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V Domenica dopo l' Epifania

Ultimo Aggiornamento: 07/02/2009 22:32
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07/02/2009 22:32

Commento al Vangelo dell’8 febbraio
La donna straniera
V Domenica dopo l’Epifania
Gv 20,1-8; Is 60,13-14; Rom 9,21-26; Mt 15,21-28
06.02.2009

di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano

Questa pagina evangelica è francamente imbarazzante. Gesù appare così legato alla sua condizione umana di figlio del popolo ebraico al punto da chiudere le orecchie alla domanda di aiuto di questa donna straniera che non aveva nelle vene il sangue di Abramo e che probabilmente neppure credeva al Dio unico di Abramo. Gesù sembra sordo alle richieste accorate di aiuto di questa donna per la sua figliuola malata, anzi devono essere i discepoli quasi a scuoterlo dalla sua indifferenza. Ma ancor più Gesù si rivolge a questa povera madre angosciata per la condizione della figlia con un termine che la nostra sensibilità giustamente rifiuta. Parla di questa donna straniera secondo la mentalità ebraica di allora che assimilava gli stranieri ai cani.
Il diminutivo “cagnolini” non toglie affatto la sensazione di sgradevole, inaccettabile disprezzo per gli stranieri che era proprio del mondo ebraico di allora. Potremmo dire che in nessuna altra pagina dei Vangeli Gesù ci appare ebreo, legato ad una mentalità che noi oggi rifiutiamo perché razzista. Una mentalità dura a morire e che purtroppo si manifesta ancora oggi. Questi ultimi giorni hanno conosciuto odiosi episodi di stupro ad opera di stranieri e il gesto criminale da parte di ragazzi italiani che mettono a fuoco un povero indiano senza fissa dimora, addormentato su una panchina della stazione. Quante persone discriminate, tenute ai margini, disprezzate perché non appartengono alla nostra cultura, non hanno la nostra religione, non hanno usi e costumi come i nostri.

Il cuore dell’uomo

Ma ecco la svolta: in questa donna straniera c’è una fede tenace, c’è un bisogno di salvezza che attende da Gesù risposta e che ottiene risposta: la guarigione della figlia. Che cosa ci insegna questa pagina? Anzitutto impariamo a non giudicare, a non escludere nessuno fermandoci agli elementi esteriori. Noi non conosciamo davvero il cuore dell’uomo e non possiamo farci giudici della sua coscienza. C’è nelle preghiere che seguono la consacrazione una espressione che mi colpisce sempre: appunto affidando i nostri morti al Signore si aggiunge “dei quali tu solo hai conosciuto la fede”. Noi possiamo cogliere indizi esteriori. Possiamo dire: quella persona è praticante, frequenta con assiduità la chiesa, ma non sempre praticare vuol dire aver fede. Quante persone hanno una esteriore pratica religiosa, anzi un ossequio per la Chiesa e i suoi riti ma poi hanno comportamenti decisamente estranei allo stile del credente. Dio solo conosce la fede che abita il cuore dell’uomo, solo lui può dire: Grande è la tua fede o donna. Lui solo, noi non possiamo farci giudici della coscienza altrui e catalogare sbrigativamente i credenti e i non credenti.

Non possiamo giudicare

Quante persone non hanno gesti esteriori di tipo religioso, non sono, come si dice, praticanti ma non possiamo per questo etichettarli come non credenti. Questo giudizio non ci è consentito. Passare dai comportamenti esteriori al segreto della coscienza non ci è lecito. Di nuovo: Dio solo scruta i cuori. Quanto preziosa la lezione del cardinale Martini: in ognuno di noi c’è un credente e un non credente, in ognuno di noi convivono certezze e dubbi, oscurità e chiarezze. Per questo dobbiamo essere sempre pronti a riconoscere ovunque i segni della fede. Ma se non dobbiamo farci giudici della fede o dell’incredulità dividendo gli uomini appunto in credenti e non credenti, non possiamo, allora, in nome della fede condannare, escludere, mettere al bando, peggio combattere e sopprimere, come tristemente è avvenuto. La fede non dovrà mai essere un criterio di divisione, separazione, conflitto; al contrario il rispetto per il segreto della coscienza dove appunto abita la fede e dove giunge solo lo sguardo di Dio e non quello dell’uomo, mi imporrà di rispettare ogni uomo, di riconoscerne la dignità. Sembra ovvio eppure ve n’è un gran bisogno, oggi.
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