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Le paure del nostro tempo e la speranza cristiana

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2009 23:56
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28/03/2009 08:17

Le paure del nostro tempo e la speranza cristiana

ROMA, giovedì, 19 marzo 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della conferenza tenuta il 5 marzo scorso, a Piacenza, nell’ambito di una riflessione sulle Settimane sociali, da mons. Giampaolo Crepaldi, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e Presidente dell'Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân”.



* * *


Un passo dell’enciclica “Spe salvi” di Benedetto XVI ci fa comprendere molto bene cosa saremmo e come vivremmo se non ci fosse stata aperta la porta della speranza: «Se non possiamo sperare più di quanto è effettivamente raggiungibile di volta in volta e di quanto di sperabile le autorità politiche ed economiche ci offrono, la nostra vita si riduce ben presto ad essere priva di speranza»[1].
 
Noi ci guardiamo attorno e, così facendo, vediamo “quanto di sperabile le autorità politiche ed economiche ci offrono”. Ma non è un panorama che ci rassicuri poi molto. I governi dell’Europa e dell’America hanno finora immesso negli Istituti di credito ben 370 miliardi di dollari, ma non è stato sufficiente non dico a risolvere la crisi, ma nemmeno a far percepire un qualche segnale di ripresa. Si è aggiunto il pericolo del fallimento delle banche dell’est europeo e, qualche esperto ha anche cominciato a chiedersi perché mai non potrebbero fallire anche gli Stati[2].

Su un altro versante di timori e paure, abbiamo dovuto assistere all’impotenza dei pubblici poteri a salvare la vita di Eluana Englaro. Non sono riuscito a capire bene cosa impedisse di intervenire. Non sono costituzionalista, ma semplice cittadino. E come cittadino mi è sembrato che salvare una vita non potesse essere incostituzionale, o almeno che non lo dovesse essere.

Su un terzo versante di preoccupazione, quello della immigrazione e della convivenza tra culture e religioni diverse, dobbiamo riscontrare che il modello del multiculturalismo e della laicità intesa come neutralità ha fallito[3].

Questo ci mette inquietudine. Da un lato le culture si sono limitate a convivere in modo parallelo, senza rispettarsi e senza integrarsi, dall’altro gli Stati pretendono di garantire uno spazio pubblico neutro da assoluti religiosi imponendo la laicità come un assoluto. Sulla recente sentenza spagnola contro i simboli religiosi nelle scuole pubbliche si è fatto notare che la scelta negativa rispetto a Dio è una scelta tanto assoluta quanto quelle positive e che lo Stato non può imporla senza venir meno al proprio dovere di imparzialità[4]

Sentiamo che ci vuole qualcos’altro oltre “quanto di sperabile le autorità politiche ed economiche ci offrono”. Coltiviamo addirittura l’idea che tante paure che tutti noi oggi proviamo e delle quali ho fornito tre esempi tra i più drammatici, siano dovute, alla fine, dalla corrosione della speranza. Ecco, forse, perché la ripresa non può venire solo dall’alto. Per questo, infatti, sentiamo in questi momenti di crisi e timore, una spinta, quasi un dovere, a mobilitarci, ad assumerci delle responsabilità, anche se non apparteniamo al ceto delle “autorità politiche ed economiche”. La speranza rende liberi.

Concedere dei mutui-casa sapendo della probabile insolvibilità dei contraenti; vendere questi mutui-casa dentro prodotti finanziari che passano di mano in mano per motivi speculativi, impacchettare questi prodotti finanziari dentro fondi di investimento collocati in borsa senza far trasparire la loro “tossicità” … tutto questo potrebbe sembrare fiducia nel domani, speranza, ma in realtà si tratta di strumentalizzare la speranza, di volerla in qualche modo dominare e sfruttare. Si è speculato sulla speranza. Una banca che vende, nelle modalità suddette, un rapporto fiduciario con una famiglia (perché in questo consiste un credito per l’acquisto della casa) credo si possa dire che specula sulla speranza. Abbiamo come la sensazione che in questi ultimi tempi sia stata corrosa quella speranza che nasce dalla realtà e dalle vere relazioni umani, dal lavoro e dalla fiducia, dalla conoscenza vicendevole e dalla solidarietà vissute come vocazione. Questo faceva la solidità della nostra speranza. Il lavoro visto come vocazione, il credito visto come espressione di fiducia e finanziamento per rendere possibile una vocazione, la vita vista come vocazione, da rispettare e pietosamente servire, anche quando non è più produttiva. L’altro, il fratello, il migrante, visto come una vocazione. Questo apriva il nostro cuore alla speranza, perché ci poneva in ascolto di qualcosa che non nasceva da noi, ma che ci interpellava da fuori o, meglio, da davanti. Qualcosa che ci veniva incontro[5].

