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INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE

Ultimo Aggiornamento: 11/02/2009 15:32
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Predicatore del Papa: i cristiani riscoprano la bellezza del matrimonio


Intervento all'Incontro Mondiale delle Famiglie


CITTA' DEL MESSICO, mercoledì, 14 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, ha affermato questo mercoledì intervenendo all'Incontro Mondiale delle Famiglie che i cristiani devono riscoprire “l'ideale biblico del matrimonio e della famiglia” per poterlo proporre al mondo di oggi.

Non bisogna solo “difendere” l'idea cristiana di matrimonio e famiglia, ha osservato; l'aspetto più importante è infatti “il compito di riscoprirlo e viverlo in pienezza da parte dei cristiani, in modo da riproporlo al mondo con i fatti, più che con le parole”.


Il sacerdote ha dedicato il suo intervento nella prima giornata del Congresso Teologico-Pastorale del VI Incontro Mondiale delle Famiglie a spiegare come per secoli lo stesso pensiero cristiano abbia lasciato in secondo piano, di fronte alla visione istituzionale, il significato sponsale del matrimonio, presente con forza nella Bibbia.


Alla base delle attuali “inaccettabili proposte del decostruzionismo”, constata, c'è un'“istanza positiva” da accogliere, ed è la revisione della visione del matrimonio come unione e donazione tra i coniugi.

“Ma questa critica va nel senso originario della Bibbia, non contro di essa!”, ha avvertito il cappuccino. “Il Concilio Vaticano II ha recepito questa istanza quando ha riconosciuto come bene ugualmente primario del matrimonio il mutuo amore e aiuto tra i coniugi”.


“Anche le coppie credenti – talvolta esse più delle altre – non riescono a ritrovare quella ricchezza di significato iniziale dell'unione sessuale a causa dell'idea di concupiscenza e di peccato originale per secoli associata a quell'atto”.


Secondo padre Cantalamessa, è dunque necessario riscoprire l'unione sessuale come immagine dell'amore di Dio.


“Due persone che si amano – e quello dell'uomo e la donna nel matrimonio ne è il caso più forte – riproducono qualcosa di ciò che avviene nella Trinità”, ha spiegato. “In questa luce si scopre il senso profondo del messaggio dei profeti circa il matrimonio umano, che cioè esso è simbolo e riflesso di un altro amore, quello di Dio per il suo popolo”.


Ciò presuppone il fatto di “rivelare il vero volto e lo scopo ultimo della creazione dell'uomo maschio e femmina: quello di uscire dal proprio isolamento ed 'egoismo', di aprirsi all'altro e, attraverso la temporanea estasi dell'unione carnale, elevarsi al desiderio dell'amore e della gioia senza fine”.


Il predicatore pontificio ha segnalato in questo senso l'accoglienza “insolitamente positiva” che ha avuto in tutto il mondo l'Enciclica “Deus caritas est”, che insiste su questa visione dell'amore umano come riflesso dell'amore divino.


Un'altra questione, ha aggiunto, è la “pari dignità della donna nel matrimonio. Essa, abbiamo visto, è nel cuore stesso del progetto originario di Dio e del pensiero di Cristo, ma è stata quasi sempre disattesa”.


Non ribattere, ma proporre


Padre Cantalamessa ha spiegato che di fronte alla situazione attuale di “contestazione apparentemente globale del progetto biblico su sessualità, matrimonio e famiglia” è necessario evitare l'errore di “passare tutto il tempo a controbattere le teorie contrarie, finendo per dare loro più importanza di quello che meritano”.


La strategia non è di “scontro con il mondo”, ma di dialogo, perché “la Chiesa è in grado di trarre profitto anche dalle critiche di chi la combatte”, ha affermato.


Un altro errore da evitare è “puntare tutto su leggi dello Stato per difendere i valori cristiani”.


“I primi cristiani, abbiamo visto, con i loro costumi cambiarono le leggi dello Stato; non possiamo aspettarci oggi di cambiare i costumi con le leggi dello Stato”, ha ammesso.


Rispetto all'attuale decostruzione della famiglia, o “gender revolution”, il sacerdote ha spiegato che ha una certa analogia con il marxismo e ha ricordato che di fronte a questo la reazione della Chiesa fu “l'antico metodo paolino dell'esaminare tutto e ritenere ciò che è buono”, sviluppando “una propria dottrina sociale”.


“Proprio la scelta del dialogo e dell'autocritica ci dà il diritto di denunciare questi progetti come 'disumani', contrari cioè non solo alla volontà di Dio, ma anche al bene dell'umanità”, ha aggiunto.


“L'unica nostra speranza è che il buon senso della gente, unito al 'desiderio' dell'altro sesso, al bisogno di maternità e di paternità che Dio ha inscritto nella natura umana resistano a questi tentativi di sostituirsi a Dio, dettati più da tardivi sensi di colpa dell'uomo, che da genuino rispetto e amore per la donna”, ha concluso.

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Cardinal Ouellet: la crisi antropologica spiega le legislazioni anti-famiglia


Il primate del Canada interviene all'Incontro Mondiale delle Famiglie

CITTA' DEL MESSICO, mercoledì, 14 gennaio 2009 (ZENIT.org).- La crisi della famiglia non è solo morale, ma più profonda, antropologica – relativa al concetto dell'uomo e della donna –, il che spiega le legislazioni contrarie all'istituzione familiare, ha affermato il Cardinale Marc Ouellet, P.S.S.


Nella giornata inaugurale del Congresso Teologico-Pastorale con cui è iniziato il VI Incontro Mondiale delle Famiglie, l'Arcivescovo di Québec ha illustrato l'attuale “confusione dei valori” che spiega l'adozione in alcuni Paesi di leggi che danno il riconoscimento giuridico del matrimonio alle coppie omosessuali, includendo la possibilità di adottare bambini.


Secondo il primate del Canada, è in gioco una “battaglia culturale” in cui “una visione del mondo senza Dio intende soppiantare l'eredità giudeo-cristiana”, con danni gravi “sul piano umano, sociale e religioso”.


Come conseguenza, constata il porporato, “alla crescente fragilità delle coppie si sono aggiunti i gravi problemi educativi legati alla perdita dei modelli paterni e all'influenza di correnti di pensiero che rifiutano le stesse basi dell'istituzione familiare”.


Questa crisi antropologica, particolarmente estesa in Occidente, è stata promossa soprattutto dall'ideologia del genere (gender theory), che snatura “la realtà del matrimonio e della famiglia proponendo la nozione della coppia umana a partire dai desideri soggettivi dell'individuo, rendendo praticamente insignificante la differenza sessuale, al punto da trattare in modo equivalente l'unione eterosessuale e le relazioni omosessuali”.


Secondo questa teoria, ha spiegato il Cardinale, “la differenza sessuale inscritta nella realtà biologica dell'uomo e della donna non influisce in modo significativo sull'identità sessuale degli individui, perché questa è il risultato di un orientamento soggettivo e di una costruzione sociale”.


“Sotto la pressione di queste ideologie a volte apertamente anticristiane, certi Stati procedono a legislazioni che ripensano il senso del matrimonio, della procreazione e della famiglia, senza tener conto delle realtà antropologiche fondamentali che strutturano le relazioni umane”.


Varie organizzazioni internazionali, ha denunciato, “partecipano a questo movimento di distruzione del matrimonio e della famiglia a favore di certi gruppi di pressione ben organizzati che perseguono i propri interessi a detrimento del bene comune”.


La Chiesa cattolica, osserva, “critica fortemente queste correnti culturali che ottengono troppo facilmente il sostegno dei mezzi di comunicazione moderni”, perché sconvolgono la natura stessa dell'uomo e della donna.


Di fronte a questo panorama, il porporato ha proposto a quasi trent'anni di distanza di riscoprire le proposte fatte da Giovanni Paolo II nell'Esortazione Apostolica post-sinodale
Familiaris Consortio (22 novembre 1981).

In essa, il magistero pontificio “definisce il matrimonio come unione personale in cui gli sposi si donano e si ricevono reciprocamente”, ha spiegato il Cardinale canadese.


“Definendo l'essenza della famiglia e la sua missione con l'amore e non in primo luogo con la procreazione, il Papa non fa una dubbia concessione alla mentalità contemporanea”, ha spiegato Ouellet.


Vuole infatti raggiungere “le basi stesse della realtà”, affermando la continuità intima “tra l'amore personale degli sposi e la trasmissione della vita”.


In questo modo, ha spiegato, i tre valori del matrimonio – la procreazione, l'amore fedele e l'indissolubilità – trovano il loro “asse” nell'“amore coniugale fecondo”.


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Il perché la famiglia non trasmette valori


Intervista al direttore della rivista "Humanitas", Jaime Antúnez Aldunate

di Jaime Septién


CITTA' DEL MESSICO, mercoledì, 14 gennaio 2009 (ZENI.org).- Con la conferenza “Che cos'è il valore?”, il professore e giornalista cileno Jaime Antúnez Aldunate ha svolto questo martedì un ruolo fondamentale nella prima giornata di lavori del Congresso Teologico-Pastorale che si celebra nel contesto del VI Incontro Mondiale delle Famiglie in Messico.


Jaime Antúnez Aldunate è fondatore e direttore, dal 1996, di “Humanitas” (
www.humanitas.cl), una delle riviste più importanti dell'America Latina sull'antropologia e la cultura cristiana, appartenente alla Pontificia Università Cattolica del Cile.


E' anche autore del libro di interviste “Crónica de las ideas”, in cui – tra personaggi di spicco come Jean Guitton, Julián Marías, Eugène Ionesco, Octavio Paz, il Dalai Lama, Robert Spaemann, André Frossard o Josef Pieper – offre una conversazione (“El problema de fondo”) con l'allora Cardinale Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI.

Riportiamo di seguito l'intervista concessa a ZENIT da Antúnez Aldunate, che è laureato in Filosofia.


Che cos'è “il valore” (tema del suo intervento) in un mondo come il nostro che, a quanto pare, ha la fobia per ciò che non è relativismo e soggettivismo?


Jaime Antúnez Aldunate: Nel linguaggio corrente, in genere per valore si intende un'opinione stabile, identificabile con una posizione etica, in contrasto con la mera opinione congiunturale, come quelle politiche, quelle economiche e altre di questo tipo. Entrano così nella categoria della discussione dei valori soprattutto quelle riferite a temi come la famiglia, l'aborto, il diritto alla vita, la riproduzione sessuale, ecc. A questo proposito, a volte si parla della “questione di valori”.


Bisogna tuttavia andare piano e sono necessarie alcune distinzioni, perché un valore, che potrebbe essere inteso come un bene riconosciuto in quanto tale, per essere effettivamente riconosciuto come bene deve in primo luogo essere sperimentato. Questo fa parte dell'essenza del valore quando si tratta il tema della cultura.

La cultura, che il Concilio Vaticano II ha definito come lo stile di vita comune che caratterizza un popolo e comprende la totalità della sua vita, può allora essere vista, dalla prospettiva dei valori, come beni che le persone sperimentano nella vita di una società. Per cultura si può intendere in questo senso l'insieme dei valori che animano la vita di un popolo e dei disvalori che lo debilitano, o anche le forme attraverso le quali quei valori o disvalori si esprimono e si configurano nei costumi, nella lingua, nelle istituzioni e nella convivenza in generale.

La tradizione aristotelica parlava più delle virtù, ma ad ogni modo virtù o valori, gli uni e gli altri lo sono in quanto realtà vissute e non mere opinioni. Se non sono capaci di coltivare la persona – nel senso di generare in lei una promozione del suo essere – siamo sul piano di semplici giustificazioni o illusioni razionali, senza un legame vero con il bene, la verità e la bellezza. Andremmo nella direzione del nichilismo, come l'ha definito Nietzsche, situazione in cui i valori si spezzano, smettono di avere forza, perdono la propria finalità, in cui non esiste risposta alla domanda relativa al perché.


Questo è generare soggettivismo e il più puro relativismo. Se si parla di relativismo dei valori, guardiamo soprattutto al piano dell'esperienza, perché il relativismo ha a che vedere, più che con il linguaggio e i discorsi, con le rotture familiari, con la secolarizzazione della donna, con la crisi sociale della figura del padre, con la volontà di non impegnarsi e con molti altri atteggiamenti di questo tipo. Il valore, ovviamente, non si basa su un discorso, ma su un modo di essere persona, e quindi su una cultura. Il relativismo e il soggettivismo si sviluppano in assenza di questa.


