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Il Canone biblico

Ultimo Aggiornamento: 26/04/2009 12:39
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26/04/2009 12:36

Sono certo che potrà tornare utile viste le grandi divergenze che vi sono
fra le altre identità cristiane le quali non si riconoscono con la Chiesa
Cattolica, anche per la questione del Canone......sperando che venga letto,
con calma e senza fretta... (mi si conceda di ringraziare il totus tuus, dal
quale ho prelevato l'argomento)

CANONE BIBLICO
È il catalogo (o lista) ufficiale dei libri ispirati, i quali sono la regola della fede e della morale.
Il greco kanwn (cf. ebr. qaneh) = canna, regola di misura e, in senso metaforico, norma. Il senso di catalogo dei libri sacri invalse nell'uso
ecclesiastico dal sec. IV (già nel sec. III: Prologo Monarchiano ed Origene,
PG 12, 834).
Il Concilio di Trento (IV sessione, 8 aprile 1546) ha sancito, con vera definizione dommatica, il c. (catalogo) già fissato dalla
tradizione, da tre Concili provinciali: d'Ippona (393), di Cartagine III e
IV (397.419), e dal Concilio Fiorentino (1441
); il Concilio Vaticano (1870)
rinnova e conferma la definizione tridentina (cf. EB, nn. 16-20.47.57-60.77
s.).
Il c. abbraccia tutti i libri del Vecchio (47) e del Nuovo Testamento
(27) contenuti nella Volgata (v. Bibbia).
Di questi, 7 mancano nella bibbia ebraica, o masoretica, e nelle bibbie dei
protestanti: Tob., Iudt., Sap., Bar., Eccli.,I-II Mach., ai quali bisogna
aggiungere i seguenti frammenti: Esth. 10, 4-c. 16; Dan. 3, 24-90; cc. 13-14
(nella disposizione della Volgata; nella versione greca dei Settanta, essi
sono distribuiti diversamente).
 Per il Nuovo Testamento, al IV sec. si
dubitò della canonicità (se dovevano o no entrare nel c. o nel numero dei
libri ispirati) per i seguenti 7 libri: Hebr., Iac., II Pt.,II-III Io.,
Iud., Apoc. Questi 14 libri vengono detti deuterocanonici (a partire da
Sisto di Siena, Bibliotheca sacra, I, p. 2 s.), in quanto a un dato momento,
tra i Padri, si discusse la loro origine sacra, in opposizione ai
protocanonici la cui appartenenza al c. rimase sempre indiscussa.
I protestanti chiamano apocrifi i deuterocanonici del Vecchio Testamento; e
pseudoepigrafi i libri che noi chiamiamo apocrifi (v.) cioè che imitano i
libri sacri nella forma e nel contenuto, ma non furono mai nel c. Motivo
fondamentale per siffatti dubbi, presso i Padri, fu la mancanza di un c.
sancito dalla Chiesa; inoltre, per il Vecchio Testamento, il fatto che i
Giudei non ammettevano nella loro bibbia i deuterocanonici; e per il Nuovo
Testamento difficoltà dommatiche, originate dall'inesatta esegesi di qualche
pericope.
In realtà, come per tante altre verità di fede, la Chiesa non intervenne con
la sua autorità infallibile a fissare formalmente il c., se non quando i
protestanti vollero rigettare come non sacri, i deuterocanonici del Vecchio
Testamento col futile motivo di attenersi al c. ebraico.
 La Chiesa ebbe da
Nostro Signore e dagli Apostoli, soltanto il Vecchio Testamento; e solo, per la sua
autorità, noi lo riceviamo come ispirato.

