Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.
Benvenuto in Famiglia Cattolica
Famiglia Cattolica da MSN a FFZ
Gruppo dedicato ai Cattolici e a tutti quelli che vogliono conoscere la dottrina della Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica Amiamo Gesu e lo vogliamo seguire con tutto il cuore........Siamo fedeli al Magistero della Chiesa e alla Tradizione Apostolica che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre. Ti aspettiamo!!!

 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

La Ru486 ha ucciso ancora. Perché insistere?

Ultimo Aggiornamento: 14/12/2009 05:39
Autore
Stampa | Notifica email    
27/12/2008 20:38

La Ru486 ha ucciso ancora. Perché insistere?

di Viviana Daloiso

Della Ru486 sappiamo che è una pillola abortiva. Pochi dicono chiaramente cosa comporta il suo impiego, o spiegano le modalità attraverso cui induce l’aborto. E, ciò che più conta, nessuno parla delle 16 donne morte in seguito alla sua assunzione negli ultimi anni.

O meglio sarebbe dire 17, visto che da poco è affiorata in Inghilterra la notizia di una nuova vittima dell’aborto chimico che si insiste a voler introdurre anche in Italia come forma più sicura e meno invasiva. La comunità scientifica internazionale è venuta a conoscenza del nuovo caso di decesso collegato all’impiego della pillola prodotta dalla casa francese Exelgyn, ma l’opinione pubblica italiana è stata lasciata all’oscuro di questa tragedia. Una pillola che ogni tanto uccide anche la donna e non solo il feto dovrebbe inquietare, indurre una sollevazione, imporre una frenata da parte delle autorità di controllo italiane ed europee che per molto meno hanno giustamente chiuso la porta in faccia a farmaci assai più innocenti.

I fatti, adesso. La vittima si chiamava Manon Jones, era inglese. Aveva 18 anni quando è morta all’ospedale Southmead di Bristol, dopo aver abortito con la Ru486. Era il 27 giugno 2005, ma abbiamo dovuto aspettare tre anni per conoscerne la storia. Manon aveva deciso di abortire perché temeva che la gravidanza avrebbe reso conflittuale il rapporto con la famiglia del suo ragazzo, di religione musulmana. Aveva preso il primo dei due prodotti abortivi ¿ la vera e propria Ru486, che provoca la morte dell’embrione in pancia ¿ a sei settimane di gravidanza, il 10 giugno.

E due giorni dopo aveva assunto il secondo farmaco, il misoprostol, quello che induce l’espulsione dell’embrione. Si tratta della procedura tradizionale per la Ru486, di cui da noi non si parla volentieri, nonostante i diversi protocolli di sperimentazione avviati in alcuni degli ospedali del nostro Paese la prevedano: non basta cioè inghiottire una pillola per far sparire il problema.

C’è di più: dopo l’assunzione della prima pastiglia, il feto abortito va ovviamente espulso, e questo - se la paziente non resta in ospedale, come di fatto è accaduto quasi sempre nella fase sperimentale italiana, in barba alla 194 - dovrebbe avvenire nel bagno di casa, in quello dell’ufficio, o dove capita. Anche Manon, prese le pillole in ospedale, se n’era tornata a casa.

A una visita di controllo, il 15 giugno, le era stato detto che tutto procedeva normalmente. Quattro giorni dopo, era partita per una vacanza, che però aveva dovuto interrompere prima del previsto: il 23 giugno era tornata in ospedale perché si sentiva troppo male. Quando sua madre la raggiunse, Manon era già in terapia intensiva, dove poi è morta quattro giorni dopo per ipovolemia, cioè una diminuzione di volume del sangue circolante, dovuta a una perdita eccessiva di sangue, un’emorragia per la quale si era aspettato troppo. Il giudizio dei medici non fu concorde sulle cause, così il caso di Manon finì nel cestino dell’indifferenza, come la maggior parte degli altri 16 certificati e documentati nel mondo, non di rado tra omertà e censure inspiegabili (basti pensare al bollettino dell’Agenzia italiana per la farmacovigilanza l’Aifa, n.4 del 2007, nell’articolo intitolato «Ru486: efficacia e sicurezza di un farmaco che non c’è», in cui venivano riportati solo nove casi di donne morte).

Il fatto certo è che questa procedura abortiva, oltre che le misteriose morti per infezione da Clostridium Sordellii (il batterio che causa sepsi, a cui sono riconducibili 9 dei decessi in questione), può indurre perdite di sangue improvvise e abbondanti anche dopo diversi giorni dall’espulsione dell’embrione, emorragie che diventano fatali se non c’è un ricovero immediato in un ospedale attrezzato per trasfusioni.

Diciassette morti, dunque, sembrano ancora non bastare per dire che in Italia una pillola simile non ha senso adottarla per nessun motivo clinico, tantomeno per seguire l’ostinazione dei fautori dell’aborto senza alcun limite o per dar retta a quanti parlano di "vergogna" italiana nel non allinearsi ai Paesi che già adottano la Ru486 da tempo. Motivazione singolare e scientificamente risibile. E pensare che, per scatenare un allarme su altri farmaci, di vittime non ne sono nemmeno servite: tutti ricordiamo il caso dell’Aulin, il popolare anti-infiammatorio a base di nimesulide finito sotto i riflettori della cronaca l’anno scorso dopo la sua sospensione in Irlanda.

