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60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo

Ultimo Aggiornamento: 19/12/2008 19:44
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11/12/2008 09:19

L'essere umano non è la risultante dei suoi diritti


Il Card. Bertone per i 60 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 10 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo l'intervento del Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone, che ha introdotto il solenne atto celebrativo per il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, svoltosi questo mercoledì pomeriggio nell'Aula Paolo VI in Vaticano.



* * *

Eminenze, Eccellenze,

Signori Ambasciatori,

Graditissimi Ospiti, Signore e Signori,

Sono lieto di prendere la parola in questo atto solenne che celebra il 60mo Anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo adottata dalle Nazioni Unite. Si tratta di un momento significativo al quale si unirà personalmente il Santo Padre Benedetto XVI per sottolineare, ancora una volta, l'importanza che la Santa Sede assegna al riconoscimento e alla tutela dei diritti fondamentali della persona umana. È ancora vivo in noi l'eco della Sua Parola rivolta all'Assemblea Generale dell'ONU, lo scorso 18 aprile, che indicava la Dichiarazione come "il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza".

Vorrei anche esprimere la mia sentita gratitudine al Cardinale Renato Raffaele Martino e al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace per l'organizzazione di questo significativo evento.

1. Nel momento in cui veniva adottata, la Dichiarazione Universale esprimeva il primato della libertà contro l'oppressione, dell'unità della famiglia umana rispetto alle divisioni ideologiche e politiche, come pure alle differenze di razza, di sesso, di lingua e di religione. Si voleva difendere la persona dall'idolatria dello Stato che i totalitarismi avevano addirittura divinizzato, proponendo un modo ulteriore per costruire la "città degli uomini", fondandola sulla convinzione che "il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia, della pace" (Dichiarazione Universale, Preambolo).

La Dichiarazione Universale, infatti, testimonia un rinnovarsi della speranza di fare della persona umana il segno di un futuro capace di liberarsi del peso del passato, quasi a voler purificare la memoria della famiglia umana. Sessanta anni or sono, infatti, le vittime delle barbarie, gli orrori della guerra, gli atti di genocidio erano tutte contraddizioni da superare per ricercare nelle relazioni internazionali e nella vita interna degli Stati quel necessario equilibrio capace di proiettare l'umanità verso un futuro degno dell'uomo.

2. La Dichiarazione, proponendo un insieme di diritti e di facoltà della persona, ne esalta la libertà e l'appartenenza alla famiglia umana, coniugando l'idea di giustizia con le affermazioni del primato della vita, l'idea della socialità, l'apprezzamento del metodo democratico inteso come insieme di regole, istituzioni e strutture in grado di esprimere e veicolare valori.

Non siamo di fronte solo ad una proclamazione, ma piuttosto ad una nuova considerazione e collocazione della dignità umana da parte della Comunità internazionale e delle diverse Comunità politiche che la animano, fino ad allora poco inclini ad ammettere la persona come protagonista. Un approccio che si presenta ancora valido e non sostituibile perché chiama la persona a vivere i propri diritti con un atteggiamento di condivisione dei diritti altrui, e a guardare ogni suo simile non come termine di contrapposizione o di limite, ma riconoscendone la "sostanziale uguaglianza" e impegnandosi a vivere in "spirito di fratellanza" (Cfr. Dichiarazione Universale, art. 1).

3. La Chiesa, che da parte sua considera con grande rispetto quanto di vero, buono e bello si trova nella comunità degli uomini (Cfr. Gaudium et Spes, 42), ha visto nella Dichiarazione un "segno dei tempi", ritenendola "un passo importante nel cammino verso l'organizzazione giuridico-politica della comunità mondiale" (Enc.Pacem in Terris, 75). Un atto in grado di sintetizzare il senso della libertà umana coniugando a principi immutabili le esigenze attuali, capace di offrire indicazioni antropologicamente fondate e giuridicamente in grado di rispondere ai bisogni umani più profondi.

La stessa idea dei diritti fondamentali ha una radice profonda nella tradizione cristiana sin dall'iniziale annuncio della "Buona Novella", che arricchisce i precetti del Decalogo con l'invito ad essere solidali verso ogni persona (Cfr. Mt 25, 35-36), senza alcuna distinzione: "non conta più l'essere giudeo o greco, né l'essere schiavo o libero, uomo o donna, perché tutti sono una sola cosa in Cristo Gesù" (Gal 3,28).

Nella dottrina della Chiesa, poi, la tutela della persona umana evoca la sussidiarietà quale principio regolatore dell'ordine sociale e che partendo dalla persona garantisce diritti e libertà individuali come pure quelli legati alla dimensione comunitaria con la libertà di associarsi, di dar vita alle formazioni sociali, agli enti intermedi, fino alla realtà dello Stato e quindi alla Comunità internazionale con le sue istituzioni.