La collezione dei libri sacri tra i Giudei, era già un fatto compiuto al
tempo di N. Signore, anche nella distribuzione in tre gruppi, ancora
conservata nella bibbia ebraica
, cioè Tôrâh (=Legge, i cinque libri di Mosè:
Gen. Ex., Lev., Num., Deut.), Nebhî'îm (=Profeti) e Kethûbhîm (=Scritti). I
"profeti" comprendono: i libri storici Ios., Iudc., Sam., Reg. detti
"profeti anteriori", e i nostri libri profetici ("profeti posteriori") da
Is. a Mal., eccettuato Dan., posto tra gli Scritti.
 Le tre parti della
collezione si erano formate successivamente.
Per la Legge: cf. Deut. 31, 9-13.24 ss., i Leviti la conservano accanto
all'arca; e successivamente vi sono deposti i libri di Giosuè (Ios. 24, 26)
e di Samuele (I Sam. 10, 25). Al tempo di Iosia (621), il ritrovato libro
della Legge è subito riconosciuto come sacro (II Reg. 23, 1-3; II Par. 34,
29-32); dopo l'esilio (445 a. C.), Esdra rinnova l'alleanza leggendo la
Legge al popolo che con giuramento si vincola all'osservanza dei precetti
divini (Neh. 8-10). Per i Salmi e i Proverbi cf. Prov. 25, 1 e II Par. 29,
30: il re Ezechia (ca. 700 a. C.) ne curò la raccolta. I profeti più recenti
(gli ultimi, sec. V a. C.) citano verbalmente le profezie dei loro
predecessori. Dan. 9, 2 afferma di aver letto nei "libri" la profezia di
Ier. 29, 10. Verso il 180 a. C., l'Ecclesiastico (44-50, 24) tessendo
l'elogio degli antenati enumera i personaggi esattamente secondo l'ordine
dei corrispondenti libri della seconda parte: i profeti: cioè Ios., Iudc.,
Sam., Reg., Is., Ier., Ez., i Dodici (minori).
 Mezzo secolo più tardi,
infine, nel prologo dell'Eccli. (v.) si parla dell'intera collezione: Legge,
profeti e altri scritti: specificati, quest'ultimi, dal II Mach. 2, 13, come
"gli scritti di David
", cioè i Ps., il libro più importante del terzo
raggruppamento, per il gruppo intero. E cf. specialmente nei Vangeli: Legge
e Profeti (Mt. 5, 17 s.; 7, 12 ecc.); Legge, Profeti e Salmi (Lc. 24, 44)
per indicare tutto il Vecchio Testamento.
Le tre parti al completo (con deuterocanonici) si trovano nella Bibbia Greca
o Alessandrina (la versione greca del Vecchio Testamento, detta dei
Settanta), che divenne la Bibbia della Chiesa primitiva, dopo essere stata
la Bibbia adoperata dagli Apostoli nella predicazione del Vangelo
, e spesso
nelle citazioni del Vecchio Testamento nei loro scritti ispirati (300 su 350
citazioni dal Vecchio Testamento). Il greco era infatti la lingua parlata in
tutto l'impero.
Sulla unità di fede circa i libri sacri, tra Giudei di Alessandria o della
diaspora in genere e la comunità madre di Gerusalemme non ci possono essere
dubbi (v. Diaspora). E non poche prove sono offerte, attestanti l'uso dei
deuterocanonici, come libri sacri, nella stessa Palestina. Eccettuati Sap. e
II Mach., essi sono stati scritti in ebraico (Eccli., I Mach, frammenti di
Esth. e Bar.; in ebraico o in aramaico Tob., Iudt. i frammenti di Dan.) e
pertanto proprio in Palestina e per le sinagoghe palestinesi. Gli stessi
rabbini fino al sec. X adoperano l'Eccli. come scrittura sacra; il I Mach,
era letto nella festa dell'Encenia o dedicazione del Tempio (cf. Talmud
babilonese, Hanukkah); Bar. si leggeva ad alta voce nelle sinagoghe al IV
sec. d. C., come attestano le Costituzioni apostoliche; di Tob. e Iudt.
abbiamo i Midrasim. ossia specie di commenti in aramaico, che testimoniano
la lettura sinagogale dei due libri (cf. L. Meyer, in Biblica, 3 [1922]
193-203); i frammenti di Daniele si trovano nella versione greco-giudaica di
Teodozione (verso il 180 d. C.) fatta dall'ebraico. Non si può dunque in
nessun modo parlare di un c. palestinese o di un c. alessandrino tra i
Giudei.