Lì erano stati segnalati, da parte della National Liver Transplant Unit dell’ospedale St. Vincent, 6 casi di insufficienza epatica grave che avevano richiesto il trapianto di fegato e che erano correlati all’assunzione del farmaco. Presto il caso divenne internazionale, altri Paesi dell’Ue decisero di seguire l’esempio dell’Irlanda, l’Emea (l’Agenzia del farmaco europea) usò parole durissime contro il farmaco. E l’Aifa decise di restringere la prescrizione e l’impiego dell’Aulin in Italia. Nel caso di altri farmaci o vaccini risultati dannosi per la salute, poi, l’Aifa ha sempre adottato lo stesso doveroso atteggiamento di cautela: qualora ne esistessero altri in grado di sostituirli, senza causare danni, i primi sono stati vietati. Considerando che il tasso di mortalità dell’aborto chimico, secondo la letteratura scientifica, è dieci volte superiore a quello chirurgico, sembra lecito chiedersi perché la stessa prudenza non venga adottata anche con la Ru486. E allora, perché si insiste così tanto?


OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
02/08/2009 07:14

La pillola Ru486

Un vero e proprio aborto apparentemente facile


di Didier Sicard
Professore emerito di Medicina interna
Università di Paris Descartes
Presidente d'onore del Comitato consultivo francese di etica

Conosco da molti anni il conflitto, unico in Europa, che divide in Italia i sostenitori e gli oppositori della pillola Ru486. Questo conflitto è in contrasto con la relativa indifferenza che ho potuto constatare negli altri Paesi europei nel momento della sua introduzione. Essa è apparsa  infatti  come  una  nuova  libertà  acquisita  dalle donne.

Dal momento in cui l'aborto non è più proibito, questo medicinale si integra tra le modalità di realizzazione disponibili. La sua specificità risiede nell'apparente facilità di utilizzo che esso offre. Esso appare così come una sorta di contraccezione tardiva e non come un vero e proprio aborto. Una donna che esiterebbe ad abortire può essere tentata di ricorrervi grazie alla sua apparente facilità di impiego.

È proprio questa semplicità apparente che continua a pormi delle questioni. Questo medicinale ha provocato negli Stati Uniti un certo numero di morti, il cui meccanismo rimane oscuro. La rarità di casi simili in Europa non è stata finora spiegata. La responsabilità è della Ru486 stessa o del medicinale a essa associato (prostaglandine) utile all'apertura del collo dell'utero? La risposta non è chiara.

Il fatto principale rimane l'importanza di un controllo medico estremamente rigido durante il suo utilizzo, poiché questo medicinale ha un effetto ormonale molto potente, certamente transitorio (alcune ore), che può, in caso di infezione vaginale, essere all'origine di incidenti mortali. Si tratta dunque di un vero e proprio aborto che giustifica un controllo medico estremamente rigido.

Personalmente non sono un militante contro la Ru486. Credo semplicemente che si tratti di un procedimento abortivo più complesso di quanto sembri. La sua apparente facilità di impiego rischia di far dimenticare che l'aborto rimane una decisione grave non priva di rischi. La Ru486 trasferisce alla sola responsabilità apparente della donna una decisione che spesso i medici non desiderano prendere.



(©L'Osservatore Romano - 2 agosto 2009)
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
04/08/2009 06:47

Il cardinale Bagnasco sulla pillola Ru486

Sui temi della vita
serve più impegno dai laici cattolici italiani


Roma, 3. Con il via libera alla commercializzazione della Ru486 si fa prevalere "il diritto del più forte". Anche per questo i medici sono chiamati a esercitare il loro diritto all'obiezione di coscienza. È quanto ha affermato in un'intervista al quotidiano "Avvenire" il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), cardinale Angelo Bagnasco. Per il porporato la decisione dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) di introdurre anche in Italia la pillola abortiva, rendendo "tutto più facile", induce sempre più a considerare "l'aborto come un anticoncezionale, cosa che la legge 194 assolutamente esclude". Il cardinale Bagnasco afferma di aver provato "tristezza, amarezza, preoccupazione" dopo il via libera dell'Aifa, e definisce la decisione come "una crepa nella nostra civiltà". Dove non c'è rispetto integrale della vita umana - afferma - "nel suo concepimento, nella sua fragilità e poi nel suo tramonto, la società è meno umana. È amaro che così prevalga il diritto del più forte". Dietro questa scelta, rileva, "c'è una cultura individualista, nascosta sotto il rispetto della libertà della donna", la donna che "in realtà è consegnata a se stessa, al suo dramma, alla sua sofferenza, alla preoccupazione contingente in cui vive", mentre "una cultura veramente umana implicherebbe invece una presa in carico". E la responsabilità è anche della politica, che non ha fatto tutto il possibile per arginare questa "deriva":  "Si può ragionevolmente fare di più, nel rispetto dei meccanismi democratici", dice il presidente dei vescovi italiani, augurandosi che si alzi "una voce più coraggiosa, chiara, argomentata a tutti i livelli", sui temi della vita umana, da parte dei laici cattolici. È invece pretestuoso invocare l'allineamento all'Europa per giustificare la scelta della pillola abortiva:  gli "obiettivi" indicati dagli organi sovranazionali, secondo il cardinale Bagnasco, vanno considerati "solo quando sono orientati al bene, all'ordine morale. Diversamente, un Paese membro deve discostarsi, dando il buon esempio agli altri e diventando capofila di un'inversione di marcia".
Infine l'appello ai medici:  "È auspicabile - afferma il cardinale - che l'obiezione di coscienza nata da profondi convincimenti cresca ancora, sia come dato in sé, sia come testimonianza per l'opinione pubblica sulla persistenza di una consapevolezza profonda". Secondo i dati diffusi in occasione della relazione annuale al Parlamento sull'applicazione della legge 194, il 70,5 per cento dei medici italiani, di fronte all'aborto, esercita l'obiezione di coscienza. Questo, è il parere del presidente della Cei, "dovrebbe far riflettere sulla sensibilità ancora fortemente radicata nel cuore degli italiani".
Dopo la decisione dell'Aifa a favore della commercializzazione della pillola abortiva, il confronto si è spostato ora sull'applicazione del protocollo relativo. Una delle questioni principali riguarda l'effettiva praticabilità dell'obbligo della somministrazione della Ru486 in ricovero ospedaliero. Nessuno vuole trattenere le donne con la forza - ha detto il sottosegretario al ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Eugenia Roccella - "ma certamente si pone un problema di sicurezza per la loro salute se tornano a casa, e si pone anche un problema di rispetto della legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza". Non si è mai parlato di ricoveri coatti "ed è evidente - ha detto Roccella - che la donna che vuole firmare le dimissioni può farlo e andare via dall'ospedale, ma la questione è proprio questa:  si pone così un problema di responsabilità, poiché due pareri del Consiglio superiore di sanità affermano che l'aborto farmacologico non è sicuro allo stesso modo di quello chirurgico se avviene fuori dall'ospedale". Ciò vuol dire che si pongono "problemi di sicurezza per la salute, poiché la domiciliarità rende il metodo meno sicuro e non si può non tenerne conto".



