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Pio X e il terremoto del 1908

Ultimo Aggiornamento: 28/12/2008 10:20
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Pio X e il terremoto del 1908

Un padre premuroso per gli orfani di Reggio e di Messina


di Alejandro Mario Dieguez

Quella tragica mattina del 28 dicembre 1908 l'ufficiale postale Antonio Barrera riuscì per primo a dare notizia del disastro dalla postazione telegrafica di Scaletta Zanglea, raggiunta dopo una affannosa fuga lungo i resti della ferrovia:  "Scampata miracolosamente la vita. Sconosco sorte miei compagni. Messina distrutta".
Quattro ore prima, esattamente alle 5.20 del mattino, un terremoto che raggiunse l'xi grado della scala Mercalli, seguito da un maremoto di una violenza straordinaria, aveva devastato in soli 31 secondi le città di Reggio Calabria e Messina. Gli effetti furono catastrofici:  le vittime stimate 100.000, di cui 2.000 spazzate via dal mare.
Nelle ore successive, superata una iniziale reazione di incredulità, mentre a Roma le istituzioni statali, filantropiche e cattoliche incominciavano a organizzare i primi soccorsi, Pio X maturava una decisione che avrebbe senz'altro suscitato stupore:  recarsi personalmente sui luoghi del disastro, chiedendo al dirigente della sezione Ferrovie del ministero dei Lavori pubblici, un buon cattolico di origine veneta, una carrozza a disposizione. Purtroppo, il segretario di Stato Rafael Merry del Val e altri cardinali di curia, venuti a conoscenza delle trattative in corso, riuscirono a distogliere dal progetto il Pontefice, il quale, si dice, in seguito "ebbe a dolersi di essersi lasciato convincere".
Papa Sarto dovette quindi accontentarsi di guidare i soccorsi "a distanza":  i suoi primissimi provvedimenti furono l'apertura dell'ospizio di Santa Marta in Vaticano ai feriti e la costituzione di una commissione da inviare subito sui luoghi del terremoto per coordinare gli aiuti.
Il Pontefice seguiva nei minimi dettagli le problematiche legate ai soccorsi e, come era suo stile, interveniva personalmente in ogni singola decisione. Così, all'arcivescovo di Santa Severina in Calabria, che gli inviava una sconsolata relazione dei danni sofferti dalle chiese della sua diocesi, faceva rispondere risolutamente:  "Si terrà conto dei bisogni materiali specialmente delle chiese quando si sarà provveduto all'urgenza dei malati e dei senza pane".
Era ormai il 13 gennaio 1909 e Pio X attendeva ancora gli esiti della missione che aveva affidato una settimana prima al sacerdote reggiano Emilio Cottafavi:  provvedere all'imbarco degli orfani e dei feriti su un vapore, il "Cataluña", allestito come nave ospedale e messo a sua disposizione dall'armatore spagnolo Claudio López Brou de Comillas per il trasporto dei feriti all'ospizio di Santa Marta. Ma la nave, arrivata in ritardo per un'avaria, solo dopo molte polemiche, vicissitudini e ostacoli burocratici riuscirà a imbarcare 200 orfani che giungeranno al porto di Civitavecchia il 1° febbraio.
Oltre ai prodigi di carità che don Luigi Orione andava compiendo sui luoghi del terremoto, gli istituti religiosi romani, rispondendo a un esplicito appello di Pio X, fecero a gara per accogliere questi piccoli sventurati:  alcune comunità, come i Benedettini di San Calisto, si ridussero in quei giorni a dormire sulle tavole per ospitarne il maggior numero possibile e i monasteri femminili di clausura, prontamente dispensati dal Papa, aprirono le porte a tante ragazze che altrimenti avrebbero dovuto dormire nei capannoni della stazione Termini.
Due istituti furono appositamente fondati:  l'orfanotrofio Pio X delle Figlie del Sacro Cuore a Grottaferrata, che diede accoglienza a cinquanta bambine per le quali il pontefice provvide di tutto, dai letti al vestito, e l'istituto delle Missionarie Francescane di Maria di Monteverde a Roma, che ospitò fino a centottanta bambine, molte delle quali inviate dal Patronato di assistenza statale.
L'emergenza vide così impegnati in prima linea numerosi istituti che accolsero i bambini ora a titolo gratuito, ora dietro il pagamento di una modica retta:  sui luoghi del terremoto si distinsero, tra gli altri, l'orfanotrofio di Polistena - fondato dal vescovo Morabito di Mileto -, l'istituto della Provvidenza San Gaetano di Reggio Calabria, gli istituti delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Bronte e di Alì Marina, l'istituto Sacra Famiglia di Catania; mentre a Roma aprirono le loro porte gli Artigianelli di San Giuseppe, il Collegio Pio X dei Giuseppini e i diversi istituti dei Salesiani di Don Bosco, anche dell'Italia centrale.
Per rendere maggiormente stabile e duratura l'opera di assistenza, il 24 marzo 1909, Papa Sarto stanziò, dalla sua "borsa particolare", un milione di lire che secondo i calcoli doveva essere più che sufficiente al mantenimento e all'educazione di 400 orfani per un decennio.
Nominò poi come suo speciale incaricato l'avvocato romano Giuseppe Fornari, segretario del Comitato di soccorso della Gioventù Cattolica Italiana, affinché si prendesse cura degli orfani accolti per conto del Papa nei diversi istituti, "visitandoli, vigilando al loro benessere ed alla loro igiene, pagando le dovute quote mensili e provvedendo a tutto quanto era necessario per la loro buona riuscita".
Superata la prima emergenza, l'avvocato Fornari si adoperò per attuare la calda raccomandazione del Papa perché, qualora il collocamento dei bambini non potesse farsi nei luoghi d'origine, fossero raccolti il più possibile in Roma o nelle vicinanze e i fratelli fossero riuniti nello stesso istituto o almeno in istituti vicini.
Per più di un decennio quindi, come attestano le carte conservate nell'Archivio Segreto Vaticano recentemente messe a disposizione dei ricercatori, Giuseppe Fornari si prese cura come un padre degli orfani sotto ogni aspetto:  legale, sanitario, disciplinare, morale  e materiale. Incontrandoli periodicamente,  aiutava loro a orientarsi negli studi e a discernere la propria vocazione:  coloro che manifestavano maggiore predisposizione portarono a compimento  il corso magistrale per poi fare ritorno nelle loro terre come insegnanti, qualcun altro riuscì anche a compiere gli studi universitari. Negli altri casi, quando gli orfani venivano finalmente restituiti ai legittimi tutori, Fornari si adoperava per procurare loro strumenti di lavoro, come le macchine da cucito, che gli avrebbero permesso di affrontare la vita con le proprie forze.
Grazie all'oculata amministrazione gestita da Fornari, l'opera assistenziale avviata dal Papa diede un tetto e un mestiere a 605 orfani del terremoto calabro-siculo del 1908, poté essere estesa da Papa Benedetto xv a circa 240 bambini e ragazzi superstiti del terremoto della Marsica del 1915 e servì a lenire le miserie causate dall'epidemia influenzale, detta spagnola, del 1918. Anzi, a distanza di vent'anni dal disastro che oggi ricordiamo, quella somma stanziata da Papa Sarto era ancora sufficiente per sostenere qualche orfano, allora accolto piccolissimo o malato.
È questo un aspetto oggi meno noto della grande figura di san Pio X che non passò, però, inosservato ai suoi contemporanei, neanche alla stampa anticlericale,  la quale non poté nascondere la sua ammirazione per quanto, in silenzio, il Pontefice aveva compiuto.



