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Il Magistero della Chiesa sull'Ordinazione Sacerdotale

Ultimo Aggiornamento: 22/12/2008 20:13
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LETTERA APOSTOLICA DI GIOVANNI PAOLO II

ORDINATIO SACERDOTALIS

AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA
SULL'ORDINAZIONE SACERDOTALE
DA RISERVARSI SOLTANTO AGLI UOMINI



Venerabili Fratelli nell'Episcopato!

1. L'ordinazione sacerdotale, mediante la quale si trasmette l'ufficio che Cristo ha affidato ai suoi Apostoli di insegnare, santificare e governare i fedeli, è stata nella Chiesa cattolica sin dall'inizio sempre esclusivamente riservata agli uomini. Tale tradizione è stata fedelmente mantenuta anche dalle Chiese Orientali.

Quando sorse la questione dell'ordinazione delle donne presso la Comunione Anglicana, il Sommo Pontefice Paolo VI, in nome della sua fedeltà all'ufficio di custodire la Tradizione apostolica, ed anche allo scopo di rimuovere un nuovo ostacolo posto sul cammino verso l'unità dei cristiani, ebbe cura di ricordare ai fratelli anglicani quale fosse la posizione della Chiesa cattolica: «Essa sostiene che non è ammissibile ordinare donne al sacerdozio, per ragioni veramente fondamentali. Queste ragioni comprendono: l'esempio, registrato nelle Sacre Scritture, di Cristo che scelse i suoi Apostoli soltanto tra gli uomini; la pratica costante della Chiesa, che ha imitato Cristo nello scegliere soltanto degli uomini; e il suo vivente magistero, che ha coerentemente stabilito che l'esclusione delle donne dal sacerdozio è in armonia con il piano di Dio per la sua Chiesa» (cfr. Paolo VI, Rescritto alla lettera di Sua Grazia il Rev.mo Dott. F. D. Coggan, Arcivescovo di Canterbury, sul ministero sacerdotale delle donne, 30 novembre 1975: AAS 68 (1976), 599-600). Ma poiché anche tra teologi ed in taluni ambienti cattolici la questione era stata posta in discussione, Paolo VI diede mandato alla Congregazione per la Dottrina della Fede di esporre ed illustrare in proposito la dottrina della Chiesa. Ciò fu eseguito con la Dichiarazione Inter Insigniores, che il Sommo Pontefice approvò e ordinò di pubblicare (cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Inter Insignores circa la questione dell'ammissione delle donne al sacerdozio ministeriale, 15 ottobre 1976: AAS 69 (1977), 98-116).

2. La Dichiarazione riprende e spiega le ragioni fondamentali di tale dottrina, esposte da Paolo VI, concludendo che la Chiesa «non si riconosce l'autorità di ammettere le donne all'ordinazione sacerdotale» (Ibid. 100). A queste ragioni fondamentali il medesimo documento aggiunge altre ragioni teologiche che illustrano la convenienza di tale disposizione divina, e mostra chiaramente come il modo di agire di Cristo non fosse guidato da motivi sociologici o culturali propri del suo tempo. Come successivamente precisò il Papa Paolo VI, «la ragione vera è che Cristo, dando alla Chiesa la sua fondamentale costituzione, la sua antropologia teologica, seguita poi sempre dalla Tradizione della Chiesa stessa, ha stabilito così» (Paolo VI, Il ruolo della donna nel disegno della salvezza, 30 gennaio 1977: Insegnamenti di Paolo VI, vol. XV, 1977, 111; cfr. anche Giovanni Paolo II Christifideles Laici, 30 dicembre 1988, n. 51: AAS 81 (1989), 393-521; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1577). Nella Lettera Apostolica Mulieris dignitatem, io stesso ho scritto a questo proposito: «Chiamando solo uomini come suoi apostoli, Cristo ha agito in un modo del tutto libero e sovrano. Ciò ha fatto con la stessa libertà con cui, in tutto il suo comportamento, ha messo in rilievo la dignità e la vocazione della donna, senza conformarsi al costume prevalente e alla tradizione sancita anche dalla legislazione del tempo» (Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, 15 agosto 1988, n. 26: AAS 80 (1988), 1715).