(©L'Osservatore Romano - 3-4 agosto 2009)
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
04/09/2009 18:36

Paola Binetti: la Ru-486, una ferita nella coscienza sociale

“E' sempre un dramma, non è mai un diritto”



di Carmen Elena Villa


ROMA, martedì, 1 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Facilitare l'aborto attraverso una pillola non riduce i traumi né tanto meno le ferite che questo può lasciare in una donna.
E' quanto ha detto in una intervista a ZENIT l'on. Paola Binetti, direttrice del Dipartimento per la ricerca educativa e didattica presso l'Università Campus Bio-Medico di Roma.

In merito al via libera dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per l'immissione in commercio della pillola abortiva Ru486, la Binetti ha parlato delle contraddizioni di questo provvedimento così come delle conseguenze morali e fisiche legate all'assunzione di questo farmaco.

Quali crede possano essere le conseguenze legali e morali legate a questo farmaco nella diffusione della mentalità antivita in Italia?

Paola Binetti: Il consumo della Ru486 non è altro che un aborto. E' sempre un dramma, non è mai un diritto, perché comporta la perdita di una creatura umana. C' è sempre una alleanza strettissima che si stabilisce tra madre e figlio in ogni gravidanza. Però che la donna abortisca chirugicamente o che la donna abortisca farmacologicamente, dal punto di vista morale per la donna che lo fa, non ci sono sostanziali diversità. La diversità può essere il fatto che si sta facendo una politica di commercializzazione della Ru486 che come al solito tende a massimizzare i vantaggi della pillola e a minimizzare gli aspetti più problematici. Tra i vantaggi che propagano c' è la semplicità d'uso. C'è il progresso tecnologico che ti fa pensare che abortire in questo modo possa essere meno doloroso e più discreto. Ma i fatti sono molto diversi.

La donna che abortisce assumendo la Ru486, finora, si è sempre regolata in questo modo: è andata in ospedale, ha ricevuto la prescrizione e il farmaco, il medico ha accettato di assumersi le conseguenze, dopo che la donna è tornata a casa. Il meccanismo dell'aborto è un meccanismo che prevede il distacco del bambino dalla parete dell'utero e poi la sua eleminazione attraverso l'emorragia. In alcuni casi, quando la somministrazione è avvenuta oltre la 7° settimana, non è mai stata totale, quindi si è dovuti intervenire successivamente con il raschiamento. Le donne che hanno abortito in questo modo, descrivono di averlo fatto con una intensità e durata di dolori superiori a quelli dell'aborto chirurgico che è più rapido e più controllato.

Quali sono le manipolazioni messe in atto dalle lobby antivita?

Paola Binetti: Si fa marketing puntando su vantaggi non veri. Perché può essere più prolungato il tempo dell'aborto, più doloroso, mentre l'emorragia che provoca permette di vedere l'eliminazione del feto che si è staccato. E poi c'è un rischio di conseguenze che era totalmente scomparso con l'aborto chirurgico. Tuttavia non si deve assolutamente lasciar credere che chi attacca la Ru486 lo fa perché sostiene l'aborto chirurgico. Vogliamo smontare una specie di mito e di atmosfera che si sono creati attorno all'aborto farmacologico e cioè che: “la donna può farlo anche a casa”. La preocupazione della Chiesa non è che questo aborto è più grave dell'altro - perché sono tutti gravi nello stesso modo - ma che questo tipo di aborto può ridurre nelle donne e nella coscienza sociale la consapevoleza che l'aborto non è altro che una questione di vita umana. Da quando 30 anni fa l'Italia approvò la legge 194 per l'interruzione volontaria della gravidanza, mettendo però al primo posto la tutela sociale della maternità, nulla si è fatto per potenziare e rafforzare la tutela sociale della maternità. Tanto è vero che la gente della strada la chiama la “legge sull'aborto”.

Secondo lei, quale parte della popolazione verrà toccata maggiormente da questa decisione?

Paola Binetti: Penso alle donne immigrate perché quelle italiane fanno maggiore ricorso alla contraccezione. In Italia infatti la natalità è bassissima. E' quindi un rischio che corrono più facilmente le donne immigrate per le quali le condizioni in cui si svolge la maternità sono condizioni molto difficili dal punto di vista economico, dal punto di vista della sicurezza del posto di lavoro per l'accesso ai servizi, soprattuto se si tratta di immigrate non regolari. Quello che preoccupa è la diffusione della mentalità abortiva. In Cina l'aborto per molto tempo è stato utilizzato per il controllo delle nascite e quelle che venivano abortite erano le bambine. Abbiamo una generazione totalmente scompensata. Inoltre, in Italia il nostro problema è l'invecchiamento della popolazione.

In molti dei suoi scritti ha parlato della vocazione delle donne alla maternità sia fisica che spirituale. In che modo, secondo lei, l'aborto reca una ferita a questa vocazione?