4. I Sommi Pontefici hanno espresso in molte occasioni l'apprezzamento della Chiesa per il grande valore della Dichiarazione Universale dei Diritti umani del 10 dicembre 1948. Vorrei almeno ricordare qui gli insegnamenti di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI in occasione dei loro interventi davanti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il 4 ottobre 1965, Paolo VI così si espresse di fronte ai Rappresentati delle Nazioni: «Perché voi qui proclamate i diritti e i doveri fondamentali dell'uomo, la sua dignità, la sua libertà e, per prima, la libertà religiosa». Giovanni Paolo II parlò per due volte davanti all'Assemblea delle Nazioni Unite. Nella prima, il 3 ottobre 1979, a proposito della Dichiarazione Universale sui diritti umani, egli affermò: «Questo documento è una pietra miliare posta sul lungo e difficile cammino del genere umano. Bisogna misurare il progresso dell'umanità non solo col progresso della scienza e della tecnica, dal quale risalta tutta la singolarità dell'uomo nei confronti della natura, ma contemporaneamente e ancor più col primato dei valori spirituali e col progresso della vita morale». Nella seconda, il 5 ottobre 1995, Giovanni Paolo II definì la Dichiarazione come «una delle più alte espressioni della coscienza umana nel nostro tempo» e sottolineò con forza come «vi siano realmente dei diritti umani universali, radicati nella natura della persona, nei quali si rispecchiano le esigenze obiettive e imprescindibili di una legge morale universale. Ben lungi dall'essere affermazioni astratte, questi diritti ci dicono anzi qualcosa di importante riguardo alla vita concreta di ogni uomo e di ogni gruppo sociale. Ci ricordano anche che non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso, ma che, al contrario vi è una logica morale che illumina l'esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli. Se vogliamo che un secolo di costrizione lasci spazio a un secolo di persuasione, dobbiamo trovare la strada per discutere, con un linguaggio comprensibile e comune, circa il futuro dell'uomo. La legge morale universale, scritta nel cuore dell'uomo, è quella sorta di "grammatica" che serve al mondo per affrontare questa discussione circa il suo stesso futuro».

Benedetto XVI, parlando a sua volta davanti all'Assemblea delle Nazioni Unite, il 18 aprile 2008, e ricordando esplicitamente l'evento che oggi celebriamo, ossia il 60mo anniversario della Dichiarazione, ha detto: «È evidente che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell'uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l'interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti».

5. Oggi, di fronte ad un preoccupante quadro globale che è anzitutto il riflesso di strutture economiche non rispondenti al valore dell'uomo, i diritti basilari sembrano dipendere da anonimi meccanismi senza controllo e da una visione che si rinchiude nel pragmatismo del momento, dimenticando che la cifra del futuro della famiglia umana è la solidarietà.

Ci si chiede, allora, se siano le strutture economiche e i loro recenti mutamenti la causa del diniego dei diritti o se non si tratti piuttosto di un abbandono della visione della persona che da soggetto è diventata sempre più un oggetto dell'agire economico, spesso ridotta a rivendicare i soli diritti legati alla sua funzione di consumatore e non di persona.

6. Di fronte alla dimensione globale che segna la nostra era, è l'universalità della persona – come ricordava il Santo Padre all'ONU – il criterio che fornisce ai diritti umani la caratteristica di essere universali, così da evitare applicazioni parziali o visioni relative. Questo significa che ogni Comunità politica è chiamata a dare realizzazione ai contenuti della Dichiarazione Universale analizzando obiettivamente la propria situazione, ma avendo chiaro che quell'atto non è privo di forza perché adottato ed elaborato in un contesto sociale, politico e giuridico differente da quello in cui oggi operiamo: anzi, trae tutta la sua permanente efficacia dalla "connaturalità" alla storia di ogni persona umana.

La mancata tutela dei diritti umani che spesso si evidenzia nell'atteggiamento di tante istituzioni e funzioni dell'autorità, è il frutto della disgregazione dell'unità della persona intorno alla quale si pensa di proclamare diritti diversi, di costruire ampi spazi di libertà che però rimangono privi di ogni fondamento antropologico.

Trascorsi ormai sessant'anni da quel 10 dicembre 1948, non sembra più possibile garantire i diritti se si trascura la loro indivisibilità e non si abbandona la convinzione che la tutela dei diritti civili e politici passa per un "non fare" degli apparati istituzionali, mentre l'impegno per quelli economici, sociali e culturali è da considerare solo programmatico.

7. Un'attenzione particolare la Chiesa sente di doverla rivolgere alla libertà religiosa che la Dichiarazione Universale nel suo articolo 18 ha reso esplicita in significati e limiti, prevedendo altresì i diritti e le situazioni che a tale libertà sono connessi. Oggetto di quel diritto non è il contenuto intrinseco di una determinata fede religiosa, ma l'immunità da ogni coercizione, quasi una zona di sicurezza in grado di garantire l'inviolabilità di uno spazio umano in cui il singolo credente e la comunità in cui egli esprime la propria fede sono liberi di agire, senza pressioni esterne di singoli, di gruppi sociali o di qualsivoglia autorità.

