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La Ru486 ha ucciso ancora. Perché insistere?

Ultimo Aggiornamento: 14/12/2009 05:39
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30/11/2009 09:52

RU 486: sempre un omicidio ma a domicilio

Incontro organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII


ROMA, domenica, 29 novembre 2009 (ZENIT.org).-
 
“Lo scopo principale per cui si vuole introdurre la pillola RU 486 in Italia è quello di passare dall’aborto in ospedale a quello a casa”. E' quanto ha sostenuto Assuntina Morresi, consulente del Ministero del Welfare, nell’incontro pubblico: “Pillola abortiva RU 486: l’azione della società civile per le donne e i bambini”, organizzato il 27 novembre a Modena dall’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.

Intervenendo all'evento, cui hanno aderito altre 11 associazioni del territorio, la Morresi ha spiegato che l'altro scopo “è quello aggirare la crescente obiezione di coscienza dei medici”.

“Con l’aborto chirurgico si ammazza una vita, con l’aborto chimico anche”, ha sostenuto Annibale Volpe, primario di Ginecologia e ostetrica al Policlinico di Modena, secondo cui oggi solo una bassissima percentuale di donne abortisce con questa metodica.

La vera ragione dell’introduzione della pillola, ha spiegato, è il profitto che ne ricaverà la casa farmaceutica, mentre per le donne rappresenta “un calvario”.“La Legge 194 prevede che l’aborto debba avvenire interamente in ospedale”, ha evidenziato Claudia Navarini, dell’Università Europea di Roma, che ha illustrato la storia della pillola e le problematiche legali e bioetiche connesse.

Lo stesso Ministero del Welfare, infatti, ha comunicato che la pillola è compatibile con la legge 194 solo se l’aborto avviene con questa modalità.

“Ma se nei fatti questo non avverrà perché le donne vanno tutte a casa, allora per il governo vuol dire che la legge è violata”, ha evidenziato la Morresi.

La Comunità Papa Giovanni XXIII per bocca di Giovanni Paolo Ramonda, responsabile generale, e di Andrea Mazzi, membro dell’associazione, ha ribadito che la pillola non cambia la natura dell’aborto, e ha denunciato come sulla pillola in tanti facciano forme di ‘pubblicità ingannevole’, non presentandone la sua vera natura e i rischi. Come esempio è stato citato un opuscolo prodotto dalle aziende USL e Policlinico di Modena.

Infine, si è parlato dei seri rischi di diffusione clandestina del prodotto.
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