalutare
 
Rue ha spiegato che, secondo la rivista Lancet, sebbene non sia dimostrato un nesso causale tra l’aborto e problemi psicologici, il fatto è che alcune donne effettivamente sviluppano problemi di questo tipo in seguito all’aborto e questo fatto non andrebbe sottovalutato.

La dichiarazione del Royal College of Psychiatrists citata da Rue è ancora più esplicita sulle conseguenze dell’aborto. Secondo un articolo pubblicato il 16 marzo dal quotidiano Times di Londra, le donne rischiano l’esaurimento nervoso in seguito all’aborto.

Il Royal College of Psychiatrists ha esortato ad aggiornare le informative sull’aborto per includervi anche l’indicazione dei rischi di depressione. “Il consenso non può considerarsi informato senza che siano rese disponibili adeguate e appropriate informazioni”, ha affermato.

Ma non sono solo le donne a soffrire le conseguenze di un aborto. All’inizio dell’anno, in una conferenza di militanti pro-vita a San Francisco è emerso che l’aborto può produrre effetti negativi anche sugli uomini, secondo quanto riferito dal Los Angeles Times il 7 gennaio.

Il momento più interessante, secondo l’articolo, è stato quello della testimonianza di alcuni uomini le cui partner hanno subito un aborto. Uno di questi uomini, Jason Baier, ha detto all’auditorio di aver sofferto di depressione e dipendenze per anni. “Non riuscivo a togliermi dalla testa il pensiero di ciò che avevo perso”.

“La verità che emerge dall’esperienza vissuta delle persone è molto difficile da ignorare”, ha affermato Vicki Thorn, che dirige programmi di assistenza post-aborto per la Chiesa cattolica. “È ora che noi ... affermiamo il dolore dei padri”, ha affermato, secondo il Los Angeles Times.

Leggende sugli effetti
 
La depressione non è la sola questione controversa sugli effetti collaterali derivanti dall’aborto. I gruppi di pressione contrari alla vita spesso sostengono che l’accesso all’aborto legale consente di prevenire i rischi di morte per le donne derivanti dagli aborti clandestini.

Questa è una leggenda senza fondamento, secondo padre Thomas J. Euteneuer. In un articolo pubblicato il 6 giugno su LifeNews.com, il sacerdote racconta l’esperienza del Nicaragua, dove l’aborto è stato vietato dalla legge nel 2006.

In quel periodo, i militanti pro-aborto, sostenevano che questo avrebbe comportato un aumento nei decessi delle donne che avrebbero fatto maggiore ricorso all’aborto clandestino. In realtà, dai dati del Ministero della sanità del Nicaragua, emerge un calo nella mortalità delle donne in gravidanza.

Nel 2007 il numero delle vittime è stato di 21, rispetto alle 50 donne morte l’anno precedente.
 
Padre Euteneuer ha spiegato che, oltre a vietare l’aborto, le autorità hanno migliorato i servizi per le donne in gravidanza e le cure mediche relative al parto.

Un’altra ferita
 
Benedetto XVI ha affrontato il tema dell’aborto rivolgendosi, il 12 maggio scorso, ai membri del Movimento per la vita italiano. Negli ultimi trent’anni è progressivamente diminuito il grado di rispetto della persona umana, ha affermato.

Il Pontefice ha riconosciuto l’esistenza di molte e complesse cause che possono portare alla dolorosa decisione di procedere all’aborto. Allo stesso tempo, la Chiesa continua a proclamare che ogni vita umana è sacra, ha proseguito.

L’aver consentito l’aborto non ha risolto i problemi delle donne, ha sostenuto il Papa. Anzi, ha solo aggiunto un’altra ferita ad una società già sofferente.
 
Benedetto XVI ha auspicato un maggior sostegno alle madri e alle famiglie, e un rafforzato impegno a difesa della vita umana.

“Per i cristiani resta sempre aperto, in questo ambito fondamentale della società, un urgente e indispensabile campo di apostolato e di testimonianza evangelica: proteggere la vita con coraggio e amore in tutte le sue fasi”, ha dichiarato.

Ciascuna persona è nota, amata e voluta da Dio, ha ricordato il Papa.

