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IV DOMENICA DOPO L'EPIFANIA

Ultimo Aggiornamento: 31/01/2009 21:32
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31/01/2009 21:32

Commento al Vangelo del 1° febbraio
La tempesta sedata
IV Domenica dopo l’Epifania
Lc 24,9-12; Sap 19,6-9; Rom 8,28-32; Lc 8,22-25
30.01.2009

di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano

Anche in questa domenica continua la manifestazione di Gesù: potremmo dire che egli ci appare davvero come il «creatore e Signore del cielo e della terra», come colui che domina le potenze della natura, lui che della natura è artefice. Ma io vorrei leggere questa pagina non tanto come manifestazione di potenza sulle forze della natura quanto piuttosto come misteriosa presenza in quelle tempeste, in quei turbini che prima che nell’atmosfera si scatenano dentro di noi. Quando l’esistenza è agitata dal turbine delle contraddizioni, dalla sofferenza, dal male in tutte le sue forme. nell’ora delle tenebre quando non solo il cielo si fa plumbeo ma il nostro cuore è scosso, disorientato, è possibile che l’uomo si rivolga a Dio come i discepoli terrorizzati nella barca: Maestro siamo perduti.

L’evangelista Marco che riferisce la medesima situazione mette sulle labbra dei discepoli una parola più dura: Maestro, non ti importa che moriamo? Intanto Gesù dormiva, anzi Marco annota che dormiva su un cuscino, noi diremmo dormiva della grossa nonostante la tempesta. Questo dormire di Gesù, nonostante la naturalezza, è terribile: insinua il sospetto che Dio non si prenda cura di noi, che Dio dorma, non abbia occhi per noi, proprio nell’ora del nostro soffrire. Non è un sospetto nuovo, anzi. Ne abbiamo l’eco nella grande tragedia greca: “Colui che diede inizio alla nostra sventura fu un dio vendicativo, un dio malvagio venuto da non so dove”. E in un altro testo tragico: “Ah divinità portatrice di dolori, con quale peso ti sei abbattuta sulla nostra stirpe”.

Il silenzio di Dio di fronte al male?

E’ singolare come anche nella Bibbia vi sia traccia di questo terribile sospetto: Dio assente, estraneo, peggio nemico dell’uomo. Ascoltiamo qualche parola di Giobbe: “Sappiate che Dio mi ha fatto torto e nella sua rete mi ha avvolto. Mi ha sbarrato la strada e non passerò, sul mio cammino ha messo le tenebre. Mi distrugge del tutto e io me ne vado. Sradica come un albero le mie speranze”. E’ l’angosciosa costatazione del silenzio di Dio di fronte allo scatenarsi del male. Questo interrogativo tremendo è stato riproposto nei giorni dello sterminio. Abbiamo celebrato mercoledì scorso il giorno della memoria della Shoah, lo sterminio di sei milioni di Ebrei. Molti si sono chiesti: Dov’era, il Dio di Abramo, quando milioni di uomini, donne e bambini venivano sterminati?

Dio taceva, Dio dormiva mentre la barca era agitata dalla tempesta? Tante volte i credenti si sono misurati con avvenimenti che sembrano smentire la presenza nella storia di un Dio provvidente. Ecco la voce dei Salmi: “Svegliati, perché dormi Signore? Destati, non ci respingere per sempre. Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e la nostra oppressione”. Questa è la tentazione suprema per la nostra fede: esser persuasi che Dio dorma, sia assente, estraneo proprio quando la nostra vita è in balìa della tempesta. Noi vorremmo che Dio intervenisse, placasse la bufera, mettesse fine all’imperversare del male. Ai discepoli e a noi impauriti e disperati Gesù rivolge una sola decisiva parola: Dov’è la vostra fede?

Aver fede vuol dire, allora, sconfiggere le immagini di un Dio assente, estraneo e quindi dimentico degli uomini e della loro sofferenza, un Dio indifferente, addormentato. Credere vuol dire invece la certezza di una presenza, nonostante le tempeste che scuotono la nostra fragile imbarcazione. Ma c’è questo silenzio di Dio. Nella pagina evangelica la voce di Gesù si leva sul turbine, lo rimprovera, lo mette a tacere. Non così nella storia. Dov’è la voce severa, minacciosa di Gesù che rimprovera gli uomini che scatenano burrasche devastanti? Ma davvero questa voce è assente dalla storia o siamo noi incapaci di ascoltarla? Non ci è data la certezza di non incontrare burrasche nella incerta navigazione della nostra esistenza: ma la fede in una presenza, per compiere la traversata senza disperazione.
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