È un dato di tutta evidenza che il fatto religioso abbia un'influenza diretta nello svolgersi della vita interna degli Stati e di quella della Comunità internazionale. Questo nonostante si percepiscano sempre di più indicazioni e tendenze che sembrano voler escludere la religione e i diritti ad essa connessi dalla possibilità di concorrere alla costruzione dell'ordine sociale, pur nel pieno rispetto del pluralismo che contraddistingue le società contemporanee.

La libertà religiosa rischia di essere confusa con la sola libertà di culto o comunque interpretata come elemento appartenente alla sfera privata e sempre più sostituita da un imprecisato "diritto alla tolleranza". E questo ignorando che la libertà religiosa quale diritto fondamentale segna il superamento della tolleranza religiosa, che era saldamente ancorata ad una visione relativa della verità e ad un individualismo senza limiti.

Analogamente, proprio la prospettiva internazionale lascia emergere la tendenza a relegare il fatto religioso alla dimensione della cultura o ad accomunarla alle pratiche ed ai saperi tradizionali ai quali non è estranea una visione sincretista, dimenticando che la religione, e le libertà e i diritti ad essa collegati, sono un'esperienza di vita, un indicatore delle aspirazioni più profonde che la persona attraverso il suo agire vuole raggiungere.

8. Un aspetto sul quale diventa necessario volgere la nostra attenzione è quello dell'esatta natura dei diritti che la Dichiarazione fa discendere dalla dignità che è comune ad ogni essere umano. Un aspetto verso il quale è necessario che possano convergere rivendicazioni, pensieri, proposte per dar loro un ordine, senza far dilagare la domanda di diritti verso ogni direzione. Difendere i diritti fondamentali significa, infatti, non confonderli con semplici e spesso limitati bisogni contingenti. Poter ricondurre all'originaria impostazione della Dichiarazione anche le nuove situazioni è possibile e può essere una strada da seguire per dare rinnovato vigore alla causa dell'uomo.

Anche una volta riconosciuti e perfino fissati in una eventuale convenzione, i diritti umani hanno sempre bisogno di essere difesi. Hanno bisogno di fedeltà da parte nostra, perché possono essere persi di vista, reinterpretati in modo restrittivo o addirittura negati. La pedagogia alla quale dobbiamo la loro formulazione è la stessa di cui hanno bisogno per essere conservati. Il Santo Padre ci ricorda spesso che il progresso morale dell'umanità ha bisogno di essere sempre nuovamente intrapreso. Non essendo un fatto materiale esso non può avvenire per accumulo. Ciò vale anche per i diritti umani, che hanno bisogno di essere ogni giorno ribaditi, rifondati nella nostra consapevolezza e rivissuti.

9. Rispettare e rinvigorire i diritti fondamentali sarà un modo concreto attraverso cui contrastare le forme, differenti e diffuse, di abbandono dei cardini di ordine morale nei rapporti sociali, dalla dimensione interpersonale sino a quella delle relazioni internazionali. Infatti, è sempre più difficile prevedere una tutela dei diritti, efficace e universale, senza un collegamento a quella legge naturale che feconda i diritti medesimi ed è l'antitesi di quel degrado che in tante nostre società ha interesse a mettere in discussione l'etica della vita e della procreazione, del matrimonio e della vita familiare, come pure dell'educazione e della formazione delle giovani generazioni, introducendo unicamente una visione individualistica su cui arbitrariamente costruire nuovi diritti non meglio precisati nel contenuto e nella logica giuridica.

I diritti, dunque, non possono essere dei contenitori che secondo i momenti storici, culturali e politici si riempiono di significati e di elementi diversi. Anzi è l'assenza di valori a cui legare i diritti la causa principale della loro inefficacia e della loro violazione. La legge naturale, invece, consente a tutti di trovare una radice comune, anche di fronte a posizioni che pur avendo un diverso fondamento etico non sono disposte a cedere di fronte all'abbandono di quella verità che è comune al genere umano.

Solo una visione debole dei diritti umani può ritenere che l'essere umano sia la risultante dei suoi diritti, non riconoscendo che i diritti restano uno strumento creato dall'uomo per dare piena realizzazione alla sua dignità innata.

10. La Dichiarazione del 1948 è un punto di arrivo. Essa deve essere però anche sempre un nuovo punto di partenza; mantiene ancora tutto il suo potenziale che non va consumandosi, anzi richiede una maggiore condivisione in grado di tradursi in atti concreti. La Dichiarazione Universale, infatti, è chiamata non solo a difendere la libertà e le sue regole, ma anche ad impedire che esse possano degenerare nella negazione del primato dell'essere umano.