“Chi profana l’uomo, profana la proprietà di Dio”, ha aggiunto, citando la Bibbia. Un pensiero illuminante, di fronte ai milioni di aborti negli ultimi anni.

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L'aborto di persone disabili non è un diritto


L'associazione "Cristiani per servire", contraria a un progetto di legge in materia

di Antonio Gaspari


ROMA, martedì, 6 gennaio 2009 (ZENIT.org).- C’è un progetto di legge, il n. 1279, che dovrebbe ratificare per l’Italia la “Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità”, riconoscendo così l’aborto di persone disabili come un diritto. Ma l’associazione “Cristiani per servire” si oppone e ha presentato una petizione alle Presidenze della Camera e del Senato.

In una intervista rilasciata a ZENIT, Franco Previte, Presidente dell’associazione
“Cristiani per servire” ha denunciato il piano di ratificare la convenzione, senza apportare gli opportuni cambiamenti.

Approvata dall’ONU nel dicembre 2006 la “Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità”, presenta, secondo il Presidente di “Cristiani per servire”, alcune proposte interessanti quali nell’art. 1 “il godimento di tutti i diritti umani” e il fatto che la disabilità “include coloro che presentano menomazioni fisiche e mentali di lunga durata” ,“nell’interazione con varie barriere”.

Nell’art. 3, inoltre, “nel rispetto per la dignità intrinseca” e “la non discriminazione”, viene invocato “il rispetto per la differenza e l’accettazione della disabilità”, impegnando in questo modo i Paesi contraenti – tra cui anche l’Italia - “ad adottare appropriate misure legislative” (art. 4).

“Ma la nostra associazione - ha sottolineato Previte -  all’unanimità non approva: gli articoli 23 e 25, in cui di fronte ad una situazione di imperfezione del feto od ‘altro’, si possa avvallare od includere metodologie di sterilizzazioni, l’aborto, l’eutanasia, la selezione e limitazione delle nascite”.

“Proposte che offendono la dignità della persona”, ha spiegato il Presidente di “Cristiani per servire”, precisando che “sono inoltre in contrasto con l’art. 10 dove viene garantito il diritto inalienabile alla vita”, con l’art. 15 “dove nessuno dovrà essere sottoposto ad esperimenti medico-scientifici” e con l’art. 16 “dove si protegge ogni forma di sfruttamento, violenza od abuso”.

“Se queste ‘enunciazioni’ venissero applicate – ha rilevato Previte – potrebbe accadere che tutti i disabili, specie gli handicappati psichici, potrebbero essere sterilizzati o subire forme di eutanasia e quindi sarebbe loro negato non solo il diritto alla nascita ma anche alla vita”.

Per questi motivi l’associazione ha inoltrato il 3 gennaio una petizione ai Presidenti di Camera e Senato “onde valutare, nella ratifica che il Parlamento ed il Governo si accingono a varare in merito alla ‘Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità’ ai sensi dell’art. 47 di porre emendamenti al fine di apportare precise riserve così da escludere ogni riferimento all’aborto, sia come diritto che come modalità e metodo della salute riproduttiva”.

Per riconoscere “il termine giuridico di handicappato mentale con emendamento (art. 47) e adottare norme migliorative in favore della malattia mentale (art. 4)”.

In particolare “Cristiani per servire” chiede di conoscere se l’Italia, quale Stato aderente all’ONU e Parte Contraente nella “Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità”, intende “inoltrare un emendamento e “riconoscere il termine giuridico di handicappato mentale in base all’art. 47, ma come recita l’art. 4 ad adottare norme migliorative in una legge-quadro di riforma dell’assistenza psichiatrica che l’Italia deve applicare a parziale modifica”.

Previte incoraggia infine il Governo italiano a richiedere all’ONU la indizione di una “Giornata Mondiale sulla Salute Mentale”.

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L'aborto nel pensiero femminista e femminile

ROMA, domenica, 26 luglio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l'articolo "L'aborto nel pensiero femminista e femminile" di Laura Palazzani, apparso sulla rivista della Facoltà di Bioetica dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum "Studia Bioethica", Vol. 1, No. 2 (2008).