La famiglia ha perso terreno di fronte ai mezzi elettronici di comunicazione per quanto riguarda la formazione ai valori umani e cristiani dei figli?


Jaime Antúnez Aldunate: Già il Servo di Dio Giovanni Paolo II parlava, ad esempio nella sua
Lettera alle Famiglie del 1994, del dramma dei moderni mezzi di comunicazione soggetti alla tentazione di manipolare il messaggio, falsando la verità sulla persona umana, producendo con questo profonde alterazioni nell'uomo del nostro tempo, al punto da potersi parlare, in questo caso, di una “civiltà malata”, come diceva.

In 18 anni molta acqua è passata sotto i ponti e il problema si è aggravato considerevolmente, abbracciando anche altre dimensioni.


Ad esempio, si consideri la crescente dipendenza dei giovani dai più svariati mezzi di comunicazione elettronici. E' chiaro che – al margine dell'utilità che ovviamente possono avere se usati in modo positivo – si va generalizzando l'abitudine mentale di vivere “connessi”, situazione preoccupante per la forte carica disumanizzante che comporta, che disloca il vivere “comunicato” naturale e personale che caratterizza una società di persone umane. Mentre il secondo aspetto, lo dice la parola, è proprio della comunione interpersonale, non accade lo stesso con la connessione, sempre più impersonale, attivante e sintomatica allo stesso tempo della solitudine in cui vive l'uomo contemporaneo, soprattutto milioni di giovani.


Tutto questo, nel momento in cui penetra la relazione tra persone – e concretamente tra i componenti della famiglia –, è un velenoso succedaneo di fronte all'indebolimento generalizzato che subisce la comunione personale.

Diciamo però qualcosa di più. Questo processo, nei suoi tratti psicologico-culturali, è il portico perfetto di una mistica nichilista – che potremmo chiamare mistica “del nirvana” perché l'apparenza si sovrappone alla realtà – in cui l'uomo si immerge in un universo di illusioni. In un contesto come quello attuale, che tende al predominio del virtuale e in cui l'apparenza viene vissuta come realtà, traspare una profonda sintonia con quei fenomeni mistico-nichilisti. Non stupisce quindi che oggi le manifestazioni di questi misticismi nichilisti proliferino in modo notevole, esprimendosi attraverso forme molto varie, dal cosiddetto New Age – grandemente pubblicizzato – al campo delle musiche popolari. Un esempio tipico di quest'ultimo aspetto è ad esempio il testo della canzone di John Lenon “Imagine” (Imagine there's no heaven / It's easy if you try / No hell below us / Above us only sky / Imagine all the people / Living for today... / Imagine there's no countries / It isn't hard to do / Nothing to kill or die for / And no relion too / Imagine all the people / Living life in peace...)


Quale ruolo devono svolgere i laici – concretamente i laici nei mezzi di comunicazione o in politica – per ridisegnare una strategia in cui la famiglia torni ad essere formatrice ai valori?


Jaime Antúnez Aldunate: Le rispondo con alcune parole molto giuste di Benedetto XVI rivolte a un gruppo di Vescovi in visita ad limina. Il Pontefice afferma che uno dei principali obiettivi dell'attività del laicato è il rinnovamento morale della società, che non può essere superficiale, parziale e immediato, ma dovrebbe essere caratterizzato da una profonda trasformazione dell'ethos degli uomini, ovvero dall'accettazione di un'opportuna gerarchia di valori, in base alla quale si formano gli atteggiamenti.


Questo pensiero è una sintesi perfetta di ciò di cui stiamo parlando, e la risposta ultima e certa a ciò che mi chiede. Noi laici abbiamo una responsabilità essenziale in quella profonda trasformazione, oggi più necessaria che mai, che richiede l'“ethos”, vale a dire la gerarchia dei valori, ma valori ancorati ad atteggiamenti vissuti, gli unici capaci di dare forma a una cultura.

Non bastano quindi le argomentazioni. Il primo cristianesimo si è costruito con il sangue dei martiri.


Come conoscitore dell'attuale Papa Benedetto XVI, quali sono le linee fondamentali del pensiero del Santo Padre sul rapporto mondo moderno-famiglia-valori?


Jaime Antúnez Aldunate: Il Santo Padre ha fatto appello, in modo sempre più bello e profondo, alla necessità dell'uomo del nostro tempo di uscire dal riduzionismo in cui lo ha posto l'Illuminismo. E' stata questa la chiave del suo celebre discorso all'Università di Ratisbona, in Germania, nel settembre 2006, e poi del suo discorso – non pronunciato – all'Università La Sapienza di Roma, così come del suo intervento a Parigi di fronte ai costruttori della società. In tutte queste occasioni, ha mostrato che la ragione non può perdere di vista l'ampiezza del logos e costringersi a un pensiero puramente empiristico.


Mi sembra che questo appello del Papa si intenda pienamente quando si comprende che quella ragionevolezza del logos è consonante con l'esperienza, vale a dire, ancora una volta, con i valori incarnati nella vita. Questa formulazione si intende perfettamente guardando all'esperienza della santità nella storia della Chiesa. Lo stesso Benedetto XVI ha dichiarato di essere convinto che la vera apologia della fede cristiana, la dimostrazione più convincente della sua verità contro ogni negazione, si trovi da un lato nei suoi santi – una forza umana che deriva dal divino e che visibilmente ricostruisce la faccia della terra – e dall'altra nella bellezza generata dalla fede.

La famiglia è una specie di pietra miliare dei valori così intesi, di fronte alle gravi necessità che affliggono il mondo moderno.


[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]


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Famiglia e sessualità


CITTA’ DEL MESSICO, sabato, 17 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato il 15 gennaio, nel contesto del VI Incontro Mondiale delle Famiglie, in corso a Città del Messico, dalla dott.ssa Maria Luisa Di Pietro, professore associato di Bioetica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e presidente dell'associazione “Scienza&Vita”.




* * *


1. “Noi vogliamo in questa occasione - si legge al n. 22 della Lettera Enciclica Humanae vitae (HV) - richiamare l’attenzione degli educatori e di quanti assolvono compiti di responsabilità in ordine al bene comune dell’umana convivenza, sulla necessità di creare un clima favorevole all’educazione della castità, cioè al trionfo della sana libertà sulla licenza, mediante il rispetto dell’ordine morale” (HV, 22). “L’educazione della castità”, che è parte integrante dell’educazione della sessualità e della preparazione remota alla procreazione responsabile. Un richiamo fondamentale nell’Enciclica dedicata alla trasmissione della vita umana, che mette in evidenza come non sia possibile vivere una procreazione responsabile senza aver acquisito la capacità di orientare l'istinto sessuale al servizio dell'Amore e di integrarlo nello sviluppo personale. “L’educazione della castità”: un  tema sul quale si è soffermato anche Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Evangelium vitae (EV): “Non ci si può, quindi, esimere dall'offrire soprattutto agli adolescenti e ai giovani l'autentica formazione alla castità, quale virtù che favorisce la maturità della persona e la rende capace di rispettare il significato sponsale del corpo” (EV, 97).  “L’educazione della castità”, che richiede di creare un “clima favorevole” al suo sviluppo a fronte di una cultura fortemente condizionata dagli effetti dell’onda lunga della rivoluzione sessuale.  D’altra parte, in un crescendo di frammentazione del significato della persona (divisa nelle sue componenti biologica, affettiva e spirituale), della sessualità (ridotta da dimensione strutturale a sola funzione genitale), della famiglia (non più declinata al singolare quanto piuttosto al plurale), della generazione umana (privata dell’humus della relazione interpersonale dei coniugi), non solo si è reso inutile parlare di castità ma addirittura “della castità” si è  dimenticato  il nome.

2. Per introdurre un discorso sulla castità è necessario chiarirne, innanzitutto, il significato. Il concetto di “castità” viene, infatti, collegato a un'immagine di sessualità - o per meglio dire di genitalità - negata e frustrata tanto da essere considerata “nociva” per l'amore. “Castità non significa  affatto - si legge al n. 33 della Esortazione Apostolica Familiaris Consortio - né rifiuto né disistima della sessualità umana: significa piuttosto energia spirituale, che sa difendere l’amore dai pericoli dell’egoismo e dell’aggressività e sa promuoverlo verso la sua piena realizzazione”. La castità non è rifiuto della sessualità perché - se così fosse - si negherebbe una realtà che “[è] ricchezza di tutta la persona” (EV, 97); la  castità non è disistima dei valori  e delle esigenze della ses­sualità perché i valori,  in quanto tali, sono da amare e le esigenze, se autentiche, sono da accogliere. “La castità - si legge nel documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia del 1995 - è l’affermazione gioiosa di chi sa vivere il dono di sé, libero da ogni schiavitù egoistica”. Ed ancora, scrive Karol Woytila in Amore e responsabilità: “la castità è la trasparenza dell’interiorità, senza la quale l’amore non è amore, e non può esserlo fino a che il desiderio di godere non viene subordinato alla disposizione ad amare in tutte le circostanze”. Questo perché la sessualità “non può restare soltanto una situazione soggettiva, in cui si manifestano le energie della sensualità o della affettività ridestate dalla tendenza sessuale, perché allora non raggiunge il proprio livello personale né può unire le persone. Perché possa unire veramente l'uomo e la donna e raggiungere il pieno valore personale bisogna che abbia una solida base nell'afferma­zione del valore della persona”.
   
La castità non conduce, dunque, né al disprezzo del corpo né alla svalutazione della vita sessuale, ma innalza il valore del corpo sessuato a livello del valore della persona. Questa  disposizione o tendenza ad armonizzare le energie della sensualità e della affettività con il valore della persona viene definita “integrazione” e presuppone la capacità di autopossedersi e di autodominarsi Una manifestazione di questa capacità di integrazione è la continenza ovvero l'attitudine a controllare e orientare le pulsioni di carattere sessuale  e le loro conseguenze: la continenza - scrive Giovanni Paolo II nella Catechesi del mercoledì  24 ottobre 1984 - “consiste nella capacità di dominare, controllare e orientare le pulsioni di carattere sessuale (concupiscenza della carne) e le loro conseguenze, nella soggettività psicosomatica dell’uomo. Tale capacità in quanto disposizione costante della volontà, merita di essere chiamata virtù”. Essere continenti non significa, dunque, esercitare un “cieco” con­trollo della concupiscenza e delle reazioni sensuali. Significa, piuttosto, agire alla luce della comprensione dei fini della sessualità: l'apertura ai più profondi valori della femminilità e della mascolinità nel­la sponsalità e  l'autentica libertà del dono reci­proco delle persone. Solo in questo modo, la continenza aiuterà ad andare oltre il linguaggio delle parole e dei gesti per scoprire quel “linguag­gio ontologico” che è la vera ricchezza della persona e che si manifesta attraverso il significato nuziale del corpo.

3. Per un’adeguata comprensione del concetto di “castità” bisogna muovere dalla lettura dei valori e dei significati della sessualità. “La sessualità [è] ricchezza di tutta la persona”(EV, 97); “la sessualità - si legge al n. 3 del già citato documento del Pontifico Consiglio per la Famiglia - non è qualcosa di puramente biologico, ma riguarda piuttosto il nucleo intimo della persona”. La sessualità è ricchezza e dimensione strutturale della persona, ma anche capacità di entrare in relazione e in comunicazione con gli altri, “segno” e “luogo” dell’apertura, dell’incontro e del dialogo; la sessualità è espressione della persona intimamente orientata all’Amore e al dono, alla fecondità nella coniugalità e nella scelta verginale. La sessualità è, allora, più della genitalità e la genitalità acquista valore umano solo e nella misura in cui è integrata nell’unitotalità della persona. Dire che la sessualità è dimensione strutturale della persona non equivale, però, ad affermare che essa sia l’unica dignità dell’uomo: “La corporeità e la sessualità - scrive Giovanni Paolo II  nella Catechesi del mercoledì 7 novembre 1979 - non si identificano completamente. Sebbene il corpo umano, nella sua normale costituzione, porti in sé i segni del sesso e sia, per sua natura, maschile e femminile, tuttavia il fatto che l’uomo si fa corpo appartiene alla struttura del soggetto personale più profondamente del fatto che egli sia nella sua costituzione somatica anche maschio e femmina”.

