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Il celibato dei preti

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2009 14:34
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16/04/2009 11:13

Converrà innanzitutto indagare perché alcuni collochino la nascita del celibato nel 305 d.C. ca. col Concilio di Elvira; è presto detto: si tratta delle prima legge scritta a tal proposito che ci sia pervenuta, ma se teniamo in mente la distinzione sopra menzionata tra ius e lex la cosa non deve sconvolgerci in alcun modo.
Nel can. 33 di questo Concilio sotto la rubrica: “Sui vescovi e i ministri (dell’altare) che devono cioè essere continenti dalle loro consorti”, sta il seguente testo: “Si è d’accordo sul divieto completo che vale per i vescovi, i sacerdoti e i diaconi, ossia per tutti i chierici impegnati nel servizio dell’altare, che devono astenersi dalle loro mogli e non generare figli. Chi ha fatto questo deve essere escluso dallo stato clericale”. Come già ricordato un tempo era possibile, anzi era consueto, ordinare uomini maturi già sposati, purché in seguito vivessero in continenza il loro matrimonio. Il can. 27 infatti per limitare la possibilità che questo voto fosse infranto proibiva di tenere la propria moglie in casa e concedeva che fra le donne sotto lo stesso tetto si tenessero solo sorelle o figlie avute prima dell’ordinazione. Ma si tratta di una legge nuova o si ribadisce qualcosa che già esisteva?
Cito dallo Stickler: “Alla luce delle finalità del Concilio di Elvira, del diritto e della storia del diritto nel grande impero romano di cultura giuridica che dominava in quell’epoca anche nella Spagna, Non è possibile vedere nel canone 33 (assieme col il can. 27) una legge nuova. Essa appare invece chiaramente quale reazione contro l’inosservanza di un obbligo tradizionale ben noto, al quale si annette ora anche la sanzione: o osservanza dell’impegno assunto della rinuncia alla famiglia o rinuncia all’ufficio clericale. Una novità in simile materia, con per giunta una tale retroattività della sanzione contro diritti già acquisiti, avrebbe causato una tempesta di proteste contro una tale evidente violazione di un diritto in un mondo, come quello
romano, tutt’altro che digiuno di diritto. Ciò ha percepito chiaramente già Pio XI quando, nella sua enciclica sul sacerdozio, ha affermato che questa legge scritta suppone una prassi precedente”5

A ciò si aggiunga una dichiarazione vincolante fatta dal II Concilio Africano dell’anno 390 e successivamente ripetuta , formalizzata nel Concilio dell’anno 419 che sotto la rubrica “Che la castità dei leviti e dei sacerdoti deve essere custodita” recita fra le altre cose: “Conviene che (…) tutti coloro che servono ai divini sacramenti siano continenti in tutto (…), affinché così anche noi custodiamo ciò che hanno insegnato gli apostoli e ciò che tutta l’antichità ha conservato. (…) A ciò tutti i vescovi risposero unanimemente: Noi siamo d’accordo che i vescovi, i sacerdoti e i diaconi custodi della castità si astengano anch’essi dalle loro mogli, affinché in tutto e da tutti coloro che servono all’altare sia conservata la castità”6.

Si fa menzione cioè ad una tradizione indiscussa e accettata, inoltre, è il caso di ricordarlo per il futuro, la continenza viene legata al servizio all’altare. Sin qui s’è vista qual era la prassi unanimemente accettata nelle diocesi africane, ma che dire della Chiesa di Roma, giacché come ci ricorda Ireneo “con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa… essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli”?7

Le prime testimonianze vengono da due papi, Siricio ed Innocenzo I. Di fronte al lassismo imperante il vescovo Himerio di Terragona chiese al papa istruzioni sull’obbligo della continenza, domande cui il papa rispose con la lettera “Directa”8 asserendo che tali chierici stavano violando una legge irrinunciabile che lega gli aderenti agli ordini sacri alla Chiesa. Si trova in questa lettera anche un argomento teologico che farà scuola come avremo modo di vedere in seguito. Si sosteneva cioè da parte Himerio che i sacerdoti dell’Antico Testamento avevano l’obbligo di rimanere casti solo nel periodo in cui servivano al tempio e che una volta finito il loro turno potevano usare il matrimonio, ma la risposta del papa è quanto di più logico esista: giacché a differenza dei sacerdoti dell’Antico Testamento quelli cristiani debbono prestare servizio sacro ogni giorno si esige una continenza perenne9.