* * *

 
1. La discussione sulla questione dell'aborto è strettamente connessa alla riflessione sulla donna, data la collocazione fisica del feto nel corpo della donna. È la donna che vive una esperienza che l'uomo non vive: vive contestualmente il proprio corpo e la presenza di un'altra vita nel proprio corpo. Emerge dunque il possibile conflitto tra il diritto di autodeterminazione della donna sul proprio corpo (sul feto come parte del proprio corpo) e il dovere di responsabilità nei confronti dell'altro nel proprio corpo (riconosciuto come soggetto). Il femminismo ha enfatizzato il diritto di autodeterminazione della donna, mentre il pensiero femminile ha temizzato il dovere di relazione responsabile nei confronti del feto.

Con l'espressione 'femminismo' si indica quella linea di pensiero (estremamente eterogenea) che focalizza l'attenzione sull'analisi delle ragioni della subordinazione delle donne e la teorizzazione di un cambiamento della condizione di marginalizzazione se non esclusione della donna rispetto all'uomo, criticando la discriminazione teorica e pratica delle donne e combattendo il sessismo (o discriminazione dei sessi), il maschilismo androcentrico patriarcale (o indebita prevaricazione dell'uomo sulla donna). Con 'pensiero femminile' si indica una riflessione fenomenologica sulla soggettività femminile, posta a confronto con la soggettività maschile, al fine di porre in evidenza elementi comuni e differenti, allo scopo di integrare il sapere tradizionale che non aveva posto specifica attenzione sul tema.

2. Il femminismo, nell'ambito della rivendicazione dei diritti delle donne, ha due obiettivi polemici principali. Il primo obiettivo polemico è il matrimonio (eterosessuale), considerato la istituzionalizzazione della oppressione delle donne a causa della assegnazione del ruolo privato-domestico alle donne e del ruolo pubblico agli uomini, con la conseguente gerarchizzazione e normalizzazione della priorità maschile che ha portato ad una svalutazione delle donne. Il secondo obiettivo polemico è la sessualità/procreazione, in riferimento al ruolo biologico riproduttivo della donna (gravidanza e parto) e al ruolo accuditivo, vissuti dalle donne come "giogo biologico" da cui riscattarsi. La liberazione delle donne (mogli/madri) si può ottenere, secondo il pensiero femminista, in due modalità: mediante l'annullamento della centralità del matrimonio eterosessuale (equiparandolo alle unioni di fatto anche omosessuali) e mediante la rivendicazione di diritti riproduttivi negativi (ossia il diritto a non procreare) e di diritti riproduttivi positivi (o diritto a scegliere come procreare). L'aborto rientra nei diritti riproduttivi negativi.

Il dibattito femminista sull'aborto si articola a due livelli: l'aborto come necessità politica e l'aborto come liceità morale. L'aborto come necessità politica parte dalla considerazione della disuguaglianza e asimmetria tra uomo e donna: anche se il feto avesse valore dovrebbe essere sacrificato, secondo tale prospettiva, al fine di realizzare l'uguaglianza dei sessi e riequilibrare i rapporti di potere. Alla donna deve essere riconosciuto un potere sul proprio corpo: avendo un 'onere' aggiuntivo, in senso biologico, deve avere un 'potere' aggiuntivo. Ma tale argomento risulta fragile in quanto la morale trascende le condizioni storico-sociali: del resto anche se il patriarcato fosse abolito sul piano politico-sociale, rimarrebbe il problema morale dell'aborto.

La discussione sulla liceità morale dell'aborto (a partire dalla considerazione che la illiceità dell'aborto significherebbe perpetuazione del patriarcato) si sviluppa nell'ambito della prospettiva libertaria e della prospettiva relazionale.

I presupposti filosofici del femminismo libertario rimandano alla identificazione della soggettività (degna di rilevanza morale) con l'individuo autonomo; al soggettivismo etico, ritenendo che i valori non siano conoscibili oggettivamente (non cognitivismo etico) ma debbano essere posti e creati dal soggetto stesso; alla concezione neutrale del diritto come prodotto e strumento della volontà e difesa della volontà individuale. Nell'ambito di tale linea di pensiero si rivendica il diritto all'aborto come diritto di autodeterminazione della donna e come controllo della sessualità e del corpo. L'aborto è inteso come un metodo per il controllo della sessualità e per l'amplificazione della libertà sessuale identificata con il controllo delle nascite, se i metodi contraccettivi non funzionano o come metodo alternativo ai metodi contraccettivi (essendo considerata la contraccezione svantaggiosa, per la non sicurezza e il rischio per la salute della donna). L'aborto è considerato un mezzo per il controllo del corpo, in quanto la libertà è intesa come autonomia (o autodeterminazione arbitraria), la volontà individuale è considerata prioritaria rispetto al corpo e il feto è ridotto ad oggetto di proprietà. La radice filosofica di tale linea di pensiero è riconducibile al dualismo antropologico (la volontà è separata dal corpo, ridotto a materia) e alla non soggettività del feto (non ancora autonomo, ridotto ad oggetto in quanto parte del corpo).