Infatti i Vangeli e gli Atti degli Apostoli attestano che questa chiamata è stata fatta secondo l'eterno disegno di Dio: Cristo ha scelto quelli che egli ha voluto (cfr. Mc 3,13-14; Gv 6,70), e lo ha fatto in unione col Padre, «nello Spirito Santo» (At 1, 2), dopo aver passato la notte in preghiera (cfr. Lc 6, 12). Pertanto, nell'ammissione al sacerdozio ministeriale (cfr. Lumen Gentium, n. 28; Presbyterorum Ordinis, n. 2b), la Chiesa ha sempre riconosciuto come norma perenne il modo di agire del suo Signore nella scelta dei dodici uomini che Egli ha posto a fondamento della sua Chiesa (cfr. Ap 21, 14). Essi, in realtà, non hanno ricevuto solamente una funzione, che in seguito avrebbe potuto essere esercitata da qualunque membro della Chiesa, ma sono stati specialmente ed intimamente associati alla missione dello stesso Verbo incarnato (cfr. Mt 10,1.7-8; 28,16-20; Mc 3, 13-16; 16, 14-15). Gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori (cfr. 1 Tm 3, 1-13; 2 Tm 1, 6; Tt 1, 5-9) che sarebbero ad essi succeduti nel ministero (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1577). In tale scelta erano inclusi anche coloro che, attraverso i tempi della Chiesa, avrebbero proseguito la missione degli Apostoli di rappresentare Cristo Signore e Redentore (cfr.Lumen Gentium, n. 20 e n. 21).

3. D'altronde, il fatto che Maria Santissima, Madre di Dio e della Chiesa, non abbia ricevuto la missione propria degli Apostoli né il sacerdozio ministeriale mostra chiaramente che la non ammissione delle donne all'ordinazione sacerdotale non può significare una loro minore dignità né una discriminazione nei loro confronti, ma l'osservanza fedele di un disegno da attribuire alla sapienza del Signore dell'universo.

La presenza e il ruolo della donna nella vita e nella missione della Chiesa, pur non essendo legati al sacerdozio ministeriale, restano comunque assolutamente necessari e insostituibili. Come è stato rilevato dalla stessa Dichiarazione Inter Insigniores, «la Santa Madre Chiesa auspica che le donne cristiane prendano pienamente coscienza della grandezza della loro missione: il loro ruolo sarà oggigiorno determinante sia per il rinnovamento e l'umanizzazione della società, sia per la riscoperta, tra i credenti, del vero volto della Chiesa» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Inter Insigniores, VI: AAS 69 (1977) 115-116). Il Nuovo Testamento e tutta la storia della Chiesa mostrano ampiamente la presenza nella Chiesa di donne, vere discepole e testimoni di Cristo nella famiglia e nella professione civile, oltre che nella consacrazione totale al servizio di Dio e del Vangelo. «La Chiesa, infatti, difendendo la dignità della donna e la sua vocazione, ha espresso onore e gratitudine per quelle che, fedeli al Vangelo, in ogni tempo hanno partecipato alla missione apostolica di tutto il popolo di Dio. Si tratta di sante martiri, di vergini, di madri di famiglia, che coraggiosamente hanno testimoniato la loro fede ed educando i propri figli nello spirito del Vangelo hanno trasmesso la fede e la tradizione della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, n. 27: AAS 80 (1988), 1719).

D'altra Parte è alla santità dei fedeli che è totalmente ordinata la struttura gerarchica della Chiesa. Perciò, ricorda la Dichiarazione Inter Insigniores, «il solo carisma superiore, che si può e si deve desiderare, è la carità (cfr. 1 Cor 12-13). I più grandi nel Regno dei cieli non sono i ministri, ma i santi» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Inter Insigniores, VI: AAS 69 (1977) 115).

4. Benché la dottrina circa l'ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini sia conservata dalla costante e universale Tradizione della Chiesa e sia insegnata con fermezza dal Magistero nei documenti più recenti, tuttavia nel nostro tempo in diversi luoghi la si ritiene discutibile, o anche si attribuisce alla decisione della Chiesa di non ammettere le donne a tale ordinazione un valore meramente disciplinare.

Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli (cfr. Lc 22, 32), dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa.

Invocando su di voi, venerabili Fratelli, e sull'intero popolo cristiano il costante aiuto divino, a tutti imparto l'Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, il 22 maggio, Solennità di Pentecoste, dell'anno 1994, sedicesimo di Pontificato.


IOANNES PAULUS PP. II




© Copyright 1994 - Libreria Editrice Vaticana

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Contrariamente a certe correnti di pensiero, secondo cui il contenuto della Lettera Apostolica di cui sopra sarebbe opinione privata di Giovanni Paolo II, o comunque riformabile da qualsiasi altro Pontefice, la Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis è Magistero infallibile, come ribadito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede in un documento pubblicato il 28 ottobre 1995:

CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI


Responsum ad dubium Utrum doctrina circa doctrinam in Epist. ap. "Ordinatio sacerdotalis" traditam, 28 octobris 1995: AAS 87( 1995), p. 1114; Notitiae, 31(1995), p. 61 Os.

Dubbio: Se la dottrina, secondo la quale la Chiesa non ha la facoltà di conferire l'ordinazione sacerdotale alle donne, proposta nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis come da tenersi in modo definitivo, sia da considerarsi appartenente al deposito della fede.

Risposta: Affermativa.

Questa dottrina esige un assenso definitivo poiché, fondata nella Parola di Dio scritta e costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa fin dall'inizio, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale (cf. Conc. Vaticano II, Cost. Dogm. Lumen gentium, n. 25,2). Pertanto, nelle presenti circostanze, il Sommo Pontefice, nell'esercizio del suo proprio ministero di confermare i fratelli (cf. Lc 22,32), ha proposto la medesima dottrina con una dichiarazione formale, affermando esplicitamente ciò che si deve tenere sempre, ovunque e da tutti i fedeli, in quanto appartenente al deposito della fede.
Il sommo pontefice Giovanni Paolo Il, nel corso dell'udienza concessa al sottoscritto cardinale prefetto, ha approvatola presente risposta, decisa nella riunione ordinaria di questa congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla sede della Congregazione per la dottrina della fede, il 28 ottobre 1995.

+ Joseph card. RATZINGER, prefetto

+ Tarcisio BERTONE, arciv. em. di Vercelli, segretario



Trascrivo di seguito un commento al succitato documento pubblicato sull'Osservatore Romano del 19/11/1995:

COMMENTO ALLA RISPOSTA

In occasione della pubblicazione della Risposta della Congregazione per la Dottrina della fede a un dubbio riguardante il motivo per cui è da considerarsi definitive tenenda la dottrina esposta nella lettera apostolica Ordìnatio sacerdotalis, sembrano opportune alcune riflessioni. La rilevanza ecclesiologica di questa lettera apostolica veniva sottolineata anche dalla stessa data di pubblicazione: infatti ricorreva in quel giorno, 22 maggio 1994, la solennità della Pentecoste. Ma tale rilevanza si poteva scoprire soprattutto nelle parole conclusive della lettera: "al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa costituzione divina della chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli (cf. Lc 22,32), dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa" (n. 4).
L'intervento del Papa si era reso necessario non semplicemente per ribadire la validità di una disciplina osservata nella Chiesa sin dall'inizio, ma per confermare una dottrina (n. 4) "conservata dalla costante e universale Tradizione della Chiesa" e "insegnata con fermezza dal magistero nei documenti più recenti": dottrina che "attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa" (ivi). In questo modo il Santo Padre intendeva chiarire che l'insegnamento circa l'ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini non poteva essere ritenuto come "discutibile", né si poteva attribuire alla decisione della chiesa "un valore meramente disciplinare" (ivi).
Nel tempo trascorso dalla pubblicazione della lettera si sono fatti vedere i suoi frutti. Molte coscienze che in buona fede si erano forse lasciate agitare più che dal dubbio dall'insicurezza, hanno ritrovato la serenità grazie all'insegnamento del Santo Padre. Tuttavia non sono venute meno le perplessità, non solo da parte di coloro che, lontani dalla fede cattolica, non accettano l'esistenza di un'autorità dottrinale nella Chiesa, cioè del magistero sacramentalmente investito dell'autorità di Cristo (cf. Cost. dogm. Lumen gentium, 21), ma anche da parte di alcuni fedeli ai quali continua a sembrare che l'esclusione dal ministero sacerdotale rappresenti una violenza o una discriminazione nei confronti delle donne. Taluni obiettano che non risulta dalla rivelazione che una tale esclusione sia stata volontà di Cristo per la sua Chiesa, e altri s'interrogano sull'assenso dovuto all'insegnamento della lettera.
Sicuramente si possono approfondire ancora di più i motivi per cui la Chiesa non ha la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale; motivi già esposti, ad esempio, nella dichiarazione Inter insigniores (15 ottobre 1976), della Congregazione per la dottrina della fede, approvata da Paolo VI, e in vari documenti di Giovanni Paolo Il (come l'esort. ap. Christifideles laici, 51, e la lett. ap. Mulieris dignitatem, 26). nonché nel Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1577. Ma in ogni caso non si può dimenticare che la Chiesa insegna, come verità assolutamente fondamentale dell'antropologia cristiana, la pari dignità personale tra uomo e donna, e la necessità di superare ed eliminare "ogni genere di discriminazione nei diritti fonda mentali" (Cost. past. Gaudium et spes, 29).
Alla luce di questa verità si può cercare di capire meglio l'insegnamento secondo il quale la donna non può ricevere l'ordinazione sacerdotale. Una corretta teologia non può prescindere né dall'uno né dall'altro insegnamento, ma deve tenerli insieme; soltanto così potrà approfondire i disegni di Dio circa la donna e circa il sacerdozio - e quindi, circa la missione della donna nella Chiesa. Se invece si dovesse asserire l'esistenza di una contraddizione tra le due verità, forse lasciandosi condizionare troppo dalle mode o dallo spirito del tempo, si sarebbe smarrito il cammino del progresso nell'intelligenza della fede.
Nella lettera Ordinatio sacerdotalis il Papa sofferma la sua considerazione in modo paradigmatico sulla persona della beata vergine Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa: il fatto che ella "non abbia ricevuto la missione propria degli apostoli né il sacerdozio ministeriale mostra chiaramente che la non ammissione delle donne all'ordinazione sacerdotale non può significare una loro minore dignità né una discriminazione nei loro confronti" (n. 3). La diversità per quanto riguarda la missione non intacca l'uguaglianza nella dignità personale.
Inoltre, per capire che non c'è violenza né discriminazione verso le donne, bisogna considerare anche la natura stessa del sacerdozio ministeriale, che è un servizio e non una posizione di umano potere o di privilegio sugli altri. Chi, uomo o donna che sia, concepisce il sacerdozio come affermazione personale, come termine o addirittura punto di partenza di una carriera di umano successo, sbaglia profondamente, perché il vero senso del sacerdozio cristiano, sia quello comune dei fedeli sia, in modo del tutto speciale, quello ministeriale, non si può trovare se non nel sacrificio della propria esistenza, in unione con Cristo, a servizio dei fratelli. Il ministero sacerdotale non può costituire né l'ideale generale né tantomeno il traguardo della vita cristiana. In questo senso, non è superfluo ricordare ancora una volta che "il solo carisma superiore, che si può e si deve desiderare, è la carità (cf. 1Cor 12,13)" (Inter insigniores, IV).