Muovendo da questa lettura il rapporto persona/corpo sessuato rientra nella categoria dell'essere e non dell'avere, per cui ciò che non si possiede non si può né usare né far usare. E allora, così come ripugna istintivamente l'idea di considerare il corpo umano come semplice oggetto di scambio, allo stesso modo si deve esigere rispetto per la propria mascolinità e femmi­nilità. Riconoscere il significato valoriale dell'essere ses­suati vuol dire comprendere che l'unica modalità di “scambio” deve essere quella del “dono”, totale, reciproco, esclusivo. E, se la sessualità è dimensione originaria, l'uomo e la don­na non possono vivere la propria esperienza terrena se non ac­cettando di essere sessuati.
       
La sessualità ha anche un significato in­terpersonale: questo vuol dire che la diversità  maschile e femminile è una diversità rela­zionale, con una duplice funzione, personalizzante e socializzan­te. La sessualità ha una funzione personalizzante sia per il bambino, che ‑ attraverso il confronto‑dialogo con il genitore dello stesso sesso e con il genitore del sesso opposto ‑ arriva a strutturare la propria personalità  e ad assumere  un'identità sessuale, sia per l'adulto. La sessualità ha una funzione socializzante perché è spinta ad uscire da se stessi per entrare in comunicazione e, successi­vamente, in comune‑unione con gli altri. In tal senso, la sessualità umana esprime e realizza il “bisogno” della persona di uscire dalla propria solitudine e di comunicare con gli altri: e tale bisogno è insieme segno e frutto della povertà e della ricchezza della persona, chiamata ad amare ed a essere amata.
     
E’ attraverso la comunicazione e il dialogo, che l'uomo e la donna percepiscono la propria differenza e si sentono attratti e orientati ver­so l'altro sesso. Dell'altro sesso si vorrebbero scoprire e comprendere anche i più reconditi misteri: ma tra l'uomo e la donna  rimane sempre una differenza, un abisso incolmabile che neanche l'imitazione di comportamenti  o di atteggiamenti propri dell'altro sesso riesco­no a superare. La rela­zione tra l'uomo e la donna diviene così  segno di dualità e reciprocità, ma anche di complementarità: l'uomo e la donna sono simili e differenti  nello stesso tempo;  non sono identici, ma hanno una uguale dignità, che deriva dall'essere persone e che è necessaria affinché tra di loro ci sia una possibilità di in­contro e di intesa. Dal momento che la sessualità umana ha un significato  inter­personale,  ne consegue che il fine a cui essa è intrinsecamente orientata e, pertanto, il messaggio che esprime,  è l'amore nel sen­so di donare e ricevere: questa vocazione all'amore si realizza  attraverso il corpo sessuato  testimone  così del dono reciproco, dell'essere e dell'esistere come dono con e per qualcuno; un corpo che ha un significato “sponsale” in quanto capace di esprimere amore.
      
  Ed  anche se è vero che nessuno può rifiutarsi di essere uomo o donna, ciò non si­gnifica né  che il sesso esprima tutta la persona né che ogni perso­na sia necessitata ad esprimere la totalità delle proprie capacità sessuali, anche quelle fisiche. Bisogna, infatti, fare differenza tra relazione sessuata e relazione ses­suale‑genitale. La relazione sessuata è la comune relazione tra persone di sesso differente o dello stesso sesso, improntata a stima, rispetto, amicizia e, affettività, senza  il coinvolgimento del corpo sessuato, la genitalità fisica: infatti, l'incontro, il dialogo o il conflitto tra due persone di sesso differente o dello stesso sesso, non possono non essere sempre segnate dalle  caratteristiche e  tratti tipici dell'essere uomo o donna. La relazione sessuale‑genitale ha, invece, come caratteri­stica peculiare la totalità delle componenti della persona, che danno vita all'apertura, all'incontro, al dialogo, alla comunione ed all'unità: si tratta di una reciproca donazione personale e totale, espressione di tutta la persona, che genera e alimenta una relazione unica ed esclusiva, irrevocabile e definitiva, ordinata all'integrazione reciproca dell'uomo e della donna. Nel momento in cui la relazione sessuale-genitale è inserita in un contesto di amore e di dono totale e totalizzante tra un uomo e  una donna, essa acquista un valore positivo e fa da completamento di un'unione che, resa in­dissolubile dallo stato di coniugalità,  si apre per sua intrinseca dinamica alla fecondità.
“Per mezzo della reciproca donazione personale - si legge al n. 8 della Lettera Enciclica Humanae vitae -, loro propria ed esclusiva gli sposi tendono alla comunione dei loro esseri in vista di un mutuo perfezionamento personale, per collaborare con Dio alla generazione ed alla educazione di nuove vite”.

4. Per vivere la “reciproca donazione personale” è necessario interpretare le esigenze dell’amore coniugale, definito aln. 9 della Lettera Enciclica Humanae vitae come un amore “umano, totale, fedele e fecondo”.  Un amore, innanzitutto, umano: “E’ prima di tutto amore pienamente umano, vale a dire nello stesso tempo sensibile e spirituale. Non è quindi semplice trasporto di istinto e senti-mento, ma anche e principalmente è atto della volontà libera […]” (HV, 9). E’, in altre parole, quell’Amore che scaturisce - come scrive Benedetto XVI nella  Lettera Enciclica Deus Caritas est (DC) - da “un cuore che vede” (DC, 31) dove c'è bisogno e agisce in modo conseguente. Non, dunque, semplice “trasporto di istinto e sentimento”, poiché - anche se i sentimenti sono stati affettivi stabili, profondi e duraturi - essi non sono sufficienti per descrivere tutta l'esperienza dell'amore: “I sentimenti vanno e vengono. Il sentimento può essere una meravigliosa scintilla iniziale, ma non è la totalità dell'amore” (DC, 17).
  
 Per poter vedere il cuore deve conoscere la propria “storia”: non si può, infatti, vivere l’esperienza dell’amore e del dono senza conoscere l’Origine della propria “storia”, senza la  consapevolezza che il nostro amore nasce da un Amore che ci precede, dall’Amore di quel Dio che “per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo” (DC, 17). E il primo grande atto di Amore è l’essere stati chiamati all’esistenza dal nulla: è questa l’Origine della “storia” dell’uomo e l’uomo è l’unico essere vivente in grado di rispondere al Creatore con il linguaggio della consapevolezza.     Il cuore si apre, poi, al riconoscimento dell’altro e, nella coniugalità, al dono reciproco delle persone. E’ un amore totale [“una forma tutta speciale di amicizia personale in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa, senza indebite riserve e calcoli egoistici. Chi ama davvero il proprio consorte, non lo ama soltanto per quanto riceve da lui, ma per se stesso, lieto di poterlo arricchire del dono di sé” (HV, 9)];  è un amore fedele [“E’ ancora amore fedele e esclusivo fino alla morte (HV, 9)].  L’amore tra l’uomo e la donna diviene così l’archetipo dell’Amore per eccellenza : “l’amore tra un uomo e una donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza” (DC, 2).

5. L’Amore ha una sua manifestazione significativa nell’affettività, ovvero nella capacità che ha l’uomo di provare emozioni, sentimenti e passioni e che lo spinge ad agire nei confronti di quel chi o di quella cosa che ha procurato un tale turbamento. D’altra parte, il termine “affettività” deriva dal latino “afficere” che significa “influire”, “produrre una modificazione nel corpo o nell’anima”, “colpire”: un duplice e ininterrotto movimento, di “sistole” (unione con l’oggetto della propria attrazione) e di “diastole” (uscita da sé), vera rappresentazione di una relazione interpersonale. Tale carattere relazionale è ravvisabile anche nelle modalità dello sviluppo affettivo, che può essere schematizzato in quattro momenti: 1. la capacità di intrattenere rapporti umani positivi con tutti; 2. la capacità di instaurare rapporti amichevoli; 3. l’amicizia; 4. la capacità di Amore per un unico partner o per tutti, a seconda della scelta di vita (coniugale o verginale) che si è fatta. Ai fini dello sviluppo dell’affettività risulta, allora, chiara l’importanza della carica affettiva dei legami naturali tra i componenti del nucleo familiare in cui si cresce: l'equilibrio affettivo di una persona si imposta, infatti, fin dalla prima età e si modella nelle più semplici situazioni della quotidianità. Da qui la necessità di essere inseriti - innanzitutto - in un famiglia presente, autorevole, rielaborante e capace di mantenere relazioni soddisfacenti. E, successivamente, di: far parte di un gruppo di coetanei verso cui sperimentare sentimenti di amicizia autentica, sincera e profonda; di sostenere l’impegno a vivere i propri compiti in modo indipendente e costante; di sviluppare capacità di autocomprensione, autoaccettazione, autoaffermazione, integrazione, adattamento e controllo delle proprie pulsioni. E se tutto lo sviluppo affettivo dell’individuo sarà stato armonico, se avrà imparato a controllare se stesso, ad amare i genitori e i fratelli, a godere dell’amicizia dei coetanei e della stima degli educatori, si può sperare anche in un allargamento dello sguardo oltre il proprio mondo individuale nella considerazione dei propri doveri verso gli altri.

6. Parlando di Amore e di affettività, si è fatto riferimento alla dimensione educativa: su cosa si fonda l’educazione? E chi sono i soggetti dell’intervento educativo. I pilastri dell’educazione sono: 1. i contenuti che l'educazione presenta dal punto di vista antropologico (che idea ho dell’uomo?) e pedagogico (che progetto di uomo si vuole realizzare?); 2. le motivazioni e gli atteggiamenti dell’educatore. Entrambi possono essere sintetizzati con l’espressione “amare per educare”. Non è un caso che in tale espressione si conservino i due concetti amore-educazione: non si può pensare di guidare la crescita di un ragazzo sul piano dell’affettività se non si è dotati di quella “carità intellettuale” necessaria per rendere efficaci le proprie strategie di intervento. Si può, allora, fare educazione all’Amore solo se questa viene concepita come “amore della verità” (per i contenuti che intende trasmettere) e nel contempo “verità che si fa amore” (pensando alle caratteristiche del formatore e dell’educatore). “Sarebbe dunque - scrive Benedetto XVI nella Lettera alla Diocesi e alla Città di Roma sul compito urgente dell’educazione del 21 gennaio 2008 - una ben povera educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella vita”.
   
Se si rinuncia alla verità sull’uomo (all’amore della verità), che è  “oggetto” non statico e immutabile ma che sa coniugare l’oggettività e la definitività di alcuni aspetti con le caratteristiche di dinamicità e del “farsi” proprie dell’uomo, si corre il rischio di compromettere proprio l’opera educativa. Essa parte dalla definitività della verità e propone la definitività di alcune scelte. Si legge nel discorso di Benedetto XVI ai partecipanti al IV Convegno Nazionale della Chiesa italiana del 19 ottobre 2006: “un'educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l'amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà”. Se la libertà non si innesta e radica in una verità integrale della persona, può condurre l’uomo stesso a comportamenti e scelte riduttive dell’umano, o divenire strumento di prevaricazione e di puro arbitrio o portare ad atteggiamenti di rassegnazione e pericoloso scetticismo.