In realtà, l'esclusione dei deuterocanonici è opera tardiva dei Farisei.
Dopo la rovina del Tempio (70 d. C.) e la fine del sacerdozio, essi presero
tutto in mano; distrassero la letteratura giudaica ad essi contraria e per
gli stessi libri sacri, vollero sottoporli ad una specie di rigoroso
controllo, come risulta dalle discussioni sorte in quel tempo tra i rabbini
sul valore sacro
di Ez., Prov., Cant., Eccle. Al riguardo fissarono dei
criteri: antichità del libro, composizione in lingua ebraica, conformità
alla Legge. Il IV Esd. 14, 44 ss.; il Talmud Babilonese di quel periodo
(fine I sec. d. C.); Fl. Giuseppe, Contra Ap. 1, 8, riferiscono il c.
ebraico privo dei deuterocanonici, e accennano chiaramente a questi motivi.
Ma essi sono soltanto esterni e non hanno alcun valore. Si volle fissare
l'antichità ad Esdra (sec. V a. C.), e ad esempio l'Ecclesiaste la Cant.;
I-II Cron., Esd., Neh. furono scritti posteriormente nel IV-II sec. a. C.
(continua...)
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da continua.... La lingua si sa, è un elemento affatto secondario per l'ispirazione; e
d'altronde soltanto Sap. e II Mach, furono scritti in greco. La conformità
alla Legge si riduceva in pratica alla conformità alle idee farisaiche sulla
Legge (cf. Strack-Billerbeck, IV, 425-43). I veri motivi erano due:
l'ostilità dei Farisei alla dinastia asmonea, considerata usurpatrice dei
diritti della dinastia Davidica, e partigiana dei Sadducei; (ciò spiega
l'esclusione di I-II Mach, e di tutta la letteratura da essi ritenuta del
periodo maccabaico-asmoneo); e l'odio alla Chiesa, per cui rigettarono la
versione Alessandrina, da quella adoperata e fatta sua.

Si parla talvolta di un c.(catalogo) esdrino; attribuendo ad Esdra la
definizione e la chiusura del c. ebraico adducendo allo scopo le
testimonianze già viste di Flavio Giuseppe, IV Esd. e del Talmud, e II Mach.
2, 13. Ma le tre prime sono fantastiche e rispecchiano gli arbitri dei
Farisei del I sec. d. C.; da II Mach, risulta soltanto che Esdra, come i
fedeli di quella generazione rientrata dall'esilio (v. Sinagoga, la grande),
ebbero cura di raccogliere e trascrivere i libri sacri; come farà più tardi
Giuda Maccabeo dopo la tormenta scatenata da Antioco Epifane.

Nessun dubbio per i primi tre secoli (quindi arriviamo all'anno 300), nella Chiesa, circa i libri sacri del
Vecchio Testamento, integralmente contenuti nella Bibbia Alessandrina che
divenne la Bibbia dei cristiani
. Nello stesso Nuovo Testamento, che nelle
sue citazioni occasionali del Vecchio non fa cenno di Abd., Nah., Esth.,
Eccle., Cant., Esd., Neh., troviamo riferimenti certi ad alcuni
deuterocanonici (Sap. 12-15 = Rom. 1, 19-32; Sap. 6, 4.8 = Rom. 13, 1; 2,
11; Sap. 2, 13.18 = Mt. 27, 43 ecc.; Eccli.
4, 34 = Zac. 1, 19; Eccli. 51,
23-30 = Mt. 11, 29 s. ecc.; II Mach. 6, 18-7, 42 = Hebr. 11, 34 s. cf. L.
Vénard, in DBs, II, coll.
23-51).

Fin dai più antichi scritti patristici i deuterocanonici vengono citati come
Scrittura Sacra: Clemente di Roma (ca. 95 d. C.), nella lettera a Corinto,
usa Iudt., Sap., i frammenti di Dan., Tob. ed Eccli.; Erma (140 ca.) spesso
adopera l'Eccli. e il II Mach. (Sim. 5, 3.8; Mand. 1, 1 ecc.); s. Ippolito
(235) commenta Dan., con i frammenti deuterocanonici; cita come Scrittura:
Sap., Bar.; adopera: Tob., I-II Mach. (cf. PG 10, 793.805.661.697.769). S.
Ireneo in Francia; Tertulliano, s. Cipriano in Africa; gli Apologeti in
Oriente; Clemente Alessandrino (X 214) e Origene (X 254) attestano
espressamente nei loro scritti il sentimento unanime della Chiesa (cf.
Ruwet, p. 115 ss.).
Origene esplicitamente pone tra i libri sacri Esth., Iudt., Tob., Sap. (PG
12, 780); sa bene che i Giudei non ammettono la ispirazione di alcuni libri,
ma nella lettera ad Africanum (PG 11, 57) difende la canonicità dei
frammenti di Dan. e irride giustamente coloro che vanno a chiedere ai nemici
della Chiesa quali siano i libri sacri (PG 11, 60).