Secondo questa linea di pensiero, la considerazione del feto come elemento eticamente rilevante nella scelta di non abortire ridurrebbe la donna a mero "contenitore fetale", non considerandola un "agente morale". Il feto costituirebbe una 'interferenza' alla autonomia e libera scelta della madre. L'argomento del femminismo libertario si basa sulla seguente considerazione: se A (madre) ha il dovere verso B (feto) non significa che B abbia un diritto verso A (non reversibilità diritti/dovere): la madre ha un dovere di beneficenza (aiutare chi ha bisogno, ossia il feto), ma astenersi dal dovere non implica ingiustizia (potrebbe semmai essere biasimevole in quanto comportamento egoista). È la tesi del "samaritano minimale" (in contrapposizione al 'buon samaritano' che riconosce doveri forti).

Vi sono alcuni elementi deboli del femminismo libertario. In primo luogo l'essere umano non è riducibile alle sue funzioni, quali l'autonomia: se cosi fosse, non solo il feto non sarebbe soggetto, ma anche l'individuo che dorme sarebbe escluso dalla soggettività, con conseguenze inaccettabili. Il feto, oltretutto è un essere umano a pieno titolo, data la continuità graduale e coordinata dello sviluppo umano dal momento del concepimento. In secondo luogo il concetto di autonomia non significa solo libero arbitrio, ma l'autonomia presuppone anche il limite della responsabilità verso gli altri (anche verso il feto, soggetto umano a pieno titolo). La vita è un bene fondamentale quale condizione di possibilità dell'esistenza e della coesistenza, dunque anche dell'esercizio dell'autonomia. In questo senso l'uccisione di una vita è un male in sé (non meramente un effetto collaterale sproporzionato) e l'aborto non è mancanza di assistenza/beneficenza, ma un attacco diretto alla vita. Il diritto non è riducibile a strumento della volontà arbitraria (quale prevaricazione del più forte sul più debole), ma è la condizione della coesistenza sociale che non può garantire tutta la libertà, ma deve assicurare la libertà di tutti (incluso il feto). La liberazione della donna a danno del nascituro non è pertanto libertà autentica.

La prospettiva del femminismo relazionale pone al centro della riflessione il soggetto relazionale, identificando la relazione con il possesso di funzioni astratte dall'individuo, quali l'autonomia, in senso minimale (fisico-psichica) e massimale (sociale). Se il feto non è soggetto perché non ha relazioni sociali, è invece soggetto nella misura in cui ha una relazione biologica con la madre: ma data la asimmetria e dipendenza del feto dalla madre, il suo valore (di soggetto relazionale) dipende dal riconoscimento della madre. Il feto non ha un valore in sé ma è la madre che attribuisce valore al feto, determinandone lo stato sociale: non importa il valore che danno altri al feto; la madre non è obbligata a tale riconoscimento (in quanto soggetto autonomo). Tale linea argomentativa risulta debole in quanto la relazione è una dimensione della soggettività, ma non la costituisce originariamente. L'individuo è già persona quando entra in un rapporto sociale di riconoscimento (ossia preesiste alla relazione): se si parla di riconoscimento significa che il valore c'è già. Vi è anche una considerazione fattuale: la possibilità della ectogenesi (ossia la possibilità tecnica che il feto possa esistere fuori dall'utero) dimostra che il feto potrebbe esistere anche senza la relazione biologica, potendo stabilire una relazione sociale con la madre, seppur dall'esterno o con il personale sanitario; ciò evidenzierebbe la indipendenza del feto dalla madre e dunque la sua soggettività morale.