Una seconda lettera venne inviata ai vescovi africani nel 386 per comunicare loro le deliberazioni di un sinodo romano in materia di celibato per contrastare il fenomeno della trasgressione alla continenza sacerdotale, si afferma en passant che non sono affatto obblighi nuovi ma regole ben conosciute da tutti, eppure continuamente violate a cause della pigrizia e del lassismo, proprio a simili comportamenti umani si doveva la lettera papale. La nona disposizione di questo sinodo romano ribadisce quanto già sappiamo: gli uomini ordinati quand’erano già sposati devono astenersi da rapporti sessuali con le rispettive mogli poiché il ministero sacerdotale è per essi quotidiano. Si motiva ciò ricordando che San Paolo aveva scritto ai Corinzi di astenersi dal sesso per potersi occupare con la dedizione necessaria alla preghiera (1Cor 7,5), e questo per i laici, tanto più dunque i sacerdoti quando servono all’altare osserveranno la continenza. Per la prima volta in Occidente viene dato risposta, dagli ottanta vescovi riuniti quali rappresentanti della Traditio universale, alla classica obiezione contro il celibato, sollevata oggi come allora, secondo cui l’Apostolo Paolo in 1Tm 3,2 indica quale condizione per l’ordinazione di un vescovo che sia sposato una sola volta. Leggiamo il testo:

“Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola moglie, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale…” (Nuova Riveduta)

“Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente…” (CEI)
 
Si tratta della famosa questione dell’ unius uxoris vir, che paradossalmente, come vedremo in seguito, nella letteratura patristica era un argomento pro continenza e non contro. A questo proposito sentiamo il prof. Ignace de la Potterie che ha dedicato un notevole studio alla questione: “La clausola è una delle formule principali sulle quali si basava la Tradizione antica per rivendicare proprio l'origine apostolica della legge del celibato sacerdotale.
Questo però era senza dubbio un enorme paradosso: come è possibile fondare il celibato dei sacerdoti partendo da testi che parlano di ministri sposati? Un tale ragionamento può avere qualche senso soltanto se si trova tra i due estremi (il matrimonio dei ministri e il celibato) un termine medio: è quello della continenza a cui si obbligavano proprio i ministri sposati. E probabilmente perché questo valore di mediazione della continenza non è stato più capito in seguito, che in tempi recenti la formula “unius uxoris vir ” non è più stata usata nelle discussioni sul celibato.
E’ molto opportuno oggi riesaminare attentamente quell’ argomento tradizionale. L'altra ragione per cui questi testi sono specialmente importanti dal punto di vista strettamente biblico sta nel fatto che sono gli unici passi del Nuovo Testamento in cui viene emanata una norma identica per i tre gruppi dei ministri ordinati, e solo per loro: infatti, secondo le Lettere Pastorali, deve essere “ unius uxoris vir” sia l'episcopo (1 Tm 3,2), sia il presbitero (Tt 1,6), sia il diacono (1 Tm 3,12), mentre quella formula (tecnica a quanto sembra) non viene mai adoperata per gli altri cristiani. C'è qui dunque una esigenza specifica per l'esercizio del sacerdozio ministeriale in quanto tale.”10

A proposito della clausola dell’ “unius uxoris vir” il sinodo romano ci rende edotti della corretta lettura, ossia: “il bisogno di risposarsi oppure il matrimonio con una vedova non danno garanzia per una sicura continenza futura”11

Vale a dire che, giacché dopo l’ordinazione si deve rimanere continenti, Paolo sta vietando di ordinare vescovo chi si sia sposato due volte, infatti questo proverebbe che è poco incline a restare senza i piaceri della carne e dunque come futuro vescovo cui si richiederebbe la continenza per il regno dei cieli sarebbe inaffidabile. Preciso che non è importante questionare se dal punto di vista della nostra filosofia morale moderna questo pregiudizio contro le persone sposate due volte sia sensato, è molto più utile accertarsi se secondo la mentalità del mondo antico tale pregiudizio effettivamente esisteva. Non è il nostro metro morale contemporaneo la misura degli usi e dei costumi di una società del I secolo. Ecco le parole di Papa Siricio che come ricordo riferisce ai vescovi africani le decisioni del sinodo Romano: “Egli (Paolo) non ha parlato di un uomo che persisterebbe nel desiderio di generare ma ha parlato in vista della continenza che avrebbero da osservare in futuro (propter continentiam futuram)”12.