Quale verità e quale bene sull’uomo? Si tratta di un problema serio e decisivo: perché solo se si individuano le caratteristiche proprie dell’uomo, ciò che determina la sua natura e, di conseguenza, la sua dignità, si è in grado di indirizzare gli sforzi educativi. Educare e formare sono parole che, etimologicamente, rimandano ad una meta (il primo) e ad una forma (il secondo). L’uomo le ha scritte entrambe dentro di sé e il cammino che deve percorrere, soprattutto nei primi anni della sua esistenza (ma il processo mai potrà avere una fine), non può non conformarsi ad esse. Non possiamo negare ciò che siamo. Rinunciare alla pretesa di alcune verità sull’uomo significa rinunciare ad educare. D’altra parte, l’educazione è proprio l’arte di “trarre fuori, far emergere” il bene iscritto nella dimensione ontologica di ogni uomo. E’ come se - seguendo Maritain -  nell’uomo coesistessero due “nature”: la natura “primitiva”, da una parte, e la natura “plasmata”, risultato dell’intervento educativo. Dal momento che la natura primitiva  altro non è che la manifestazione storica e parziale dell’essenza “uomo”, ogni individuo deve impegnarsi  a scoprire in questa essenza contenuti e modalità per plasmare la sua natura seconda. Dall’amore della verità si passa  alla verità che si fa amore. È il secondo passaggio che un educatore non può trascurare. La verità, ovvero il contenuto di un processo formativo, non può cristallizzarsi come fa l’acqua ad alte quote, che lì rimane, in posizione impervia per essere raggiunta da qualcuno. L’opera di formazione è paragonabile all’irrigazione delle pianure a seguito dello scioglimento della neve della montagna. La verità si “scioglie” e raggiunge in modo delicato ma abbondante i destinatari di tale verità. Non si tratta di una valanga che scende, trovandola magari impreparata, sulla valle ma di un fiume che sorprende per la sua freschezza  

7.  Se caratteristica dell’affettività è anche la capacità di contemplazione e di apertura al riconoscimento e al bene totale della persona, essa è  in stretto collegamento con il  sentimento morale: ovvero con la capacità di riflettere, interpretare ed interiorizzare quelle norme che inscritte nella natura umana devono divenire criterio regolativo nelle singole scelte. La formazione dell’affettività si deve accompagnare, allora, alla formazione del sentimento morale al fine di  precisare le ragioni per cui l’Uomo per realizzarsi deve agire in un modo piuttosto che in un altro e di aiutare ad acquisire consapevolezza del proprio agire, responsabilità e strumenti critici, criteri di valutazione e motivazioni, affinché possa operare una sintesi tra libertà e responsabilità, offrendo criteri oggettivamente fondati e consapevolmente chiariti per l’agire. Nella sua finalità, dunque, la formazione del sentimento morale è “educazione alla libertà” o, per meglio dire, alla gestione responsabile della libertà, affinché vi possa essere una completa adesione a quella verità, che - inscritta nella natura di essenza di ogni uomo - ne svela  configurazione,  significazione e  destina­zione: “Non meno decisiva nella formazione della coscienza è la riscoperta del legame costitutivo  che unisce la libertà alla verità [...] E' essenziale che l'uomo riconosca l'originaria evidenza della sua condizione di creatura, che riceve da Dio l'essere e la vita come un  dono e un compito:  solo ammettendo  questa sua nativa dipendenza nell'essere, l'uomo può realizzare in pienezza la sua vita e la sua libertà  e insieme rispettare  fino in fondo la vita e la libertà di ogni altra persona” (EV, 96).

In questo consiste la libertà morale, la libera adesione alla “legge dell'essere”. La formazione del sentimento morale deve riguardare sia la sfera dei valori che delle virtù, intese come habitus, “disposizioni”, “abitudini”, “predisposizioni”: nei due piani differenti e intersecantesi, quello naturale delle virtù morali o cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) e quello soprannaturale delle virtù infuse o teologali (fede, speranza e carità). Se, infatti, la formazione del sentimento morale deve aiutare il soggetto nella strutturazione della propria identità,  nell’acquisizione di valori valutati importanti per dichiarare a sé e agli altri  il proprio esserci, nell’assicurare la capacità di resistere alle forze disgreganti interne ed esterne, nel garantire un’unità interiore coerente e duratura, non è né facile né sufficiente  un semplice controllo selettivo dei valori senza una loro concomitante acquisizione. La persona è formata solo quando è riuscita a costruire un filtro attraverso il quale verificare e valutare cosa accogliere e cosa respingere: quando, in altre parole, è in grado di rispondere alla domanda “che persona dovrei  essere?”. L’impegno deve, essere, allora quello di aiutare il soggetto a crescere come persona virtuosa, ovvero ad acquisire un’attitudine permanente a compiere il bene e a compierlo bene. L’habitus dell’agire virtuoso, quindi, lungi dall’essere una sorta di passiva e inconsapevole ripetizione di gesti, si pone come la capacità di orientare la propria libertà con impegno e decisione verso i veri valori.
 
8. Alla luce di queste considerazioni risulta evidente che l'educazione della sessualità deve avere come obiettivo principale quello di indicare e di motivare il raggiungimento di grandi mete: l'accettazione del proprio essere sessuati e il riconoscimento del valore della mascolinità e della femminilità (educazione all’identità sessuata); il rafforzamento dell’Io, della stima di sé, del senso della propria dignità, della capacità di autopossesso e di autodominio (educazione alla castità), dell'apertura progettuale, della coerenza ed equilibrio interiore; l'acquisizione di una grande attenzione ai valori della procreazione, della vita e della famiglia (educazione alla procreazione responsabile e alla vita). Un tale progetto non può essere realizzato con la sola informazione: è necessaria una vera formazione finalizzata all’educazione della volontà, dei sentimenti e delle emozioni. In questo contesto  va inserita l'informazione: la conoscenza dei misteri del corpo umano, dei meccanismi genetici sottesi allo sviluppo somatico e alla differenza sessuale, dell'anatomia e della fisiologia, dei fenomeni tipici della pu­bertà, della procreazione umana, è il necessario comple­tamento di un processo educativo che guarda alla persona nella sua globalità.  Perché conoscersi  equivale ad avere  un motivo in più per accettare con serenità la propria realtà di uomo o di donna e per esigere per se stessi e per gli altri maggiore rispetto e considerazione; ed è anche una chiave di lettura  di quel disegno e di quella apertura all'Amore e alla vita che è inscritto in ogni persona umana. L'informazione non può essere, allora, una fredda e asettica trasmissione di notizie, un'istruzione, ma deve essere portatrice di un messaggio: in altre parole l'informazione oltre a dare risposte biologiche deve fornire “risposte etiche” ovvero chiarire il perché di un comportamento  piuttosto  che di un altro. In questo contesto educativo assume grande importanza anche la conoscenza degli “indici diagnostici di fertilità”, che sono alla base dei metodi di regolazione naturale della fertilità: per avere consapevolezza di sé; per contenere l’ansia che nasce dall’ignoto; per distinguere un quadro normale da un quadro patologico. Ma, soprattutto, come modalità per educare al senso del tempo. La maggiore difficoltà che incontrano - oggi - un uomo e una donna che si sono trovati e scelti è, infatti, quella di percorrere insieme la strada che porta a maturare la consapevolezza di sé e ad educarsi reciprocamente all’attesa.

Le cause sono molteplici: i fattori culturali, sociali e ideologici, si intrecciano in modo inestricabile con la convinzione che la vera libertà sia libertà “da” qualsiasi progetto e controllo e non piuttosto libertà “per” realizzare un progetto di vita e che l’essere umano sia innanzitutto “istinto”. Non vi è dubbio, però, che la fretta di bruciare le tappe sta rendendo sempre più difficile la maturazione affettiva dei ragazzi e mettendo anche a rischio la loro salute. La fretta ben poco si addice al “tempo” e ai “tempi” della crescita personale: gli indici diagnostici di fertilità, narrando giorno dopo giorno una storia fatta di attesa (la fase preovulatoria e postovulatoria), di preparazione (il ritmico alternarsi degli ormoni)  e infine di eventi (l’ovulazione e la mestruazione), segnano il “tempo” e i “tempi” e rappresentano una grande risorsa da utilizzare in un percorso educativo all’affettività, alla sessualità e alla castità. E come preparazione remota a quella procreazione responsabile della quale il senso “del tempo” e “dei tempi” è elemento fondamentale. L’individuazione dei significati e delle finalità dell’educazione della sessualità deve, poi, coniugarsi con la chiarezza sui criteri metodolo­gici da  storicizzare  nella situazione concreta. Si tratta di criteri (della verità, di adeguazione e individualizzazione, di pro­gressività e tempestività, di de­cenza e rispetto), che sono già noti in ambito pedagogico e a cui - nel caso specifico dell’educazione della sessualità - si aggiunge il “criterio della vocazione”.

Questo significa che, durante l’adolescenza e la prima giovinezza, è compito dei genitori aiutare il figlio a discernere la propria vocazione personale, a scoprire il progetto che Dio ha su di lui. Sia che si tratti di vocazione al matrimonio o alla verginità o al celibato, infatti, la famiglia svolge un ruolo fondamentale e l’educazione all’amore vero e casto è il più grande dono che i genitori possono fare ai propri figli. E, d’altra pare, così come si constata che chi vive in un ambiente familiare sereno, armonioso, e riceve un’immagine positiva del matrimonio, è poi in grado di riproporre la stessa esperienza nella nuova famiglia, allo stesso modo non si può non constatare  che “alla disgregazione della famiglia - si legge nel già citato documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia -  segue la mancanza di vocazioni; invece dove i genitori sono generosi nell’accogliere la vita è più facile che lo siano anche i figli allorché si tratta di offrirla a Dio”. Ma è solo in una lettura integrale della sessualità che si inscrive un’educazione anche alla vita verginale. Perché se non si comprende che la mascolinità o la femminilità può essere vissuta anche senza la dimensione genitale-sessuale al fine di potenziare la propria capacità di donazione, di Amore, di impegno verso Dio e verso gli altri, senza per questo sentirsi uomo o meno donna quanto detto sarebbe privo di senso.

9. Parlando di educazione, e in modo particolare della castità, si è fatto riferimento alla famigli a quale responsabile primario. Questa responsabilità è talmente radicata e radicale da poter affermare che vi è una priorità “ontologica” dei genitori nell’educazione dei figli: perché "ontologica"? Perché essa trova giustifica­zione proprio nella struttura ontologica della generazione e  del­la genitorialità: “E’ infine - si legge al n. 9 della Lettera Enciclica Humanae vitae - amore fecondo, che non si esaurisce nella comunione tra i coniugi, ma è destinato a continuarsi, suscitando nuove vite. Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione e alla educazione della prole. I figli infatti sono il preziosissimo dono  del matrimonio e contribuiscono sommamente al bene degli stessi genitori”. Ed ancora, al n. 16 della Lettera alle Famiglia: i genitori “sono i primi e i principali educatori dei propri figli ed hanno anche in questo campo una fondamentale competenza: sono educatori perché genitori”.    

In altre parole, il diritto/dovere dei genitori di educare i figli si fonda proprio sul fatto di aver generato la vita del bambino (i genitori sono “educatori” perché sono genitori) e in tal  senso  tale diritto/dovere precede ogni riconoscimento o imposizione da parte della società:    L'educazione è, dunque, una generazione continua. Anche l’educazione della sessualità. E se la vita familiare è segnata dalla mutua ac­cettazione, dall'aiuto scambievole, dall'empatia, i bambini, i fanciulli, gli adolescenti vengono aiutati  a fortificare quel “cuore che vede” perché “solo gli occhi del cuore - scrive Benedetto XVI nel discorso ai partecipanti del Congresso Internazionale in occasione dell’anniversario della Lettera Enciclica Humanae vitae del 2 ottobre 2008 -  riescono a cogliere le esigenze proprie di un grande amore, capace di abbracciare la totalità dell’essere umano”. Al diritto di educare i propri figli, di scegliere ‑ in con­formità con le proprie  convinzioni morali e religiose e in vi­sta del bene dell’educando ‑ l'orientamento educativo, deve corrispondere un dovere educati­vo. Infatti, non offrire ai propri figli un ambiente familiare che possa consentire un'adeguata formazione all'Amore e alla castità, significa venire meno ad un  preciso dovere. Un dovere, che viene eluso anche nel caso in cui si tolleri una formazione immorale o inadeguata impartita ai figli fuori casa.
   
E' importante che i genitori siano consapevoli che questo diritto/dovere è inalienabile e che non può essere né totalmente delegato ad altri né  usur­pato da altri. E' anche vero, però, che oggi la famiglia pre­senta spesso una scarsa valenza educativa, a causa sia delle  trasformazioni strutturali e culturali subite sia di una talora volontaria incompetenza e incapacità di difendersi e ri­spondere alle sollecitazioni - anche negative - che provengono da una società in continuo e radicale mutamento. In questi casi può essere di aiuto l'intervento di altre a­genzie educative, non ultima la scuola,la quale  non deve - però - né imporre un'educazione di Stato né pensare di  privare i genitori della loro responsabilità educativa, collaborando con la famiglia nell'educazione e nella scelta dell'orientamento educativo. Lo stesso dicasi per altre agenzie educative, come i gruppi coeducativi: qui i bambini, i fan­ciulli, gli adolescenti, sono guidati dagli adulti secondo un ben preciso programma pedagogico, che i genitori devono conoscere a priori, vigilando sulle diverse interpretazioni che degli stessi programmi possono dare i vari  educatori.
   