Se nel suo commento al Ps. 1 Origene riferisce il c. ebraico, contratto a 22 libri, lo fa
unicamente per dire che tal numero ha un suo significato. 22 infatti sono le
lettere dell'alfabeto ebraico. Ora come le lettere dell'alfabeto introducono
alla scienza, così i libri sacri introducono alla sapienza divina. È il suo
metodo prediletto di trovare dei significati allegorici anche nei numeri. La
citazione abbreviata che di questi passi di Origene avevamo in Eusebio (H.
E. 6, 25; PG 20, 580) indusse nel passato a considerarla almeno come indice
di un dubbio circa il c. del Vecchio Testamento, in Origene.
Ora la pubblicazione della Filocalia (specie di antologia tratta dalle opere di
Origene), dove il testo è riportato per intero, ha permesso la precisazione
suddetta che, in piena armonia con tutti gli altri scritti, esclude
assolutamente ogni dubbio in Origene, il quale rimane tra i greci il più
chiaro e completo testimone della tradizione cattolica sul c. del Vecchio
Testamento (Colon, in Revue des Sciences Religieuses, 20 [1940] 1-27; Ruwet,
in Biblica, 23 [1942] 18-21). L'elenco dei libri sacri del V. T., che il
vescovo Melitene di Sardi manda ad Onesimo (sec. II), dopo essere stato in
Palestina, conferma soltanto il tenore del c. ebraico, e la mancanza di un
catalogo ufficiale nella Chiesa. Questa circostanza, il fatto che i Padri
(ad es. Giustino, Contra Tryphonem: PG 6) nelle dispute con i Giudei si eran
dovuti limitare ai protocanonici ammessi anche da quelli, e infine il
pullulare degli apocrifi, spiegano i dubbi sorti nel IV sec. nelle Chiese
più in contatto con i Giudei.

S. Cirillo di Gerusalemme, s. Atanasio, quando devono dare ai catecumeni
l'elenco dei libri sacri enumerano solo i protocanonici; su di essi infatti
nessun dubbio era possibile. Proibiscono la lettura degli apocrifi che
condannano; mentre considerano dubbi i deuterocanonici; così s. Atanasio
permette ai catecumeni la lettura di Sap., Eccli., Esth., Iudt., Tob. (cf.
PG 33, 497 s., dove tra i protocanonici s. Cirillo pone Bar. e la Lettera di
Ger.; 33, 496.500 s.; PG 26, 117 s., 1436 s.). Ma tutti e due questi Padri
citano i deuterocanonici, come la Scrittura Sacra, nelle loro opere (cf. ad
es., s. Atanasio, per la Sap. PG 25, 20.24.36; per Tob. "sta scritto" PG 25,
268; lo stesso per Iudt. PG 26, 221; per Eccli. PG 25, 756 ecc.).
Tali dubbi sono condivisi da s. Epifanie, s. Gregorio Nazianzeno, s.
Anfilochio.

In Occidente è da porre a parte s. Girolamo, il quale influenzato dai rabbini, suoi consultori esosi per l'ebraico, nel cosiddetto
Prologo Goleata, premesso quasi corazza (donde il nome) al primo volume della sua traduzione dall'ebraico (Sam.-Reg.; ca. 390), dopo aver dato il c.
ebraico, adoperò la celebre espressione «ogni altro libro al di fuori di questi va annoverato fra gli apocrifi».
Successivamente però si mostrò più riservato; quando afferma, ad es. (a. 395) che «il libro di Tob. pur non
essendo nel c. è adoperato da molti autori ecclesiastici» (PG 25, 1119); e
finì talvolta con l'ammettere il loro carattere sacro: quando pone Giuditta
con Rut ed Ester «donne di tanta gloria da dare il loro nome a libri sacri»
(PG 22, 623); quando afferma (PG 29, 39) che al Concilio Niceno Iudt. fu
adoperato come libro sacro ecc. L'opinione personale espressa nel Prologo
Goleata si trova pertanto diverse volte contraddetta; ad essa infatti, eco
della influenza rabbinica, si opponeva il senso cattolico della tradizione
ecclesiastica, così vivo dappertutto nella grandiosa opera del solitario di
Betlemme.

E la traduzione primitiva continua negli scritti di tutti gli altri Padri in
Oriente e in Occidente. Basti ricordare s. Agostino accanto a s. Girolamo, e
con s. Agostino i tre concili africani, ricordati sopra, che formularono il
c. b. (canone biblico)consacrato dalla tradizione che, ben può dirsi,
assorbì e sommerse i dubbi sorti nel IV sec. E subito si ritornò
all'unanimità dei primi secoli.
 Se qualcuno, al tempo del Concilio di
Trento, riesumò i dubbi sui deuterocanonici, fu solo per influsso della
grande autorità di s. Girolamo, cui esplicitamente, ma indebitamente, si
riferiva. Attualmente soltanto i protestanti rigettano i deuterocanonici del
Vecchio Testamento; e la Chiesa Russa a partire dal sec. XVIII., ma sotto l'impulso di una rivalsa di priorità non tenente conto del fattore dottrinale, mentre altre entità ortodosse li accettano!