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Luigi Orione e Annibale Maria Di Francia tra i sopravvissuti al funesto sisma

«Stasera dormirò coi morti»


di Aurelio Fusi

Il 28 dicembre si celebra il primo centenario del terremoto che distrusse le città di Reggio Calabria e di Messina. In quella occasione la capacità organizzativa dello Stato italiano, che aveva trovato la sua unità da pochi decenni, venne messa a dura prova dalle disastrose conseguenze del cataclisma. Ma, nello stesso tempo, la macchina dei soccorsi trovò validi collaboratori sia tra le fila dei civili come degli ecclesiastici. Tra questi ultimi è da annoverare san Luigi Orione, vero eroe di carità cristiana. Negli anni dal 1908 al 1912, le due città terremotate assistettero alla sua prima grande rivelazione pubblica, con la manifestazione della sua multiforme carità. Questa rivelazione di sé, Don Orione la diede luminosamente, "non nella confusione, bensì in una distinzione amorevole, in un calore di amore e di fervida coscienza", come testimoniò il duca Tommaso Gallarati Scotti.
Don Orione diverrà da allora il padre dei terremotati, non solo nel senso letterale, ma anche traslato e metaforico del termine, perché sarà padre dei terremotati della vita, dei poveri, dei malati, degli orfani. Il 1908, dopo momenti dolorosi come la morte del discepolo don Gaspare Goggi e della madre Carolina Feltri, fu l'anno del cambiamento, in cui il santo della carità lasciò Tortona per ampliare il suo campo d'azione. La permanenza di tre anni in Sicilia come vicario generale della diocesi di Messina segnò anche l'inizio della popolarità nazionale di don Orione, che da quella data in poi non sarà più solo e principalmente tortonese.
In questo centenario, molti ricorderanno quel tragico 28 dicembre per far emergere tra l'oscurità del male la luce della carità perché, come scrisse Seneca, "ciò che fu atroce a sopportare, può essere sublime a ricordare".
Domenica 27 dicembre 1908, sul giornale umoristico di Messina, "Il telefono", si poteva leggere una sacrilega parodia della novena di Natale con una delirante invocazione a Gesù Bambino, rimasta tristemente famosa:  "O Bambinello mio, vero uomo e vero Dio, per amor della tua croce, fa sentir la nostra voce:  Tu che sai, che non sei ignoto, manda a tutti un terremoto".
Ore 5.20 circa del giorno seguente:  una scossa di terremoto - di soli trenta secondi, ma del decimo grado della scala Mercalli - e un maremoto, con onde che raggiunsero i dieci metri di altezza, travolsero Messina e l'antistante costa calabra. I morti furono circa ottantamila, il 91 per cento degli edifici venne raso al suolo o reso instabile.
Don Orione apprese la notizia il 29 dicembre dai giornali che parlavano di distruzioni anche a Noto presso Siracusa dove la congregazione aveva già una colonia agricola. Scosso dalle notizie, anche se frammentarie, decise di intervenire. Si recò dal vescovo di Tortona il 2 gennaio 1909 per chiedere di potersi recare sui luoghi della sciagura a portarvi il suo aiuto. Per le spese di viaggiò non esitò a vendere un paio di buoi e il 4 gennaio, con la corsa delle 9.18, lasciò Tortona in compagnia di un sacerdote della diocesi, più anziano, don Carlo Pasquali e nella tarda serata fece una tappa a Roma, dove si fermò anche parte del giorno successivo, molto probabilmente per un salto in Vaticano, onde avere indicazioni e ricevere disposizioni. Ripartì in giornata e la mattina seguente - Epifania del 1909 - raggiunse la Calabria. Mentre don Pasquali proseguì lungo la costa tirrenica per raggiungere monsignor Morabito, vescovo di Mileto, egli passò sull'altro versante dell'appennino calabro, puntando su Cassano Jonio per predisporre con il vescovo La Fontaine l'accoglienza dei primi orfani.
Presi gli accordi con il vescovo, ripartì alla sera con il treno che aveva ancora qualche sobbalzo per le scosse di terremoto. La mattina del 7 era a Catanzaro Marina, da dove spedì il primo scritto per Tortona:  "Caro Sterpi, sono a Catanzaro Marina. Stanotte due scosse di terremoto. Stabilito apertura Colonia Agricola con monsignor La Fontaine. Sono diviso da don Pasquali. Vado Reggio. Pregate e fate pregare giovani".
Purtroppo la precarietà dei mezzi di trasporto frenò la marcia. Mentre aveva scritto "vado Reggio" nell'evidente previsione di raggiungere presto quella città, dopo una sessantina di chilometri il treno si fermò a Roccella Jonica. Ne approfittò per scrivere un secondo biglietto, questa volta indirizzato a don Giuseppe Ravazzano:  "Sono a poca distanza da Reggio. Stasera dormirò coi morti (...) Scrivo da una rovina. Avrò da farmi quattro ore a piedi. Stanotte due belle scosse che il treno saltava".
Ma, di nuovo, nonostante la speranza di essere presto a Reggio nel cuore della tragedia, dopo una settantina di chilometri, il treno si fermò a Bova e il viaggio venne nuovamente interrotto. Questa volta, però, la sosta fu provvidenziale. Per don Orione fu una breve parentesi di serenità nel concitato peregrinare di quei giorni. Cercata ospitalità presso il seminario locale, vi trovò i Salesiani e fra essi un suo antico insegnante all'oratorio di Valdocco di Torino. Gli ultimi quarantacinque chilometri, da Bova a Reggio, presentarono le maggiori difficoltà:  a coprirli occorsero un giorno e una notte.
Nel capoluogo calabro don Orione arrivò solo il 9 mattina. Raggiunse subito l'unico centro organizzato della città, la scuderia del palazzo arcivescovile, dove il vicario capitolare, Dattola, aveva organizzato un'infermeria. Già durante quella prima giornata di permanenza a Reggio, don Orione seguì il suo solito ritmo di attività, prendendo una sommaria visione della situazione. La città che prima del terremoto aveva circa quarantacinquemila abitanti, ora ne contava un terzo di meno ed era pressata da mille urgenti necessità. Per questo senza troppi indugi don Orione pensò di condurre a don Pasquali gli orfanelli che aveva raccolto, mentre lui sarebbe tornato a prestare la sua opera sul luogo del disastro. Così, la sera del 9 gennaio, lo stesso giorno in cui era arrivato a Reggio, ripartì con gli orfani per Gioia Tauro, presso Mileto, dove vi era la ferrovia ancora funzionante. La cittadina, seguendo la costa tirrenica, dista da Reggio solo cinquantuno chilometri. Ma siccome da quella parte la linea ferroviaria era interrotta e i bambini che portava con sé non avrebbero potuto affrontare complicati trasbordi o fare lunghi percorsi a piedi, risalì la costa jonica e fece trecentoventi chilometri impiegandovi una notte e un giorno. Arrivò, infatti, a Gioia Tauro alle 18 del 10 gennaio. Alle 20.30 era di nuovo in treno per ripetere i trecentoventi chilometri in senso inverso.
Il 12 e il 13 si fermò a Reggio che aveva fissato come base operativa. Il 14 era a Messina per parlare con il geometra Mazza di Rivanazzano e di lì fece un salto a Noto per visitare i suoi religiosi e per prendere un giovane come assistente degli orfanelli di Cassano Jonio. Il 17 era nuovamente in Calabria, come si rileva da un biglietto indirizzato a Don Sterpi:  "Sono stato a Noto e porto con me un giovane di quella Colonia che farà da assistente a Cassano. Stasera sarò a Gioia Tauro da monsignor Morabito. Fate pregare. Presto vengo; io sto bene; a Noto tutto bene". Il giorno dopo, 18 gennaio 1909, con la partenza di Don Pasquali e degli orfanelli per Cassano, venne fissata la prima tenda orionina in Calabria.
Nelle settimane successive Don Orione venne dirottato a svolgere la sua attività benefica a Messina dove il movimento di assistenza degli orfani coordinato da monsignor Cottafavi per la Santa Sede e dalla contessa Spalletti per il Patronato Regina Elena, finì per gravare in buona parte sulle sue spalle. Salì a bordo della nave "Cataluña", inviata da un marchese spagnolo, per raccogliere gli orfani nei porti ancora accessibili. Il 30 gennaio gli vennero affidati per decisione del prefetto gli orfani di Messina che don Orione suddivise fra le case di Cassano e di Noto; sentì il dovere di farsi papà e mamma per tutti quei piccoli, pur non avendo sempre i mezzi necessari per aiutarli, come avrebbero avuto bisogno.