Paola Binetti: E' la mentalità abortiva che ferisce questa vocazione. Personalmente ritengo che anche un eccesso di concentrazione su se stesse, una mentalità eccessivamente individualista, sia l'anticamera diretta di una mentalità abortiva. La maternità è un dato che consacra in qualche modo il corpo della donna nella sua più alta e straordinaria e unica capacità di trasmettere la vita. Anche quando si pensa alla fecondazione medicalmente assistita, comunque il corpo della donna si fa da habitat naturale, emotivo, affettivo, oltre che fisico del bambino. La donna che perde questa sensibilità generativa, non perde soltanto la sensibilità di generare figli, perde anche la sensibilità di generare legami, rapporti, di costruire un ambiente più umano e più ricco e questo è un impoverimento pesantissimo per tuta la nostra società.

Tutti noi conosciamo, attraverso gli studi condotti da psichiatri e psicoterapeuti, quella che si chiama la sindrome post-abortiva. Per una donna consapevole la perdita del figlio resta come una ferita per tutta la vita e questo figlio mancato diventa una sorta di insanabile atto che condiziona poi anche la maternità successiva. Resta, insomma, nella donna la consapevolezza che questa cosa che ha fatto è una cosa grave.

Certamente poi ognuna di loro, si dà le argomentazioni che si dà, per cui è chiaro che dal nostro punto di vista non c'è mai una ragione sufficente per sopprimere una vita. Ma la stessa persona, a un certo punto, conserva l'idea che se non ci fosse stato quell'aborto forse alcune cose sarebbero state diverse: il rapporto con il compagno, con i figli, con i mancati figli.

In che modo la lotta dei movimenti pro-vita può essere intesa non tanto come una lotta ideologica quanto come la difesa di un diritto fondamentale?

Paola Binetti: L'istinto materno appartiene alla maturità della donna. La donna, anche da bambina, mostra nei suoi gesti una particolare sensibilità verso le relazioni di cura. E proprio questa maggiore attenzione al legame, al valore dell'amicizia, con questa maggiore sensibilità e ricchezza emotiva, si traduce in un bisogno di stare con l'altro. Non credo che sia facile banalizzarlo e ridurlo a ideologia. Dio affida l'uomo alla donna. Quando la donna volta le spalle a questo affidamento non è il singolo uomo ma è tutta l'umanità che perde questa dimensione di fragilità sperimentata e accettata all'interno della speranza di qualcuno che si prenda cura di noi.

__________________________________________________

OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
27/11/2009 06:46

Chiesto in Italia lo stop alla pillola Ru486


Roma, 26. La commissione Sanità del Senato italiano ha approvato, con il voto favorevole del Partito della libertà e della Lega e quello contrario del Partito democratico, il documento finale dell'indagine conoscitiva condotta sulla pillola abortiva Ru486. Nel documento si chiede di fermare la procedura di immissione in commercio della pillola in attesa di un parere tecnico del ministero della Salute circa la compatibilità dell'uso della Ru486 con la legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza. I voti a favore del documento sono stati 14, fra i quali quello del presidente della commissione, Antonio Tomassini, i contrari otto.


(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2009)
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
30/11/2009 09:52

RU 486: sempre un omicidio ma a domicilio

Incontro organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII


ROMA, domenica, 29 novembre 2009 (ZENIT.org).-
 
“Lo scopo principale per cui si vuole introdurre la pillola RU 486 in Italia è quello di passare dall’aborto in ospedale a quello a casa”. E' quanto ha sostenuto Assuntina Morresi, consulente del Ministero del Welfare, nell’incontro pubblico: “Pillola abortiva RU 486: l’azione della società civile per le donne e i bambini”, organizzato il 27 novembre a Modena dall’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.

Intervenendo all'evento, cui hanno aderito altre 11 associazioni del territorio, la Morresi ha spiegato che l'altro scopo “è quello aggirare la crescente obiezione di coscienza dei medici”.

“Con l’aborto chirurgico si ammazza una vita, con l’aborto chimico anche”, ha sostenuto Annibale Volpe, primario di Ginecologia e ostetrica al Policlinico di Modena, secondo cui oggi solo una bassissima percentuale di donne abortisce con questa metodica.

La vera ragione dell’introduzione della pillola, ha spiegato, è il profitto che ne ricaverà la casa farmaceutica, mentre per le donne rappresenta “un calvario”.“La Legge 194 prevede che l’aborto debba avvenire interamente in ospedale”, ha evidenziato Claudia Navarini, dell’Università Europea di Roma, che ha illustrato la storia della pillola e le problematiche legali e bioetiche connesse.

Lo stesso Ministero del Welfare, infatti, ha comunicato che la pillola è compatibile con la legge 194 solo se l’aborto avviene con questa modalità.

“Ma se nei fatti questo non avverrà perché le donne vanno tutte a casa, allora per il governo vuol dire che la legge è violata”, ha evidenziato la Morresi.

La Comunità Papa Giovanni XXIII per bocca di Giovanni Paolo Ramonda, responsabile generale, e di Andrea Mazzi, membro dell’associazione, ha ribadito che la pillola non cambia la natura dell’aborto, e ha denunciato come sulla pillola in tanti facciano forme di ‘pubblicità ingannevole’, non presentandone la sua vera natura e i rischi. Come esempio è stato citato un opuscolo prodotto dalle aziende USL e Policlinico di Modena.

Infine, si è parlato dei seri rischi di diffusione clandestina del prodotto.
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
30/11/2009 10:08

RU 486: c’è ancora molto da fare



di Renzo Puccetti*




ROMA, domenica, 29 novembre 2009 (ZENIT.org).-
 
La commissione sanità del Senato della Repubblica ha concluso la propria indagine conoscitiva sulla pillola abortiva RU 486, approvando a maggioranza un documento estremamente stimolante per la ricchezza di spunti che offre alla riflessione bioetica.[1]

In via preliminare si può affrontare il tema dell’opportunità di una discussione politica riguardo alla questione di un farmaco abortivo (etimologicamente il termine farmaco riconosce la duplice accezione di lenimento e di veleno; dal momento che la gravidanza, desiderata o meno, non costituisce di per sé un elemento patologico, per qualsiasi prodotto abortivo è difficile individuarne la valenza curativa).

