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Maria Madre di Dio nel Credo Apostolico

Ultimo Aggiornamento: 07/05/2009 21:10
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07/05/2009 20:36

Da altra Com;

 Amici....poichè se ne parla spesso....proviamo a fare un quadro della situazione...partendo dalle parole del Credo Apostolico nel quale TUTTI i cristiani si riconoscono:

 
Credo...in Gesù Cristo, suo unico figlio, Nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine

 
Poniamo ora delle domande e brevi risposte....

 
D- In che modo il Figlio di Dio si è fatto UOMO?

 R- Il Figlio di Dio si è fatto uomo, prendendo un corpo e un'anima come abbiamo noi, nel seno purissimo di Maria Vergine, per opera dello Spirito Santo. Egli era fin dall'eternità nel seno del Padre e con il Padre e lo Spirito sono definite nella Trinità poichè tramite l'Incarnazione della Seconda Persona della Trinità abbiamo conosciuto la distinzione fra il Padre, il Figlio e lo Spirito. Gesù ha detto che Lui rivelava il Padre, e che con il Padre sono una cosa sola. Perciò, quando Paolo dice "Colui che discese dal cielo", riguarda Gesù che essendo il Verbo in seno al Padre, si è Incarnato, cioè, ha preso la vita umana dal seno di colei che aveva creato. Questo è il grande Mistero della Trinità. 
 

D- Il Figlio di Dio, facendosi uomo, perse la sua divinità?
 

R- No!...non cessò di essere Dio nemmeno nell'Incarnazione, ma, restando vero Dio, cominciò ad essere anche vero uomo. Dio ha amato tanto gli uomini da umiliarsi e ridursi allo stato umano per aiutarci a comprendere che come uomini, avremo potuto salvarci e superare le difficoltà della vita. Se Gesù avesse agito soltanto in qualità divina, non avremo avuto in noi la forza di comprendere l'immenso Amore di Dio. Farsi Uomo, è stato necessario a Dio per distruggere il peccato che da uomo ha assunto su di sè, se non fosse stato Dio allo stesso tempo, non avrebbe potuto superare il grande mistero della Croce sulla quale è incisa nella sua Carne, la nostra salvezza e adozione a FIGLI. Gesù nella sua vita ha agito in due modi, ma mai in modo separato: con l'autorità divina: quando compie miracoli, istruisce, sceglie i Dodici e fonda la Chiesa. Con la volontà umana come quando affronta la dura prova nel Getsemani: "Padre non la mia, ma la Tua volontà si compia". Gesù sapeva chi era, lo rivela ai genitori quando lo trovano nel Tempio a dodici anni: "Non sapevate che devo attendere alle cose del Padre mio?" L'umiliazione e la spoliazione descritta da Paolo è proprio in questa conoscenza e consapevolezza di chi fosse: si fa carico di tutto il peccato del mondo e redime l'uomo accettando la Passione e la Morte.....

D- In Cristo ci sono due nature? 

R- Si!.....In Gesù Cristo sono due nature: la natura divina e la natura umana. Insieme coesistono dal momento dell'Incarnazione essendo, come dice Giovanni che "Il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio". La Natura Divina s'Incarna nel seno della Vergine prescelta e profetizzata da Dio stesso in Genesi. Per opera dello Spirito Santo il Verbo si fa carne e "venne ad abitare in mezzo a noi". Per renderci meno umiliante questo evento, Dio si umilia....e rende il Figlio tutto simile all'uomo, come dice Paolo, fuorchè nel peccato, chiamandolo "Gesù", il Cristo, che vuol dire Messia. Perciò le due nature diventano inscindibili fra loro, inseparabili....
 

D- Ma in Gesù con due nature, ci sono anche due persone?
 

R- No....non sono due persone, ma una sola, quella divina del Figlio di Dio...quella umana cesserà con la morte della Croce, ma fino ad allora le due nature convivono insieme perchè l'una non esiste senza l'altra dal momento che Gesù, fatto di carne ed ossa, ha insegnato ed istruito con autorità divina. Diversamente non esisterebbe la Trinità.
 

D- Da chi nacque Gesù?
 

R- Da Maria Vergine della cui presenza ci da notizia proprio Dio quando dirà al serpente: "Ed io porrò ostilità tra te e la donna e tra la tua stirpe e la sua stirpe: essa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno" (Gn.3,15). Gesù è questa stirpe nata dalla Donna profetizzata da Dio che schiaccerà, sconfiggerà il Demonio, tuttavia fino a quando resteremo sulla terra, l'avversario insidierà tutti i figli redenti da Cristo. Dio ha preservato Maria dagli attacchi di Satana, l'inimicizia di cui parla è rivolta alla donna e a Colui che da Lei nascerà, Gesù Cristo.
 

D- Ma Giuseppe che ruolo ha avuto, è il padre di Gesù?
 

R- No.....San Giuseppe non fu padre vero di Gesù Cristo, ma padre putativo; cioè, come sposo di Maria e custode di Lui, fu creduto suo padre senza essere tale per preservare la stessa Vergine Madre. Era usanza nel popolo di ripudiare ed anche lapidare le donne che avevano rapporti fuori dal matrimonio, Giuseppe e Maria non erano ancora sposi quando giunse l'Annuncio dell'Angelo. Giuseppe aveva deciso di ripudiare in segreto Maria perchè le voleva bene e Dio, sapendolo "Uomo Giusto", gli confida il grande evento, Giuseppe crede subito, e acconsente alla silenziosa collaborazione con Dio e diventa il custode della Madre di Dio, e protegge il divino Bambino come, per esempio per la strage degli Innocenti ad opera di Erode. La Chiesa lo venera quale Custode della Chiesa stessa, così come custodì la Santa Famiglia.
  
[Modificato da Cattolico_Romano 07/05/2009 20:41]
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(Credo in Gesù...il Quale nacque da Maria Vergine)di Fr.Crispino Lanzi, Cappuccino

"Che cosa cercano gli uomini, soprattutto i giovani? – esclamava Paolo VI – Cercano la bellezza, la grandezza, la gioia, l’amore. Maria è per tutti sorgente della vera bellezza, della vera grandezza, della vera gioia, del vero amore".... perché è Madre di Dio.

1. MADRE DI DIO: IL VANGELO CE NE DA’ PIENA CERTEZZA

....mediante un incantevole crescendo di sequenze che vogliamo insieme riscoprire....Per farlo, basta prendere la Bibbia in mano, pregare.....liberarsi da tutti i preconcetti umani, rendersi consapevoli che stiamo entrando...nel "mondo di Dio"...Ecco la narrazione più meravigliosa di tutto il Vangelo, Luca 1,26-38: Tra lo stupore del Cielo e le attese della terra (poiché tutti i popoli attendevano un Salvatore e gli stessi Angeli del cielo seguivano la trepidante attesa), l’Arcangelo Gabriele si presenta alla più umile e alla più santa di tutte le creature, a una fanciulla di circa 13/15 anni, Maria, per avvertirla che è chiamata a diventare Madre di Dio. E le rivolge il più grande e il più lieto saluto che tradotto dai testi primitivi suona così: "Allietati, o tutta piena di grazia, il Signore è con te; o: Rallegrati ricolma di Grazia, il Signore è con te".

Al saluto segue l’annuncio, il più alto: "Non temere, o Maria. Hai trovato grazia davanti a Dio. Concepirai e darai alla luce il Figlio dell’Altissimo". All’annuncio segue la risposta più attesa: Maria risponde: "Fiat!" "Sì!" E’ il "Sì" destinato a illuminare il corso di tutta la storia: "Sì, si faccia di me secondo la tua Parola". Non a torto molti santi si sono fermati davanti a questo fatto, si sono arresi ad ogni incomprensione umana: il Cielo e la terra si sono fermati, tutti hanno fatto silenzio, anche Dio è rimasto in attesa della risposta della Donna, futura Madre della Sua Parola, il Verbo, Dio. Dio l'Onnipotente, è rimasto in silenzio ad aspettare da colei che aveva creato, il permesso di potersi Incarnare! Sostiamo nel silenzio dell'immaginabile, guarda o uomo quanta delicatezza riserva Dio a TE....Non avrebbe potuto comandare alla Vergine l'evento? Ma Lui chiede, domanda, aspetta.....Maria ci insegna come si fa a dire "Fiat-SI", e il Padre che conosceva tutta la sua docilità, la prende, la protegge, la rende pura e immacolata perchè nulla possa dire Satana di Colei che ha detto "Eccomi, sono la tua ancella". Se Maria non fosse stata pura, Satana glielo avrebbe potuto rinfacciare, ricattare, ma Dio non lo permette, Lei è la sua ancella, e Dio che conosce il cuore lo sa, allora lo rende perfetto Immacolato, di Lei ne farà la Madre del Verbo, la Madre di Dio.

A quel Fiat, a quel "Sì", segue immediatamente l’avvenimento più straordinario di tutto l’universo: l’Incarnazione: "Et Verbum caro factum est" (Gv.1,14): il Verbo, ossia la seconda persona della Trinità, quindi Dio stesso pèerchè unica è la Natura Divina, per opera dello Spirito Santo, Terza Persona della Santa Trinità, si è fatto carne, uomo nel seno della Vergine. Perciò la Madonna è Madre di Dio.