3. All'interno dello stesso femminismo è sorta una linea "critica" che ha riconosciuto la illusione di una falsa emancipazione ("utopia della liberazione") della donna dal condizionamento maschile con l'esaltazione della autonomia, evidenziando il rischio che la donna divenga strumento asservito alla tecnoscienza, con la conseguente espropriazione del corpo femminile e della specificità del ruolo femminile. La nascita del 'pensiero femminile' mette in luce il contributo emergente dalla soggettività femminile a partire fenomenologicamente dalla diversità esistenziale fisico-psichico-sociale, dall'esperienza della differenza femminile/maschile al fine di riformulare ed integrare (non contrapporsi) all'etica tradizionale. Una delle categorie su cui il pensiero femminile ha posto attenzione è quella della 'cura', non nel significato ristretto di guarire, ma nel significato ampio di prendersi cura degli altri, preoccuparsi per gli altri, porsi in rapporto agli altri con atteggiamento di sollecitudine.

C. Gilligan, nel volume In a different voice: psychological theory and women's development (1982), studia lo sviluppo psicologico-morale di maschi e femmine: dalla rilevazione empirica trae alcune considerazioni generali sulla diversità (non gerarchica) di approcci morali (intesi come modi di ragionare in etica), distinguendo l'"approccio morale maschile" caratterizzato dalla autoreferenzialità, dalla metodologia formale, astratta, imparziale, dal ragionamento logico-deduttivo, secondo giustizia (in riferimento a principi universali, regole di simmetria e razionalità); e l'"approccio femminile" basato sulla relazionalità, la responsabilità, il coinvolgimento interiore personale, concreto e contestuale, il vincolo affettivo, basato su un ragionamento induttivo-esperienziale, in una modalità che pone al centro la cura (come attenzione, ascolto, empatia, preoccupazione, sollecitudine, compassione). Il prendersi cura è un atteggiamento strutturalmente relazionale nei confronti di chi è debole e vulnerabile, in condizione di non potere ricambiare le azioni (in contrapposizione all'individualismo, al contrattualismo e all'utilitarismo).

C. Gilligan applica questa visione anche alla riflessione sull'aborto, commentando interviste a donne che affrontano tale scelta, mettendo in evidenza il conflitto tra egoismo (cura di sé) e responsabilità (cura dell'altro), parlando di cura come "prendersi cura della vita". L'autrice mette in rilievo la percezione del legame che la donna sente con il feto dentro di sé, come legame che intercorre tra sé e l'altro dentro di sé; l'intuizione dell'interdipendenza (presenza di un altro dentro di sé); l'esperienza di appropriazione e di estraniazione, la trascendentalità del proprio corpo come non disponibilità arbitraria del corpo. La percezione della relazionalità asimmetrica e areciproca suscita un sentimento di responsabilità relazionale nei confronti di chi è debole, inerme, bisognoso di cure: è la "morale materna" della responsabilità totale per l'assoluta dipendenza (il feto non è percepito come ostacolo dell'autonomia, ma come essere vulnerabile che dipende dall'altro, dunque esige un atteggiamento di responsabilità). Il vissuto relazionale madre/figlio diviene narrazione della percezione della vita dentro di sé e drammatica consapevolezza che aborto significa uccisione; proprio la irreversibilità della scelta amplifica la responsabilità. Gilligan sottolinea l'accudimento e la cura come esigenza obiettiva del rapporto, come "impegno a prendersi cura della vita" quale "il principio più adeguato per risolvere i conflitti che sorgono nei rapporti umani".

Si tratta di un approccio interessante, ma il taglio psicologico (basato su intuizioni, percezioni, esperienze, vissuti) ne evidenzia la debolezza argomentativa, lasciando aperto il rischio che prevalga la cura di sé rispetto alla cura dell'altro, il rischio che la cura divenga affermazione del più forte sul più debole. È dunque necessaria un' integrazione filosofica che tematizzi lo statuto ontologico della vita nascente oltre che etico-giuridica che giustifichi la rilevanza di una compresenza complementare della cura e della giustizia: la cura non sostituisce la giustizia, ma la integra e la invera, presupponendo il riconoscimento della pari dignità ontologica di ogni essere umano, incluso il feto.



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AVER PAURA DEL DIAVOLO E' UNO DEI MODI DI DUBITARE DI DIO ...
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