Vi sono quanti sostengono che la decisione sull’aborto chimico sia di mera spettanza medico-scientifica. Nel caso italiano questa prospettiva individua nell’approvazione del prodotto da parte del CdA dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), e prima ancora da parte del suo comitato tecnico-scientifico, il punto di svolta oltre il quale ogni ulteriore discussione rappresenta un’indebita intromissione nella relazione sanitaria tra donna e medico.

In termini generali possiamo facilmente comprendere come tale impostazione sia estremamente debole. La bioetica ha tra le sue radici principali la evidenza che la conoscenza tecnologica è divenuta così potente nella sua capacità manipolatoria della vita umana, da rendersi necessario sottrarre l’esclusiva gestione delle decisioni all’ambito tecnico-scientifico.

A tal proposito si possono citare le parole della commissione che interruppe il Tuskegee Syphilis Study: «La società non può più permettere che l’equilibrio tra i diritti individuali e il progresso scientifico venga determinato unicamente dalla comunità scientifica».

L’aborto costituisce un intervento che, laddove legalizzato o depenalizzato, per la particolarità e rilevanza pubblica dei beni in gioco, viene comunque sempre normato in modo specifico attraverso leggi e regolamenti. Nel nostro paese la legge 194 definisce i criteri di non punibilità dell’aborto, ma non vi sono leggi che regolano in maniera distinta il taglio cesario, l’estrazione dentaria, o la polipectomia endoscopica.

L’indagine del parlamento italiano non può essere indicata come una bizzarra intromissione politica rinvenibile solo nel nostro paese, se non dimostrando scarsa conoscenza della questione. Le “relazioni pericolose” tra politica ed RU 486 costellano la storia del prodotto sin dagli esordi.

Come dimenticare le pressioni esercitate dal ministro della sanità francese Claude Evin sull’azienda Roussel Uclaf che aveva deciso di ritirare dal mercato la RU 486? Come tralasciare l’attivo coinvolgimento del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton nell’esortare l’azienda francese produttrice della pillola abortiva ad estenderne il commercio sul territorio americano?

Come omettere la commissione d’indagine parlamentare presieduta dal deputato Mark Sauder che negli USA ha prodotto un rapporto assai critico nei confronti dell’operato dell’ente americano per la sorveglianza dei farmaci? Ed il serrato dibattito nel parlamento australiano? E il concomitante impegno politico di alcuni medici coinvolti nella promozione della RU 486 nel nostro paese?

Alla luce di queste considerazioni l’interessamento dell’organo di rappresentanza del popolo italiano nell’affare RU 486 è da ritenersi non solo lecito, ma addirittura doveroso. È pertanto ridicolo accusare d’incompetenza una commissione parlamentare che al suo interno racchiude numerose e qualificate competenze, per di più presieduta dal senatore Tomassini, medico, già primario di ginecologia ed ostetricia, difficilmente accusabile di non possedere i requisiti per comprendere certi elementi di matrice tecnico-sanitaria.

Come peraltro già evidenziato attraverso un’ampia revisione scientifica dal Gruppo di Studio per l’Aborto Medico (GISAM), la commissione non ha potuto che prendere atto della presenza di elementi di criticità all’interno della procedura abortiva farmacologica con diversi articoli della legge 194.

L’indicazione che l’intera procedura abortiva si svolga all’interno delle strutture sanitarie individuate nella legge espressa nel documento approvato dalla commissione parlamentare deriva dalla preoccupazione che anche nel nostro paese si possano verificare casi tragici come quello di Rebecca Tell Berg, morta a 16 anni per emorragia secondaria ad aborto chimico gestito a domicilio, evitando inoltre che gli aborti avvengano in autobus, come è stato descritto nella letteratura scientifica.

La proposta della commissione senatoriale di un’analisi più approfondita della letteratura medica riguardo al profilo di sicurezza ed efficacia della procedura abortiva farmacologica nasce dalla consapevolezza che la legge italiana prevede il ricorso alle “tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza"; si tratta di qualità spesso attribuite alla pillola abortiva senza il necessario, metodologicamente rigoroso, supporto scientifico.

La supposta minore dolorabilità associata alla metodica di aborto chimico trova disconferma dall’intero corpo delle sperimentazioni cliniche, compresa quella appena pubblicata di Health Technology Assessment.

Non deve inoltre sfuggire la preoccupazione espressa dal prof. Casavola, presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, delle “ricadute nell'immaginario collettivo di ogni prodotto del progresso scientifico, potrebbe apparire più invogliante l'assunzione di una pillola rispetto alla complessità derivante dalla metodica dell'aborto chirurgico”.

Si tratta di una valutazione già empiricamente in parte esplorata dallo studio GISAM già ricordato. Adesso la palla è nelle mani dell’esecutivo. Qui preme identificare almeno altri due punti che sono da puntualizzare in maniera ulteriore.

Il primo riguarda una prassi tutt’altro che astratta, essendo stata adottata in Toscana dove, seppure il protocollo regionale preveda il ricovero ordinario di tre giorni per le donne che abortiscono con la RU 486, di fatto la quasi totalità abortisce anche fuori dalla struttura ospedaliera attraverso il ricorso alle dimissioni volontarie.

Si tratta di un comportamento che, per la sua vastità, per la coincidenza con le risultanze di un’estesa indagine giornalistica e per la dissonanza rispetto agli studi che indicano una preferenza delle donne a completare l’aborto in ospedale, non può non suscitare viva preoccupazione.