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Da due santi un messaggio per l'Italia


di Flavio Peloso

La storia dell'Italia contemporanea ha ricevuto un notevole contributo dalla testimonianza di padre Annibale Maria Di Francia e di don Luigi Orione, uniti dal terremoto di Messina del 1908 e dalla santità. A far incontrare i due fu il terribile sisma che distrusse Reggio Calabria e Messina provocando decine di migliaia di morti.
Insieme i due santi scrissero una delle più gloriose pagine nella tragica storia di Messina:  salvarono dalla disperazione tantissime persone, diedero un futuro a migliaia di orfani, organizzarono la solidarietà di persone generose provenienti da gran parte dell'Italia.
Don Orione incontrò resistenze, avversità, subì anche un attentato. Al suo fianco, a consigliarlo, a difenderlo dalla malevolenza, c'era padre Annibale. Dalle macerie del disastroso terremoto lanciarono un ponte di solidarietà tra il nord e il sud dell'Italia.
L'unità d'Italia è stata fatta anche da santi come padre Annibale Di Francia e don Luigi Orione. Massimo d'Azeglio ha lasciato in tutti i libri della storia d'Italia una massima pronunciata all'indomani dell'unità della nazione:  "L'Italia è fatta, ora dobbiamo fare gli italiani". A dire il vero, l'Italia era già stata fatta ed erano ormai consapevoli del loro ruolo nazionale anche gli italiani.
Va riconosciuto, però, che al tempo di padre Annibale e di don Orione l'Italia era ancora profondamente divisa.
Quello che mancava, per fare l'unità, era la fraternità, che dell'unità è vero e insostituibile fondamento. Una fraternità non idealistica o pietistica, ma coniugata con il rispetto delle culture, con la solidarietà, con la pazienza prima e la promozione delle diversità poi. Ebbene, a stimolare questa fraternità nell'Italia del primo Novecento pochi eventi hanno contribuito quanto il dolore patito dalla gente della regione calabro-sicula con il terremoto del 1908 e quanto la solidarietà espressa sulle macerie di quei paesi da persone generose provenienti da tutta Italia.
A Reggio Calabria e Messina, negli anni dopo il terremoto, si parlavano tutti i dialetti d'Italia, assieme all'italiano  forbito  dei  vari  Tommaso Gallarati Scotti, Aiace Alfieri, Gabriella Spalletti Rasponi, Zileri Dal Verme, Gina e Bice Tincani e di altri.



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Tra i più disastrosi terremoti della storia

Il disastroso terremoto e maremoto in Sicilia e in Calabria del 28 dicembre 1908 che devastò Messina e Reggio Calabria.

A cura di Michele Squillaci, tratto da:  www.cronologia.it


E' appena passato il Natale, siamo nella notte tra il 28 e il 29 dicembre, ore 5,21 di lunedì 28 dicembre 1908. Un boato scuote la terra con violenza inaudita. Uno dei più tremendi terremoti della storia italiana si abbatte sulle due città meridionali; entrambe sono rase al suolo da una scossa catastrofica d'eccezionale gravità e da un’onda di maremoto. Le vittime furono circa 80.000 soltanto a Messina su una popolazione di circa 140.000 abitanti. Tra gli altri persero la vita la moglie e i figli di Gaetano Salvemini che a quel tempo insegnava presso l'Università di Messina. A Messina soltanto il 2% degli edifici non rimase danneggiato. A Reggio Calabria ci furono circa 15.000 morti su una popolazione di 45.000 abitanti. Numerose furono le vittime anche nei paesi limitrofi. Altissimo il numero dei feriti e catastrofici i danni materiali. Fu un disastro di proporzioni anche economiche che dopo un secolo non si é ancora rimarginato.