L’intervento di agenzie educative esterne alla famiglia deve essere, infatti, informato a due principi: il principio della sussidiarietà e il principio della subordinazione. Sussidiarietà significa che - poiché il diritto/dovere dei genitori di educare è insostituibile e inalienabile - l'intervento delle agenzie esterne deve essere di aiuto e non di sostituzione al ruolo for­mativo della comunità familiare. In altre parole, perché un'altra agenzia possa intervenire nel processo educativo, è necessario che ci sia l'esplicito consenso da parte dei genitori, i quali delegano ad altri  il proprio compito educativo: questo atto non spoglia, però, il genitore dell’originaria potestà che continua ad appartenergli e a legittimare  la possibilità di effettuare  una  tale sostituzione. Subordinazione vuol dire che un'agenzia educativa esterna alla famiglia deve essere soggetta al controllo da parte dei  genitori, che vanno informati e coinvolti nella gestione del processo educativo extra‑familiare. Di conseguenza non  potrà mai  essere impugnata la presunta inadeguatezza della famiglia a fare, ad esempio,  educazione della sessualità per estrometterla da tale compito: la famiglia va aiutata a colmare lacune e a tracciare validi percorsi educativi. E, quando la famiglia  è educativamente assente o "diseducante", le altre agenzie educa­tive non possono limitarsi a sopperire le mancanze, ma devono avvertire in modo forte l'impegno a coinvolgere il genitore o i ge­nitori  nella gestione e nell'esecuzione dei propri progetti e­ducativi. Tutti gli educatori sono chiamati ad una grande  responsabilità perché “dipenderà da loro se i giovani, formati ad una vera libertà, sapranno custodire dentro di sé  e diffondere intorno a sé ideali autentici  di vita e sapranno crescere nel rispetto e nel servizio di ogni persona, in famiglia e nella società” (EV, 97), con l'accortezza del rispetto delle priorità "ontologiche" dei genitori e l'armo­nia delle scelte.

10. Sono sufficienti poche parole a Giovanni Paolo II per sintetizzare  la grande responsabilità dei genitori, degli insegnanti, dei formatori e della società tutta nei confronti dell’educazione  della sessualità: “La banalizzazione della sessualità è tra i principali fattori che stanno all’origine del disprezzo della vita nascente”(EV, 97). Non solo della vita nascente: la perdita della stima e del rispetto del valore della vita riguarda ogni fase dell’umana esistenza. La dissociazione dell’attività sessuale dalla coniugalità, dalla fedeltà, dalla fecondità, ha portato a considerare i rapporti sessuali come un mezzo per il godimento individuale e materiale; a ritenere giusto - se non addirittura doveroso - soddisfare quegli istinti che non si vuole dominare; a guardare al divorzio e ai rapporti pre ed extra-matrimoniali come la “normalità” del vivere il rapporto uomo-donna. La riduzione della sessualità alla sola dimensione dell’istinto ha poi favorito, nelle sue manifestazioni più estreme ed infime il diffondersi della pornografia e della violenza sessuale: una sessualità resa cattiva e brutta fino alla ripugnanza con il conseguente smarrimento del senso morale e l’incremento dell’agire violento. Una sessualità non più a dimensione umana e di cui la persona non è sempre in grado di accettarne le dinamiche.

E’ per questi motivi che abbiamo l’obbligo morale di educare la persona nella sua mascolinità e femminilità, nella sua dimensione relazionale e affettiva: di educare la sessualità  come “dono di sé nell’Amore”, di quell’amore vero che sa “custodire la vita” (EV, 97).  E per i genitori tutto inizia nel momento in cui pronunciano il primo grande “sì”: “A distanza di 40 anni della pubblicazione dell’Enciclica - scrive Benedetto XVI nel citato discorso del 2 ottobre 2008 - possiamo capire meglio quanto questa luce sia decisiva per comprendere il grande sì che implica l’amore coniugale. In questa luce, i figli non sono più l’obiettivo di un progetto umano, ma sono riconosciuti come un autentico dono, da accogliere con atteggiamento di responsabile generosità verso Dio, sorgente prima della vita umana. Questo grande sì alla bellezza dell’amore comporta certamente la gratitudine, sia dei genitori nel ricevere il dono di un figlio, sia del figlio stesso nel sapere che la sua vita ha origine da un amore così grande e accogliente”

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23/01/2009 14:29

Benedetto XVI rivendica i diritti inalienabili della famiglia


Intervenendo in diretta televisiva a conclusione dell'Incontro in Messico


CITTA' DEL VATICANO, domenica, 18 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Intervenendo in diretta televisiva alla conclusione del VI Incontro Mondiale delle Famiglie, Benedetto XVI ha rivendicato i “diritti inalienabili” della famiglia.

Ad ascoltare le sue parole c’erano le migliaia di pellegrini che hanno preso parte alla messa presieduta dal suo inviato, il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, sulla spianata del Santuario della Vergine di Guadalupe.


Il Papa, che aveva seguito l’evento in televisione dal palazzo apostolico vaticano, ha riconosciuto nel suo messaggio letto in spagnolo che “oggi più che mai sono necessari la testimonianza e l’impegno pubblico di tutti i battezzati per riaffermare la dignità e il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna e aperto alla vita, e della vita umana in tutte le sue fasi”.


“Occorre inoltre promuovere strumenti legislativi e amministrativi a sostegno della famiglia nei suoi diritti inalienabili, necessari per portare avanti la sua straordinaria missione”, ha sottolineato il Santo Padre.

Nel suo messaggio, il Papa ha detto di aver potuto compiere, grazie all’ausilio delle nuove tecnologie di comunicazione, “un pellegrinaggio spirituale fino a questo santuario mariano, cuore del Messico e di tutta l’America, per affidare a Nostra Signora di Guadalupe tutte le famiglie del mondo".


Il Santo Padre ha quindi espresso la sua vicinanza ed ha assicurato la sua preghiera per tutte le famiglie in difficoltà, in particolare per “quelle che soffrono per la povertà, la malattia, l’emarginazione. E in modo moto speciale per le famiglie cristiane che sono perseguitate a causa della loro fede”.


Dopo aver annunciato che la sede del VII incontro Mondiale delle Famiglie sarà nel 2012 Milano, il Pontefice ha concluso la sua omelia rivolgendo una preghiera alla Vergine di Guadalupe per affidare nelle sue mani le sorti di tutte le famiglie del mondo.

“Si vede, si sente, il Papa è presente!”, è stato il coro con il quale i pellegrini hanno risposto alle parole del Papa.

Poco prima di recitare il Credo, durante la messa, le migliaia di coppie presenti hanno rinnovato le loro promesse di matrimonio.

Successivamente, hanno consegnato gli anelli, che sono stati benedetti dal Cardinale Bertone.

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Milano, sede dell’Incontro Mondiale delle Famiglie 2012


Il tema annunciato dal Papa: "La famiglia, il lavoro e la festa"

di Jesús Colina


CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 18 gennaio 2008 (ZENIT.org).- La città di Milano sarà, nel 2012, la sede del prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie. Lo ha annunciato questa domenica Benedetto XVI.
 

In un messaggio letto in diretta televisiva ai pellegrini che hanno preso parte alla messa di chiusura dell’Incontro che ha riunito a Città del Messico numerose famiglie da tutto il mondo, il Santo Padre ha rivelato il tema della prossima edizione: “La famiglia, il lavoro e la festa”.


Parlando in spagnolo, il Pontefice ha ringraziato il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, per la "sua gentilezza nell’accettare questo importante impegno”.


Dopo il Papa, è stato il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, a prendere la parola per annunciare che l’incontro avrà luogo nella primavera del 2012.


L’evento, ha proseguito il porporato, si collocherà nella cornice di una ricorrenza ecclesiale e civile della città di Milano che prevede la celebrazione, nel 2013, di un grande evento di carattere ecumenico e interreligioso per promuovere la libertà religiosa, in occasione dei 1700 anni dalla promulgazione dell’editto dell’imperatore Costantino.


Allo stesso tempo, il Cardinale ha ricordato che Milano ospiterà nel 2015 l’Expo sul tema: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.


Parlando in spagnolo il Cardinale Antonelli ha quindi preso congedo dai pellegrini che affollavano la spianata del Santuario di Nostra Signora di Guadalupe: “Ci vediamo a Milano…se Dio vuole!”.


Gli Incontri Mondiali delle Famiglie sono nati per iniziativa di Giovanni Paolo II. La prima edizione è stata convocata a Roma nel 1994 in occasione dell'Anno Internazionale della Famiglia proclamato dalle Nazioni Unite.


Gli incontri successivi si sono svolti a Rio de Janeiro (1997), Roma (2000, anno del Grande Giubileo), Manila (2003) e Valencia (2006).

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Fondamentale dare la cittadinanza alla famiglia


Avverte il sociologo Pierpaolo Donati

di Gilberto Hernández

CITTA' DEL MESSICO, domenica, 18 gennaio 2009 (ZENIT.org).- La società spera che gli individui siano buoni cittadini e che diano apporti perché la società umana stessa cresca e si rafforzi, ma da dove vengono gli individui se non dalla famiglia?


E' la domanda posta questo venerdì dal sociologo Pierpaolo Donati intervenendo al Congresso Teologico-Pastorale del VI Incontro Mondiale delle Famiglie per affrontare la questione della famiglia come generatrice delle virtù sociali.


La sua risposta è stata chiara: se la società non è capace di riconoscere la famiglia e di aiutarla ad essere fedele alla sua vocazione, come istituzione fondante della società, difficilmente si potranno avere individui integri.

Donati, fondatore della sociologia relazionale, ha affermato che la famiglia è concepita come un luogo di armonia, ma si valorizzano poco i contributi che offre realmente alla società.


"Dobbiamo comprendere che la famiglia è un'operatrice nella società, che trasforma le virtù personali in virtù sociali", ha segnalato il docente di Sociologia preso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Bologna.

E' evidente che molte volte le virtù che si vivono all'interno della famiglia non trascendono alla sfera pubblica, ha avvertito Donati, che ha diretto l'Osservatorio Italiano sulla Famiglia ed è membro della Pontificia Accademia per le Scienze Sociali.


"Una famiglia può essere accogliente, ma se non è consapevole della funzione pubblica che ha questa virtù per la società non sarà capace di trasmetterla alla società sessa", ha aggiunto.


La famiglia non è una merce


Nella famiglia, ha indicato, si impara a riconoscere l'altro e si offre il dono della propria presenza. "L'esercizio delle virtù personali all'interno della famiglia fa vivere istintivamente le virtù che andranno a beneficio della società nel suo insieme".


Secondo Donati, la società attuale nega questa funzione sociale della famiglia, e anzi dice che non è fonte di virtù ma di vizi, abusi e violenza. Per questo motivo, osserva, è importante che si conosca l'origine di queste critiche e come rispondervi.


"E' vero che molte volte alcune famiglie non sono fonte di virtù, ma al contrario un luogo in cui esistono problemi", ha riconosciuto il docente, che è anche direttore del Centro Italiano per gli Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria (CEPOSS).


La società contemporanea, ha sottolineato, fa della famiglia una merce, la privatizza e la riduce, e dall'altro lato lo Stato non aiuta la famiglia perché sottrae da essa la sua funzione educativa, per poi incolparla di avere un crisi proprio educativa.


Un altro problema è la scarsa conciliazione esistente tra lavoro e famiglia, perché il tempo per aiutare i figli è ridotto.


Il professore, autore di più di 600 pubblicazioni in varie lingue, ha osservato che una famiglia virtuosa implica non solo la virtù dei singoli, ma anche quella della famiglia come persona morale.

Allo stesso modo, ha menzionato come la famiglia sia la base primaria per lo sviluppo delle virtù sociali, grazie alla fiducia che genera, della capacità di cooperare e della reciprocità, e questo è ciò che la trasforma in "capitale sociale".


E' inoltre importante capire che questo "capitale sociale" non viene solo da una famiglia, ma nasce dall'interrelazione tra famiglie.