È da ritenere che una prospettiva tecnica di soluzione sia individuabile nel documento GISAM che la società Medico Scientifica Interdisciplinare Promed Galileo ha provveduto ad inviare anche agli organi competenti dell’esecutivo.

Sarebbe infatti paradossale che in nome della salute della donna si dovesse assistere a comportamenti su larga scala difficilmente inquadrabili come espressione di tutela della salute delle stesse donne che per giunta, proprio a causa dell’assunzione di responsabilità derivante dalla dimissione volontaria, non potrebbero neppure adire ai percorsi di tutela risarcitoria per eventuali danni alla salute derivanti da un accudimento sanitario insufficiente.

Il secondo aspetto che merita una riflessione ulteriore è quello dell’obiezione di coscienza. Rispetto a quello chirurgico il processo di aborto chimico è enormemente dilatato nel tempo. La inevitabile turnazione del personale sanitario non può andare a ledere il diritto del personale obiettore ad essere esonerato “dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza”.

Dal momento che col metodo farmacologico non esistono criteri standardizzati per definire l’avvenuta interruzione della gravidanza, devono essere date adeguate garanzie al medico obiettore il cui intervento non fosse “indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo” attraverso una codifica dei compiti e delle responsabilità nell’assistenza sanitaria delle donne che abortiscono col metodo chimico di cui il ministero deve farsi promotore e garante.

Data la complessità e la delicatezza di tali questioni è da temere che le modalità che il ministero del welfare ha adottato per dare seguito alle raccomandazioni della commissione d’indagine parlamentare[2] siano così vaghe da risultare insufficienti ad assicurare gli obiettivi annunciati.


---------

Cfr. www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=16&i... (accesso del 28-11-2009).

Cfr. www.ilbisturi.it/story_5453.html (accesso del 29-11-2009)
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
03/12/2009 21:43

In Italia l'Agenzia del Farmaco
conferma l'autorizzazione della Ru486


Roma, 3. La delibera del 30 luglio scorso che autorizza l'arrivo in Italia della pillola Ru486 "è pienamente coerente con l'esigenza di garantire che il percorso abortivo avvenga in ambito ospedaliero", come raccomandato dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi. È quanto afferma il consiglio di amministrazione dell'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), che, riunito ieri in seduta straordinaria, ha confermato la validità della decisione precedente e quindi del provvedimento di autorizzazione dello strumento abortivo. Il provvedimento, spiega l'Aifa in una nota, infatti, "oltre a definire il regime di dispensazione in esclusivo ambito ospedaliero, specifica che in particolare deve essere garantito il ricovero in una delle strutture sanitarie individuate dall'articolo 8 della legge 194 dal momento dell'assunzione del farmaco fino alla verifica dell'espulsione del prodotto del concepimento" e questo in sintonia con quanto richiamato dal ministro sulla necessità che l'aborto avvenga in ambito ospedaliero, in strutture sanitarie abilitate, con medici del servizio ostetrico ginecologico e sotto la sorveglianza del personale sanitario cui è demandata la corretta informazione sul trattamento, sui farmaci da associare, sulle metodiche alternative disponibili e sui possibili rischi del metodo. Il parere dell'Aifa è stato criticato però dal Ministero per il quale c'è bisogno di maggiore chiarezza circa la necessità della somministrazione della pillola in regime ospedaliero.
Il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, l'arcivescovo Rino Fisichella, rilevando come il ministro del Welfare Maurizio Sacconi e il sottosegretario Eugenia Roccella "hanno fatto quanto è nelle loro competenze per garantire il più possibile la sicurezza della salute della donna", ha aggiunto che la donna non deve essere "lasciata sola in una situazione così drammatica" mentre "la politica deve essere in grado di verificare la coerenza tra la pillola Ru486 e la legge 194". Una volta rispettate queste competenze, ha proseguito il presule, "tutti noi dobbiamo sentirci profondamente responsabili" perchè "l'aborto non è una passeggiata". L'arcivescovo Fisichella ha spiegato comunque che la legalizzazione della Ru486 "è un'operazione prevalentemente economica da parte delle lobby farmaceutiche".


(©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2009)
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
08/12/2009 07:27

Aborto, pillola abortiva e RU 486


ROMA, domenica, 6 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Per la rubrica di Bioetica, riportiamo le risposte di Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita (MpV), ad alcune domande poste dai lettori di ZENIT.




* * *

Se il feto fosse malformato non sarebbe meglio, per il bene stesso del nascituro, scegliere di abortire piuttosto che condannarlo ad una vita di sofferenze ed emarginazione?

Carlo Casini: È difficile immaginare che il bene di un malato sia la sua uccisione. Perché non ragioniamo così riguardo ai già nati? Piuttosto bisogna impegnarsi perché la società accolga e curi i malati sempre più amorevolmente e efficacemente. Siamo al solito punto: il nascituro è un bambino o non è un bambino?

Perché così tanta ostilità verso la pillola abortiva RU 486? La possibilità della RU 486 di "abortire a casa" non offre uno strumento per alleviare le sofferenze psicologiche della donna già così tanto provata, evitandole il ricovero in ospedale? Non sarebbe un modo per affrontare questa tragica scelta in un ambito più intimo e tranquillo quale quello di casa propria?

Carlo Casini: La RU 486 è un preparato chimico che produce l'aborto se assunta per bocca nei primi 50 giorni di gestazione. Produce un avvelenamento che, a sua volta, dopo due o tre giorni determina l'espulsione del feto.

Sulle sue modalità di azione e sui danni che produce alla donna (la mortalità della madre è 10 volte più elevata che nel caso dell'aborto chirurgico), hanno compiuto indagini accurate Assuntina Morresi ed Eugenia Roccella, ai cui lavori rimando (tra essi si veda: "La favola dell'aborto facile", Franco Angeli, Milano 2006).