Ora che le grandi banche, abituate a concedere prestiti sulla base di dati di rating senza aver visto mai in volto colui che richiede il credito, sono in crisi o sono puntellate, indirettamente o direttamente, dagli Stati, si riscopre la vecchia banca dislocata sul territorio, le casse rurali e le banche di credito cooperativo, che concedono i prestiti conoscendo la persona, la sua famiglia e la sua storia. Oggi molte piccole e medie imprese sono in difficoltà, ma ci sono due tipi di imprenditori. Quelli rampanti e spregiudicati, figli della mentalità della crescita indefinita, dell’indebitamento allegro e del guadagno nel breve termine, e quelli del buon senso antico, con i piedi per terra, che trattano i dipendenti come familiari e che possono contare su una solidarietà e una partecipazione allargata. I primi falliscono, i secondi, anche se a gran fatica, reggono. Ora si scopre l’importanza del microcredito, delle cooperative sociali che garantiscono i posti di lavoro anche nelle difficoltà e fanno da ammortizzatori sociali, riuscendo perfino a finanziare gli enti pubblici, dati i tempi con i quali questi ultimi assolvono ai loro impegni economici in questa epoca di ristrettezze. Ecco molti esempi di fiducia, di collaborazione, di solidarietà che ci danno speranza perché sono animati dalla speranza. Tutto questo mi fa pensare che questo momento di crisi sia il momento dei piccoli e non solo dei grandi.

Oggi ci troviamo davanti ad una crisi che investe soprattutto i tre ambiti che ho in precedenza richiamato: quello economico-finanziario, quello della convivenza tra culture e religioni diverse a seguito delle immigrazioni, quello della vita. In tutti e tre la paura è generata dalla carenza di speranza. Sull’ultimo ambito, quello della vita, permettetemi di dire qualche parola in più. Sono fortemente preoccupato e direi perfino angosciato dalla deriva eugenetica che l’ingegneria genetica sta assumendo[6].

Veramente aveva ragione Benedetto XVI a dire che con l’inseminazione artificiale veniva sfondata la soglia della dignità della persona[7].

Le diagnosi prenatali e le diagnosi preimpianto sempre più comportano quasi automaticamente l’uccisione del nuovo essere. La carenza di speranza produce l’indebolimento della carità e nella morte di Eluana Englaro io ho intravisto un vulnus alla pietas per il sofferente e a quella carità cristiana che ha permeato di sé, anche laicamente, la nostra civiltà.

La carenza di speranza è un atto di superbia che corrode anche la carità, in quanto pone tutte le soluzioni nelle sole nostre mani e ci fa convinti che il mondo si possa aggiustare senza essere buoni. O che si possa essere buoni senza volerlo, per una specie di meccanismo o biologico, o economico o politico. Infatti davanti alla crisi finanziaria e ai problemi della bioetica si invocano soprattutto soluzioni tecniche, che non possono essere soluzioni di nulla dato che il problema stesso non è tecnico. Gestire fondi “tossici” non è questione tecnica, dato che nessuna regola della finanza lo richiede.



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[1] Benedetto XVI, Enciclica Spe Salvi, n. 35.

[2] M. Longo, Così è crollato il castello di carta, “Il Sole 24 Ore”, 1 marzo 2009, p. 5.

[3] S. Fontana, Il fallimento del multiculturalismo in due opere recenti, “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” V (2009) 1, pp. 27-28. Cf.: W. Laqueur, Gli ultimi giorni dell’Europa. Epitaffio per un vecchio continente, Marsilio, Venezia 2008; P. Donati, Oltre il multiculturalismo, Laterza, Roma-Bari 2008.

[4] T. González Vila, Simboli religiosi e luoghi educativi pubblici, “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” V (2009) 1, pp. 21-23. Sul concetto di laicità mi sono ampiamente soffermato in G. Crepaldi, Dio o gli dèi. Dottrina sociale della Chiesa, percorsi, Cantagalli, Siena 2008.

[5] Martin Buber dice che ogni autentica relazione “capita”, non si può programmare, ci viene incontro (Cf. M. Buber ., Il principio dialogico ed altri saggi, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993).

[6] Lo aveva previsto G. Chesterton, Eugenetica ed altri malanni, Cantagalli, Siena 2008. Vedi Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Dignitatis personae su alcune questioni di bioetica, 8 dicembre 2008. Per una sintesi dell’importante documento vedi: http://www.vanthuanobservatory.org/p/news.php?id_news=672.

[7] Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, 31 gennaio 2008.

 

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