Che cosa succede ?


Questa probabilmente fu la domanda che girò in tempo reale nel mondo, secondo i parametri e la strumentazione dell’epoca, non appena i sismografi registrarono il verificarsi di un terremoto di grande magnitudo, inquadrabile settorialmente in una zona probabilmente ubicata in Italia. Nessuna ulteriore informazione disponibile, solo le tracce marcate dai pennini sui tabulati degli osservatori sismici che gli studiosi cominciarono velocemente ad analizzare ed interpretare. I telegrafi cominciarono a ticchettare in attesa di ottenere e scambiare notizie. Così….prima di ottenere una qualsivoglia comunicazione ufficiale molte nazioni del mondo e l’Italia stessa, furono informate attraverso la strumentazione scientifica del terremoto del 1908 che devastò Messina e Reggio Calabria.
I sismografi misero in evidenza solo la grande intensità delle scosse senza consentire però agli specialisti di individuare con altrettanta certezza la specifica localizzazione e solo di immaginare, ovviamente, i possibili danni provocati da un sisma di quella intensità. Gli addetti all’osservatorio Ximeniano annotarono: “stamani alle 5,21 negli strumenti dell'Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione: “Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri”.

 

I Luoghi


Messina città portuale della Sicilia, di antichissima origine, è situata sulla costa occidentale dell'omonimo stretto e dista circa 6 km dalla sponda calabra. Nel corso della sua storia fu soggetta a molte vicissitudini, alcune epidemie fecero strage dei suoi abitanti ed il terremoto del 1783 distrusse gran parte della città. Ricostruita, subì poi gravi danni nel periodo risorgimentale a causa dei bombardamenti cui fu soggetta da parte borbonica. Esclusi i bombardamenti, anche Reggio Calabria subì più o meno analoghe disavventure rimanendo anch’essa pressoché distrutta dal terremoto del 1783 che determinò la successiva riedificazione di molti dei suoi quartieri secondo un nuovo piano regolatore e con criteri innovativi.

 

Gli avvenimenti


Il 28 dicembre 1908, lunedì, alle ore 5,21 del mattino, nella piena oscurità e con gli abitanti in parte immersi nel sonno, un terremoto, che raggiunse il 10° grado della scala Mercalli, accompagnato da un maremoto, mise a soqquadro le coste calabro-sicule con numerose scosse devastanti. La città di Messina, con il crollo di circa il 90% dei suoi edifici, fu sostanzialmente rasa al suolo. Gravissimi i danni riportati da Reggio Calabria e da molteplici altri centri abitati del circondario. Sconvolte le vie di comunicazione stradali e ferroviarie nonché le linee telegrafiche e telefoniche. L’illuminazione stradale e cittadina venne di colpo a mancare a Messina, Reggio, Villa San Giovanni e Palmi, a causa dei guasti che si produssero nei cavi dell’energia elettrica e della rottura dei tubi del gas.
A Reggio Calabria andarono distrutte fra le altre, la villa Genoese-Zerbi e i palazzi Mantica, Ramirez e Rettano, nonché diversi edifici pubblici. Caserme ed ospedali subirono gravi danni, 600 le vittime del 22° fanteria dislocate nella caserma Mezzacapo, all'Ospedale civile, su 230 malati ricoverati se ne salvarono solo 29.
A Bagnara di Calabria crollarono numerose case. A Palmi andò distrutta la chiesa di San Rocco. A Trifase nei pressi di Catanzaro si ebbero molti danni ma fortunatamente pochi gli scomparsi data la modesta dimensione delle abitazioni. In Sicilia si ebbero crolli a Maletto, Belpasso, Mineo, S. Giovanni di Giarre, Riposto e Noto. A Caltagirone crollò per metà il quartiere militare.
A Messina, maggiormente sinistrata, rimasero sotto le macerie ricchi e poveri, autorità civili e militari. Nella nuvola di polvere che oscurò il cielo, sotto una pioggia torrenziale ed al buio, i sopravissuti inebetiti dalla sventura e semivestiti non riuscirono a realizzare immediatamente l’accaduto. Alcuni si diressero verso il mare, altri rimasero nei pressi delle loro abitazioni nel generoso tentativo di portare soccorso a familiari ed amici. Qui furono colti dalle esplosioni e dagli incendi causati dal gas che si sprigionò dalle tubature interrotte. Tra voragini e montagne di macerie gli incendi si estesero, andarono in fiamme case, edifici e palazzi ubicati nella zona di via Cavour, via Cardines, via della Riviera, corso dei Mille, via Monastero Sant'Agostino.
Ai danni provocati dalle scosse sismiche ed a quello degli incendi si aggiunsero quelli cagionati dal mare. Improvvisamente le acque si ritirarono e dopo pochi minuti almeno tre grandi ondate aggiunsero al già tragico bilancio altra distruzione e morte. Onde gigantesche, alte oltre 10 metri, raggiunsero il litorale spazzando e schiantando quanto esistente. Nel suo ritirarsi la marea risucchiò barche, cadaveri e feriti. Molte persone, uscite incolumi da crolli ed incendi, trascinate al largo affogarono miseramente. Alcune navi alla fonda furono danneggiate, altre riuscirono a mantenere gli ormeggi entrando in collisione l’una con l’altra ma subendo danni limitati. Il villaggio del Faro a pochi chilometri da Messina andò quasi integralmente distrutto. La furia delle onde, spazzò via le case situate nelle vicinanze della spiaggia anche in altre zone. Le località più duramente colpite furono Pellaro, Lazzaro e Gallico sulle coste calabresi; Riposto, S.Alessio, Briga e Paradiso su quelle siciliane.
Gravissimo il bilancio delle vittime. Messina che all’epoca contava circa 140.000 abitanti ne perse circa 80.000 e Reggio Calabria registrò circa 15.000 morti su una popolazione di 45.000 abitanti. Altissimo fu il numero dei feriti e catastrofici furono i danni materiali. Numerosissime scosse di assestamento si ripeterono nelle giornate successive e fin quasi alla fine del mese di marzo 1909.

 

Prime notizie e soccorsi


A Messina, sede della 1° squadriglia torpediniere della Regia Marina, si trovarono ancorate nel porto la torpediniere “Saffo”, “Serpente”, “Scorpione”, “Spica” e l'incrociatore “Piemonte”; a bordo di quest’ultimo un equipaggio di 263 uomini tra ufficiali, sottufficiali e marinai. Alle otto del mattino della stessa giornata del 28, la torpediniera “Saffo”, riuscì ad aprirsi un varco fra i rottami del porto. I suoi uomini e quelli della R.N. “Piemonte” sbarcarono dando così inizio alle prime opere di soccorso. Raccolte immediatamente oltre 400 persone, tra feriti e profughi, le stesse furono successivamente trasportate via mare a Milazzo.