I propugnatori di tale pillola sostengono che, una volta legalizzato l'aborto, è preferibile scegliere il metodo meno penoso per la donna. In realtà ci sono effetti alquanto negativi per la stessa madre. Ovviamente, come sempre nell'aborto, il danno maggiore riguarda il figlio.

Per la madre, ai rischi di carattere somatico si aggiungono quelli psicologici - dicono gli esperti -, perché la donna vede il figlio uscire dal suo corpo, vede il sanguinamento nei giorni precedenti, ne attende la morte, per un paio di giorni, mentre scompare la possibilità di tornare indietro.

Vi è poi una riflessione più vasta da svolgere. La produzione della RU 486 ha richiesto lunghi anni di studi, di sperimentazioni. Sono stati impiegati rilevanti mezzi economici e molte energie intellettuali. Se pensiamo a quante donne abortiscono per povertà, e a quanto sarebbe necessario offrire come alternativa all'aborto, è avvertibile tutta l'iniquità della vicenda.

In secondo luogo, lo scopo vero della RU486 non è affatto quello di rendere meno dolorosa l'I.V.G., ma quello di tendere alla soluzione finale: la privatizzazione dell'aborto, per renderlo facile, incontrollabile, saltando tutti i pur tenui filtri previsti dalle leggi legalizzatici, banalizzandolo culturalmente, perché è banale inghiottire una pillola bevendo un bicchier d'acqua.

Ancora la situazione non è questa, ma la tendenza e lo scopo perseguito sono questi. Al fondo vi sono due idee perverse: l'aborto non deve essere confinato a casi estremi e gravi, ma deve essere trattato come soluzione generalizzata, deve essere sostanzialmente equiparato a un contraccettivo. Inoltre, la pillola con la forza emotiva dei fatti, pretende di cancellare definitivamente la presenza di un essere umano: se basta bere un bicchier d'acqua ed inghiottire una pillola come un' aspirina o un analgesico, è facile autoconvincersi che non c'è di mezzo un bambino la cui vita è in pericolo.

Non sappiamo cosa avverrà nel prossimo futuro in Italia. Una cosa è certa: quanto più l'aborto diventa un fatto privato, tanto più bisognerà rafforzare nella mente e nel cuore delle madri, della famiglia e della società la capacità di vedere il figlio e il coraggio di accoglierlo. Perciò un formale legislativo riconoscimento del diritto alla vita dal concepimento è l'antidoto più efficace.

Che cos'è la pillola del giorno dopo? E' una pillola anticoncezionale o abortiva?

Carlo Casini: Basta leggere il foglietto illustrativo del preparato denominato "Norlevo" venduto nelle farmacie. Esso viene presentato come "contragestativo", va assunto per bocca entro i primi tre giorni dopo un rapporto sessuale "non protetto" e, a seconda del momento in cui è intervenuta l'ovulazione della donna, può impedire la fecondazione oppure "l'annidamento nell'utero dell'ovulo fecondato".

Il foglietto chiama il nuovo essere umano "ovulo fecondato" e chiama "contragestativo" l'effetto distruttivo dell'embrione, cioè l'effetto abortivo, ma le parole non cambiano la sostanza. In definitiva si tratta di un prodotto eventualmente abortivo. La donna che lo prende non può sapere se c'è stato o no un aborto, perché non sa se il rapporto sessuale è stato o no fecondante, ma ella inghiottisce le pillole proprio con l'intenzione che se un embrione si è formato, esso venga eliminato.

Per superare l'obiezione morale, i sostenitori della "pillola del giorno dopo" dicono che la gravidanza inizia con la fissazione dell'embrione nella mucosa uterina (che comincia 5-6 giorni dopo che esso, formatosi in una delle due tube - i condotti che vanno dalle ovaie all'utero - avvia "il viaggio" verso l'endometrio).

La gravidanza inizia con la nidazione - essi dicono -, prima di quel momento non può esserci interruzione di gravidanza. Ma da che mondo è mondo la gravidanza inizia con la fecondazione (concepimento), e comunque l'evento rilevante è l'uccisione del figlio appena generato.

Il meccanismo d'azione della "pillola" è ancora abbastanza oscuro, cosicché coloro che la difendono sostengono talora che essa altera lo stato delle tube ed impedisce l'incontro dello spermatozoo con l'ovocita. Ma altri - più numerosi - ritengono che ne venga alterata la mucosa uterina in modo da rendere impossibile l'impianto dell'embrione.

Nel Comitato Nazionale di Bioetica si è svolta una approfondita discussione su queste due tesi. Si trattava di valutare se il personale medico possa o no proporre obiezione di coscienza riguardo alla prescrizione e somministrazione della pillola.

La conclusione è stata affermativa: sì, è legittima l'obiezione di coscienza, perché anche nei casi dubbi vale il principio di precauzione. Nessuno può essere costretto a compiere gesti che possano uccidere un essere umano. Insomma: la pillola del giorno dopo è un preparato "eventualmente abortivo".

Per saperne di più, fare riferimento al libro di Carlo Casini "A trent' anni dalla legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza" (Cantagalli - Siena).