C. Cochini nel suo monumentale studio sull’origine del celibato, in linea con papa Siricio, così commenta la clausola paolina: “ La monogamia, (ossia la legge dell’unius uxoris vir) è una condizione per accedere agli Ordini, perché la fedeltà (finora osservata) a una sola donna è la garanzia per verificare che il candidato sarà capace (in futuro) di praticare la continenza perfetta che verrà chiesta da lui dopo l'ordinazione.(…) Questa esegesi delle prescrizioni di san Paolo a Timoteo e a Tito è un anello essenziale col quale i vescovi del sinodo romano del 386 e il papa Siricio si situano in continuità con l'età apostolica.” 13

Ovviamente questa non è l’unica esegesi dell’ unius uxoris vir, altri sostengono che, siccome si poteva ordinare un uomo già sposato, l’apostolo qui stesse semplicemente dicendo che era impossibile ordinare coloro che vivevano da bigami, cioè con due mogli simultaneamente; ciò che rende improbabile questa tesi è che in quegli anni nel mondo antico la poligamia era molto rara e in alcuni casi esplicitamente fuori legge.

Anche Innocenzo I (401-417) si occupò della continenza dei ministri cristiani a causa di una richiesta sulle misure disciplinari da adottare proveniente dai vescovi della Gallia, anch’essi col problema di un clero sposato, e così scrisse: “Molti vescovi in varie chiese particolari si sono affrettati in umana temerarietà di cambiare le tradizioni dei Padri per cui sono incappati nel buio dell’eresia preferendo così l’onore presso gli uomini ai meriti presso Dio”14

In particolare alla terza domanda dei vescovi gallici si dà la seguente risposta: “In primo luogo è stato deciso riguardo ai vescovi, sacerdoti e diaconi che debbono partecipare ai sacrifici divini, attraverso le mani dei quali viene comunicata la grazia del battesimo e offerto il Corpo di Cristo, che vengono costretti non solo da noi ma dalle Scritture divine alla castità: ai quali anche i Padri hanno ingiunto di conservare la continenza corporale"
 
C’è dunque la consapevolezza che non si tratta di una imposizione recente ma di une obbligo derivante dalla Scrittura e della tradizione universale, che solo per lassismo e mancata educazione alla continenza crea problemi ai chierici. Uno dei motivi per cui dal II Concilio Trullano in poi la tradizione antica in Oriente sarà perduta mentre in Occidente s’è conservata è proprio la continua perseveranza dei pontefici nel ribadire questo dettame apostolico; una simile attenzione in Oriente non era possibile sia per la mancanza di un governo centrale com’era quello romano in Occidente sia perché il II Concilio Trullano più che introdurre una novità si arrendeva ad un dato di fatto, la mancata continenza del clero dovuta al fatto che non s’erano presi provvedimenti in tempo. Un altro intervento del sollecito magistero romano sulla questione lo troviamo in una lettera del 456 che San Leone Magno scrisse al vescovo Rustico di Narbonne: “La legge della continenza è la stessa per i ministri dell'altare (diaconi) come per i sacerdoti e i vescovi. Quando erano ancora laici e lettori era loro permesso di sposarsi e di generare figli. Ma assurgendo ai gradi suddetti è cominciato per loro il non essere più lecito ciò che lo era prima. Affinché perciò il matrimonio carnale diventasse un matrimonio spirituale è necessario che le spose di prima non già si mandassero via ma che si avessero come se non le avessero( cf. 1Cor 7,29), affinché così rimanesse salvo l'amore coniugale ma cessasse allo stesso tempo anche l'uso del matrimonio".15

Si afferma qui qualcosa di già risaputo: la coabitazione con le spose non poteva continuare ed esse dovevano essere mantenute dalla Chiesa.