Ed Ella subito si reca ad Ain Karim per prestare assistenza alla sua parente Elisabetta, che, pur già vecchia, per voler di Dio onnipotente, sta per dare alla luce il precursore di Gesù, Giovanni Battista. Maria sente già dentro di se la responsabilità della Missione del Figlio, lo Spirito la spinge ad uscire fuori, ad andare dalla cugina, forse è la prima uscita fuori da Nazaret, ma è la più importante: Dio deve ancora annurciarle dell'altro, vuole che si cominci a riconoscere il "segno dei tempi", vuole lasciare testimoni alla storia, vuole che nessuno dubiti... Ed Elisabetta, ricolma di Spirito Santo, rispondendo al saluto di Lei, dice il Vangelo, "esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo. A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?" Maria aveva già capito la portata di quell'Annuncio, per questo non si meraviglia del saluto, ma incrociando lo sguardo con la cugina, ecco che il bimbo che porta in grembo, il Battista, sussulta. Fermati a pensare , uomo, pensa alla portata di questo particolare, il Vangelo ci narrerà cose grandi e maestose e non tralascia di darci questo particolare dall'apparenza insignificante. Oggi abbiamo l'ecografia dalla quale vediamo le prime forme dell'embrione, del bimbo che si forma, ma allora non c'era nulla e questo particolare assume allora una delicatissima e potente importanza: il bimbo riconosce Dio che a sua volta, bimbo come lui, si sta formando nel seno di Maria.

Quindi noi Cattolici evidentissimamente siamo col Vangelo quando chiamiamo la Madonna "Madre del Signore", "Madre di Dio". Tuttavia, attenzione che il Mistero è grande.... diciamo che è Madre di Dio non nel senso che abbia creato Dio poiché ben sappiamo che Dio nessuno l’ha creato, ma è sempre esistito; bensì nel senso che ha dato la natura umana a Dio concependo e generando Gesù. In Cristo c’è la natura umana e la natura divina unite ipostaticamente nella sola persona divina, e siccome è alla persona che si riferisce ogni azione quindi anche la maternità, perciò giustamente la chiamiamo Madre di Dio. Maria ha generato il corpo umano di Gesù, con l'opera dello Spirito Santo che ha fatto del suo grembo il Suo Santo Tempio Immacolato, ha formato il suo cuore, il suo volto, i suoi lineamenti fisici, la sua costituzione psicologica, fermati un attimo uomo, fatti prestare delle foto che si fanno con l'ecografia, guarda cosa c'è dentro la donna, chiudi gli occhi e...contempla ora il tuo Dio che per te, si è fatto Bambino. Maria ha dato a Dio quel corpo che si sarebbe immolato sulla croce per noi e poi sarebbe risorto glorioso, quel corpo e quel sangue che sarebbero rimasti presenti fino alla fine del mondo nell’Eucaristia, quel corpo che avrebbe portato per tutta l’eternità nel suo stato di gloria la somiglianza a sua madre. Maria ha collaborato con Dio alla rivoluzione della storia dell'uomo.

continua......
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07/05/2009 20:43

2. MADRE DI DIO: VERITÀ DEFINITA NEL CONCILIO ECUMENICO DI EFESO (nel 431).  

I successori degli Apostoli, i Vescovi, sono radunati in Concilio a Efeso: stanno esaminando la questione della natura umana e divina del Cristo unite nell’unica persona del Verbo, contro l’eresia di Nestorio che ammette due persone in Gesù e ne deduce che la Madonna non è Madre di Dio, ma la Madre solo della carne. A Efeso c’è grande folla: il popolo partecipa in maniera molto viva alla discussione su queste verità importantissime, come oggi si prende viva parte ad avvenimenti infinitamente meno importanti (campionati di calcio, di ciclismo, ecc..), ma allora il popolo cristiano partecipava attivamente, s'informava, voleva sapere. Importanti documenti dell'epoca ci descrivano fatti minuziosi come, ad esempio, che molti sacerdoti erano incaricati di entrare ed uscire dalla sala conciliare per informare i cristiani di quanto dentro avveniva, e le porte erano aperte.  E quando il popolo impara che i Padri Conciliari hanno condannato l’errore di Nestorio e, guidati dallo Spirito Santo, hanno definito che Gesù è vero uomo e vero Dio nell’unità reale e sostanziale della persona del Verbo, e, di conseguenza, la Madonna è Madre di Dio, esplode in acclamazioni, in grida di gioia, in una festa incontenibile; e, quando i Padri escono dall’aula conciliare, vengono portati in trionfo, e a sera sono accompagnati con canti, e con fiaccole accese alle loro dimore.

Leggete questi documenti, ascolta o uomo, l'apoteosi che accadde in quel giorno. I sentimenti di quei Padri e di quella folla festante furono espressi nell’Omelia, tenuta da S. Cirillo di Alessandria, di cui riporto qualche brano:
 "Ti salutiamo, o Maria, Madre di Dio, venerabile tesoro di tutta la terra, lampada inestinguibile, abitacolo di Colui che non può essere circoscritto da nessun luogo. Salve tu che hai accolto nel tuo grembo verginale Colui che è immenso e infinito. Per te la santa Trinità è glorificata e adorata. Per te la Croce è celebrata in ogni angolo della terra. Per te i Cieli esultano. Per te gli angeli e gli arcangeli si allietano. Per te i demoni sono messi in fuga. Per te la creatura decaduta è innalzata al Cielo..." Maria che per i primi secoli era stata comunque sempre venerata, di questo abbiamo testimonianze che risalgono dal II secolo in termini ufficiali. Mi dirai, perchè allora non è stata venerata da subito? Ragiona, uomo, come si poteva innalzare la Madre se prima non veniva riconosciuto il Figlio quale Dio vero e uomo vero? Ragiona, uomo, nei Vangeli poco è detto della Madre, ma si respira già una venerazione ed una delicatezza emozionante, la giovane Chiesa farà altrettanto: terrà la Madre nella penombra, è necessario prima far conoscere il Cristo, la Trinità non era ancora stata riconosciuta, non veniva adorata, se la Chiesa avesse  venerato altamente la Madre di Dio prima di definire la Trinità, allora si che ci sarebbe stato il grave pericolo di renderla una dèa, ma ora no! Gesù è finalmente scoperto, grazie allo Spirito Santo, la Seconda Persona della Trinità, ora i cristiani hanno le idee più chiare, ora possono cominciare a venerare e a riconoscere la Madre di Dio! 

continua.......
[Modificato da Cattolico_Romano 07/05/2009 20:44]
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07/05/2009 20:45

3. MADRE DI DIO: LA CONFERMA È VENUTA DALL’ALTO, mediante miracoli clamorosi.

Per non dilungarmi, mi fermo dagli ultimi fatti più eclatanti di questi ultimi due secoli, se questa storia vi ha incuriosito, procuratevi l'emozione di fare voi stessi delle ricerche.

Chiariamo subito una cosa: Solo Dio compie i miracoli. Maria è la "Piena di Grazia", che cosa vuol dire? Che Dio ha concesso alla Madre di rendere noi i destinatari di questa pienezza, cioè, ha concesso alla Madre di distribuire queste Grazie, perchè Maria non si tirò indietro quando, all'Annuncio, Dio le chiese di mettere al mondo il Suo Verbo Divino. E così come Maria ci diede il Figlio di Dio, così Dio le ha concesso di intercedere per noi presso il Suo Trono. L'unico mediatore è Gesù Cristo, così come è anche l'unico Salvatore, Maria è un aoiuto....è l'intermediaria fra noi e il Figlio, così come fu intermediaria fra cielo e terra quando acconsentì che Dio entrasse nel Mondo da uomo attraverso di Lei.

Se da Maria entrò nel mondo la Salvezza, la Redenzione, la Vita, sempre da Maria continuano a piovere grazie e benedizioni. Ma tutto questo è una concessione di Dio.

A Lourdes, dal 1858 ad oggi, molti ammalati gravissimi, mentre ripetevano: "Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi", sono guariti perfettamente e all’istante. Il Signore ha fatto questi prodigi per affermare che Maria è Madre di Dio.

La Madonna del Pilar a Saragozza (Spagna) ottiene a Miguel di Calanda, (il quale ripetutamente l’aveva supplicata: "Madre di Dio prega per noi"), un miracolo strabiliante: gli fa rispuntare una gamba che da tempo gli era stata amputata poco sotto il ginocchio dal noto chirurgo dott. Giovanni Estanga aiutato dal dott. Diego Millaruelo con l’assistenza dell’apprendista Giovanni Lorenzo Garcia che in compagnia di un suo collega aveva eseguito l’incarico di andare a seppellire nel cimitero il troncone della gamba amputata. Il fatto è stato pienamente documentato, in un processo canonico, dai suddetti medici e da tanti testimoni (Riv. "Madre di Dio", Ott. 85. Il miracolo avvenne nella notte tra il 29 e 30–III–1640).

Medjugorije (Jugoslavia): Pur in piena obbedienza a quanto la Chiesa dichiarerà sui celebri fatti, non possiamo ignorare i moltissimi miracoli morali o conversioni ivi avvenute e le centinaia di prodigiose guarigioni. Ne esaminiamo una: Anna Basile di Milano, appena entrata nella sala delle apparizioni, subito guarisce dalla sclerosi a placche e dalla completa cecità a un occhio il cui nervo ottico era distrutto: guarigioni documentate da ben 142 referti di 25 medici e scienziati.  (Dite ai Testimoni di Geova e agl’increduli che ci documentino anche un solo miracolo del loro Geova o del loro mago, che provi come vere le loro falsità contro le verità cristiane!).