Una nuova riflessione


Pierpaolo Donati ha invitato a sviluppare una nuova riflessione familiare visto che la famiglia crea virtù non solo personali e private, ma anche sociali, perché è quella che ci fornisce la capacità di relazionarci.

Il sociologo ha concluso la sua partecipazione parlando dell'importanza della famiglia come nesso tra la felicità privata e pubblica, sottolineando che la famiglia è l'unica capace di generare le virtù che sono beni relazionali e che è necessario un patto tra società e famiglia e il riconoscimento del ruolo di quest'ultima nella società.

Deve esistere, ha commentato, una "cittadinanza della famiglia": come esiste una relazione tra individuo e Stato, deve esisterne una tra Stato e famiglia, con i diritti e i doveri familiari come soggetto sociale.


[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]


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23/01/2009 14:37

Edu-comunicazione, sfida per le famiglie di oggi


Video-messaggio del presidente del dicastero per le comunicazioni all'incontro in Messico

di Jesús Colina

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 18 gennaio 2009 (ZENIT.org).- L'incaricato papale per le Comunicazioni si è reso presente al VI Incontro Mondiale delle Famiglie dal Vaticano con un videomessaggio in cui illustra la sfida educativa che pone l'era della comunicazione.


Nella trasmissione televisiva, emessa da Catholic.net TV, l'Arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, riconosce che "una delle sfide più serie che le famiglie e tutta la Chiesa affrontano in questo momento è la formazione delle nuove generazioni ai valori umani e cristiani, trovandosi in un ambiente caratterizzato dai mezzi di comunicazione".


Si tratta di "un clima culturale globale che è stato chiamato 'mediosfera' perché è diventato quasi l'aria che respiriamo", riconosce il presule. "I messaggi mediatici, molti e di ogni tipo di formato, sono spesso contraddittori tra di loro, e non di rado divergono rispetto ai valori che si vogliono vivere in famiglia".


"Deve essere questo motivo di timore o di rifiuto nei confronti del momento in cui ci troviamo a vivere? - si chiede il collaboratore del Papa - Noi credenti dovremmo rimanere estranei alla cultura della nostra epoca, privandola di un'attiva partecipazione e del nostro messaggio?".


Monsignor Celli ritiene che non debba essere così. "La famiglia e la comunità ecclesiale devono essere lo spazio in cui si costruisce il significato, in cui si impara a filtrare, a decidere, a selezionare ciò che si vede e si ascolta. La famiglia e la comunità sono occasione di dialogo tra la Chiesa e il mondo", spiega.


Citando Benedetto XVI, il presule segnala che "insieme alla trasmissione della fede e dell'amore del Signore, uno dei compiti più importanti della famiglia è quello di formare persone libere e responsabili".


"Educare i bambini affinché facciano un buon uso dei media è responsabilità dei genitori, della Chiesa e della scuola", ha aggiunto, "perché siano capaci di esprimere giudizi sereni e obiettivi che in seguito li guidino nella scelta o nel rifiuto dei programmi".


Per questo motivo, ha sottolineato, "la Chiesa promuove da anni una formazione per la percezione critica dei media, chiamata anche edu-comunicazione".


Ad esempio, ha constatato, "i buoni film, selezionati in base all'età dei bambini, sono un'ottima occasione per approfondire i valori e sviluppare il criterio dei bambini".


Quest'ultimo, osserva, "servirà a tutta la famiglia perché sia non solo un gruppo di utenti, ma di attivi partecipanti e missionari della Parola nella cultura digitale".


"Per questo è necessario non lasciare i bambini soli, ma accompagnarli affinché usino con misura, creatività e abilità i nuovi mezzi di comunicazione, come telefoni cellulari, videogiochi e computer, che si stanno estendendo in modo sorprendente", ha indicato.


"In questo nuovo campo sono protagonisti e possono fare molto bene ai loro contemporanei se condividono con loro la vita della fede".


"Quant'è importante che la società sostenga le famiglie perché questi nuovi media promuovano una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia!", riconosce.


"Che Nostra Signora di Guadalupe, eccelsa comunicatrice, protegga e guidi le famiglie e tutta la società perché sia sempre più armoniosa, pacifica e giusta".

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25/01/2009 19:25

La società civile deve aprire gli occhi sulla ricchezza della famiglia


Parla padre Gianfranco Grieco, O.F.M. Conv., del dicastero per la Famiglia


di Mercedes de la Torre


CITTA' DEL MESSICO, lunedì, 19 gennaio 2009 (ZENIT.org).- All'Incontro Mondiale delle Famiglie si è posto molto l'accento sulla questione della soluzione di fondo alla crisi attuale, perché se la famiglia è malata lo è anche la società, spiega uno degli organizzatori dell'evento.


In questa intervista concessa a ZENIT, padre Gianfranco Grieco, O.F.M. Conv., Capo Ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia, spiega perché Benedetto XVI e la Chiesa hanno dato tanta importanza a questo evento, conclusosi domenica.


Il collaboratore del Papa ha confessato le sue speranze sui frutti dell'Incontro: “Ci auguriamo che dopo lo sbandamento di questi anni la società civile apra gli occhi su questo bene immenso che è la famiglia, perché la famiglia è il nostro futuro”.


Oggi quando si parla di famiglia sembra che non tutti si riferiscano alla stessa realtà. E' d'accordo?


Padre Gianfranco Grieco: La Chiesa parla di “famiglia”, ma il mondo di oggi parla di “famiglie”. Noi portiamo avanti la tesi che la famiglia è il cuore della società. Se il cuore è malato, la società è malata; se la società ha un cuore vivo, la famiglia è viva; se la famiglia è fondata sul matrimonio cristiano, che richiede figli, educazione, crescita, responsabilità, condivisione... tutti questi valori appartengono alla famiglia cristiana e anche alla famiglia umana.

Tutto questo contribuisce a far sì che la società cammini nel senso della responsabilità e del bene comune. Se la famiglia è malata, la società e malata; se la famiglia è sana, la famiglia genera una società sana, senza precipizi, senza vuoti, senza guerre, senza disarmonia, senza rancore, ma che viva nel progresso, nella pace.


Perché il Papa e la Chiesa hanno fatto dell'Incontro Mondiale delle Famiglie una “priorità pastorale”?


Padre Gianfranco Grieco: La Chiesa cattolica è come un'orchestra, che cerca di suonare bene in tutte le parti del mondo. Con Giovanni Paolo II, in tutto il suo lungo pontificato, la Chiesa ha capito che la nuova strategia, il nuovo impegno per dare un nuovo volto all'umanità è pensare alla famiglia.

Nei quarant'anni dal 1968 ad oggi, la famiglia è stata dimenticata, offesa, emarginata con tutti i temi dell'aborto, del divorzio, dell'eutanasia, con tutte le strane leggi sulla bioetica e tutti questi temi che non fanno bene alla famiglia, che la disgregano, la frantumano.


Noi tutti dobbiamo lavorare perché in tutte le forze, in tutte le responsabilità ci sia un'orchestra che sappia ben suonare quest'inno alla famiglia, che è l'inno alla vita, l'inno all'amore. Possiamo dire che questa non è un'utopia: è una fatica, un impegno che la Chiesa deve realizzare insieme alla società civile, perché se c'è una famiglia sana è la società civile che ci “guadagna”.


In una famiglia in cui c'è un drogato ci sono problemi. Una famiglia in cui c'è un figlio che si impegna, che obbedisce, che studia, che cresce, che diventa corresponsabile con la società fa un gran bene alla società civile.


L'Incontro Mondiale delle Famiglie è, accanto alle Giornate Mondiali della Gioventù, uno dei momenti in cui la Chiesa riunisce il maggior numero di persone. Qual è la collaborazione per far sì che le famiglie sostengano i giovani e viceversa?


Padre Gianfranco Grieco: In questa orchestra, in questa sinfonia la famiglia sostiene i figli e i figli sostengono la famiglia. Non possiamo promuovere politiche in cui famiglia e figli non camminino insieme. Purtroppo viviamo in un contesto sociale in cui si vuole frantumare tutto questo. Ognuno va per la sua strada, ma così si va verso l'isolamento, verso la morte, la disgregazione, la perdita dei sentimenti. Si cammina senza cuore.

Ci auguriamo che dopo lo sbandamento di questi anni la società civile apra gli occhi su questo bene immenso che è la famiglia, perché la famiglia è il nostro futuro.


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25/01/2009 19:39

Messaggio del Papa al termine dell'Incontro Mondiale delle Famiglie


Difende i "diritti inalienabili" della cellula fondamentale della società

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 19 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo del messaggio che Benedetto XVI ha rivolto questa domenica per televisione alle migliaia di pellegrini che partecipavano alla celebrazione eucaristica dell'Incontro Mondiale delle Famiglie, presieduta dal legato pontificio, il Cardinale Tarcisio Bertone, sulla spianata del Santuario di Nostra Signora di Guadalupe a Città del Messico.

* * *


Cari fratelli e sorelle,


1. Vi saluto tutti con affetto al termine di questa solenne celebrazione eucaristica con la quale si sta concludendo il VI Incontro mondiale delle famiglie a Città del Messico. Rendo grazie a Dio per le tante famiglie che, senza lesinare sforzi, si sono riunite attorno all'altare del Signore.

Saluto in modo particolare il signor cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, che ha presieduto questa celebrazione come mio legato. Desidero esprimere il mio affetto e la mia gratitudine al signor cardinale Ennio Antonelli, e anche ai membri del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che egli presiede, al signor cardinale arcivescovo primate di Città del Messico Norberto Rivera Carrera, e alla commissione centrale che si è occupata dell'organizzazione di questo vi Incontro mondiale. La mia riconoscenza va anche a tutti coloro che, con generoso impegno e dedizione, hanno reso possibile la sua realizzazione. Saluto anche i signori cardinali e i vescovi presenti alla celebrazione, in particolare i membri della Conferenza episcopale messicana e le autorità di questa amata nazione, che hanno generosamente ospitato e reso possibile questo importante evento.

Voi messicani sapete bene di essere molto vicini al cuore del Papa. Penso a voi e offro a Dio Padre le vostre gioie e le vostre speranze, i vostri progetti e le vostre preoccupazioni. In Messico il Vangelo si è radicato profondamente, forgiando le sue tradizioni, la sua cultura e l'identità del suo nobile popolo. Bisogna custodire questo ricco patrimonio affinché continui a essere fonte di energie morali e spirituali per affrontare con coraggio e creatività le sfide di oggi e per offrirlo come dono prezioso alle nuove generazioni.

Ho partecipato con gioia e interesse a questo Incontro mondiale, soprattutto con la mia preghiera, dando orientamenti specifici e seguendo costantemente la sua preparazione e il suo svolgimento. Oggi, attraverso i mezzi di comunicazione, ho compiuto un pellegrinaggio spirituale fino a questo santuario mariano, cuore del Messico e di tutta l'America, per affidare a Nostra Signora di Guadalupe tutte le famiglie del mondo.
 

2. Questo Incontro mondiale delle famiglie ha voluto incoraggiare i focolari cristiani affinché i loro membri siano persone libere e ricche di valori umani ed evangelici, in cammino verso la santità, che è il miglior servizio che noi cristiani possiamo offrire alla società attuale. La risposta cristiana dinanzi alle sfide che deve affrontare la famiglia, e la vita umana in generale, consiste nel rafforzare la fiducia nel Signore e il vigore che nasce dalla fede stessa, la quale si nutre dell'ascolto attento della Parola di Dio. Come è bello riunirsi in famiglia per lasciare che Dio parli al cuore dei suoi membri attraverso la sua Parola viva ed efficace! Nella preghiera, specialmente nella recita del Rosario, come è stato fatto ieri, la famiglia contempla i misteri della vita di Gesù, interiorizza i valori che medita e si sente chiamata a incarnarli nella propria vita.