Non limitiamoci però solo ai papi e sentiamo dunque anche gli altri grandi esponenti della Traditio apostolica, Ambrogio (333-397) in primis, uno dei più importanti vescovi della storia dell’Occidente. Egli, che in ragione della sua precedente professione di giurista era particolarmente versato in simili questioni, è altrettanto chiaro nell’indicare che chi è stato ordinato non può continuare l’uso del matrimonio: “L’autorità apostolica non invita a generare bambini durante la propria carriera sacerdotale; l’apostolo ha infatti parlato di un ministro che ha già dei bambini,non di qualcuno che ne genera degli altri o che ha contratto un nuovo matrimonio. » 16

La stessa spiegazione di Siricio dunque, e viene ancora respinto l’esempio dei sacerdoti dell’Antico Testamento con la motivazione già addotta: il ministero del presbyteros cristiano è costante, non limitato a certe parti dell’anno.17
L'Ambrosiaster 18 ( 366-384) tratta a due riprese della continenza dei chierici. In un commento alla prima lettera di Timoteo 19 argomenta al modo si Siricio: l’Apostolo avrebbe detto ai vescovi, con la formula marito di una sola moglie, “che si rendano ben conto che potranno ottenere ciò che domandano, se d’altronde si astengono ormai dall’uso del matrimonio.” Avrebbe cioè ricordato ai futuri vescovi che quella carriera avrebbe loro impedito di avere altre mogli, oltre al fatto che in quella che già avevano quali presbiteri si astenevano dalla vita sessuale. In un passo delle Quaestiones veteris et novi Testamenti emerge con chiarezza il pensiero dei Padri nel loro insieme sulla questione “Si potrà dire: se è permesso e buono il matrimonio, perché non è permesso ai preti di prender moglie? Altrimenti detto: perché gli uomini ordinati non possono più unirsi ad una sposa? In effetti ci sono delle cose che non sono permesse a nessuno, senza alcuna eccezione, ce ne sono, d’altra parte, alcune che sono permesse a uno, ma non ad altri, e ce ne sono infine che sono permesse in certi momenti ma non in altri. …. E per questo che il prete di Dio dev’essere più puro degli altri; infatti egli passa per Suo rappresentante personale, ed è effettivamente suo vicario, avendo in sorte che ciò che è permesso agli altri non è permesso a lui … Infatti, confrontate alla luce dei lampi, le tenebre non sono solamente oscure ma squallide; rapportata alle stelle, la luce delle lampade non è che nebbia, e contemporaneamente paragonate col sole, le stelle sono oscure, e, se raffrontato con lo splendore di Dio, il sole non è che la notte.. Così, le cose che in rapporto a noi sono lecite e pure, sono illecite ed impure dinnanzi alla dignità di Dio; infatti, per quanto buone siano, non convengono alla persona di Dio. E’ per questo che i preti di Dio devono essere più puri degli altri, essendo loro donato di rappresentare Cristo”20.

Veniamo poi alla testimonianza del più grande biblista dell’antichità, San Girolamo (347-419), l’autore della Vulgata, che pur essendo uno dei padri latini visse gran parte della sua vita in Oriente e in Terra Santa, ci sarà utile per capire quale fosse la ricezione del versetto paolino sull’unius uxoris vir in tutto l’ecumene e soprattutto sul celibato in generale. Nell’ Adversus Jovinianum dà la stessa esegesi della clausola paolina che finora abbiamo trovato dovunque : l’apostolo tratta di un uomo che ha potuto avere bambini prima della sua ordinazione (e che ha il compito di ben educarli), non di qualcuno che continuerebbe in seguito a generarne 21. Ritorna poi sulla santità del servizio divino e della preghiera dicendo, come tutti gli altri Padri, che a differenza dell’Antico Testamento i sacerdoti cristiani attendono a questo compito ininterrottamente, in una formula assai decisa ed icastica esprime tutto il pensiero della Traditio: “si semper orandum et ergo semper carendum matrimonio”22 Nell’importante Adversus Vigilantium ripete che i ministri sacri all’altare hanno l’obbligo della continenza, e, en passant, ci informa che questa è la pratica di tutto l’Oriente, dove si accettano per il presbiterato solo o celibi o comunque persone che abbiano rinunciato al matrimonio: “Che farebbero le Chiese d’Oriente? Che farebbero quelle dell’Egitto o della Siria o della Sede Apostolica che non accettano i chierici che non siano vergini o continenti, o, se hanno avuto una sposa, che non abbiano rinunciato alla vita matrimoniale”23