Abbiamo Fatima attraverso i cui fatti fra i più grandi miracoli ci sono le conversioni....Io sono stato li per aiutare nella confessione e, credimi uomo, i cuori si sciolgono, gli occhi brillano, gl'increduli credono, i disperati imparano a sperare, i miserabili diventano ricchi, piangono i litigiosi....

Dunque la Madonna è veramente Madre di Dio. Lo è nel pieno senso della parola, anche senza aver dato a Gesù la divinità: infatti la madre è vera mamma dei suoi figli ancorché non abbia data ad essi la parte principale ossia l’anima che è stata infusa direttamente da Dio. Anzi, nessuna madre è tanto madre dei suoi figli come lo è Maria di Gesù Signore, poiché Maria lo ha concepito senza concorso di uomo.

La maternità divina è la base e il motivo di tutti, i suoi privilegi: È Immacolata perché non poteva essere macchiata da alcun peccato e quindi in potere di Satana Colei che doveva ospitare il Vincitore del peccato e del demonio. È Vergine, perché ha concepito Gesù per opera dello Spirito; Vergine è rimasta perché ciò era conveniente alla Madre di Dio e ciò è assicurato dalla Bibbia (Cfr. Is. 7, 14 e Mt. 1, 18–23). È Assunta in Cielo perché – come dice S. Germano di Costantinopoli – "occorreva che la Madre della Vita (ossia di Gesù risorto) condividesse la dimora della Vita".

Perché Madre di Dio è la Madre dei figli di Dio, è la Mediatrice di tutte le grazie, è il Rifugio dei peccatori, è la Consolatrice degli afflitti e tutto questo lo troviamo nella scena sotto la Croce, ed è il Morente a dirlo.

È la Madre di Dio, quindi è la perla dell’Amore di Dio, è la gemma della sua Potenza, è la bellezza della sua Gloria; è "il Capolavoro dell’Altissimo; è il Miracolo dei miracoli" (S. Luigi de Monfort 7), perchè in Lei operò direttamente sin dalla note dei tempi, Dio personalmente che così concepì colei che "nella pienezza del tempo", sarebbe dovuta diventare Madre del Verbo che era presso Dio, Dio stesso.

Imitiamo la grande Madre di Dio!Gesù ci invita a imitarla con queste entusiasmanti parole: "Mia Madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (Lc. 8, 21). Ora, nessuno, mai ha fatto ciò meglio della Vergine Maria. S. Agostino commenta: "Così sarete madri di Cristo" (Discorso 72).

I Santi ci esortano all’imitazione delle virtù vissute dalla Madre. Se io non mi impegno a imitarla – dicono Origène, S. Agostino, S. Bernardo e altri Padri e dottori della Chiesa – è inutile che la veneri e la invochi come Madre di Dio: "Che giova a me se Cristo sia nato una volta da Maria a Betlemme se non nasce anche per fede nella mia anima?" (Origéne, "Com. a Lc. 22, 3".).

Imitiamola specialmente ascoltando e meditando ogni giorno la Parola di Dio, vivendo sempre ad ogni costo nella Grazia di Dio, compiendo con gioia in ogni momento la Volontà di Dio, tenendo la mente e il cuore costantemente rivolti al Regno eterno di Dio. Sarà questa la vera testimonianza che avremo capito chi è Maria, Madre di Dio.

ESEMPIO. Le apparizioni a S. Caterina Labourè.Con la nostra mente rechiamoci in pellegrinaggio a Parigi nella Cappella della Medaglia miracolosa ove sono andati, con tanta devozione, Paolo VI, e, poi, Giovanni Paolo II. Impareremo la vera devozione alla Madre di Dio dall’esempio di un’umile suora, S. Caterina Labourè delle Figlie della Carità che vive in continua preghiera anche tra i molteplici lavori: assiste notte e giorno tanti vecchietti e per loro si occupa pure della stalla, delle mucche, del pollaio, della piccionaia, della lavanderia, della cucina. Desidera tanto vedere la Madonna. Ella le appare ripetutamente nel 1830. In una di quelle apparizioni, la Madre di Dio nelle sue mani regge un globo luminoso, sormontato dalla croce. Poi il globo scompare e dalle dita della Vergine scendono raggi di luce fino a terra. La Madonna le spiega: "Il globo che tu hai visto è il mondo, la terra dove abitano i miei figli. I raggi splendenti sono le grazie e le benedizioni che io faccio scendere su tutti coloro che mi supplicano. Sono tanto contenta di esaudire i miei figli che mi chiamano in loro aiuto, ma moltissimi non mi invocano mai e troppi raggi preziosi vanno perduti". E le dà indicazioni precise per coniare la così detta "Medaglia miracolosa" promettendo particolare protezione e abbondanti grazie a chi l’avrebbe portata con fede, a chi avrebbe recitato con la meditazione assidua dei Misteri del Vangelo, il S.Rosario.

È Cristo Dio che ha creato il mondo e che lo sostiene, ma Gesù ha affidato alla sua Madre l’umanità, e vuol salvare tutti gli uomini per mezzo di lei. Perciò – come afferma il Vaticano II – la Madre del Signore "sulla terra brilla innanzi al pellegrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione fino a quando non verrà il giorno del Signore" (L.G. 68).

PROPOSITO. Invocheremo spesso, durante la giornata, la Madonna; la invocheremo insieme alla nostra famiglia ogni sera. La Chiesa insegna l'Angelus: ogni giorno si ricorda espressamente l'Annuncio dell'Incarnazione di Dio, occorrono pochi minuti per imparare ad entrare nei fatti di quell'avvenimento che cambiò la storia dell'uomo. Abbiamo il Rosario, attraverso il quale i Misteri della vita di Gesù vengono insegnati alla scuola di Maria che li ha vissuti in prima persona molto più degli Apostoli. Imparerete che pregando a Maria, si raggiunge Dio....nessuna preghiera rivolta a Maria è fine a se stessa.

Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi!
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Dalle Catechesi del Papa - mercoledì 27 novembre 1996
IL TITOLO DI MARIA MADRE DI DIO (La Theothokos)


1. La contemplazione del mistero della nascita del Salvatore ha condotto il popolo cristiano non solo a rivolgersi alla Vergine Santa come alla Madre di Gesù, ma anche a riconoscerla Madre di Dio. Tale verità fu approfondita e percepita come appartenente al patrimonio della fede della Chiesa già dai primi secoli dell'era cristiana, fino ad essere solennemente proclamata dal Concilio di Efeso nell'anno 431.

Nella prima comunità cristiana, mentre cresce tra i discepoli la consapevolezza che Gesù è il Figlio di Dio, risulta sempre più chiaro che Maria è la Theotokos, la Madre di Dio. Si tratta di un titolo che non appare esplicitamente nei testi evangelici, sebbene in essi sia ricordata "la Madre di Gesù" e venga affermato che Egli è Dio (Gv 20,28; cf.5,18; 10,30.33). Maria viene comunque presentata come Madre dell'Emmanuele, che significa Dio con noi (cf. Mt 1,22-23).

Già nel III secolo, come si deduce da un'antica testimonianza scritta, i cristiani dell'Egitto si rivolgevano a Maria con questa preghiera: "Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta" (Dalla Liturgia delle Ore). In questa antica testimonianza, per la prima volta, l'espressione Theotokos, "Madre di Dio", appare in forma esplicita.

Nella mitologia pagana, succedeva spesso che qualche dea fosse presentata come madre di qualche dio. Zeus, ad esempio, dio supremo, aveva per madre la dea Rea. Tale contesto ha forse facilitato, da parte dei cristiani, l'uso del titolo "Theotokos", "Madre di Dio", per la madre di Gesù. Bisogna tuttavia notare che questo titolo non esisteva, ma fu creato dai cristiani per esprimere una fede che non aveva niente a che vedere con la mitologia pagana, la fede nel concepimento verginale, nel seno di Maria, di Colui che era da sempre il Verbo eterno di Dio.


2. Con il IV secolo, il termine Theotokos è ormai di uso frequente in Oriente e in Occidente. La pietà e la teologia fanno riferimento sempre più frequentemente a tale termine, ormai entrato nel patrimonio di fede della Chiesa.
Si comprende perciò il grande movimento di protesta, che si sollevò nel V secolo, quando Nestorio mise in dubbio la legittimità del titolo "Madre di Dio". Egli, infatti, essendo propenso a ritenere Maria soltanto madre dell'uomo Gesù, sosteneva che fosse dottrinalmente corretta solo l'espressione "Madre di Cristo". A tale errore Nestorio era indotto dalla sua difficoltà ad ammettere l'unità della persona di Cristo e dall'interpretazione erronea della distinzione fra le due nature - divina e umana -, presenti in Lui.
Il Concilio di Efeso, nell'anno 431, condannò le sue tesi e, affermando la sussistenza della natura divina e della natura umana nell'unica persona del Figlio, proclamò Maria Madre di Dio.


3. Le difficoltà e le obiezioni mosse da Nestorio ci offrono ora l'occasione per alcune riflessioni utili per comprendere e interpretare correttamente tale titolo. L'espressione Theotokos, che letteralmente significa "colei che ha generato Dio", a prima vista può risultare sorprendente; suscita, infatti, la domanda su come sia possibile che una creatura umana generi Dio. La risposta della fede della Chiesa è chiara: la divina maternità di Maria si riferisce solo alla generazione umana del Figlio di Dio e non invece alla sua generazione divina. Il Figlio di Dio è stato da sempre generato da Dio Padre e gli è consustanziale. In questa generazione eterna Maria non ha evidentemente nessun ruolo. Il Figlio di Dio, però, duemila anni fa, ha assunto la nostra natura umana ed è stato allora concepito e partorito da Maria.