Non fu possibile ritrovare vivo il comandante della “Piemonte”, Francesco Passino, sceso a terra nella serata precedente per raggiungere la famiglia e deceduto unitamente alla stessa a causa dei crolli.
A bordo dell’incrociatore, raggiunto da alcuni ufficiali dell’esercito sopravissuti al disastro ed in accordo con le autorità civili, furono assunti i primi provvedimenti per raccogliere ed inquadrare il personale disponibile, informare dell’accaduto il Governo e chiedere rinforzi.
Allo scopo l’incarico fu attribuito al tenente di vascello A. Belleni che con la sua torpediniera, la “Spica” ed altre unità lasciò il porto di Messina, malgrado le cattive condizioni del mare, raggiungendo alcune ore dopo Marina di Nicotera da dove riuscì a trasmettere un dispaccio telegrafico. Dello stesso fu poi data comunicazione anche al ministro delle marina: "Oggi la nave torpediniera Spica, da Marina di Nicotera, ha trasmesso alle ore 17,25 un telegramma in cui si dice che buona parte della città di Messina è distrutta. Vi sono molti morti e parecchie centinaia di case crollate. È spaventevole dover provvedere allo sgombero delle macerie, poiché i mezzi locali sono insufficienti. Urgono soccorsi, vettovagliamenti, assistenza ai feriti. Ogni aiuto è inadeguato alla gravità del disastro. Il comandante Passino è morto sotto le macerie".

 

Azione del Governo e della Marina italiana e straniera

La prima notizia ufficiale del disastro giunse quindi col telegramma trasmesso da Marina di Nicotera dal comandante della torpediniera Spica. Altre ne seguirono da diverse località e strutture dando un’idea approssimativa della catastrofe. Nella stessa serata del 28, riunito d’urgenza il Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio On. Giolitti esaminò la situazione emanando di concerto le prime direttive del Governo.
Il Comando di Stato Maggiore dell’esercito diffuse ordini operativi mobilitando gran parte delle unità presenti sul territorio nazionale. Il Ministro della marina fece comunicare alla divisione navale in navigazione nelle acque della Sardegna, composta dalle corazzate "Regina Margherita", "Regina Elena", "Vittorio Emanuele" e dall’incrociatore "Napoli", di cambiare rotta e dirigersi verso la zona disastrata. Il Ministro dei Lavori Pubblici l’On. Piero Bertolini partì subito per Napoli da dove, imbarcatosi sull’incrociatore "Coatit", raggiunse Messina. Anche il Re e la Regina partirono il 29 per Napoli; saliti poi sulla "Vittorio Emanuele", in sosta per caricare a bordo anche materiale sanitario e generi di conforto, raggiunsero la Sicilia nelle prime ore della giornata successiva.
Ma già nella mattinata del 29, la rada di Messina cominciò ad affollarsi. Una squadra navale russa alla fonda ad Augusta si diresse a tutta forza verso la città con le navi “Makaroff”, “Guilak”, “Korietz”, “Bogatir”, “Slava”, “Cesarevitc”. Subito dopo fecero la loro comparsa le navi da guerra inglesi “Sutley”, “Minerva”, “Lancaster”, “Exmouth”, “Duncan”,” Euryalus”.
Alcuni equipaggi scesi a terra furono immediatamente impiegati nelle operazioni di soccorso caricando a bordo sfollati e feriti e concorrendo generosamente ad azioni di salvataggio e di polizia. Subito dopo arrivarono le navi italiane che si ancorarono ormai in terza fila. Malgrado la sorpresa, nessuno…se la prese più di tanto anche se, qualche tempo dopo, la stampa intervenne polemicamente.
Messe in mare le scialuppe anche gli equipaggi italiani furono sbarcati ed impiegati secondo le esigenze del caso. Il Re e la regina arrivarono all’alba del 30. Con una lancia a motore, accompagnati dai ministri Bertolini e Orlando, percorsero la costa per poi fare ritorno a bordo della loro nave. Data la gravità e le difficoltà della situazione, la regina rimasta sulla corazzata contribuì con grande impegno alla cura degli infermi mentre il Re raggiunse la terraferma per portare alle truppe italiane e straniere, impegnate nelle difficili operazioni di prima assistenza, le proprie espressioni di elogio e riconoscenza.
Le navi da guerra, trasformate ormai in ospedali e trasporti, caricati i feriti fecero poi la spola con Napoli ed altre città costiere occupandosi anche di trasferire le truppe già concentrate nei porti ed in attesa di destinazione. Cominciò l’afflusso di uomini tra cui i Carabinieri delle legioni di Palermo e di Bari e molteplici reparti dell’esercito. A chi arrivò di notte la città di Messina apparve illuminata dagli incendi che continuarono ad ardere per parecchi giorni.
La R.N. “Napoli” da Messina si trasferì a Reggio Calabria. Il suo comandante U.Cagni, assunto provvisoriamente il comando della “piazza” e delle operazioni di soccorso, sbarcò i marinai della nave per organizzare l’assistenza ed impiantare un primo ospedale da campo destinato alla medicazione dei feriti leggeri. Quelli più gravi furono trasportati a bordo. Il Cagni divise poi la città in varie zone assegnandole agli uomini della “Napoli” ed alle truppe dell’esercito già disponibili in loco tra cui i superstiti del 22° fanteria ed alcuni distaccamenti del 2° bersaglieri sopraggiunti nel frattempo. I marinai assieme ad alcuni nuclei di carabinieri organizzarono anche pattuglie di ronda con lo scopo di provvedere anche alle esigenze di Pubblica Sicurezza.
La stampa uscì con le prime edizioni dei giornali riportando dapprima dati sintetici e poi informazioni dettagliate con il sopraggiungere di notizie più certe e particolareggiate. L'Italia, sbalordita, seppe così che a Reggio, a Messina, interi quartieri erano crollati, che sotto le macerie di case, ospedali e caserme erano scomparsi interi nuclei familiari, malati, funzionari, guardie e soldati. Venne inoltre a conoscenza della meravigliosa gara di solidarietà internazionale apertasi tra navi straniere ed italiane per portare aiuto ai superstiti e trasportare sui luoghi colpiti dal sisma i materiali e gli uomini necessari.
Il mondo intero si commosse capi di Stato, di Governo e il Papa Pio X, espressero il loro cordoglio ed inviarono notevoli aiuti anche finanziari. Unità da guerra francesi, tedesche, spagnole, greche, e di altre nazionalità lasciarono i loro ormeggi e, raggiunte le due sponde dello stretto, misero a disposizione anche i propri equipaggi per provvedere a quanto necessario distinguendosi peraltro nel corso delle azioni cui presero parte. In tutta Italia, oltre agli interventi organizzati dalla Croce Rossa e dall'Ordine dei Cavalieri di Malta, si formarono comitati di soccorso per la raccolta di denaro, viveri ed indumenti. Da molte province, partirono squadre di volontari composte da medici, ingegneri, tecnici, operai, sacerdoti ed insegnanti per portare, malgrado le difficoltà di trasferimento esistenti, il loro fattivo sostegno alle zone terremotate. Anche le Ferrovie, ormai dello Stato, inviarono proprio personale tra questi Gaetano Quasimodo che raggiunse Messina portando al seguito la famiglia ed il figlioletto Salvatore di soli 7 anni futuro premio Nobel per la letteratura.