Nessuna divergenza invece per il c. dei libri sacri del Nuovo Testamento. I
dubbi che per i 7 deuterocanonici sorsero nei secoli III-IV furono parziali
e ristretti anche geograficamente
. Dei due più importanti di essi, della
Hebr. si dubitò in Occidente, mentre era unanimemente riconosciuta come
canonica in Oriente; proprio l'opposto avvenne della Apoc., sempre ritenuta
come libro sacro in Occidente. Così il Canone Muratoriano (EB, 1-7; ca. 200
a Roma) riporta tutti i libri sacri del N. T. eccettuati Hebr., Iac., II
Pt., IlI Io.; il Canone Momseniano (ca. 260, Africa) omette Hebr., Iac.,
Iud. Mentre s. Cirillo di Gerusalemme, s. Anfilochio (fine sec. IV, Asia
Minore), Canones Apostolici (Antiochia), omettono soltanto la Apoc. La
versione siriaca, Pesitta (inizio sec. v), ritiene nel c. Hebr. e Iac.;
Teodoro di Mopsuestia (Antiochia) omette tutti i deuterocanonici, salvo
Hebr.

Sono ben noti i motivi che originarono tali dubbi. Montanisti e Novaziani in
occidente citavano Hebr. 6, 4 ss. a sostegno della loro eresia della
irremissibilità di alcuni peccati; qui particolarmente del peccato di
idolatria. Invece di confutare tale errore dommatico con una retta esegesi,
si tentò di negare il carattere divino della lettera.
In Oriente invece i millenaristi abusarono del c. 20 dell'Apoc; il vescovo
Dionigi di Alessandria nel confutarli cercò sminuire l'autorità dell'Apoc.
negandola a s. Giovanni l'Apostolo; sulla sua scia alcuni finirono per
denegarne il carattere sacro. Per Iac. influì l'apparente opposizione (2,
14-26) con l'insegnamento di s. Paolo (Rom. 3, 27 s.; 4). Per Iud. la
citazione (v. 14) di un libro apocrifo (Enoch). Per II Pt., II-III Io., la
mancanza di dottrine caratteristiche e la loro brevità, per cui venivano
poco citate.

Anche questi dubbi furono assorbiti e sommersi dal peso
decisivo della tradizione
: unanime nei primi due secoli; e sempre possente
nei secoli successivi
(ad Alessandria, s. Clemente, Origene, s. Atanasio; in
Africa, Tertulliano e Cipriano; s. Girolamo, s. Agostino ecc.); per
ritornare unanime a partire dal VI sec.

La collezione dei libri sacri del Nuovo Testamento sorse nella seconda metà
del I sec. d. C.; a poco a poco. Già s. Pietro (verso il 66) equiparava le
lettere di s. Paolo alle "altre scritture" (II Pt. 3, 15 s.).
E ben presto
nella liturgia, alla lettura dei libri sacri del Vecchio Testamento, fu
abbinata la lettura dei Vangeli e degli altri libri sacri del Nuovo, come
attesta già s. Giustino.

Allo stesso modo li abbinarono i Padri, fin dagli inizi del II sec., nei
loro scritti, usando le stesse formule: la scrittura dice; sta scritto.
La Chiesa cattolica poggiata sulla tradizione apostolica, e sotto la guida
dello Spirito Santo, ha conservato integra la collezione dei libri sacri del
Vecchio e del Nuovo Testamento, salvaguardando il loro carattere sacro (v.
Ispirazione).

[F. S.] BIBLIOGRAFIA
S. Zarb, De historia canonis utriusque Testamenti, 2° ed., Roma 1934 ;
J. Ruwet, De canone (Institutiones Biblicae, v. I), 5° ed., ivi 1937, pp.
103-157 ;
G. Perrella, Introduzione generale. 2° ed., Torino 1952, pp. 3-7. 109-167 ;
G. M. Perrella - L. Vagaggini, Introduzione alla Bibbia, I, Intr. generale,
Torino 1960, pp. 11-14. 81-122

http://www.paginecattoliche.it/Canone_biblico.htm
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