[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all'indirizzo: bioetica@zenit.org. I diversi esperti che collaborano con ZENIT provvederanno a rispondere ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]
11/12/2009 20:01

11 Dicembre 2009
 
 
Didier Sicard ha perso una figlia
uccisa da quella pillola "facile"
``L`APPARENTE FACILITA```
DELLA RU486 CI INQUIETA
Avremmo preferito non ritrovarci la pillola abortiva Ru486 sotto l’albero di Natale. Sgraditissimo regalo di una procedura di approvazione molto dubbia, nella quale l’Agenzia italiana per il farmaco ha deciso di ignorare le nuove evidenze di pericolosità dell’aborto chimico e le evidenti incompatibilità con la legge 194. Sarà molto difficile che un sistema nato per invitare le donne all’aborto a domicilio possa cambiare natura. E allora vogliamo ricordare l’avvertimento di Didier Sicard, presidente onorario del Comitato consultivo francese di etica. Interpellato lo scorso agosto dall’Osservatore romano, Sicard disse di considerare con preoccupazione l’idea che la Ru486 sia presentata “come una nuova libertà acquisita dalle donne”, in virtù dell’“apparente facilità di utilizzo che essa offre”. Al punto che “una donna che esiterebbe ad abortire può essere tentata di ricorrervi grazie alla sua apparente facilità di impiego”. Inoltre, “la Ru486 trasferisce alla sola responsabilità apparente della donna una decisione che spesso i medici non desiderano prendere”.
La chiave del ragionamento di Sicard, è proprio nell’insistenza su quell’aggettivo: “apparente”. La Ru486, dice Sicard, “ha provocato negli Stati Uniti un certo numero di morti, il cui meccanismo rimane oscuro”. E allora “il fatto principale rimane l’importanza di un controllo medico estremamente rigido durante il suo utilizzo”.
Come quel controllo sarà possibile in Italia (negli altri Paesi che usano la Ru486 si è già visto che in pratica non c’è), sarà la pratica a dirlo o a smentirlo. Ma vale la pena ricordare che le parole di Sicard sono dette a ragion veduta. Una sua figlia poco più che trentenne, Oriane, sposata a un americano, è proprio una delle donne morte negli Stati Uniti a causa della Ru486.

Nicoletta Tiliacos

piùvoce.net
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
14/12/2009 05:39

La storia vera della pillola abortiva RU 486



di Luigi Frigerio*


ROMA, domenica, 13 dicembre 2009 (ZENIT.org).-

L’essere umano viene concepito senza la sua volontà, e il suo sviluppo dipende per lo più dalla madre fin dalla nascita. In seguito la sua vita dipende dalla famiglia e dalla società in cui egli vive.

Nel 1978, a partire dall’episodio della nube tossica di Seveso, venne istituita in Italia la legge 194, che contiene norme sull’interruzione volontaria della gravidanza, entro i primi novanta giorni, a discrezione della donna e, dopo tale periodo, sulla base di indicazioni di natura medica. Gli interventi possono essere praticati unicamente presso ospedali pubblici, istituti ed enti autorizzati.

Durante gli anni ’80 fu introdotta in Francia la pillola RU 486 per consentire l’interruzione chimica della gravi danza. Questo prodotto consente, in molti casi, l’evacuazione di un embrione umano senza intervento chirurgico, riproponendo un tema che il referendum sulla legge 40, in merito alla procreazione medicalmente assistita, aveva già battuto in Italia col voto del 2005.

È in gioco la salute della donna – si è detto –; bisogna rendere più facile l’aborto nell’interesse di tutte le donne! Risulta dunque lecito uccidere un essere umano che non ha commesso alcun delitto né usato violenza, ma che crea “disagio” o, talora, accresce il “rischio”nella vita di altri? Romano Guardini aveva sottolineato i pericoli derivanti da una concezione per cui “l’uomo è diventato incline a trattare i suoi simili come cose che cadono sotto la categoria dell’utilità”.

In tutte le legislazioni la tutela della vita umana rappresenta il coronamento della proibizione di trattare l’uomo come “cosa”. Eppure, s’insiste sul fatto che la donna ha il diritto di disporre del proprio corpo e che quindi le è lecito esigere di stravolgere la propria gravi danza con metodi che corrispondano alle finalità da lei volute. Ma il nascituro, il figlio, non è semplicemente il corpo della madre, e neppure un suo organo o una sua emanazione, sebbene legato a lei così intimamente da formare con lei, appunto, una vita nella vita.

Sul piano strettamente culturale Cesare Cavoni e Dario Sacchini svolgono, attraverso il libro, “La storia vera della pillola abortiva RU 486” (Edizioni Cantagalli; pp. 288) un’azione informativa capillare che documenta in maniera ineccepibile gli aspetti controversi della pillola abortiva mifepristone (o RU 486). Il farmaco ha una scarsa tollerabilità sotto il profilo fisico e clinico; nume rosi studi pubblicati al riguardo, hanno evidenziato un numero elevato di emorragie, incremento del dolore, febbre, vertigini ed un’assai prolungata durata delle perdite di sangue.

Deve essere considerato inoltre il dato emergente, in base al quale l’aborto medico ha un tasso di insuccessi assai superiore rispetto a quello dell’aborto chirurgico. In questo libro gli aspetti etici vengono trattati con la preoccupazione di tutelare l’uomo agli albori del suo divenire di fronte all’egoismo crescente di una società adulta accecata da una logica meramente utilitaristica.

Quest’opera di “contro informazione” ha un significato sociale assai importante, perché ogni violazione della persona, special mente con la copertura della legge, apre la via ad un regime sostanzialmente contrario all’uomo e perciò totalitario.

Ogni azione coerente richiede la conoscenza dei fatti e la volontà libera di perseguire uno scopo.

Oggi dobbiamo arginare la tendenza a considerare la medicina al pari delle scienze “esatte”, perché questo riduzionismo di tipo matematico porta a censurare la dignità di ogni singolo essere umano.

Una medicina che abbia cura della persona non può essere meccanicistica. La clinica è un’arte dove la scienza si china innanzi all’umanità di ciascuno. La dignità della persona umana non può essere sacrificata a nessun altro interesse. Come diceva il noto medico statunitense William James Mayo, “il miglior interesse del paziente è l’unico interesse da considerare”. Il medico che cura la gravidanza deve difendere due volte questo supremo interesse.

---------

*Luigi Frigerio è docente di Ostetricia e Ginecologia all'Università di Milano. Fondatore insieme al prof. A. Ferrari della Società Italiana di Chirurgia Ginecologica, nel 1989 è stato nominato Segretario Scientifico di questa società.
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 07:38. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com