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II Domenica dopo l'Epifania

Ultimo Aggiornamento: 18/01/2009 22:39
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18/01/2009 22:39

Il segno di Cana
 
Commento al Vangelo di domenica 18 gennaio
II Domenica dopo l’Epifania
(Lc 24,1-8; Is 25,6-10a; Col 2,1-10; Gv 2,1-11)
di Giuseppe GRAMPA
parroco di San Giovanni in Laterano

Dopo la manifestazione all’intera umanità rappresentata dai Magi, dopo il battesimo che ci ha rivelato Gesù amico dei peccatori e Figlio amato, oggi una terza manifestazione a Cana. Che l’episodio di Cana sia un grande segno rivelatore di Gesù, anzi il primo, è detto esplicitamente al termine: “Gesù diede inizio ai suoi segni in Cana di Galilea…”. E concludendo il suo Vangelo, Giovanni scrive (20,30-31): “Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli. Ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”. Libro dei segni, il quarto Vangelo. E la pagina di Cana che non a caso ci viene proposta in questo tempo dopo l’Epifania, è appunto il primo dei segni compiuti da Gesù.

Questo termine, segno, merita d’esser colto nel suo spessore: la rivelazione di Dio è per segni. Si esclude che sia una rivelazione diretta, immediata. E’ un darsi, ma come attraverso una mediazione, una deviazione, una sorta di percorso obliquo che attraversa lo spessore talora pesantemente opaco della realtà per condurci oltre. Una preghiera del tempo natalizio lo dice mirabilmente: “Contemplando la gloria di Dio in una creatura visibile, ci sentiamo rapiti dall’amore delle bellezze invisibili”.

Non dobbiamo quindi leggere la pagina di Cana come un bozzetto, gustoso, di vita famigliare inondato da fiumi di vino eccellente. Attraverso il simbolismo dell’acqua mutata in vino e il riferimento all’ora “Non è ancora giunta la mia ora”, questo testo all’apparenza ingenuo rinvia alla Pasqua di Gesù, alla sua “ora” decisiva. Cana è tutt’altro che un testo ovvio. E’ testo di grande spessore simbolico, rivelativo del mistero di Gesù, in particolare della sua Pasqua. Notiamo che qui a Cana così come sul Calvario, Gesù si rivolge alla Madre con l’appellativo di “Donna”.

Ma vorrei sottolineare come questa manifestazione abbia un tramite significativo in Maria, il suo è un ruolo che possiamo dire “educativo”, cioè di colei che conduce a Cristo. Vero educatore è colui che mette sulla strada di una verità sempre più grande, sempre più liberante, non “sequestrando”, né “monopolizzando” la libertà dell’altro. Così ci appare anche Maria, tutta protesa a indicare il suo Figlio, tutta relativa a Cristo.

Anzitutto l’evangelista Giovanni sottolinea che prima invitata alla festa di nozze è proprio Maria. Si direbbe che grazie a Maria viene invitato anche Gesù con i suoi discepoli. Anche la cornice nuziale è significativa: allude all’alleanza come mistero sponsale, irrevocabile unione di Dio con l’umanità. Raccogliamo da questa pagina le due brevi parole che Maria pronuncia. La prima: “Non hanno più vino”. Potrebbe essere solo una costatazione, frutto di femminile premura. Questa parola indica un aspetto suggestivo del ruolo di Maria: la sua sollecitudine materna per gli uomini, il suo andare incontro ad essi nei più vari bisogni. Quindi la missione di Maria è quella di essere attenta a tutti i bisogni, a tutte le sofferenze dell’uomo.

La devozione del popolo cristiano che istintivamente ricorre a Maria nei momenti del bisogno ha avvertito questo sguardo attento alle nostre necessità. Quella che è forse la più antica preghiera mariana, ritrovata nelle sabbie d’Egitto su un piccolo papiro e certamente composta prima del III secolo, esprime questa fiducia: “Sotto la tua misericordia ci rifugiamo o Madre di Dio. Le nostre suppliche tu non le respingere nella necessità, ma dal pericolo liberaci, Tu sola casta, sola benedetta”. Si delinea qui il rapporto materno di Maria con noi, la sollecitudine per noi. Essa si prende cura di noi, sa di che cosa abbiamo bisogno, conosce ciò che ci manca e questa sua capacità di attenzione ha inizio con questo piccolo episodio di premura per i giovani sposi. Sembra un gesto di poco conto, eppure ha un grande valore simbolico.

E la seconda parola di Maria: “Fate quello che Lui vi dirà”. Maria è colei che invita a mettersi sotto la potenza del suo Figlio. Non viene Lei direttamente incontro al disagio degli sposi, ma invita ad affidarsi al suo Figlio, a compierne la parola, perché solo così si manifesta la sua forza salvatrice. Maria intercede per gli uomini: lei sa di che cosa abbiamo bisogno e vuole che si manifesti la potenza salvatrice del suo Figlio. Notiamo che questa è l’ultima parola di Maria riferitaci dai Vangeli: Dopo questa parola Maria tace. E’ quindi una parola ultima, come un testamento. Maria si pone dinanzi a noi come Colei che indica la volontà di Dio: fate quello che Lui vi dirà. Posiamo dire che attraverso questa parola Maria appare davvero come la grande educatrice del popolo cristiano, educa a guardare il suo Figlio, ascoltarne la parola, vivere di questa parola.
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