Proclamando Maria "Madre di Dio" la Chiesa intende, quindi, affermare che Ella è la "Madre del Verbo incarnato, che è Dio". La sua maternità non riguarda, pertanto, tutta la Trinità, ma unicamente la seconda Persona, il Figlio che, incarnandosi, ha assunto da lei la natura umana.
La maternità è relazione tra persona e persona: una madre non è madre soltanto del corpo o della creatura fisica uscita dal suo grembo, ma della persona che genera. Maria, dunque, avendo generato secondo la natura umana la persona di Gesù, che è persona divina, è Madre di Dio.


4. Proclamando Maria "Madre di Dio", la Chiesa professa con un'unica espressione la sua fede circa il Figlio e la Madre. Questa unione emerge già nel Concilio di Efeso; con la definizione della divina maternità di Maria i Padri intendevano evidenziare la loro fede nella divinità di Cristo. Nonostante le obiezioni, antiche e recenti, circa l'opportunità di riconoscere a Maria questo titolo, i cristiani di tutti i tempi, interpretando correttamente il significato di tale maternità, ne hanno fatto un'espressione privilegiata della loro fede nella divinità di Cristo e del loro amore per la Vergine.
 
Nella Theotokos la Chiesa, da una parte, ravvisa la garanzia della realtà dell'Incarnazione, perché - come afferma sant'Agostino -"se la Madre fosse fittizia, sarebbe fittizia anche la carne... fittizie le cicatrici della risurrezione" (Tract. in Ev. Ioannis, 8,6-7). E, dall'altra, essa contempla con stupore e celebra con venerazione l'immensa grandezza conferita a Maria da Colui che ha voluto essere suo figlio. L'espressione "Madre di Dio" indirizza al Verbo di Dio, che nell'Incarnazione ha assunto l'umiltà della condizione umana per elevare l'uomo alla figliolanza divina. Ma tale titolo, alla luce della sublime dignità conferita alla Vergine di Nazaret, proclama, pure, la nobiltà della donna e la sua altissima vocazione. Dio infatti tratta Maria come persona libera e responsabile e non realizza l'Incarnazione di suo Figlio se non dopo aver ottenuto il suo consenso.
Seguendo l'esempio degli antichi cristiani dell'Egitto, i fedeli si affidano a Colei che, essendo Madre di Dio, può ottenere dal divin Figlio le grazie della liberazione dai pericoli e dell'eterna salvezza.
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CONCILIO DI EFESO - Dal 22 giugno al 31 luglio 431
Convocato dall'Imperatore Teodosio I.

Cinque sessioni. Presenti 120 vescovi.

Divina Maternità di Maria contro Nestorio.

6 canoni.


SECONDA LETTERA DI CIRILLO A NESTORIO


Cirillo saluta nel Signore il piissimo e sommamente amato da Dio Nestorio, suo collega.


Sono venuto a sapere che alcuni tentano con vane ciance di detrarre al mio buon nome presso la tua Riverenza - e ciò frequentemente - soprattutto in occasione di riunioni di persone assai in vista. Forse pensando addirittura di accarezzare le tue orecchie, essi spargono voci incontrollate. Sono persone che non ho offeso in nessun modo, li ho invece ripresi con le debite maniere: l'uno perché trattava ingiustamente ciechi e bisognosi; l'altro, perché aveva impugnato la spada centro la propria madre; un altro ancora, perché aveva rubato con la sua serva l'oro degli altri, ed aveva sempre avuto una fama, quale nessuno augurerebbe neppure al suo peggior nemico. Del resto, non intendo interessarmi troppo di costoro, perché non sembri che io estenda la misura della mia pochezza al di sopra del mio signore e maestro, e al di sopra dei padri: non è possibile, infatti, evitare le stoltezze dei malvagi, in qualsiasi modo si viva. Costoro, però, che hanno la bocca piena di maledizione e di amarezza (Cfr. Rm 3, 14), dovranno rendere conto al giudice di tutti. lo, invece, tornando a ciò che credo più importante, ti ammonisce anche ora, come fratello in Cristo, perché tu esponga la dottrina e il pensiero sulla fede al popolo con ogni cautela e prudenza perché tu rifletta che lo scandalizzare anche uno piccoli che credono in Cristo (Cfr. Mt 18, 6), suscita la insopportabile, indignazione (di Dio). Se poi coloro che sono stati fossero una moltitudine, non dobbiamo forse usa arte per evitare, con prudenza, gli scandali e presentare rettamente una sana esposizione della fede a chi cerca la verità? Ciò avverrà nel modo migliore se leggendo le opere dei santi padri, cercheremo di apprezzarle molto, ed esaminando noi stessi, se siamo nella vera fede conforme della Scrittura (Cfr. II Cor 13, 5), conformiamo perfettamente il nostro modo di vedere il loro pensiero retto e irreprensibile.


Dice, dunque, il santo e grande concilio (di Nicea) che lo stesso Figlio unigenito, generato secondo natura da Dio Padre, Dio vero nato dal vero Dio, luce dalla luce, colui per mezzo del quale il Padre ha fatto tutte le cose, è disceso si è fatto carne, si è fatto uomo, ha sofferto, è risuscitato il terzo giorno, è salito al cielo.
Dobbiamo attenerci anche noi a queste parole e a questi insegnamenti, riflettendo bene cosa significhi che il Verbo di Dio si è incarnato e fatto uomo. Non diciamo, infatti, che la natura dal Verbo si sia incarnata mutandosi, né che fu trasformata in un uomo, composto di anima e di corpo. Diciamo, piuttosto, che il Verbo, unendosi ipostaticamente una carne animata da un'anima razionale si fece uomo in modo ineffabile e incomprensibile e si è chiamato figlio dell'uomo, non assumendo solo la volontà e neppure la sola persona. Sono diverse, cioè, le nature che si uniscono, ma uno solo è il Cristo e Figlio che risulta non che questa unità annulli la differenza delle nature ma piuttosto la divinità e l'umanità formano un solo e Cristo, e Figlio, che risulta da esse; con la loro unione arcana ed i nell'unità. Così si può affermare che, pur sussistendo prima dei secoli, ed essendo stato generato dal Padre, Egli è stato generato anche secondo la carne da una donna; ma ciò non significa che la sua divina natura abbia avuto inizio nella santa Vergine, né che essa avesse bisogno di una seconda nascita dopo quella del padre (sarebbe infatti senza motivo, Oltre che sciocco, dire che colui che esisteva prima di tutti i secoli, e che è coeterno al Padre, abbia bisogno di una seconda generazione per esistere); ma poiché per noi e per la nostra salvezza, ha assunto l'umana natura in unità di persona, ed è nato da una donna così si dice che è nato secondo la carne. (Non dobbiamo pensare), infatti, che prima sia stato generato un uomo qualsiasi dalla santa Vergine, e che poi sia disceso in lui il Verbo: ma che, invece, unica realtà fin dal seno della madre, sia nato secondo la carne, accettando la nascita della propria carne.


Così, diciamo che egli ha sofferto ed è risuscitato, non che il Verbo di Dio ha sofferto nella propria natura le percosse, i fori dei chiodi, e le altre ferite (la divinità, infatti non può soffrire, perché senza corpo); ma poiché queste cose le ha sopportate il corpo che era divenuto suo, si dice che egli abbia sofferto per noi: colui, infatti, che non poteva soffrire, era nel corpo che soffriva. Allo stesso modo spieghiamo la sua morte. Certo, il Verbo di Dio, secondo la sua natura, è immortale, incorruttibile, vita, datore di vita; ma, di nuovo, poiché il corpo da lui assunto, per grazia di Dio, come dice Paolo (Cfr. Eb 2, 9), ha gustato la morte per ciascuno di noi, si dice che egli abbia sofferto la morte per noi. Non che egli abbia provato la morte per quanto riguarda la sua natura (sarebbe stoltezza dire o pensare ciò), ma perché, come ho detto poco fa, la sua carne ha gustato la morte. Così pure, risorto il suo corpo, parliamo di resurrezione del Verbo; non perché sia stato soggetto alla corruzione - non sia mai detto - ma perché è risuscitato il suo corpo.


Allo stesso modo, confesseremo un solo Cristo un solo Signore; non adoreremo l'uomo e il Verbo insieme, col pericolo di introdurre una parvenza di divisione dicendo insieme, ma adoriamo un unico e medesimo (Cristo), perché il suo corpo non è estraneo al Verbo, quel corpo con cui siede vicino al Padre; e non sono certo due Figli a sedere col Padre ma uno, con la propria carne, nella sua unità. Se noi rigettiamo l'unità di persona, perché impossibile o indegna (del Verbo) arriviamo a dire che vi sono due Figli: è necessario, infatti definire bene ogni cosa, e dire da una parte che l'uomo è stato onorato col titolo di figlio (di Dio), e che, d'altra parte il Verbo di Dio ha il nome e la realtà della filiazione. Non dobbiamo perciò dividere in due figli l'unico Signore Gesù Cristo. E ciò non gioverebbe in alcun modo alla fede ancorché alcuni parlino di unione delle persone: poiché non dice la Scrittura che il Verbo di Dio sì è unita la persona di un uomo ma che si fece carne (Cfr. Gv 1, 14). Ora che il Verbo si sia fatto carne non è altro se non che è divenuto partecipe, come noi, della carne e del sangue (Cfr. Eb 2, 14): fece proprio il nostro corpo, e fu generato come un uomo da una donna, senza perdere la sua divinità o l'essere nato dal Padre, ma rimanendo, anche nell'assunzione della carne, quello che era.