Tra i diritti umani, a rigor di termini, non esiste una gerarchia. Essi sono un tutt'uno, sono come un unico diritto: il diritto a poter diventare uomo o, come scriveva Paolo VI, a poter diventare più uomo. La Chiesa, insieme con la saggezza politica e giuridica, ha sempre sostenuto il principio della indivisibilità dei diritti umani: ognuno di essi rispecchia tutti gli altri e rimanda ad essi come a elementi complementari e insostituibili di se stesso. La sua insistenza sull'importanza del diritto alla vita e del diritto alla libertà religiosa non deriva, quindi, dalla volontà di voler inserire una qualche divisione tra i diritti dell'uomo, una gerarchia. L'insistenza nasce piuttosto dal bisogno di esplicitare il fatto che gli stessi diritti non si fondano da soli, ma sono espressione del volto della persona umana e della sua dignità. Aver ricevuto la vita in dono e poter ringraziare l'Autore della vita sono i primi due diritti umani. Ciò non significa collocare gli altri diritti a un livello inferiore, anzi, tutti i diritti umani vengono con ciò innalzati indivisibilmente a essere espressione di una dignità ricevuta per amore e non prodotta da tecniche umane. Il discorso può essere anche rovesciato. Si constata che quando viene meno il riconoscimento del diritto alla vita e alla libertà religiosa anche il rispetto per gli altri diritti vacilla.

Tutti i diritti dell'uomo si sostengono insieme, "simul stabunt, simul cadent", ma anche le loro violazioni, purtroppo, si sostengono insieme. Il principio della indivisibilità vale sia nel bene sia nel male. La Chiesa afferma che le ragioni di chi lotta per il diritto alla vita e alla libertà religiosa devono allargarsi fino a comprendere anche tutti gli altri diritti e afferma che chi è sensibile a qualche altro diritto non può disinteressarsi di quello alla vita né del diritto alla libertà religiosa. Non possiamo dividere tra loro i diritti umani, scegliere ideologicamente quale preferire, oppure attribuire all'uno o all'altro delle connotazioni politiche.

Nei discorsi pronunciati all'ONU che ho brevemente ricordato, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno precisato che il motivo ultimo e fondamentale per il quale la Chiesa ha a cuore i diritti umani è di ordine etico-religioso e riguarda la sua stessa missione. Nella comunità internazionale la Chiesa così esprime in modo ancor più multiforme il proprio contributo alla promozione e al rispetto dei diritti umani.

Come ha ribadito Benedetto XVI domenica scorsa, «Per le popolazioni sfinite dalla miseria e dalla fame, per le schiere dei profughi, per quanti patiscono gravi e sistematiche violazioni dei loro diritti, la Chiesa si pone come sentinella sul monte alto della fede e annuncia: "Ecco il vostro Dio! Ecco il Signore Dio viene con potenza" (Is 40,11)».

Per il credente, e per quanti ripongono la loro fede nella dignità umana, la piena tutela dei diritti non può che coincidere con un modello di vita e di ordine sociale in cui si realizza l'attesa di quei nuovi cieli e quella terra nuova nei quali trova stabile dimora la giustizia (Cfr. 2 Pt 3, 13). E' questo il nostro comune augurio.

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La dignità umana è la ragione ultima di ciascun diritto


Il Card. Martino per i 60 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 10 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo il saluto del Cardinale Renato R. Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che ha introdotto il solenne atto celebrativo per il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, svoltosi questo mercoledì pomeriggio nell'Aula Paolo VI in Vaticano.



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Eminenze, Eccellenze, Signori Ambasciatori, Signore e Signori,

Sono particolarmente lieto di dare inizio a questo Atto celebrativo, promosso e organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace per commemorare il 60° Anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Con questo Atto, la Santa Sede intende confermare il suo apprezzamento per il documento delle Nazioni Unite, tante volte espresso dai Sommi Pontefici e, nello stesso tempo, indicare il valore dei diritti umani, per come sono in esso formalizzati, come una guida sicura per la promozione della dignità della persona umana nel nostro tempo.

Il programma predisposto per questo intenso pomeriggio prevede tre momenti. Il primo tutto dedicato alla riflessione sui contenuti della Dichiarazione con due significativi e autorevoli interventi di Sua Eminenza il Cardinale Tarcisio Bertone Segretario di Stato di Sua Santità e di Sua Eccellenza il dott. Juan Somavia Direttore Generale dell'Organizzazione Mondiale del Lavoro. Essi ci forniranno le coordinate più appropriate per una adeguata comprensione della Dichiarazione, che fu capace di offrire un sicuro orientamento al cammino dell'umanità dopo i drammi della Seconda Guerra mondiale e che resta un punto imprescindibile di riferimento per costruire un futuro di giustizia e di pace per tutta l'umanità.

