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Il celibato dei preti

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2009 14:34
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16/04/2009 11:14

La testimonianza di San Girolamo già riportata, la quale ci parla della continenza del clero come prassi comune in Oriente, è particolarmente importante a motivo del cosmopolitismo del santo e della sua conoscenza delle pratiche di tutto l’ecumene. Basti ricordare che fu ordinato prete in Asia minore ove dimorò per sei anni incontrando le più grandi personalità del suo tempo. Dopo tre anni a Roma andò in Egitto ed in seguito in Palestina ove dimorò sino alla morte, la sua testimonianza su quella che era la prassi celibataria in Oriente è dunque di capitale importanza.

Essendo questo uno studio rivolto prevalentemente ai TdG tralascerò di spiegare come da questa situazione si arrivò alla legislazione orientale trullana di fine VII secolo, in particolar modo di come questo Concilio per trovare un appiglio di ciò che voleva decretare arrivò a falsificare gli atti del Concilio di Cartagine. Rimando simile controversia ad un confronto coi fratelli bizantini, qui basterà dire che il II Trullano s’era limitato ad arrendersi davanti al dato di fatto, che vedeva la Chiesa bizantina colma di preti sposati per nulla intenzionati a conservarsi casti. C’è da dire tuttavia che il II Concilio Trullano conserva l’obbligo di continenza per i vescovi e proibisce i matrimoni dopo che si è stati ordinati, conservando in ciò il senso della clausola paolina dell’unius uxoris vir. Inoltre, come punto teologico notevole, il presbyteros sposato deve comunque conservare la continenza nei giorni in cui serve all’altare, norma possibile col fatto che in Oriente la messa era limitata allora alla domenica. Oggi tuttavia anche in Oriente essa può essere detta tutti i giorni e dunque il clero ortodosso si rivela incoerente con la legislazione trullana stessa da cui oggi dipende.
 
Venendo ora ai fondamenti teologici del celibato, per i quali comunque si rimanda ad opere specifiche 35, è sinteticamente necessario dire che essi si basano sull’affinità tra il sacerdote e Cristo. Il sacerdote rappresenta Cristo fra i fedeli, così San Paolo scrive: “L’uomo ci consideri ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio”(1Cor 4,1) o 2Cor 5,20: “Noi dunque fungiamo da ambasciatori di Cristo, come se Dio stesso esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio”, il sacerdote deve poter dire con Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20)

A questo proposito Giovanni Paolo II così riassume l’unione tra il presbyteros e Cristo sacerdote:
“La volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha con l’Ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa. La Chiesa, come Sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo Capo e Sposo l’ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di sé in e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore"36
 
Ciò è il nucleo di tutta la teologia celibataria, il sacerdote segue il suo maestro quando disse: “Vi sono alcuni che si fanno eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire capisca” (Mt 19,12), giacché non vive più secondo la carne ma secondo lo Spirito (Rm 8,8) Così presi dal regno di Dio che non si può avere altro per la testa. A questo proposito mi viene in mente l’esempio di Rabbi ben Azzai, che a fine I secolo osserva il celibato: pur insegnando che era bene sposarsi e che anzi procreare era un dovere perché così si perpetuava il popolo ebraico, diceva di sé: “La mia anima è presa dalla Thora, è così assorbita che non mi rimane tempo per le cose del matrimonio. Il mondo continuerà per opera di altri”37
 
I modelli biblici non mancano, pensiamo ad esempio ai tre giorni di continenza di Tobia all’inizio del suo matrimonio, secondo alcune versioni di Tb 6,12-22, o Geremia “Non prender moglie” (Ger 16,1), l’Haggada inoltre attribuisce a Elia ed Eliseo una perfetta continenza dopo la vocazione. Ci sono poi precedenti tra gli esseni, o in una comunità di vergini descritta da Filone.38
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