Questo afferma dovunque la fede ortodossa, questo troviamo presso i santi padri. Perciò essi non dubitarono di chiamare la santa Vergine madre di Dio, non certo, perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto l’origine del suo essere dalla santa Vergine, ma perché nacque da essa il santo corpo dotato di anima razionale, a cui è unito sostanzialmente, si dice che il verbo è nato secondo la carne.


Scrivo queste cose anche ora spinto dall'amore di Cristo esortandoti come un fratello, scongiurandoti, al cospetto di Dio e dei suoi angeli eletti, di voler credere e insegnare con noi queste verità, perché sia salva la pace delle chiese, e rimanga indissolubile il vincolo della concordia e dell’amore tra i sacerdoti di Dio.


TERZA LETTERA DI CIRILLO DI ALESSANDRIA A NESTORIO


[...]
Seguendo in tutto le confessioni che i santi Padri hanno formulato sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e le orme dei loro pensieri, battendo la via regia, noi diciamo che il Verbo unigenito di Dio, nato dalla stessa sostanza del Padre, Dio vero da Dio vero, luce da luce, mediante il quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, è lo stesso che è disceso (dal cielo) per la nostra salvezza, si è umiliato sino all'annientamento, si è incarnato e si è fatto uomo, ossia, prendendo la carne dalla santa Vergine e facendola propria, è nato come noi dal seno materno, ed è diventato uomo dalla donna, senza rinunziare a quello che era; ma, pur assumendo la carne e il sangue, rimase anche così ciò che era: Dio, per natura e secondo verità. Né diciamo con ciò che la carne sia passata nella natura della divinità, né che la ineffabile natura del Verbo di Dio si sia trasformata nella natura della carne: infatti, è assolutamente immutabile, sempre identico a sé stesso, secondo le Scritture (Cfr. Mt 3, 6). Apparso fanciullo, e in fasce, e ancor nel seno della Vergine Madre, riempiva (di sé) tutta la creazione, essendo Dio, e sedeva alla destra del suo genitore; poiché la divinità non ha quantità, né grandezza, e non conosce limiti.


Noi confessiamo, quindi, che il Verbo di Dio si è unito personalmente alla carne umana, ma adoriamo un solo Figlio e Signore Gesù Cristo, non separando né dividendo l'uomo e Dio, come se fossero uniti l'uno all'altro dalla dignità e dalla autorità (ciò, infatti, sarebbe puro suono e niente altro), e neppure chiamando, separatamente, Cristo Verbo di Dio, e separatamente l'altro Cristo quello nato dalla donna; ma ammettendo un solo Cristo, e cioè il Verbo di Dio Padre, con la sua propria carne. Allora egli, come noi, è stato unto, anche se è lui stesso a dare lo Spirito a coloro che sono degni di riceverlo, e ciò non secondo misura, come dice il beato Giovanni evangelista (Cfr. Gv 3, 34). Ma non affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi, in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia un semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi (Gv 1, 14) ed è detto che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità (Col 2, 9), crediamo però che egli si fece carne non allo stesso modo che si dice che abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo.

Non vi è, dunque, che un solo Cristo, Figlio e Signore; non secondo una semplice unione di un uomo, nell'unità della dignità e dell'autorità, con Dio perché una uguale dignità infatti, non può unire le nature. Così Pietro e Giovanni sono uguali in dignità, come gli altri apostoli e discepoli; ma i due non erano uno. Infatti non concepiamo il modo dell’unione come una giustapposizione (ciò, del resto, non sarebbe neppure sufficiente ad una unità naturale), o come una unione per relazione, come quando noi, aderendo a Dio, secondo la Scrittura, siamo uno spirito solo con lui (Cf. I Cor 6, 17); evitiamo piuttosto il termine stesso di "congiunzione" in quanto inadeguato ad esprimere il mistero dell'unità.


E non chiamiamo il Verbo di Dio Padre neppure "Dio" o "Signore" di Cristo, per non dividere di nuovo, apertamente in due l'unico Cristo e Figlio e Signore, cadendo nel di bestemmia, facendo di lui il Dio o il Signore di se stesso. Unito, infatti, sostanzialmente, alla carne, come abbiamo detto, il Verbo di Dio è Dio di ogni cosa e domina su ogni creatura, ma non è né servo, né Signore di se stesso. Il solo pensare o dire ciò sarebbe sciocco o addirittura empio. E’ vero che ha detto che suo padre era il suo Dio (Cfr. Gv 20, 17), pur essendo Dio per natura e della sostanza di Dio; ma non ignoriamo che, essendo Dio, egli è diventato anche uomo, soggetto a Dio secondo la legge propria della natura dell'umanità. Come avrebbe potuto essere, d'altra parte, egli, Dio o Signore di se stesso?

Quindi, in quanto uomo, e in quanto si può accordare con la misura del suo annientamento, egli afferma di essere con noi sottoposto a Dio: così egli si assoggettò alla legge (Cfr. Gal 4, 4), pur avendo espresso egli la legge, ed essendo legislatore, in quanto Dio. Evitiamo assolutamente di dire: "Venero ciò che è stato assunto, per la dignità di colui che l'assume; adoro il visibile a causa dell'invisibile". E’ addirittura orrendo, inoltre, dire: "Colui che è stato assunto è chiamato Dio, insieme con colui che l'ha assunto". Chi usa questo linguaggio, divide di nuovo il Cristo in due Cristi e colloca da una parte l'uomo, e dall'altra Dio; nega, infatti, evidentemente l'unità: quell'unità per cui uno non può essere coadorato o connominato Dio con un altro: uno, invece, è creduto Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, da onorarsi con un unica adorazione con la sua carne. Confessiamo anche che lo stesso Figlio unigenito di Dio, anche se impossibile secondo la propria natura, ha sofferto nella sua carne per noi, secondo le Scritture (Cfr. I Pt 4, 1), ed era nel corpo crocifisso, facendo sue, senza soffrire, le sofferenze della sua carne. Per la grazia di Dio gustò la morte (Eb 2, 9) per la salvezza di tutti; ed offri ad essa il proprio corpo, quantunque egli sia per natura la vita ed egli stesso la resurrezione (Cfr. Gv 11, 25).


Egli, sconfiggendo la morte con la sua ineffabile potenza, fu nella sua propria carne il primogenito tra i morti e la primizia di coloro che si erano addormentati (nel Signore) (Cfr Col 1, 18 e I Cor 15, 20), ed aprì all'umana natura la via del ritorno all'incorruzione. Per la grazia di Dio, come abbiamo accennato, egli gustò la morte per ciascuno di noi, e risorgendo il terzo giorno, spogliò l'Ade. Quindi, anche se si dice che la resurrezione dei morti è avvenuta attraverso un uomo (Cfr. I Cor 15, 21), per uomo, però, intendiamo quello che era nello stesso tempo il Verbi di Dio, per mezzo del quale è stato distrutto l'impero della morte. Questi verrà, a suo tempo, come unico Figlio e Signore nella gloria del Padre, per giudicare il mondo, nella giustizia, come affermano le Scritture (Cfr At 17, 31).


E’ necessario aggiungere anche questo. Annunziando la, morte, secondo la carne, dell'Unigenito Figlio di Dio, cioè di Gesù Cristo, e la sua resurrezione dai morti, e confessando la sua assunzione al cielo, noi celebriamo nelle chiese il sacrificio incruento, ci avviciniamo così alle mistiche benedizioni, e ci santifichiamo, divenendo partecipi della santa carne e del prezioso sangue del Salvatore di noi tutti, Cristo. Noi non riceviamo, allora, una comune carne (Dio ci guardi dal pensarlo!), o la carne di un uomo santificato e unito al Verbo mediante un'unione di dignità, o di uno che abbia in sé l'abitazione di Dio, ma una carne che dà veramente la vita ed è la carne propria del Verbo stesso. Essendo infatti, vita per natura in quanto Dio, poiché è divenuto una cosa sola con la propria carne, l'ha resa vivificante sicché quando ci dice: In verità vi dico, se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il sito sangue (Gv 6, 53), non dobbiamo comprendere che essa sia la carne di un qualunque uomo come noi (e come potrebbe essere vivificante la carne di un uomo, considerata secondo la propria natura?); ma, invece, come la carne di Colui che per noi si fece e si fece chiamare figlio dell'Uomo.