Il secondo momento sarà dedicato alla consegna dei premi Cardinale Van Thuan 2008, conferiti dalla Fondazione Vaticana San Matteo in memoria del Cardinale Van Thuan – Fondazione strettamente collegata con il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e tutta dedita alla diffusione della dottrina sociale della Chiesa – a personalità che si sono distinte nella difesa e nella promozione sul campo dei diritti umani. Nel ricordo del Cardinale Van Thuan, uomo di Dio e cristiano pieno di speranza, di cui è stata avviata la causa di beatificazione, i premi verranno consegnati al Dott. Cornelio Sommaruga per il suo impegno nella promozione del diritto umanitario quando fu Presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa, e alle seguenti persone e istituzioni che, in un modo o in un altro, hanno dato concreta attuazione alle più nobili esigenze contenute nella Dichiarazione Universale: a padre Pedro Opeka, al Progetto GULUNAP, al Progetto Villaggio degli Ercolini, al padre Raul Matte.

L'Atto Commemorativo terminerà con un Concerto di musiche classiche - validamente sostenuto dalla Vacheron-Constatin –, che saranno eseguite dalla Brandenburgisches Staatorchester Frankfurt, diretta dal Maestro Inma Shara con la partecipazione del pianista Boris Berezovsky. A rendere particolarmente preziosa e ricca di significato questa parte finale, ci sarà il Santo Padre Benedetto XVI che, con la Sua presenza e la Sua parola, offrirà a tutti la prova, quella più eloquente, dell'importanza che la Chiesa Cattolica assegna alla promozione dei diritti fondamentali dell'uomo, quale strumento per affermare, sempre e ovunque, la dignità e la centralità della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio e redenta dal Signore Gesù.

In tema di diritti umani, esiste una lunga tradizione cattolica. Questo itinerario storico della tradizione cristiana dei diritti umani non è stato certamente un itinerario pacifico. Ci sono state, infatti, da parte del Magistero anche molte riserve e condanne di fronte all'affermarsi dei diritti dell'uomo nel solco della Rivoluzione francese; ma tali riserve, ripetutamente manifestate dai Pontefici, specialmente nel XIX secolo, erano dovute al fatto che tali diritti venivano proposti e affermati contro la libertà della Chiesa, in una prospettiva ispirata dal liberalismo e dal laicismo. L'individualismo dominante faceva sì che la rivendicazione dei diritti dell'uomo si tramutasse in affermazione dei diritti dell'individuo più che della persona, ossia dell'essere umano decurtato della dimensione sociale e privo di trascendenza. Tale è l'immagine dell'uomo considerato misura di tutte le cose, creatore assoluto della legge morale, consegnato ad un destino di pura immanenza.

Nella visione cattolica una corretta interpretazione ed un'efficace tutela dei diritti dipendono da un'antropologia che abbraccia la totalità delle dimensioni costitutive della persona umana. La dignità umana, che è uguale in ogni persona, è, pertanto, la ragione ultima per cui i diritti possono essere rivendicati per sé e per gli altri con maggior forza. Tutti gli esseri umani possono legittimamente rivendicarli anzitutto perché sono figli di uno stesso ed unico Padre, non già in ragione della loro appartenenza etnica, razziale e culturale. L'insieme dei diritti dell'uomo deve corrispondere, pertanto, alla sostanza della dignità della persona. Essi devono riferirsi alla soddisfazione dei suoi bisogni essenziali, all'esercizio delle sue libertà, alle sue relazioni con le altre persone e con Dio. [1] Il riferimento alla persona umana, al suo essere integrale, obbliga a individuare la fonte ultima dei diritti umani al di là della mera volontà degli esseri umani [2], della realtà statale, ma nell'uomo e in Dio suo Creatore. I diritti, appartenendo originariamente ed intrinsecamente alle persone, sono perciò naturali ed inalienabili [3]. Grazie per la vostra partecipazione e il vostro incoraggiante sostegno!

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1 GIOVANNI PAOLO II, Discorso all'ONU, 2 ottobre 1979, 13-14.

2 Cfr. GIOVANNI XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 45.

3 Cfr. GIOVANNI XXIII, Pacem in terris, 46.


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11/12/2008 09:23

La Santa Sede all'ONU per il 60º della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo


NEW YORK, mercoledì, 10 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento pronunciato questo mercoledì, a New York, da monsignor Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede, alla sessione commemorativa dell’Assemblea Generale dell’ONU per il 60º  della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

 

* * *

Signor Presidente,

1.         Vorrei anzitutto esprimere il plauso della Delegazione della Santa Sede per questa seduta celebrativa del 60º della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, atto fondamentale per la vita internazionale e per quella dei singoli Stati. Un atto attraverso cui popoli, Stati, istituzioni internazionali possono anche oggi riscoprire il vero significato della persona, la sua concreta umanità, la dimensione ad un tempo individuale e comunitaria dei suoi diritti, e in particolare il  valore realmente universale della dignità umana.

La Dichiarazione, infatti, mostra chiaramente che i diritti umani di cui si chiede applicazione e tutela, non sono solo un’espressione della dimensione della legalità, ma trovano la loro radice e la loro finalità nell’etica e nella ragione naturale comune a tutti gli uomini. Si può ben dire che mediante quella proclamazione l’intera famiglia umana ha affermato che il rispetto dei diritti è frutto della giustizia ed è garanzia di pace. Attraverso la tutela internazionale dei diritti, persone,  popoli, Stati e governi hanno manifestato la volontà di evitare conflitti e contrapposizioni per  percorrere invece un cammino unitario fatto di cooperazione e di integrazione.