E’ dunque qualcosa non di romano ma qualcosa che appartiene a tutte le Chiese dell’ecumene, una Traditio apostolica universale. Stessi concetti nell’Apologeticum ad Pammachium dove questo grande biblista ci informa che gli apostoli erano ”o vergini o continenti dopo il matrimonio”24 e aggiunge che “i preti, i vescovi, i diaconi sono scelti vergini o vedovi o certamente pudichi dopo il sacerdozio”25 , e quando alla motivazione riporta la giustificazione teologica classica secondo cui la verginità del presbyteros dipende ed è immagine di quella di Gesù e della Vergine:
”Il Cristo vergine e la vergine Maria hanno per ciascun sesso consacrato il principio della verginità: gli apostoli furono o vergini o continenti dopo il matrimonio”26

Da un altro grande testimone della tradizione, papa Gregorio Magno, traiamo le stesse affermazioni. Afferma che l’obbligo del celibato non è opera sua ma Traditio apostolica. Basti qui citare un suo bel brano ove oltre a elogiare in generale la continenza anche per i laici spiega perché questo voto sia perpetuo: “Si devono pertanto ammonire coloro che non sanno resistere alle tempeste della tentazione senza mettere a repentaglio la loro salvezza, di rifugiarsi nel porto del matrimonio; sta scritto infatti: E’ meglio sposarsi che bruciare (1Cor 7,9). Senza colpa alcuna, cioè, si rifugiano nella vita matrimoniale, se tuttavia non hanno ancora scelto uno stato migliore, perché chi si è proposto di abbracciare un bene maggiore, ha reso illecito il bene minore che prima gli era lecito. Sta scritto infatti: Nessuno che metta la mano all’aratro e guardi indietro è atto per il regno dei cieli (Lc 9,62). Ora, chi ha diretto l’intenzione a una meta più alta guarda certamente indietro se abbandona i beni maggiori e ritorna ai beni inferiori.”27

Gregorio Magno è autore anche di un altro chiarimento, questo sì non palese nell’età antica, non era cioè chiaro se oltre al diaconato anche il suddiaconato appartenesse agli ordini maggiori e dunque richiedesse la castità. Papa Gregorio specifica che è richiesta anche per loro.28 Ma il pontefice era anche paladino di un’altra causa, cioè che fosse rispettato il divieto per le donne non autorizzate di abitare insieme al sacerdote. A questo proposito faceva una significativa osservazione sul terzo canone del Concilio di Nicea: “Questo grande sinodo proibisce assolutamente ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi e in genere a qualsiasi membro del clero di tenere delle donne di nascosto, a meno che non tratti della propria madre, di una sorella, di una zia, o di persone che siano al di sopra di ogni sospetto.” Tra queste non figura la moglie, impossibile dunque per gli ortodossi sostenere che la loro prassi attuale derivante dal II Concilio Trullano fosse quella antica.
Per quanto riguarda l’Occidente non v’è dunque dubbio che venissero ordinati preti sposati purché in seguito mantenessero la continenza, ciò oltre che essere patrimonio comune di tutta la patristica venne anche ribadito da una molteplicità di sinodi tenutisi in occidente soprattutto in Spagna e nelle Gallie. Tuttavia cogli anni crescerà nella Chiesa la prassi di ordinare sempre più persone celibi e sempre meno sposati, l’esperienza infatti aveva dimostrato la debolezza umana di coloro che, essendo stati già maritati, una volta divenuti continenti, difficilmente riuscivano a rinunciare del tutto ai precedenti piaceri della carne. Meglio ordinare dei celibi, e, come istituirà il Concilio di Trento, educati nei seminari sin dalla gioventù alla castità. Quanto alla scienza canonistica classica medioevale, cioè i glossatori delle norme ecclesiastiche finora accumulate, a causa delle falsificazioni di documenti operate dal II Concilio Trullano, riconoscevano indistintamente sia la validità della prassi orientale sia di quella occidentale, ritenuta comunque più antica. A questo proposito Raymundo da Peñafort così argomenta: “I vescovi, i sacerdoti e i diaconi devono osservare la continenza anche con le loro spose (di prima). Questo hanno insegnato gli apostoli con il loro esempio e anche con le loro disposizioni come dicono alcuni secondo i quali la parola "insegnamento" (Dist. 84, can. 3) può essere interpretata in maniera varia. Ciò è stato rinnovato nel Concilio di Cartagine, come nella citata disposizione Cum in merito di Papa Siricio"29. Quanto alle ragioni teologiche della continenza: "La ragione era duplice: sia la purezza sacerdotale, affinché così possano ottenere in tutta sincerità ciò che con la loro preghiera chiedono a Dio (Dist. 84, cap. 3 e dict. p.c. 1 Dist. 31); la seconda ragione è che possano pregare senza impedimenti (1 Cor 7,5) ed esercitare il loro ufficio; perché non possono fare le due cose insieme: cioè servire la moglie e la Chiesa"30.