Quanto alle espressioni del nostro Salvatore contenute nei Vangeli, noi non le attribuiamo a due diverse sussistenze o persone. Non è infatti duplice l'unico e solo Cristo, anche se si debba ammettere che egli è pervenuto all'unità indivisibile da due differenti realtà; come del resto avviene dell'uomo, che, pur essendo composto di anima e di corpo, non per questo è duplice, ma una sola realtà composta di due elementi. Diciamo piuttosto che sia le espressioni umane, sia quelle divine, sono state dette da un solo (Cristo).
Quando egli, infatti, con linguaggio divino, afferma di sé: Chi vede me, vede il Padre, e: Io e il Padre siamo una sola cosa (Gv 14, 9 e 10, 30), noi pensiamo alla sua divina ed ineffabile natura, per cui egli è uno col Padre in forza dell'identità della sostanza, egli, immagine e figura e splendore della sua gloria (Cfr Eb 1, 3). Quando, invece, non reputando indegna la condizione umana, dice ai Giudei: ora voi volete uccidermi, perché vi ho detto la verità (Gv 8, 40) di nuovo dobbiamo riconoscere in lui, uguale e simile al Padre, il Dio Verbo anche nei limiti della sua umanità. Se, infatti, dobbiamo credere che, essendo Dio per natura, si è fatto carne, ossia uomo con anima razionale, che motivo vi è, poi, che uno si vergogni che le sue espressioni siano state dette in modo umano? Poiché, se egli avesse rifiutato le espressioni proprie dell'uomo, chi mai lo spinse a farsi uomo come noi? Colui che si è abbassato, per noi, volontariamente, fino all'annientamento, perché mai dovrebbe poi rifiutare le espressioni proprie di chi si è annientato? Le espressioni dei Vangeli, quindi, sono da attribuirsi tutte ad una sola persona, ossia all'unica sussistenza incarnata del Verbo: uno è, infatti, il Signore Gesù Cristo, secondo le Scritture (Cfr. I Cor 8, 6).


Se, infatti, viene chiamato apostolo e pontefice della nostra confessione (Eb 3) inquantoché ha offerto in sacrificio a Dio Padre la confessione della fede che noi facciamo a lui, e per mezzo suo a Dio Padre, e anche allo Spirito santo, diciamo ancora che egli è per natura il Figlio unigenito di Dio, e non attribuiamo certamente ad un altro uomo diverso da lui il nome e la sostanza del sacerdozio. Egli infatti è divenuto mediatore fra Dio e gli uomini (I Tm 2, 5) li ha riconciliati per la pace, offrendosi vittima di soavità a Dio padre (Cfr. Ef 5, 2). Perciò ha detto: Non hai voluto né sacrificio né oblazione, ma mi hai dato un corpo. Non hai gradito gli olocausti in espiazione del peccato. Allora ho detto: Ecco, vengo. All'inizio del libro è scritto di me che io debba fare, o Dio, la tua volontà (Eb 10, 5-7).

Egli ha offerto in odore di soavità il proprio corpo per noi, non certo per se stesso. Di quale sacrificio ed offerta, infatti, avrebbe bisogno per sé, egli che è superiore a qualsiasi peccato essendo Dio? Se è vero, infatti, che tutti sono peccatori e sono privati della gloria di Dio (Rm 3, 23) inquantoché siamo inclinati ad ogni vento di peccato e la natura dell'uomo divenne inferma per il peccato - per lui, però, non fu così, e siamo vinti dalla sua gloria - come può essere ancora dubbio che l'agnello vero sia stato immolato a causa nostra e per noi? Sicché dire che egli si è offerto per sé e per noi non potrebbe in nessun modo essere esente dall'accusa di empietà. Egli, infatti, non ha mancato in nessun modo e non ha commesso peccato. E di quale oblazione avrebbe dovuto aver bisogno, non essendovi alcun peccato, per cui avrebbe dovuto offrirla?


Quando poi afferma dello Spirito: Egli mi glorificherà (Gv 16, 14), rettamente noi non diciamo che l'unico Cristo e Figlio, quasi avesse bisogno di essere glorificato da un altro, ha avuto la sua gloria dallo Spirito Santo: perché lo Spirito non è migliore di lui o superiore a lui. Ma poiché a dimostrazione della sua divinità, si serviva del proprio spirito per compiere le sue meraviglie, perciò egli dice di essere glorificato da lui come se un uomo, riferendosi alla forza che è in lui o alla sua scienza dicesse: "mi glorificano". Poiché, se anche lo Spirito ha una sussistenza propria, e viene considerato in sé ossia secondo quella proprietà per cui è Spirito e non Figlio non è, però, estraneo a lui. E’ detto, infatti, Spirito di verità (Gv 16, 13), e Cristo è appunto la verità (Cfr. Gv 14, 6), e procede da lui come da Dio Padre. Di conseguenza, questo Spirito, operando meraviglie anche per mezzo degli apostoli, dopo l'ascensione del Signore nostro Gesù Cristo al cielo, lo glorificò; fu creduto, infatti, che egli, Dio per natura, operasse ancora per mezzo del proprio Spirito. Per questo diceva ancora: Prenderà del mio e ve lo annunzierà (Gv 16, 14).

E in nessun modo noi diciamo che lo Spirito è sapiente e potente per partecipazione: egli è assolutamente perfetto e non ha bisogno di nessun bene. Proprio, infatti, perché è Spirito della potenza e della sapienza del Padre, che è il Figlio (Cfr I Cor 1, 24), per questo è realmente sapienza e potenza.


E poiché la Vergine santa ha dato alla luce corporalmente Dio unito ipostaticamente alla carne, per questo noi diciamo che essa è madre di Dio, non certo nel senso che la natura del Verbo abbia avuto l'inizio della sua esistenza dalla carne, infatti esisteva già all'inizio, ed era Dio, il Verbo, ed era Presso Dio (Gv 1, 1). Egli è il creatore dei secoli, coeterno al Padre e autore di tutte le cose; ma perché, come abbiamo già detto, avendo unito a sé, ipostaticamente, l'umana natura in realtà sortì dal seno della madre in una nascita secondo la carne; non che avesse bisogno necessariamente o per propria natura anche della nascita temporale, avvenuta in questi ultimi tempi, ma perché benedicesse il principio stesso della nostra esistenza, e perché, avendo una donna partorito (il Figlio di Dio) che si è unito l'umana carne, cessasse la maledizione contro tutto il genere umano, che manda a morte questi nostri corpi terrestri, e rendesse vana questa parola: darai alla luce i figli nella sofferenza (Gen 3, 16), e realizzasse la parola del profeta: la morte è stata assorbita nella vittoria (I Cor 15, 54) e l'altra: Dio asciugò ogni lacrima da ogni volto (Is 25, 8). Per questo motivo diciamo che egli, da buon amministratore, ha benedetto le stesse nozze, quando fu invitato, con i santi apostoli, a Cana di Galilea (Cfr. Gv 2, 1-2).


Ci hanno insegnato a pensare così sia i santi apostoli ed evangelisti, sia tutta la Scrittura divinamente ispirata sia le veraci professioni di fede dei beati padri. Con la dottrina di tutti questi bisogna che concordi e si armonizzi anche tua pietà. Ciò che la tua pietà deve anatematizzare è aggiunto in fondo a questa nostra lettera.

continua.............
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07/05/2009 20:57

I dodici anatematismi emanati da TUTTA la Chiesa e da tutta la Chiesa riconosciuti ancora oggi validi.


1. Se qualcuno non confessa che l'Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e che perciò la santa Vergine è di Dio perché ha generato secondo la carne, il Verbo fatto carne (Gv 1, 14), sia anatema.


2. Se qualcuno non confessa che il Verbo del Padre assunto in unità di sostanza l'umana carne, che egli è un solo Cristo con la propria carne, cioè lo stesso che è Dio e uomo insieme, sia anatema.


3. Se qualcuno divide nell'unico Cristo, dopo l'unione le due sostanze congiungendole con un semplice rapporto di dignità, cioè d'autorità, o di potenza, e non, piuttosto con un'unione naturale, sia anatema.


4. Se qualcuno attribuisce a due persone o a due sostanze le espressioni dei Vangeli e degli scritti degli apostoli, o dette dai santi sul Cristo, o da lui di se stesso, ed alcune le attribuisce a lui come uomo, considerato distinto dal Verbo di Dio, altre, invece, come convenienti a Dio, al solo Verbo di Dio Padre, sia anatema.
 

5. Se qualcuno osa dire che il Cristo è un uomo portatore di Dio, e non piuttosto Dio secondo verità, come Figlio unico per natura, inquantoché il verbo si fece carne (Gv 1, 14) e partecipò a nostra somiglianza della carne e del sangue (Cfr. Eb 2, 14), sia anatema.


6. Se qualcuno dirà che il Verbo, nato da Dio Padre è Dio e Signore del Cristo, e non confessa, piuttosto, che esso è Dio e uomo insieme, inquantoché il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14) secondo le Scritture, sia anatema.


7. Se qualcuno afferma che Gesù, come uomo, è stato mosso nel Suo agire dal Verbo di Dio, e che gli è stata attribuita la dignità di unigenito, come ad uno diverso da lui, sia anatema.


8. Se qualcuno osa dire che l'uomo assunto dev'essere con-adorato col Verbo di Dio, con-glorificato e con-chiamato Dio come si fa di uno con un altro (infatti la particella con che accompagna sempre queste espressioni, fa pensare ciò), e non onora, piuttosto, con un'unica adorazione l'Emmanuele, e non gli attribuisce una unica lode, in quanto il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14), sia anatema.


9. Se qualcuno dice che l'unico Signore Gesù Cristo è stato glorificato dallo Spirito, nel senso che egli si sarebbe servito della sua potenza come di una forza estranea, e che avrebbe ricevuto da lui di potere agire contro gli spiriti immondi, e di potere compiere le sue divine meraviglie in mezzo agli uomini, sia anatema.


10. La divina Scrittura dice che il Cristo è divenuto pontefice e apostolo della nostra confessione (Eb 3, 1), e che si è offerto per noi in odore di soavità a Dio Padre (Cfr. Ef 5, 2). Perciò se qualcuno dice che è divenuto pontefice e apostolo nostro non lo stesso Verbo di Dio, quando si fece carne e uomo come noi, ma, quasi altro da lui, l'uomo nato dalla donna preso a sé; o anche se qualcuno dice che ha offerto il sacrificio anche per sé, e non, invece, solamente per noi (e, infatti, non poteva aver bisogno di sacrificio chi noia conobbe peccato), sia anatema.
 