3. La famiglia è un fondamento indispensabile per la società e per i popoli, e anche un bene insostituibile per i figli, degni di venire al mondo come un frutto dell'amore, del dono totale e generoso dei genitori. Come ha messo in evidenza Gesù onorando la Vergine Maria e san Giuseppe, la famiglia occupa un luogo fondamentale nell'educazione della persona. È una vera scuola di umanità e di valori perenni. Nessuno si è dato la vita da solo. Abbiamo ricevuto da altri la vita, che si sviluppa e matura con le verità e i valori che apprendiamo nel rapporto e nella comunione con gli altri. In tal senso, la famiglia fondata sul matrimonio indissolubile fra un uomo e una donna esprime questa dimensione relazionale, filiale e comunitaria, ed è l'ambito dove l'uomo può nascere con dignità, e crescere e svilupparsi in maniera integrale. (cfr. Omelia nella santa messa del v Incontro Mondiale delle famiglie, Valencia, 9 luglio 2006).


Questo lavoro educativo si vede però ostacolato da un ingannevole concetto di libertà, in cui il capriccio e gli impulsi soggettivi dell'individuo vengono esaltati al punto da lasciare ognuno rinchiuso nella prigione del proprio io. La vera libertà dell'essere umano proviene dall'essere stato creato a immagine e somiglianza di Dio, e pertanto va esercitata con responsabilità, optando sempre per il bene autentico, affinché diventi amore, dono di sé. A tal fine, più che le teorie, sono necessari la vicinanza e l'amore caratteristici della comunità familiare. È nel focolare domestico che s'impara a vivere veramente, a valorizzare la vita e la salute, la libertà e la pace, la giustizia e la verità, il lavoro, la concordia e il rispetto.


4. Oggi più che mai si ha bisogno della testimonianza e dell'impegno pubblico di tutti i battezzati per riaffermare la dignità e il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna e aperto alla vita, e anche della vita umana in tutte le sue fasi. Occorre altresì promuovere misure legislative e amministrative a sostegno delle famiglie nei loro diritti inalienabili, di cui esse hanno bisogno per portare avanti la loro straordinaria missione. Le testimonianze presentante nella celebrazione di ieri mostrano che anche oggi la famiglia può restare salda nell'amore di Dio e rinnovare l'umanità nel nuovo millennio.


5. Desidero esprimere la mia vicinanza e assicurare della mia preghiera tutte le famiglie che rendono testimonianza di fedeltà in circostanze particolarmente difficili. Incoraggio le famiglie numerose, che, vivendo a volte fra contrarietà e incomprensioni, danno un esempio di generosità e di fiducia in Dio, auspicando che non manchino loro gli aiuti necessari. Penso anche alle famiglie che soffrono per la povertà, la malattia, l'emarginazione e l'emigrazione, e in modo particolare alle famiglie cristiane che sono perseguitate a causa della loro fede. Il Papa è molto vicino a tutti voi e vi accompagna nei vostri sforzi quotidiani.


6. Prima di concludere questo incontro, sono lieto di annunciare che il vii Incontro mondiale delle famiglie si terrà, Dio volendo, in Italia, nella città di Milano, nell'anno 2012, con il tema: «La famiglia, il lavoro e la festa». Ringrazio sinceramente il signor cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, per la cortesia mostrata nell'accettare questo importante impegno.


7. Affido tutte le famiglie del mondo alla protezione della Vergine Santissima, tanto venerata nella nobile terra messicana con il titolo di Guadalupe. A Lei, che ci ricorda sempre che la nostra felicità consiste nel fare la volontà di Cristo (cfr. Gv 2, 5), dico ora:


Madre Santissima di Guadalupe,

che hai mostrato il tuo amore e la tua tenerezza

ai popoli del continente americano,

colma di gioia e di speranza tutti i popoli

e tutte le famiglie del mondo.

A Te, che precedi e guidi il nostro cammino di fede

verso la patria eterna,

affidiamo le gioie, i progetti,

le preoccupazioni e gli aneliti di tutte le famiglie.

O Maria,

a Te ricorriamo confidando nella tua tenerezza di Madre.

Non ignorare le preghiere che ti rivolgiamo

per le famiglie di tutto il mondo

in questo periodo cruciale della storia,

piuttosto, accoglici tutti nel tuo cuore di Madre

e accompagnaci nel nostro cammino verso la patria celeste.

Amen.


Traduzione dall'originale in spagnolo a cura de L'Osservatore Romano


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28/01/2009 07:52

Un messaggio profetico per la famiglia

Negli occhi della Madonna di Guadalupe

di Renzo Allegri


ROMA, martedì, 20 gennaio 2009 (ZENIT.org).-  L’Incontro mondiale delle Famiglie a Città del Messico, (16-18 gennaio)  ha registrato una partecipazione imponente, a dimostrazione di quanto sia vivo, nel popolo cristiano, nonostante tutto, il valore famiglia anche nel nostro tempo. E’ il sesto Incontro mondiale delle Famiglie, che si ripete ogni tre anni.

Quest’anno il tema era:  "La famiglia, formatrice ai valori umani e cristiani". Gli ultimi due giorni si sono svolti presso la Basilica della Madonna di Guadalupe, il santuario  mariano più frequentato (12 milioni di pellegrini l’anno).

La Madonna di Guadalupe ha una grande importanza nella vita religiosa dei cattolici dell’America Latina.  Tutti i messicani sono devoti della Madonna di Guadalupe.


La storia di quel santuario, che sorge alla periferia della Capitale messicana, ebbe inizio nel dicembre del 1531. Un indio, Juan Diego, un contadino di 57 anni (dichiarato santo da Giovanni Polo II nel 2002),  mentre si recava in chiesa, cominciò a incontrare una bellissima ragazza che lo salutava e gli sorrideva. Una mattina quella ragazza si presentò dicendo:  “Io sono la Perfetta Sempre Vergine Maria, la Madre del Verissimo e unico Dio”  e chiese che in quel luogo venisse eretta una chiesa in suo onore.


L’indio riferì tutto al vescovo, Juan de Zumarraga, il quale non voleva credere. E allora quella misteriosa ragazza disse a Juan di  andare sulla montagna, cogliere dei fiori e portarli al vescovo. Diego obbedì anche se pensava di non poter trovare fiori in quel periodo di freddo rigido.


Invece trovò delle bellissime rose. Le raccolse, le pose, nella sua  tilma, una specie di rozzo grembiule che portavano i contadini messicani, e andò dal vescovo.  Quando aprì la tilma, il vescovo con tutte le altre persone che erano presenti, videro formarsi su quella rozza stoffa l’immagine della Madonna. Quella che si venera nella Basilica. Cadde in ginocchio e cominciò a credere ai racconti del  povero indio.


Quell’immagine venne portata nella cattedrale ed esposta alla veneraione del pubblico. La devozione si diffuse rapidamente, anche perché si verificarono subito molti prodigi. Fu eretta una cappella e in seguito un grande santuario e di recente un altro santuario ancora più grande per poter ospitare i pellegrini che ogni anno aumentano.


L’immagine rappresenta una giovane sui 15 anni, alta 143 centimetri, con carnagione un po’ scura e per questo  i messicani la chiamano “Virgen Morenita”. I tratti del viso non sono né europei né indio, ma presentano una perfetta commistione di queste due razze. Si potrebbe dire che è una perfetta meticcia, ma va ricordato che, allora, i meticci, frutto appunto delle due razze, azteka ed europea, non esistevano ancora.

Quell’immagine, quindi, nella sua configurazione fisica, era profetica, rappresentava la razza meticcia che sarebbe  venuta in seguito e che costituisce la popolazione messicana di oggi. E  così come misteriosamente si era formata, continuò a presentare sempre più stupefacenti anomalie.


Fin dall’inizio, attrasse la curiosità dei più attenti osservatori. La tilma era di un tessuto di fibre di agave, che in genere venivano adoperate per fare corde. Una volta ritorte, quelle fibre davano dei fili aspri, duri e molto resistenti. Il tessuto che si otteneva, perciò, era rozzo, assolutamente non adatto ad essere dipinto. E molti, osservando l’immagine, si chiedevano come mai fosse stato possibile ottenere una figura così bella su una tela tanto rozza.


Cominciarono le ricerche. Prima fatte da pittori curiosi, poi da medici e scienziati e vennero così alla luce caratteristiche misteriose e assolutamente inspiegabili con le conoscenze scientifiche umane. Il mistero è andato via via, lungo i secoli, sempre più evidenziandosi e ingigantendosi, fino a diventare uno degli enigmi più sconcertanti che si conoscano.


Nel 1936, il professor Richard Kuhn, diret­tore della sezione di chimica del Kaiser Wilhelm Institut di Heidelberg, che due anni dopo, nel 1938, avrebbe ottenuto il premio Nobel per la chimica, dimostrò in maniera scientificamente inoppugnabile che sulle fibre di quella tela non vi è traccia di coloranti di nessun tipo,  né vegetali, né animali, né minerali. Quel quadro non poteva essere stato  dipinto da mano umana.

Ma il fenomeno più sorprenden­te  riguarda le scoperte fatte nelle pupille della Vergine.  Nel 1929, il fotografo Al­fonso Marqué Gonzales, stu­diando alcuni negativi del­l'immagine, osservò che, con l’aiuto di una grossa lente di ingrandimento, nel­l'occhio destro della Madon­na si vedeva distintamente una figura umana.

La scoperta destò scalpore. Altri fotografi cercarono di chiarire il fatto, scoprendo anche altre immagini. Se ne interessarono anche medici.


E’ noto che nell’occhio umano si formano tre immagini riflesse degli oggetti osservati. Si chiamano “immagini di Purkinje-Sanson” dai nomi dei due ricercatori che scoprirono questa caratteristica dell’occhio umano nel secolo XIX.

Due di quelle immagini sono “diritte”, una sulla superficie esterna della cornea, la seconda sulla superficie  esterna del cristallino. La terza, che si forma rovesciata, appare sulla superficie interna del cristallino.

In teoria, tali immagini riflesse, oltre che negli occhi di una persona vivente possono essere viste anche in una fotografia della stessa,  ma non potevano certo vedersi negli occhi di un volto umano “dipinto” su una tela. Eppure, nelle pupille della Vergine di Guadalupe, immagine che risale al 1531, si vedevano le sagome di  alcune persone.

Nel  1979 arrivò in Messico un ingegnere peruviano, José Aste Tonsmann. Uno scienziato ad alto livello, che alcuni anni fa ho intervistato. Laureato in Ingegneria Civile  all’Università Nazionale di Ingegneria del Perù, aveva conseguito una seconda laurea in Filosofia e, passato all’Università Cornell, negli Stati Uniti, si era specializzato in Ingegneria dei Sistemi di ricerca attraverso il computer. Aveva lavorato poi con grandi aziende e tenuto corsi nelle più prestigiose università americane. Era insomma uno dei ricercatori moderni più qualificati.


Rimase colpito dagli studi già fatti sugli occhi della Madonna e volle interessarsene.  Da allora ha dedicato tutta la sua vita agli studi sugli occhi della Madonna di Guadalupe. Servendosi di strumenti elettronici d’avanguardia, di quelli, per intenderci, adoperati anche dalla Nasa per decifrare  le foto inviate dai satelliti nello spazio.

Ha studiato il fenomeno in tutti i  suoi aspetti ed ha scoperto che negli occhi dell’immagine della Madonna di Guadalupe sono presenti le sagome di diverse persone e si vede ben distinta una scena specifica: quella descritta nei documenti del tempo,  che raccontano come si sia formata l’immagine della Vergine sulla tilma di Juan Diego.

Negli occhi dell’immagine della Vergine di Guadalupe, il professor  José Aste Tonsmann ha evidenziato nettamente un indio seduto, nudo, con la gamba sinistra appoggiata al suolo e quella destra piegata sopra l'altra, con i capelli lunghi, legati al­l'altezza delle orecchie, orecchino e anello al dito.


Accanto a lui, un uomo an­ziano, con la calvizie note­volmente avanzata, la barba bianca, il naso dritto, le so­pracciglia sporgenti, e si ve­de che una lacrima gli scen­de lungo la guancia destra: in questo personaggio è sta­to identificato il vescovo Juan de Zumarraga.


Alla sua sinistra, un uomo ab­bastanza giovane, e si sup­pone che si tratti di Juan Gonzales, che fungeva da in­terprete per il vescovo de Zumarraga. Più avanti, appare il profilo di un uomo in età matura, con barba e baffi aderenti alle guance, naso grande e marcatamente aquilino, zigomi sporgenti, occhi incavati e labbra soc­chiuse, che sembra indos­sare un cappuccio a punta: è un indio, colto mentre sta per aprire il proprio mantel­lo.