Per quanto riguarda il fondamento nella sacra Scrittura e nella Tradizione, Giovanni Paolo Il si sofferma sul fatto che il Signore Gesù, com'è testimoniato dal Nuovo Testamento, chiamò soltanto uomini, e non donne, al ministero ordinato, e che gli apostoli "hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori che sarebbero a essi succeduti nel ministero" (Ordinatio sacerdotalis, 2; cf. lTm 3,Iss; 2Tm 1,6, Tt 1,5). Vi sono argomenti validi per sostenere che il modo di agire di Cristo non fu determinato da motivi culturali (cf. n. 2), così come ci sono ragioni sufficienti per affermare che la Tradizione ha interpretato la scelta fatta dal Signore come vincolante per la chiesa di tutti i tempi.
Qui però siamo già di fronte all'essenziale interdipendenza tra Sacra Scrittura e tradizione; interdipendenza che fa di questi due modi di trasmissione del Vangelo un'unità inscindibile insieme al magistero, il quale è parte integrante della tradizione e istanza interpretativa autentica della parola di Dio scritta e trasmessa (cf. Cost. dogm. Dei verbum, 9 e 10).
Nel caso specifico delle ordinazioni sacerdotali, i successori degli apostoli hanno sempre osservato la norma di conferire l'ordinazione sacerdotale soltanto a uomini, e il magistero, con l'assistenza dello Spirito Santo, ci insegna che questo è avvenuto non per caso, né per ripetizione abitudinaria, né per soggezione ai condizionamenti sociologici, né meno ancora per un'immaginarla inferiorità della donna, ma perché "la Chiesa ha sempre riconosciuto come norma perenne il modo di agire del suo Signore nella scelta dei dodici uomini che egli ha posto a fondamento della sua Chiesa" (Ordinatio sacerdotalis, IV).
Com'è noto, ci sono dei motivi di convenienza mediante i quali la teologia ha cercato e cerca di capire la ragionevolezza del volere del Signore. Tali motivi, come si trovano esposti ad esempio nella dichiarazione Inter insigniores, hanno un loro indubbio valore, ma non sono concepiti né adoperati come se fossero dimostrazioni logiche e stringenti derivate da principi assoluti. Tuttavia, è importante tener presente che la volontà umana di Cristo non soltanto non è arbitraria come quei motivi di convenienza aiutano infatti a capire, ma è intimamente unita con la volontà divina del Figlio eterno, dalla quale dipende la verità ontologica e antropologica della creazione di ambedue i sessi.
Davanti a questo preciso atto magisteriale del Romano Pontefice, esplicitamente indirizzato all'intera Chiesa Cattolica, tutti i fedeli sono tenuti a dare il loro assenso alla dottrina in esso enunciata. Ed è a questo proposito che la Congregazione per la Dottrina della Fede, con l'approvazione del Papa, ha dato una risposta ufficiale sulla natura di questo assenso. Si tratta di un pieno assenso definitivo, vale a dire irrevocabile, a una dottrina proposta infallibilmente dalla Chiesa. Infatti, come spiega la Risposta, questo carattere definitivo deriva dalla verità della stessa dottrina perché, fondata nella Parola di Dio scritta e costantemente tenuta e applicata nella Tradizione della Chiesa, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario universale (cf. LG 25). Perciò la Risposta precisa che questa dottrina appartiene al deposito della fede della Chiesa. Va quindi sottolineato che il carattere definitivo e infallibile di questo insegnamento della Chiesa non è nato dalla lettera Ordinatio sacerdotalis. In essa, come spiega anche la Risposta della Congregazione per la dottrina della fede, il Romano Pontefice, tenuto conto delle circostanze attuali, ha confermato la stessa dottrina mediante una formale dichiarazione, enunciando di nuovo quod semper, quod ubique et quod ab omnibus tenendum est, utpote ad fidei depositum pertinens. In questo caso, un atto del magistero ordinario pontificio, in se stesso per sé non infallibile, attesta il carattere infallibile dell'insegnamento di una dottrina già in possesso della Chiesa.
Infine, non sono mancati alcuni commenti alla lettera Ordinatio sacerdotalis secondo cui quest'ultima costituirebbe un'ulteriore e non opportuna difficoltà nel già difficile cammino del movimento ecumenico. A questo riguardo bisogna non dimenticare che secondo la lettera e lo spirito del Concilio Vaticano II (cf. Decr. Unitatis redintegratio, 11), l'autentico impegno ecumenico, al quale la Chiesa Cattolica non vuole né può venir meno, esige una piena sincerità e chiarezza nella presentazione dell'identità della propria fede.
Inoltre occorre rilevare che la dottrina riaffermata dalla lettera Ordinatio sacerdotalis non può non giovare alla ricerca della piena comunione con le Chiese Ortodosse le quali, conformemente alla Tradizione, hanno mantenuto e mantengono con fedeltà lo stesso insegnamento.
La singolare originalità della Chiesa e del sacerdozio ministeriale al suo interno, richiede una precisa chiarezza di criteri. Concretamente, non si deve perdere mai di vista che la Chiesa non trova la fonte della propria fede e della propria struttura costitutiva nei principi della vita sociale di ogni momento storico. Pur guardando con attenzione al mondo nel quale vive e per la cui salvezza opera, la Chiesa ha la coscienza di essere portatrice di una fedeltà superiore alla quale è legata.
Si tratta della radicale fedeltà alla Parola di Dio ricevuta dalla stessa Chiesa stabilita da Gesù Cristo fino alla fine dei tempi. Questa Parola di Dio, nel proclamare il valore essenziale e il destino eterno di ogni persona, manifesta il fondamento ultimo della dignità di ogni essere umano: di ogni donna e di ogni uomo.