2.         In molti dei presenti all’odierna commemorazione è ancora vivo il ricordo delle parole pronunciate in questa stessa aula il 18 aprile scorso dal Santo Padre Benedetto XVI, che ha legato i diritti umani e la loro protezione a due obiettivi fondamentali: la promozione del bene comune e la salvaguardia della libertà umana.

Dall’attività internazionale, e dall’azione dell’ONU in particolare, cogliamo quanto l’idea del bene comune sia condizione essenziale per assumere efficaci decisioni in ordine alla sicurezza, alla cooperazione allo sviluppo, come pure alla speciale azione di carattere umanitario che sempre più l’Organizzazione è chiamata ad attuare di fronte a eventi e situazioni che compromettono gravemente la persona, la sua dignità e quindi i suoi diritti. Il bene comune è ben espresso nel richiamo “ad agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza” (Art. 1) che la Dichiarazione Universale rivolge a tutti i membri della famiglia umana. Infatti, non possiamo negare che la prima violazione dei diritti è data dalla mancanza di condizioni di vita considerate essenziali, quando prevale una iniqua distribuzione delle ricchezze, condizioni di povertà, di fame, di mancanza di cure mediche. Non è un caso che il primo degli Obiettivi del Millennio proclamati dalle Nazioni Unite sia rivolto proprio al superamento di questa situazione che coinvolge una parte consistente della popolazione mondiale.    

Quanto alla libertà umana, tutelarla nelle sue diverse dimensioni e manifestazioni non solo garantisce la costruzione del bene comune e fa superare le minacce alla dignità di ogni persona, ma anche riconosce che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” (Art. 1). Un fatto che permette di costruire quelle necessaria correlazione tra diritti e doveri che porta ogni persona, ogni Stato, ogni comunità ad assumersi la responsabilità delle scelte operate, come pure a riconoscere il suo rapporto di reciprocità con gli altri.

Oggi, di fronte ai significativi traguardi che l’umanità ha raggiunto, sono purtroppo evidenti negazioni dei diritti che violano l’ordine della creazione, contraddicono il carattere sacro della vita, privano la persona umana, la famiglia, le comunità della loro naturale identità. Tutelare i diritti significa quindi rispettare quegli imperativi etici che sono presupposto necessario alla libertà.

3.         I diritti umani esprimono l’unità della creatura umana, della sua aspirazione proiettata contemporaneamente a soddisfare i bisogni essenziali ed a consentire le sue libertà, le sue relazioni, i suoi valori spirituali.

In questo senso i diritti sono anche uno strumento attraverso cui la persona manifesta la sua  relazione con la verità, protegge la sua coscienza, la sua dimensione di fede e le sue convinzioni più profonde. Aspirazioni che ognuno deve essere capace di esprimere nel suo essere parte di una comunità di persone, di cittadini, di credenti, anche proponendo una sua visione dell’ordine sociale, delle libertà, delle istituzioni e delle regole senza che questo sia motivo di discriminazione o di limitazione della partecipazione nel corpo sociale.

Nello specifico campo della libertà religiosa, la Dichiarazione Universale concretamente ne prevede una manifestazione che è insieme individuale e comunitaria, e non contrappone la dimensione del cittadino e quella del credente, riconoscendo piuttosto la piena libertà del rapporto tra la persona e il suo Creatore. Un rapporto che nessun principio o azione interna o internazionale può cancellare o anche limitare se vuole con coerenza riconoscere i diritti proclamati sessanta anni or sono. Una libertà che oggi come allora richiede di non essere limitata all’esercizio del culto religioso, ma permette di manifestare la dimensione pubblica del fatto religioso attraverso i canali della formazione, dell’istruzione, dell’informazione e della piena partecipazione ai processi decisionali all’interno di un Paese.


Signor Presidente,

4.         La Dichiarazione Universale ha fatto dei diritti umani e dell’azione finalizzata alla loro tutela uno degli obiettivi prioritari della Comunità internazionale e della vita degli Stati, facendo maturare un’esperienza che non si riduce più alle sole proclamazioni o alla necessità di modificare legislazioni ed istituzioni di ogni Paese.

I diritti, infatti, non sono un richiamo retorico, ma il frutto dei gesti responsabili di ciascuno. Gesti necessari in un mondo che dispone di mezzi adeguati, di strutture specializzate per porre fine allo scandalo della fame e della povertà, per garantire una sicurezza che non sia violata e derisa, per salvaguardare la vita in ogni suo momento. Celebrare questa giornata significa porre la persona nel cuore della Comunità internazionale e del suo diritto, per superare gli ostacoli presenti sul cammino dell’umanità.