 

Uomini, mezzi, materiali - Attività di Protezione Civile e di Pubblica Sicurezza


Gli ordini emanati raggiunsero immediatamente le Grandi Unità dipendenti. Ufficiali, sottufficiali e soldati inquadrati nei loro reggimenti raggiunsero quindi da tutte le città d’Italia le zone di adunata per trasferirsi senza indugio e senza interruzione nei settori assegnati nei pressi di Reggio e di Messina. Per il trasporto delle truppe, dei viveri e di tutti gli altri generi di soccorso, unità ospedaliere, attrezzature da lavoro, materiali da campo, cucine, ecc. si provvide con le navi della Marina Militare che contribuì all’azione di soccorso con 69 unità di varia tipologia e tonnellaggio nonché con i molti piroscafi civili requisiti o resi disponibili per la specifica necessità. Diverse colonne di soccorso, ripristinate le linee ferroviarie, raggiunsero con treni speciali le zone disastrate mentre altri contingenti, più vicini, si trasferirono “per via ordinaria” con i mezzi a propria disposizione. Al personale della Sanità militare che si premurò di predisporre gli ospedali da campo fornendo personale medico e paramedico specialistico, si unirono contingenti di volontari della Croce Verde, della Croce Bianca, di organizzazioni umanitarie e degli ospedali civili. La Croce Rossa e l’Ordine dei Cavalieri di Malta misero in funzione anche dei “Treni Ospedale” occupandosi della cura dei feriti e del loro trasferimento in altre città al fine di non intasare le strutture sanitarie locali.
A Messina ed a Reggio Calabria, entrati in funzione i Comandi, ed individuati con certezza i grandi settori di intervento si provvide a rivedere e ripianificare lo schema operativo iniziale. Uomini e materiali furono dislocati nelle località maggiormente colpite dal disastro e quindi smistati nelle zone di Messina, Reggio, Villa S. Giovanni, Pellaro, Palmi, Monteleone e Catanzaro. Da questi centri di raccolta i soccorsi si irradiarono anche nei comuni più piccoli e nelle frazioni minori. Alle truppe giunte nei primi giorni del gennaio 1909, se ne aggiunsero poi numerose altre. Complessivamente furono impiegati 55 reggimenti di fanteria, il 1° reggimento granatieri, 4 reggimenti di bersaglieri, 7 reggimenti di alpini, 3 di artiglieria, 5 del genio oltre all’intera brigata ferrovieri. Le brigate Brescia, Livorno, Napoli, Torino, Venezia, Verona, Salerno, Regina, Cremona, Pisa, Pistoia, Bologna, Ferrara, Parma, Sicilia, Ancona, Roma, Basilicata, Messina, Granatieri di Sardegna, Bergamo, Aosta e i reggimenti del genio, degli artiglieri e degli alpini raccolsero nuovi allori ed altre onorificenze oltre quelle già numerose assegnate alle rispettive bandiere. Parteciparono quindi alle operazioni oltre 20.000 uomini dell’esercito di cui circa 12.000 operarono a Messina mentre gli altri furono impiegati a Reggio Calabria e nel suo circondario. A questi raggruppamenti si unirono consistenti reparti dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza che oltre a collaborare nell’azione di soccorso si distinsero anche nell’assolvimento dei loro compiti istituzionali.
Il personale già presente e quello sopraggiunto, anche seguendo il principio della rotazione, fu impiegato nel difficile compito di spegnere incendi, ricercare feriti, soccorrere quanti seppelliti da detriti e macerie, distribuire viveri, recuperare valori e documenti da case, edifici pubblici e banche, trasportare materiali da costruzione, erigere baracche, tendopoli ed ospedali da campo, riadattare strade, acquedotti ed illuminazione pubblica, proteggere linee e stazioni ferroviarie dall’assalto della popolazione in fuga. Molti contingenti del genio ebbero tra l’altro l’ingrato compito di provvedere all’individuazione di aree sufficientemente capienti per la predisposizione di fosse comuni provvedendo alla raccolta ed alla successiva inumazione dei cadaveri.
Moltissimi i piccoli centri abitati raggiunti dalle squadre di soccorso sia in Sicilia che in Calabria. Tra questi quelli di Gazzi, Tremestieri, Galati, Ponte Schiavo, Scaletta, Roccalumera, S. Teresa di Riva, Salice, Villa S. Giuseppe, Rosalì, S.Alessio, S. Stefano d’Aspromonte, Melito, Condofuri, San Lorenzo, Roccaforte del Greco, Bagaladi, Bova, Africo, Scilla, Bagnara, Favazzina, La Guardia, Cannitello, Scaletta Zanclea, S. Lucia del Mela, Castroreale, Milazzo, Venatici, Spadafora. Bauso. Dappertutto furono raccolte vittime, distribuiti viveri ed assicurata l’assistenza necessaria.
Oltre ai servizi più specificatamente attinenti alla protezione civile, soldati, carabinieri e marinai furono inoltre impegnati nella predisposizione di pattuglie di ronda notturna per impedire il saccheggio di quanto abbandonato e disperso da parte di bande di sciacalli. Questo fenomeno fu posto in evidenza sin dai primi giorni a Messina dagli uomini della “Saffo”, in perlustrazione con marinai russi, che sorpresero alcuni malviventi intenti alla spoliazione dei cadaveri ed alla raccolta di oggetti abbandonati. Nuove significative segnalazioni pervennero poi da Reggio Calabria e da altre zone sinistrate.
Visto l’intensificarsi del fenomeno e l’esigenza di porvi freno il Tenente Generale Francesco Mazza, comandante del XII° Corpo d’Armata di Palermo e nominato Commissario Straordinario per i circondari di Messina e Reggio Calabria, richiese ed ottenne provvedimenti durissimi. Con decreti del 4 e del 7 gennaio 1909 fu proclamato lo stato d'assedio, nei comuni e nei circondari di Messina e di Reggio Calabria, ed istituiti appositi tribunali militari. Tra le pene previste: quella di morte mediante fucilazione. Furono aumentati i controlli e le ronde. Qualcuno, preso con le mani nel sacco, pagò con la vita il suo squallido gesto. Il provvedimento fu poi ritirato nel febbraio 1909.