© L'Osservatore Romano, 19 novembre 1995
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Congregatio Pro Doctrina Fidei

Decretum generale

de delicto attentatae sacrae ordinationis mulieris


Congregatio pro Doctrina Fidei, ad naturam et validitatem sacramenti sacri ordinis tuendam, vigore specialis facultatis sibi a suprema Ecclesiae auctoritate in casu tributae (cfr can. 30 Codicis Iuris Canonici), in Congregatione Ordinaria diei 19 Decembris 2007, decrevit:
Firmo praescripto can. 1378 Codicis Iuris Canonici, tum quicumque sacrum ordinem mulieri conferre, tum mulier quae sacrum ordinem recipere attentaverit, in excommunicationem latae sententiae Sedi Apostolicae reservatam incurrit.
Si vero qui mulieri sacrum ordinem conferre vel mulier quae sacrum ordinem recipere attentaverit, christifidelis fuerit Codici Canonum Ecclesiarum Orientalium subiectus, firmo praescripto can. 1443 eiusdem Codicis, excommunicatione maiore puniatur, cuius remissio etiam reservatur Sedi Apostolicae (cfr can. 1423 Codicis Canonum Ecclesiarum Orientalium).
Hoc decretum cum in L'Osservatore Romano evulgabitur, statim vigere incipiet.

Gulielmus Cardinalis Levada
Praefectus
Angelus Amato, s.d.b.
Archiep. titularis Silensis
a Secretis



Congregazione per la Dottrina della Fede

Decreto generale

circa il delitto di attentata ordinazione sacra di una donna


La Congregazione per la Dottrina della Fede, per tutelare la natura e la validità del sacramento dell'ordine sacro, in virtù della speciale facoltà ad essa conferita dalla suprema autorità della Chiesa (cfr can. 30, Codice di Diritto Canonico), nella Sessione Ordinaria del 19 dicembre 2007, ha decretato:
Fermo restando il disposto del can. 1378 del Codice di Diritto Canonico, sia colui che avrà attentato il conferimento dell'ordine sacro ad una donna, sia la donna che avrà attentato di ricevere il sacro ordine, incorre nella scomunica latae sententiae, riservata alla Sede Apostolica.
Se colui che avrà attentato il conferimento dell'ordine sacro ad una donna o se la donna che avrà attentato di ricevere l'ordine sacro, è un fedele soggetto al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, fermo restando il disposto del can. 1443 del medesimo Codice, sia punito con la scomunica maggiore, la cui remissione resta riservata alla Sede Apostolica (cfr can. 1423, Codice dei Canoni delle Chiese Orientali).
Il presente decreto entra immediatamente in vigore dal momento della sua pubblicazione su L'Osservatore Romano.

William Cardinale Levada
Prefetto
Angelo Amato, s.d.b.
Arcivescovo titolare di Sila
Segretario


(©L'Osservatore Romano - 30 maggio 2008)
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