11. Se qualcuno non confessa che la carne del Signore è vivificante e (che essa è la carne) propria dello stesso Verbo del Padre, (e sostiene, invece, che sia) di un altro, diverso da lui, e unito a lui solo per la sua dignità; o anche di uno che abbia ricevuto solo la divina abitazione; se, dunque, non confessa che sia vivificante, come abbiamo detto inquantoché divenne propria del Verbo, che può vivificare ogni cosa, sia anatema.


12. Se qualcuno non confessa che il Verbo di Dio ha sofferto nella carne, è stato crocifisso nella carne, ha assaporato la morte nella carne, ed è divenuto il primogenito dei morti (Cfr. Col 1, 18), inquantoché, essendo Dio, è vita e dà la vita, sia anatema.


SENTENZA PRONUNCIATA CONTRO NESTORIO A SUA CONDANNA


Il santo sinodo disse: oltre al resto, poiché l'illustrissimo Nestorio non ha voluto né ascoltare il nostro invito né accogliere i santissimi e piissimi vescovi da noi mandati abbiamo dovuto necessariamente procedere all'esame delle sue empie espressioni. Avendo costatato dall'esame delle sue lettere, dagli scritti che sono stati letti, dalle sue recenti affermazioni fatte in questa metropoli e confermate da testimoni, che egli pensa e predica empiamente, spinti dai canoni dalla lettera del nostro santissimo padre e collega nel ministero Celestino, vescovo della chiesa di Roma, siamo dovuti giungere, spesso con le lacrime agli occhi, a questa dolorosa condanna contro di lui.


Gesù Cristo stesso, nostro signore, da lui bestemmiato ha definito per bocca di questo santissimo concilio che lo stesso Nestorio è escluso dalla dignità vescovile e da qualsiasi collegio sacerdotale.


LETTERA SINODALE GENERALE


[...]


[I. Di quei metropoliti che parteggiano per Nestorio e Celestio]


Poiché è necessario che anche quelli che non hanno partecipato a questo santo sinodo e sono rimasti nella propria provincia, non debbano ignorare quanto è stato decretato, informiamo la santità tua che:


Se il metropolita di una provincia, staccandosi da questo santo e universale Concilio, avesse aderito a quel consesso di apostasia, o dopo ciò, aderisse ancora ad esso, o abbia condiviso le idee di Celestio, o le condividerà in futuro, questi non potrà prendere alcuna decisione contro i vescovi della sua provincia, né aver parte, in seguito, ad alcuna comunione ecclesiastica: già fin d'ora, infatti, è scacciato da questo sacro sinodo e privo di ogni autorità; al contrario, sarà soggetto ai vescovi della provincia e ai metropoliti delle province confinanti di retta ortodossia, e sarà privato del grado di vescovo.


[II. Dei vescovi che aderiscono a Nestorio].


Se qualcuno dei vescovi provinciali, allontanandosi da questo santo sinodo, ha abbracciato l'apostasia o tenta di abbracciarla; e, dopo aver sottoscritto la condanna di Nestorio, è poi ritornato al concilio della apostasia, questi, secondo quanto ha stabilito il santo Concilio, è da considerarsi del tutto estraneo al sacerdozio, e decaduto dal suo grado.


[III. Dei chierici che per la loro retta fede sono stati deposti da Nestorio]


Se vi fossero dei chierici in qualsiasi città, che siano stati sospesi dal loro ufficio da Nestorio o dai suoi partigiani per il loro retto sentire, è bene che anche questi riprendano il loro posto. In genere, poi, comandiamo che quei chierici che aderiscono a questo ecumenico e ortodosso Concilio, o che aderiranno ad esso, sia ora che in seguito, in qualsiasi tempo, non debbano essere assolutamente e in nessun modo e tempo soggetti ai vescovi che hanno abbandonato, o sono diventati avversi, o hanno trasgredito i sacri canoni e la retta fede.


[IV. Dei chierici che seguono le opinioni di Nestorio].


I chierici che allontanatisi (da questo santo sinodo) sia in pubblico che in privato; mostrino di avere le idee di Nestorio, anche questi sono deposti dal sacro sinodo.


[V. Dei chierici puniti e accolti da Nestorio].


Quanti, per azioni indegne siano stati condannati da questo santo Concilio, o dai propri vescovi, e contro ogni norma ecclesiastica siano restituiti nella comunione o nel grado da Nestorio o dai suoi seguaci, abbiamo stabilito non ne abbiano tuttavia alcun giovamento e rimangano deposti


[VI. Di chi volesse sconvolgere i decreti del Sinodo].


Ugualmente, se vi fosse chi volesse metter sotto sopra in qualsiasi modo, le singole decisioni del santo sinodo questo stabilisce che, se si tratta di vescovi o di chierici siano senz'altro privati del loro grado, se di laici, che siano privati della comunione.


DEFINIZIONE SULLA FEDE DI NICEA


Il concilio di Nicea espose questa fede: Crediamo...


[segue il simbolo niceno].


E’ bene, quindi, che tutti convengano in questa fede: è, infatti, piamente e sufficientemente utile a tutta la terra.


Ma poiché alcuni, pur simulando di confessarla e di convenirne, ne interpretano male il vero senso secondo il loro modo di vedere ed alterano la verità, figli dell'errore e della perdizione, è stato assolutamente necessario aggiungere le testimonianze dei santi ed ortodossi padri, adatte a dimostrare in qual modo essi compresero e predicarono con coraggio questa fede, perché sia anche chiaro che tutti quelli che hanno una fede retta ed irreprensibile la comprendono, l'interpretano e la predicano in questo modo.


[Segue un florilegio di passi degli scritti dei padri].


Letti questi documenti il santo sinodo stabilisce che non è lecito ad alcuno proporre, redigere o comporre una nuova fede diversa da quella che è stata definita dai santi padri raccolti a Nicea con lo Spirito Santo. Quelli che osassero comporre una diversa fede o presentarla o proporla a chi vuole convertirsi alla conoscenza della verità o dall'Ellenismo o dal Giudaismo, o da qualsiasi eresia, se sono vescovi o chierici siano considerati decaduti, i vescovi dall'episcopato, i chierici dalla loro dignità ecclesiastica; se poi costoro fossero laici, siano anatema. Similmente se fossero scoperti dei vescovi, dei chierici o dei laici, che ritengano o insegnino le dottrine contenute nella esposizione già presentata del presbitero Carisio circa l'incarnazione dell'unigenito Figlio di Dio, o anche le empie e perverse dottrine di Nestorio, che ci sono state sottoposte, siano colpiti dai decreti di questo santo Concilio ecumenico, essendo chiaro che chi è vescovo sarà eliminato dall'episcopato e deposto, chi è chierico sarà ugualmente decaduto da chierico; se poi si tratta di un laico, sia condannato, conforme a quanto è stato detto.


DEFINIZIONE CONTRO GLI EMPI MESSALIANI 0 EUCHITI


Radunatisi presso di noi i piissimi e religiosissimi vescovi Valeriano e Anfilochio, fu proposto alla comune discussione il caso di quelli che in Panfilia sono chiamati Messaliani, ossia Euchiti o entusiasti, o in qualsiasi modo debba chiamarsi questa setta, la più empia di quante se ne possano ricordare. Mentre, dunque, si discuteva, il piissirno e religiosissimo vescovo Valeriano ci mostra un voto sinodale, scritto sul conto di questi stessi nella grande Costantinopoli, sotto Sisinnio, di beata memoria. Letta dinanzi a tutti, sembrò fatta bene e secondo la retta dottrina. E piacque a tutti noi, compresi i santi vescovi Valeriano e Anfilochio e tutti i piissimi vescovi delle diocesi della Panfilia e della Licaonia, che tutto ciò che era esposto nello scritto sinodale dovesse aver forza di legge e che in nessun modo dovesse esser trasgredito, e che fosse valido anche quanto era stato fatto in Alessandria e, cioè, che tutti quelli che per tutta la diocesi appartenessero alla setta dei Messaliani o degli entusiasti, o fossero sospetti di essere infetti di questa malattia, sia chierici che laici vengano istruiti con prudenza. Se abiureranno per iscritto i loro errori, secondo quanto viene esposto nello scritto sinodale già ricordato, i chierici rimangano chierici, i laici siano ammessi nella comunione della chiesa. Se rifiutassero ciò e non volessero abiurare, allora i sacerdoti, i diaconi, e quelli che hanno un qualsiasi grado nella chiesa, siano considerati decaduti dal clero, dal grado e dalla comunione ecclesiastica; i laici siano anatematizzati. Non sia permesso a coloro che sono stati convinti di errore, di continuare ad avere i monasteri, perché la zizzania non si estenda e non si rafforzi. Perché queste disposizioni vengano eseguite con energia usino la loro diligenza sia gli stessi santi vescovi Valeriano e Anfilochio, che i reverendissimi vescovi di tutta la provincia. E’ sembrato bene, inoltre, anatematizzare il libro di quella infame eresia, che essi chiamano Ascetico, portato dal pio e santo vescovo Valeriano, perché composto dagli eretici; e se presso qualcuno si trovasse qualche altra raccolta delle loro empie dottrine, anche questa venga anatematizzata.