 

Elogi del Re alle truppe - Accuse della stampa al Governo


Il Re rientrato a Roma dopo aver visitato i luoghi sinistrati della Sicilia e della Calabria, ritenne opportuno indirizzare in data 5 gennaio 1909 un proprio ordine del giorno di elogio al personale italiano e straniero, sempre impegnato con grave sacrificio nell’adempimento dei compiti assegnati:

“All'Esercito ed all'Armata,
Nella terribile sciagura che ha colpito una vasta plaga della nostra Italia, distruggendo due grandi città e numerosi paesi della Calabria e della Sicilia, una volta di più ho potuto personalmente constatare il nobile slancio dell'esercito e dell'armata, che accomunando i loro sforzi a quelli dei valorosi ufficiali ed equipaggi delle navi estere, compirono opera di sublime pietà strappando dalle rovinanti macerie, anche con atti di vero eroismo, gli infelici sepolti, curando i feriti, ricoverando e provvedendo all'assistenza ai superstiti.
Al recente ricordo del miserando spettacolo, che mi ha profondamente commosso, erompe dall'animo mio e vi perdura vivissimo il sentimento di ammirazione che rivolgo all'esercito ed all'armata.
Il mio pensiero riconoscente corre pure spontaneamente agli ammiragli, agli ufficiali ed agli equipaggi delle navi russe, inglesi, germaniche e francesi che, mirabile esempio di solidarietà umana, recarono tanto generoso contributo di mente e di opera".


In data 8 gennaio 1909 si riunì la Camera dei Deputati per esaminare alcuni provvedimenti urgenti di natura giuridica e finanziaria a favore delle località danneggiate. Accolte le misure proposte tra cui quelle inerenti nuove imposte e stanziamenti importanti da destinare alla ricostruzione, il 12 gennaio il Senato approvò a sua volta all’unanimità il progetto di legge a favore di Messina e di Reggio. Associandosi poi alle parole del Re emanò a sua volta un proprio ordine del giorno:


“Il Senato nell’intraprendere, col pensiero alla patria, l’esame dei provvedimenti intesi a risollevare le sorti delle province di Messina e di Reggio Calabria, rende omaggio e riverente plauso alle LL.MM. il Re e la Regina, a S. Maestà la Regina Madre ed ai Principi Reali, primi a portar sollievo al luogo del disastro; al Governo, all’esercito, alla nostra marina, alle Nazioni ed alle marine straniere, che con generosa abnegazione si adoprarono a riparare l’immensa sciagura che commosse tutte le genti civili”.


Non mancarono comunque polemiche. Alcune testate giornalistiche, criticando i provvedimenti finanziari adottati ed in particolare l’inasprimento delle tasse, accusarono il governo di aver speso molto e destinato male i fondi raccolti in occasione dei terremoti degli anni precedenti senza peraltro portare benefici alle popolazioni danneggiate.
Altri giornali, tra cui il “Tempo”, attribuirono poi ai Comandi militari gravi colpe: parziale incapacità nella gestione degli interventi di soccorso, confusione burocratica e ritardi nella distribuzione locale delle risorse, inefficienza e ritardi anche nelle azioni di recupero e riconoscimento delle salme. Ulteriori attacchi furono portati contro la Marina italiana in quanto giudicata meno sollecita e pronta ad affrontare gli eventi rispetto alla capacità ed alla funzionalità dimostrata dalle squadre navali straniere, facendo in ciò esplicito riferimento a quelle russa, inglese, francese e tedesca. Il “Giornale di Sicilia” lamentò anche manchevolezze nella distribuzione di viveri e di generi di conforto nonché difficoltà procedurali nell’erogazione degli aiuti.
Il Presidente del Consiglio Giolitti, pur non negando eventuali e possibili disfunzioni nella catena di comando e nella organizzazione dei soccorsi, difese le strutture e portò a propria e a loro scusante l’immensità del sinistro, peraltro imprevedibile anche nei suoi effetti collaterali. Il ministro Mirabello, nel tutelare l’operato della Marina, dichiarò calunnioso e strumentale ogni paragone con gli interventi anche di natura umanitaria che distinsero l’azione ampiamente riconosciuta come meritoria da parte di ufficiali e marinai del naviglio straniero.
Nel contempo al ministro della guerra, Casana, fu richiesto di recarsi a Reggio, a Messina, a Palmi e nel circondario per verificare di persona le accuse mosse dalle agenzie di stampa contro l’operato dell’esercito. Al suo rientro il 16 gennaio 1909, al fine di cancellare il discredito portato alle risorse umane ancora duramente impegnate per far fronte alle varie necessità dei luoghi disastrati, aggiunse il suo elogio a quello già precedentemente espresso dal Re e dal Parlamento:


“Al momento di lasciare questi luoghi terribilmente provati dalla sventura, invio a tutti gli appartenenti all'esercito, che hanno qui dato il generoso concorso dell'opera loro, il mio generoso saluto.
A quanti, superstiti al disastro, hanno concorso fino dal primo momento e con sereno eroismo alla grave e pietosa opera di soccorso, dimostrando all'evidenza che le più terribili prove non abbattono l'animo del soldato italiano, non ne diminuiscono l'energia e non gli tolgono la fede nell'avvenire, giunga il tributo della mia viva ammirazione.
“Ad essi e a coloro che, inviati qui da ogni parte d'Italia, hanno fatto a gara, col più generoso entusiasmo, per rispondere all'appello della patria, siano di giusto premio la lode di S.M. il Re ed il plauso della Nazione, di cui fu autorevole interprete il Parlamento. Un esercito nel quale sono così profondamente radicati il sentimento della fratellanza nazionale ed una illimitata abnegazione nell'adempimento del dovere, dà giusta ragione di una piena fiducia nei destini avvenire d'Italia".