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Il Papa al concerto per i 60 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo


Promosso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace



* * *

Illustri Signori e gentili Signore,

cari fratelli e sorelle!

Rivolgo il mio cordiale saluto alle Autorità presenti, in particolare al Presidente della Repubblica Italiana, alle altre Autorità italiane, al Gran Maestro dell'Ordine di Malta e a tutti voi che avete preso parte a questa serata dedicata all'ascolto di musiche classiche, interpretate dalla Brandenburgisches Staatsorchester di Frankfurt, diretta per l'occasione dal Maestro Signora Inma Shara. A lei e agli orchestrali desidero esprimere il comune apprezzamento per il talento e l'efficacia con cui hanno interpretato questi suggestivi brani musicali.

Ringrazio il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e la "Fondazione San Matteo in memoria del Cardinale François-Xavier Van Thuân" per aver promosso il concerto, che è stato preceduto dall'Atto commemorativo del 60° della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dalla consegna del premio Cardinale Van Thuân 2008 al Signor Cornelio Sommaruga, già Presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa, e dalla consegna dei premi "Solidarietà e sviluppo" a Padre Pedro Opeka, missionario in Madagascar, a Padre José Raul Matte, missionario tra i lebbrosi in Amazzonia, ai destinatari del Progetto Gulunap, per la realizzazione di una Facoltà di Medicina nell'Uganda del Nord e ai responsabili del progetto Villaggio degli Ercolini, per l'integrazione di bambini e ragazzi rom a Roma. Il mio grato pensiero va pure a quanti hanno collaborato alla realizzazione del concerto e alla RAI che lo ha trasmesso, allargando, per così dire, la "platea" di coloro che ne hanno potuto beneficiare.

Sessant'anni or sono, il 10 dicembre, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, riunita a Parigi, adottò la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che costituisce ancora oggi un altissimo punto di riferimento del dialogo interculturale sulla libertà e sui diritti dell'uomo. La dignità di ogni uomo è garantita veramente soltanto quando tutti i suoi diritti fondamentali vengono riconosciuti, tutelati e promossi. Da sempre la Chiesa ribadisce che i diritti fondamentali, al di là della differente formulazione e del diverso peso che possono rivestire nell'ambito delle varie culture, sono un dato universale, perchè insito nella stessa natura dell'uomo. La legge naturale, scritta dal Creatore nella coscienza umana, è un denominatore comune a tutti gli uomini e a tutti i popoli; è una guida universale che tutti possono conoscere e sulla base della quale tutti possono intendersi. I diritti dell'uomo sono, pertanto, ultimamente fondati in Dio creatore, il quale ha dato ad ognuno l'intelligenza e la libertà. Se si prescinde da questa solida base etica, i diritti umani rimangono fragili perché privi di solido fondamento.

La celebrazione del 60.mo anniversario della Dichiarazione costituisce pertanto un'occasione per verificare in quale misura gli ideali, accettati dalla maggior parte della comunità delle Nazioni nel 1948, siano oggi rispettati nelle diverse legislazioni nazionali e, più ancora, nella coscienza degli individui e delle collettività. Indubbiamente un lungo cammino è stato già percorso, ma ne resta ancora un lungo tratto da completare: centinaia di milioni di nostri fratelli e sorelle vedono tuttora minacciati i loro diritti alla vita, alla libertà, alla sicurezza; non sempre è rispettata l'uguaglianza tra tutti né la dignità di ciascuno, mentre nuove barriere sono innalzate per motivi legati alla razza, alla religione, alle opinioni politiche o ad altre convinzioni.

Non cessi, pertanto, il comune impegno a promuovere e meglio definire i diritti dell'uomo, e si intensifichi lo sforzo per garantirne il rispetto. Accompagno questi voti con la preghiera perché Iddio, Padre di tutti gli uomini, ci conceda di costruire un mondo dove ogni essere umano si senta accolto con piena dignità, e dove i rapporti tra gli individui e tra i popoli siano regolati dal rispetto, dal dialogo e dalla solidarietà. A tutti la mia Benedizione.


[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]

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Il valore indelebile della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo


Intervento della Santa Sede a Ginevra per i 60 anni del documento

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 17 dicembre 2008 (ZENIT.org).-