Prima di passare ai Padri Orientali sentiamo un esponente della Chiesa Africana, Sant’Agostino di Ippona, che partecipò al sopramenzionato Concilio di Cartagine ove l’apostolicità del comandamento al celibato era stata ribadita. Nella sua dissertazione “De coniugiis adulterinis” afferma che i chierici tenuti alla continenza sono d’esempio anche per quei laici che vivono lontani dalla propria sposa e quindi sono esposti alla tentazione di tradirle.31

Per quanto concerne l’Oriente basti citare Epifanio di Salamina, grande difensore dell’ortodossia, vescovo dell’isola di Cipro (315-403), nei suoi 86 anni di vita girò il mondo e conobbe la tradizione degli apostoli così come era in ogni Chiesa. Afferma che Dio ha mostrato nel mondo il carisma del sacerdozio grazie agli uomini che o sono divenuti celibi dopo l’ordinazione o furono sempre vergini. Questa, ci dice Epifanio al pari di tutti gli altri, è norma stabilità dagli apostoli in sapienza e santità. 32 Diceva questo all’interno di una confutazione dei montanisti, i quali rifiutavano il matrimonio, dicendo che non c’è nulla di più contrario ai voleri del Signore il quale scelse gli apostoli anche fra gente sposata, tuttavia precisa che essi dopo la chiamata seguirono l’esempio di Cristo e si mantennero casti.
E’ vero che ci sono alcuni che trasgrediscono questa norma, ma il fatto che ci sia qualcuno che trasgredisce ciò che è comandato, argomenta Epifanio, non autorizza anche noi a fare lo stesso.33 Per una dichiarazione generale di Epifanio su quale fosse la disciplina ecclesiastica di mandato apostolico si può leggere anche il seguente testo: “In mancanza di vergini il sacerdote si recluta fra i monaci; se non ci sono monaci in numero sufficiente per il ministero, si recluta tra gli sposi che serbano la continenza con la propria moglie, o tra gli ex-monogami vedovi; ma nella Chiesa non è permesso di ammettere al matrimonio l’uomo risposato (ennesima testimonianza sul senso dell’unius uxoris vir paolino N.d.R. ); anche se ora serba la continenza o è vedovo, è escluso dall’ordine dei vescovi, dei preti, dei diaconi e dei suddiaconi”34
 
Checché ne dicano i moderni detrattori dunque l’esegesi corretta della clausola paolina era chiara a tutto il mondo antico e aveva tutt’altro significato rispetto a quello invocato da TdG e protestanti, specie perché questo ci viene detto anche dai Padri greci, che la loro lingua la conoscevano evidentemente. Il corretto modo di intendere il versetto è patrimonio comune di tutto l’ecumene antico, si possono leggere a questo proposito:

-Eusebio di Cesarea, La dimostrazione Evangelica. I, 9 (QCS 23, 43).
-Epifanio di Salamina, Panarion, Eresia 59 ; -Esposizione della fede, 21 (GCS 31, 367 ; 37, 522).
-San Giovanni Crisostomo, Commento alla prima lettera a Timoteo, cap. III, hom. 10 (PG 62, 547-549).
- Ambrosiaster, Commento alla prima lettera a Timoteo. 111, 12 (PL 17, 497).
- Sant’Ambrogio, Ep. 63.Lettera alla Chiesa di Vercelli. 62-63 (PL 16, 1257-1258).
-San Girolamo, Adversus Jovinianum. I, 34 ; Ep. 49, Apologeticum ad Pammachium, 10 et 21 ; Adversus Vigilantium. 2 (PL 23, 257 ; CSEL 54, 365 et 386-387 ; PL 23, 340-341).
- Sant’ Isidoro di Siviglia . De ecclesiasticis officiis. II, 5, 8 (PL 83, 783, 790).

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