Egli è rivolto in direzione dell'anziano calvo. E’ la scena di quando Juan Diego portò le rose al vescovo. La Madon­na era presente, la scena che vedeva era nei suoi occhi e  rimase fissata nelle pupille dell’immagine che misteriosamente in quel momento si  impresse sulla tilma di Juan.


Nella descrizione dei vari personaggi osservati negli occhi della Madonna, l'in­gegnere José Aste ha individuato anche una giovane negra. Questo particolare mise in allarme gli studiosi in quan­to al tempo dell'apparizione, in Messico, non c'erano ne­gri. Ma successive ricerche hanno chiarito il piccolo giallo.

Dal testamento del vescovo Juan de Zumarraga si è appreso che egli aveva al suo servizio una schiava ne­gra, alla quale, prima di mo­rire, volle concedere la liber­tà per i preziosi servizi che aveva avuto.

Accanto ai personaggi “storici”, José Aste ha individuato anche una seconda scena, staccata dalla prima, quasi in secondo piano, con un gruppo di persone anonime, che potrebbero rappresentare una famiglia atzeca composta da padre, madre, nonni e tre bambini.

Riflettendo sulle sue straordinarie scoperte scientifiche, il dottor José Aste,  avanza, da credente,  un’ipotesi suggestiva. Dice che le scene scoperte nelle pupille dall’immagine potrebbero costituire un “messaggio” della Madonna di Guadalupe.


“Un messaggio destinato proprio al nostro tempo”, dice l’ingegnere “perché la Vergine sapeva che solo con la tecnologia moderna si poteva evidenziare il segreto racchiuso negli occhi di quella sua immagine. La scena delle figure anonime potrebbe indicarci  l’importanza dell’unione della famiglia e dei suoi valori; la presenza nello sguardo della Madonna di persone di razze diverse, potrebbe essere un monito antirazzista; la tilma che, per gli atzechi,  era più uno strumento di lavoro che un indumento vero e proprio, potrebbe essere un invito a servirci della tecnologia per diffondere la parola di Cristo”.


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28/01/2009 08:31

Dal Messico, niente polemiche sterili: solo proposte pro famiglia

Bilancio del Cardinale Norberto Rivera Carrera


di Jesús Colina


CITTA' DEL MESSICO, martedì, 20 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Dal VI Incontro Mondiale delle Famiglie, convocato da Benedetto XVI a Città del Messico, è sorto un programma di proposte per riscoprire la bellezza della famiglia, non polemiche sterili, afferma l'ospite dell'evento, il Cardinale Norberto Rivera Carrera.


L'Arcivescovo primate del Messico ha presentato un bilancio delle conclusioni del Congresso Teologico-Pastorale (14-17 gennaio), celebrato al centro Expo Bancomer con la partecipazione di 10.000 persone di 98 Paesi, nella sua assemblea conclusiva, alla presenza del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato e legato papale per l'evento.


Al Congresso hanno partecipato 30 Cardinali e 200 Vescovi, così come rappresentanti di congregazioni religiose e associazioni di secolari, università e centri di studio.

Nella sua relazione, il Cardinale Rivera Carrera ha constatato che in questi giorni “è rimasto chiaro che non siamo contro nessuno ma solo a favore del diritto che abbiamo di proporre il Vangelo della famiglia e della vita”.

“Spetta a noi tornare a proporre il modello familiare che sappiamo essere il più completo, il più armonioso, il modello che forma la comunità di vita e d'amore che è il matrimonio e che si prolunga nei figli come frutti naturali del primo di tutti i valori”, ha affermato sintetizzando le conclusioni.


“Sappiamo che questo modello non è sempre presente in tutte le comunità umane, e che ci si presenta spesso frantumato nella società, a causa della fragilità umana, ma non possiamo smettere di aspirare e di continuare a costruire questo modello che realizza meravigliosamente la vocazione umana e divina dell'essere umano”, ha riconosciuto.

Nel comunicato conclusivo del Congresso Teologico-Pastorale (http://www.emf2009.com), gli organizzatori espongono conclusioni concrete.


“L'Incontro ha constatato ancora una volta la ricchezza della famiglia come educatrice, formatrice, trasmettitrice della fede, dei valori, delle tradizioni e dell'identità culturale e spirituale, che ha potuto vedersi messa in discussione da una globalizzazione pragmatica”, spiega il documento.


“Di fronte alla crisi economica, la famiglia si conferma anche come asse della solidarietà e del sostegno fraterno a quanti perdono l'impiego o vedono le proprie entrate ridotte”.


I partecipanti hanno inoltre riconosciuto “la donna come centro ricchissimo di valori e di basi solide per la formazione dei figli e della società. Per la Chiesa, la donna occupa un luogo fondamentale che merita il massimo riconoscimento. La sua sensibilità apporta enormi basi alla famiglia, al lavoro, alla società”.

Il comunicato ricorda infine “ai politici che sono impegnati per il bene comune, per la vita e il rispetto della famiglia, la crescita di questa e il suo consolidamento”.


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11/02/2009 15:32

Il futuro della società dipende dalla famiglia


Intervista al Cavaliere supremo Carl Anderson

di Karna Swanson


CITTA’ DEL MESSICO, venerdì, 23 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Il futuro della società dipende dalla testimonianza forte, autentica e visibile delle famiglie cattoliche, secondo il Cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo.

Carl Anderson era a Città del Messico la scorsa settimana (14-18 gennaio) per intervenire al VI Incontro mondiale delle famiglie, a cui hanno partecipato circa 10.000 persone. Il suo intervento era intitolato “Solidarietà e famiglia”.

In questa intervista a ZENIT Anderson ha illustrato alcuni passaggi del suo intervento ed ha parlato delle sue impressioni sull'incontro mondiale e di quella che egli considera la sfida più grande per la famiglia cristiana di oggi.


Il tema della sua conferenza è stato “Famiglia e solidarietà”. Perché solidarietà?


Anderson: La risposta breve è che questo è l'argomento che mi è stato assegnato. D'altra parte questo è un tema che è stato di grande importanza per Giovanni Paolo II. Ovviamente per ciò che è successo in Polonia e in tutta l'Europa orientale negli anni '80 e '90, ma soprattutto in quanto parte della sua visione generale di rinnovamento della Chiesa e della società.

Comprendere che la solidarietà, nel senso cristiano, è concepita come una comunione con l'altro e per l'altro. Questo è stato un concetto centrale per Giovanni Paolo II, che si è espresso nella sua teologia del corpo e in tutto il suo pensiero sulla persona umana in quanto legata agli altri. Questo è quindi il concetto di solidarietà nella famiglia e della famiglia, come modello per l'intera società, come testimonianza della comunione e della solidarietà e di una vita incentrata sull'altro: anzitutto nella famiglia, ma anche al di fuori di essa, nel resto della società.


Lei è passato dall'idea di unità, attingendo al pensiero di Giovanni Paolo II, per parlare poi della solidarietà, attingendo al pensiero di Benedetto XVI. Come è arrivato a questa conclusione?


Anderson: Ciò che è così sorprendente per me, anche se forse è solo parte del sapiente disegno della Provvidenza, è che ovviamente Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono due persone diverse, con due diversi indirizzi e interessi, ma tra le loro due impostazioni di pensiero vi è un forte parallelismo. Il fatto che Benedetto XVI apprezzi e si basi sulle idee introdotte da Giovanni Paolo II sulla solidarietà, sull'unità e sulla comunione tra le persone e sul suo significato; e il fatto che Benedetto XVI le riproponga, estendendole e approfondendole, dimostra la continuità che esiste nell'insegnamento della Chiesa, nella tradizione e nella vita della Chiesa. Si tratta quindi di una cosa meravigliosa e io credo che siamo molto fortunati ad avere questi due grandi Papi nella storia della Chiesa.


Il concetto di solidarietà nella famiglia sembra riferirsi a un qualcosa che si verifica spontaneamente. Lei vede la solidarietà come un fenomeno naturale nella società, sebbene sia un qualcosa in fase di disgregazione?


Anderson: Io credo che una delle intuizioni più importanti di Giovanni Paolo II sia l'idea che non si tratti di mera teoria, ma di cose instillate nella stessa struttura dell'esistenza umana ad opera del Creatore come parte del suo disegno. Se guardiamo ai due grandi comandamenti – l'amore per Dio e l'amore per il prossimo – vediamo che l'amore è innato nella stessa vocazione della persona umana, nel suo nucleo più intimo. Non dovrebbe sorprenderci quindi che la struttura dell'esistenza umana sia disegnata in modo tale da portarci verso quel tipo di rapporto tra di noi. E questo, a mio avviso, è uno dei più importanti contributi che Giovanni Paolo II ha dato al continuo insegnamento della tradizione della Chiesa.  E credo che solo adesso stiamo iniziando a renderci conto della sua importanza e delle grandi implicazioni che comporta.


Quali sono le maggiori sfide che lei vede per la famiglia odierna negli Stati Uniti?


Anderson: Beh, non saprei da dove cominciare. Certamente vi sono le ovvie difficoltà sul fronte economico, sociale e culturale. Ma credo che la Grande sfida della famiglia cristiana sia quella di vivere ciò che significa essere cristiani, ciò che significa dire che Gesù è il Signore, e di credere in ciò che pronunciamo nel Credo e di vivere questa vita prima all'interno della famiglia e poi all'esterno, nell'intera società. Essere dei veri testimoni.

Quarant'anni fa, padre Joseph Ratzinger, rivolgendosi ad un gruppo di studenti, ha detto che ciò che preoccupa così tanti cristiani, più che la questione dell'esistenza di Dio, è la questione se il Cristianesimo costituisca un elemento di distinzione, se cioè si possa scorgere nella società un qualcosa di nuovo che derivi dal Cristianesimo. In questo senso, l'elemento di distinzione, per le famiglie cristiane, è questa sfida a dare testimonianza.

Vi è differenza tra le società laiche e quelle cristiane nel modo in cui ci si sposa, si crescono e educano i figli, si lavora, si trattano i propri dipendenti, i propri clienti, si vota? O questi comportamenti sono indistinti tra le due società?

Se non si dovesse trovare distinzione, allora dovremmo tornare alla grande domanda di padre Ratzinger: cosa ha portato di nuovo Gesù Cristo? Credo quindi che questa sia la sfida delle famiglie cristiane.


Il nuovo Presidente Obama si è insediato lo scorso 20 gennaio. Molti negli Stati Unitivi vedono nella sua Presidenza un punto di svolta per il Paese. Cosa vede lei nel prossimo futuro degli Stati Uniti?


Anderson: Io credo che gran parte della stampa – esclusi i presenti – oscilli continuamente fra due estremi. E credo che le aspettative per il nuovo Presidente siano attualmente molto, molto alte. Le sfide che gli Stati Uniti e il mondo devono affrontare sono così grandi che richiedono l'impegno di ciascuno a lavorare insieme per trovare soluzioni che siano opportune e adeguate.

Ma, rispetto ai suoi interventi in campagna elettorale, soprattutto sulle questioni relative alla famiglia, alla società, alla vita, se lui dovesse procedere in quella direzione, emergeranno grandi sfide per molti credenti che riconoscono la sacralità della vita. Siano essi cattolici, protestanti, ebrei, o per una certa misura persino non credenti. Credo, quindi, che tutti si aspettino che trovi delle soluzioni alle molte questioni economiche e di politica estera.


Un'ultima domanda. Quali potrebbero essere i frutti del VI Incontro mondiale delle famiglie?


Anderson: Il futuro della società dipende dalla famiglia, dal futuro della famiglia. E' questo il decisivo terreno di incontro tra la Chiesa e la cultura di oggi. Per questo la testimonianza delle famiglie cattoliche deve essere autentica, forte e visibile rispetto alla comunità in cui esse vivono.

E deve essere una testimonianza che rifletta – e credo che il Papa Benedetto XVI lo faccia in modo eccezionale – la gioia di essere discepoli di Gesù Cristo, così che i non cristiani che vedono la famiglia cattolica possano apprezzare e volere per sé lo stesso modo di vivere. Non si tratta di una serie di “no”, ma di una serie di “sì”: un modo di vivere pieno di gioia e di realizzazione di cui anche io voglio essere parte.


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