* * *


Signor Presidente,

1. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (1948) è un momento memorabile della storia della coesistenza umana e una grande espressione di una civiltà giuridica universale basata sulla dignità umana e orientata alla pace. La Delegazione della Santa Sede sostiene appieno la decisione del Consiglio dei Diritti dell'Uomo di celebrare in modo speciale il 60° anniversario di questa Dichiarazione. Dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, la Dichiarazione ha riaffermato solennemente il valore supremo della dignità umana di ogni persona e di ogni popolo, senza alcuna distinzione basata sul sesso, sulla condizione sociale, sull'appartenenza etnica, sulla cultura o sulle convinzioni politiche, religiose o filosofiche. Con questo documento, la dignità umana viene infine riconosciuta come il valore essenziale su cui si fonda un ordine internazionale autenticamente pacifico e sostenibile. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo proclama: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza» (art. 1). La Santa Sede celebra il 60° anniversario della Dichiarazione, in primo luogo, richiamando il grande senso di unità, solidarietà e responsabilità che ha spinto le Nazioni Unite a proclamare i diritti umani universali come risposta a tutte le persone e i popoli oppressi dalla violazione della propria dignità, un compito che ci sfida ancora oggi. In secondo luogo, ha promosso eventi, programmi educativi, iniziative assistenziali nel mondo, in particolare per i bambini, le donne e i gruppi vulnerabili cosicché Dio, come ha affermato Sua Santità Papa Benedetto xvi il 10 dicembre 2008, «ci conceda di edificare un mondo in cui ogni essere umano si senta accettato nella sua piena dignità e in cui i rapporti fra persone e fra popoli si basino sul rispetto, sul dialogo e sulla solidarietà». In terzo luogo, ha evidenziato ancora una volta il fatto che i diritti umani sono a rischio se non sono radicati nel fondamento etico della nostra comune umanità creata da Dio, che ha dato a ognuno i doni dell'intelligenza e della libertà.

2. I diritti umani hanno un ruolo sociale indispensabile. Essi rimangono «la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze tra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza». Per la tutela degli individui e della società, la Santa Sede ha riaffermato incessantemente la centralità dei diritti umani e il ruolo dell'Organizzazione delle Nazioni Unite nel sostenere questo patrimonio comune della famiglia umana. La libertà e la creatività dell'uomo hanno elaborato diversi modelli di organizzazione politica ed economica nel contesto di differenti culture ed esperienze storiche.

«Una cosa è affermare un legittimo pluralismo di «forme di libertà, ed altra cosa è negare qualsiasi universalità o intelligibilità alla natura dell'uomo o all'esperienza umana». Il fondamento dei diritti umani è dunque un sano realismo, vale a dire il riconoscimento di ciò che è reale e iscritto nella persona umana e nella creazione. Quando nella ricerca dei cosiddetti «nuovi» diritti umani si crea un divario fra ciò che è rivendicato e ciò che è vero, si corre il rischio di reinterpretare il vocabolario consolidato dei diritti umani per promuovere meri desideri e misure che, a loro volta, divengono fonte di discriminazione e di ingiustizia e sono il frutto di ideologie egoiste. Quando si parla del diritto alla vita, del rispetto per la famiglia, del matrimonio come unione fra un uomo e una donna, di libertà di religione e di coscienza, dei limiti dell'autorità dello Stato di fronte ai valori e ai diritti fondamentali, non si dice niente di nuovo o di rivoluzionario e si mantengono entrambi la lettera e lo spirito della Dichiarazione, si tutela la coerenza tra la natura delle cose e il bene comune della società.

3. Questo anniversario della Dichiarazione ci spinge anche a riflettere sulla sua attuazione. In un mondo in cui ci sono troppe persone affamate, troppi conflitti violenti, troppe persone perseguitate per il loro credo, resta ancora una lunga strada da percorrere e il dovere di eliminare ogni discriminazione cosicché tutte le persone possano godere della propria dignità intrinseca uguale a quella degli altri. Nel perseguire questo scopo, gli sviluppi generati dalla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo sono motivo di speranza. La famiglia, «il nucleo naturale e fondamentale della società» (art. 16, 3), può essere la prima «agenzia» di tutela e di promozione della dignità umana e dei diritti fondamentali. Questo è in sintonia con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e con la Carta dei Diritti della Famiglia della Santa Sede, di cui, quest'anno, si celebra il 25° anniversario. L'Organizzazione delle Nazioni Unite e le sue Agenzie specializzate, questo Consiglio in particolare, sono chiamate a mettere fedelmente in pratica i principi della Dichiarazione, sostenendo gli Stati nell'adozione di politiche efficaci veramente incentrate sui diritti e sul senso di responsabilità di ognuno. I patti internazionali e gli accordi regionali derivati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo confluiscono in un organismo di diritto internazionale che funge da necessario riferimento.

4. In conclusione, Signor Presidente, ogni essere umano «ha diritto a un ordine sociale e internazionale, nel quale i diritti e le libertà» enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo possano essere pienamente realizzati» (art. 28). Ogni essere umano ha diritto a uno sviluppo integrale e il «diritto sacro» di vivere in pace. Con queste premesse i diritti umani non concedono solo privilegi. Sono piuttosto l'espressione e il frutto di ciò che è di più nobile nello spirito umano: dignità, aspirazione alla libertà e alla giustizia, ricerca di ciò che è bene e pratica di solidarietà. Alla luce delle esperienze tragiche del passato e di oggi, la famiglia umana si può riunire intorno a questi valori e principi essenziali, come un dovere verso i più deboli e i più bisognosi e verso le generazioni future.


[Traduzione del testo originale in inglese a cura de "L'Osservatore Romano"]

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