Successivamente furono forniti, in maniera più o meno ufficiale, dati e statistiche sulle persone ritrovate vive sotto le macerie per un totale di circa 17.000 persone di cui: 13.000 circa salvate dai militari italiani, 1.300 dai russi, 1.100 dagli inglesi e 900 dai tedeschi. Con riguardo alle operazioni di trasporto della Marina militare le informazioni trasmesse diedero per certo, alla data del 2 gennaio 1909, il trasferimento nei vari ospedali di circa 10.300 feriti mentre altri 1.200 furono movimentati dalla marina inglese e circa 1.000 da quella russa. Altre informazioni riguardarono le numerose perdite subite dal personale dell’esercito, della Marina e di altre armi alcune delle quali avvenute nel corso delle operazioni di soccorso: complessivamente circa 1.000 uomini di cui un centinaio della Marina.
Ampio risalto fu poi dato anche all’impegno profuso da Re, dalla famiglia reale, ed in particolare a quello assistenziale reso nell’occasione dalla Regina Elena. Le cronache scandalistiche e le accuse in esse riportate, per lo più legate alla evidenziazione di fatti probabilmente veri ma legati ad avvenimenti temporalmente limitati, si ridussero in poco tempo a poche righe marginali per poi esaurirsi del tutto in mancanza di ulteriori elementi su cui fondare la critica. Forse…anche perché nello stesso periodo di tempo circolarono notizie ricavate dal Danzer’s Armée Zeitung, giornale viennese vicino agli orientamenti dei vertici militari imperiali, che in un articolo sostenne che l’Austria avrebbe dovuto trarre occasione dalla difficile situazione, causata dal terremoto di Reggio e Messina, per scatenare una guerra preventiva contro l’Italia. L’incidente si risolse diplomaticamente in breve tempo ma alcuni circoli austriaci, oltre a non dimostrare alcun sentimento umano, si rivelarono peggiori di molti degli sciacalli fucilati sul campo. Tempo al tempo…pensò qualcuno!

 

Interventi per la ricostruzione, premi e decorazioni


Assicurate attraverso i dispositivi di legge le risorse finanziarie e giunti importanti aiuti da varie parti del mondo furono analizzate le ipotesi di intervento per una riedificazione. Ad una primo suggerimento di demolire completamente quanto rimasto di Messina e costruirla in altra zona si ribellarono gli abitanti. Abbandonato il progetto fu iniziato lo sgombero delle macerie, la demolizione degli edifici inagibili, il ripristino dei servizi essenziali e delle case ancora in parte od in tutto abitabili. Istituite apposite commissioni fu rivisto il piano di urbanizzazione identificando criteri più idonei per le nuove edificazioni e richiedendo tra l’altro l’adozione di metodologie costruttive antisismiche. Per Messina non furono provvedimenti del tutto nuovi….il governo di Ferdinando IV di Borbone si era comportato analogamente a seguito del grande terremoto del 1783.
Per far fronte ai più immediati fabbisogni della popolazione si diede avvio alla costruzione di baracche di legno che sostituirono o si aggiunsero alle tendopoli. Sorsero quindi quartieri del tutto provvisori denominati americano, lombardo, svizzero, tedesco, ecc. in segno di riconoscenza verso i paesi che con i loro tangibili aiuti ne agevolarono la realizzazione; un quartiere fu intestato anche alla Regina Elena. I lavori non andarono avanti speditamente dando origine a nuove polemiche contro il Governo ed a nuovi corsivi dei giornali tra cui anche quelli pubblicati dalla “Domenica del Corriere” che uscì nel febbraio 1909, lamentando lentezze burocratiche ed illustrando come sempre la sua edizione con una delle prestigiose tavole di A. Beltrame.
Le baracche però fecero bella mostra di se per lungo tempo prima che il processo di vera e propria ricostruzione fosse completato. Quasi trenta anni! A cancellare quasi del tutto quanto salvato dal cataclisma del 1908 e quanto rimasto dopo la fase di ricostruzione pensò poi la seconda guerra mondiale.
Come in altre occasioni, nel maggio 1909 il Governo decise di ricompensare con specifica attestazione, civili, militari, enti ed organizzazioni umanitarie impegnate nelle operazioni di soccorso testimoniando così le particolari benemerenze acquisite dalle stesse nell’opera assistenziale svolta a favore dei terremotati. Vittorio Emanuele III, emanò quindi in data 6 maggio 1909, con il numero 338, un decreto con il quale furono fissate le modalità di concessione di una speciale medaglia di benemerenza, in due formati diversi ed in tre gradi, da attribuire ad enti, nel formato grande, ed alle persone nel formato piccolo, in quanto segnalate e riconosciute meritevoli della concessione da una speciale commissione all’uopo nominata. L’art. 3 del R.D. fu poi varato con quello del decreto del 21 ottobre 1909 n. 719, che modificò i colori del nastro di sospensione precedentemente stabiliti nella nuova tonalità verde orlata di bianco.
Venne poi approvata la legge 21 luglio 1910, n. 579, che converte in legge i decreti reali relativi al terremoto del 28 dicembre 1908, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n.196 del 23 agosto 1910.

 

 

Bibliografia:

A. Gori - Il Popolo Italiano nella storia della Libertà e della grandezza della patria dal 1800 ai giorni d’oggi. Vallardi Editore 1928.

L. Cappelletti – Storia d’Italia Dalla caduta dell’Impero romano d’occidente fino ai giorni Nostri (476-1900) Vallardi Editore – 1932.

Denis Mack Smith – Storia d’Italia 1861-1969 – Milano 1984.

Rivista Militare, Annata 1909.

Le navi di linea italiane- Ufficio Storico della Marina – Roma 1966.

Le Torpediniere Italiane - Ufficio Storico della Marina – Roma 1964.

Navi e Marinai – Uomini ed avventure dell’Italia sul mare – C.G.E. – Milano.

Collezionismo Italiano - C.G.E. – Milano 1979.

Italia del XX secolo – Rizzoli - Milano 1977.

E.Cataldi – Storia dei Granatieri di Sardegna – Ass. Naz. dei Granatieri di Sardegna, 1990.

R. Sermonti – I Carabinieri nella storia d’Italiana – Centro Editoriale Nazionale , Roma – 1980.

P. Sezanne – Le Decorazioni del Regno di Sardegna e del Regno d’Italia – Uffici Storici Esercito-Marina Aeronautica. Roma 1992.

C. Scarpa-P. Sezanne – Le Decorazioni del Regno di Sardegna e del Regno d’Italia – Uffici Storici -Esercito-Marina Aeronautica. Roma 1985.

Domenica del Corriere, anni 1908, 1909.

Cronache, manifesti, e documenti vari.

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