CHE I VESCOVI DI CIPRO PROVVEDANO ALLE LORO CONSACRAZIONI


Il santo vescovo Regino e i reverendissimi vescovi della provincia di Cipro che sono con lui, Zenone ed Evagrio, hanno fatto presente un fatto nuovo contrario alle costituzioni ecclesiastiche e ai canoni dei santi padri che coinvolge la libertà di tutti. A mali comuni si richiedono più efficaci rimedi, onde evitare maggiori danni. Se non è uso antico che il vescovo di Antiochia faccia in Cipro le consacrazioni come hanno dimostrato con i loro opuscoli e con la propria voce i religiosissimi uomini che si sono presentati a questo santo sinodo, coloro che sono preposti alle sante chiese di Cipro avranno tranquillità e sicurezza, secondo i canoni dei santi e venerandi padri, facendo le consacrazioni dei reverendissimi vescovi da se stessi, secondo l'antica consuetudine. Queste stesse norme verranno osservate anche per le altre diocesi e ovunque, per ogni provincia; cosicché nessuno dei venerabili vescovi possa appropriarsi di una provincia che un tempo non fosse sotto la sua autorità o di coloro che governarono prima di lui. In caso, poi, che uno se ne sia impadronito e l'abbia ridotta sotto la sua giurisdizione con la violenza, deve senz'altro restituirla, perché non siano trasgrediti i canoni dei padri e, sotto l'apparenza del servizio di Dio non si introduca a poco a poco e di nascosto la vanità della umana potenza, né avvenga che senza accorgerci, a poco a poco perdiamo la libertà, che ci ha donato col suo sangue il Signore nostro Gesù Cristo, il liberatore di tutti gli uomini. E’ sembrato bene dunque a questo sinodo santo e universale, di conservare a ciascuna provincia puri e intatti i propri diritti, che ciascuna ha avuti fin dal principio, secondo la consuetudine antica, e che il metropolita abbia facoltà di addurre la documentazione necessaria per la sicurezza della sua provincia. Che se qualcuno adducesse documenti in contrasto con quanto è stato ora stabilito, questo santo e universale sinodo dichiara nullo tutto ciò!


FORMULA DI UNIONE


Per quanto poi riguarda la Vergine madre di Dio, come noi la concepiamo e ne parliamo e il modo dell'incarnazione dell'unigenito Figlio di Dio, ne faremo necessariamente una breve esposizione, non con l'intenzione di fare un'aggiunta, ma per assicurarvi, così come fin dall'inizio l'abbiamo appresa dalle sacre scritture e dai santi padri, non aggiungendo assolutamente nulla alla fede esposta da essi a Nicea.


Come infatti abbiamo premesso, essa è sufficiente alla piena conoscenza della fede e a respingere ogni eresia. E parleremo non con la presunzione di comprendere ciò che è inaccessibile, ma riconoscendo la nostra insufficienza, ed opponendoci a coloro che ci assalgono quando consideriamo le verità che sono al di sopra dell'uomo.


Noi quindi confessiamo che il nostro signore Gesù figlio unigenito di Dio, è perfetto Dio e perfetto uomo, (composto) di anima razionale e di corpo; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, nato, per noi e per la nostra salvezza, alla fine dei tempi dalla vergine Maria secondo l'umanità; che è consostanziale al Padre secondo la divinità, e consostanziale a noi secondo l'umanità, essendo avvenuta l'unione delle due nature. Perciò noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore.


Conforme a questo concetto di unione in confusa, noi confessiamo che la vergine santa è madre di Dio, essendosi il Verbo di Dio incarnato e fatto uomo, ed avendo unito a sé fin dallo stesso concepimento, il tempio assunto da essa.


Quanto alle affermazioni evangeliche ed apostoliche che riguardano il Signore, sappiamo che i teologi alcune le hanno considerate comuni, e cioè relative alla stessa, unica persona, altre le hanno distinte come appartenenti alle due nature; e cioè: quelle degne di Dio le hanno riferite alla divinità del Cristo, quelle più umili, alla sua umanità.
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07/05/2009 21:01

DISCORSO RADIOFONICO DI GIOVANNI PAOLO II

PER IL 1600° ANNIVERSARIO DEL I CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
 
E DEL 1550° ANNIVERSARIO DEL CONCILIO DI EFESO


Domenica 7 giugno 1981


I. Atto di venerazione


1. “Credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem”.


Queste parole, con le quali la Chiesa professa la sua fede, ci hanno fatto riunire, nel mattino dell’odierna Pentecoste, nella Basilica di san Pietro. Infatti quest’anno si compiono milleseicento anni dal primo Concilio Costantinopolitano, che proprio con queste parole ha espresso la fede nella divinità dello Spirito Santo: “Qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur”.


Le stesse parole ci fanno venire, in queste ore serali della Pentecoste, alla Basilica di santa Maria Maggiore. Se infatti, venerabili fratelli nell’Episcopato, dobbiamo rendere un pieno omaggio di adorazione allo Spirito Santo che “dà la vita” (credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem!) allora dobbiamo venerarlo soprattutto in Gesù Cristo: in quel Gesù che fu concepito dallo Spirito Santo, e nacque da Maria Vergine. Egli infatti, Egli solo, Egli unico, è il frutto più splendido dell’opera dello Spirito Santo in tutta la storia della creazione e della redenzione. Egli è la pienezza più perfetta di questa vita che lo Spirito Santo dà: Dio da Dio, Luce da Luce, generato – come Figlio dalla stessa sostanza del Padre – e non creato, che per noi uomini e per la nostra salvezza si è incarnato nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo.


2. Per venerare quindi lo Spirito Santo nella ricorrenza di quest’anno giubilare, che richiede da noi tutti una particolare devozione verso di Lui, veniamo ora nella sera di Pentecoste, a questa Basilica Mariana di Roma, nel tempio che da tanti secoli esalta proprio qui quel culmine e quella pienezza dell’opera dello Spirito Santo nell’uomo.


Ci induce a questo nuovo incontro anche la circostanza che nell’Anno del Signore 1981, in cui si compiono i sedici secoli dal primo Concilio Costantinopolitano, ricorrono anche 1550 anni dal successivo Concilio in Efeso, che nella viva tradizione della Chiesa si è iscritto come il Concilio cristologico e mariologico insieme. L’opera più splendida realizzata dallo Spirito Santo mediante l’incarnazione, cioè il divenire uomo del Verbo Eterno, del Dio Figlio, si è compiuta col consapevole assenso e con l’umile “fiat” di Colei che, diventando la Madre di Dio, ha detto di se stessa: “Eccomi, sono la serva del Signore” (Lc 1,38).


Così dunque l’opera dello Spirito Santo, l’opera più perfetta nella storia della creazione e della salvezza, è contemporaneamente costituita dal fatto che il Figlio di Dio, della stessa sostanza dell’Eterno Padre, si è fatto uomo – e che Maria di Nazaret, la serva del Signore della stirpe di Davide, è diventata la vera Madre di Dio: Theotokos. Questa verità i Padri del Concilio di Efeso hanno professato, e tutto il popolo cristiano ha accolto tale proclamazione con grandissima gioia.

3. Veniamo quindi, venerabili fratelli, e insieme voi tutti, amati figli e figlie, a questa Basilica Mariana di Roma per annunziare – approfittando dei due importanti anniversari che convergono – i “magnalia Dei”: le grandi opere di Dio, che illuminano la via della Chiesa attraverso i secoli ed i millenni. In questo tempo, in cui ci avviciniamo al termine del secondo millennio dalla venuta di Gesù Cristo, desideriamo con rinnovato slanciò di fede rivedere queste vie che lo hanno introdotto nel mondo e l’hanno congiunto con la storia della grande famiglia umana per tutti i tempi. Queste vie sono passate attraverso l’inscrutabile azione dello Spirito Santo – Colui che è Signore e dà la vita – e nello stesso tempo attraverso il cuore umile della serva del Signore, Maria di Nazaret.


“Benedictus Dominus Deus Israel, quia visitavit et fecit redemptionem plebis suae”! (Lc 1,68).
“Magnificat anima mea Dominum... quia fecit mihi magna qui potens est”! (Lc 1,46-49).



II. Atto di ringraziamento


4. Quando, questa mattina ci siamo riuniti nella Basilica di san Pietro in Vaticano, quello splendido tempio ci è sembrato che fosse il povero Cenacolo gerosolimitano, nel quale Cristo si presentò dopo la sua Risurrezione, e, dopo aver salutato gli Apostoli con l’augurio di pace, alitò su di essi dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,22). Mediante queste parole essi ricevettero il Dono, che Egli aveva ottenuto loro mediante la sua passione, e contemporaneamente furono affidati allo Spirito Santo sulla strada della missione, che Cristo aveva aperto dinanzi a loro: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (cf. Gv 20,21). Tutta la Chiesa fu allora affidata allo Spirito Santo per tutti i tempi.


Nelle parole pronunciate la sera del giorno della Risurrezione ebbe già inizio la Pentecoste delle festività gerosolimitane. Noi che siamo riuniti nella festa di Pentecoste dell’Anno del Signore 1981, desideriamo ricevere di nuovo lo stesso Dono, perseverando come successori degli Apostoli del Cenacolo nella fervida dedizione allo Spirito Santo, al quale Cristo già allora ha affidato la Chiesa in modo irreversibile, fino alla fine del mondo.


5. E qui, in questa Basilica Mariana di Roma, sentiamo in modo ancor nuovo la somiglianza con gli Apostoli che, riuniti nel Cenacolo, perseveravano in preghiera con Maria, Madre di Cristo. Siamo venuti qui perché, ricordando in modo particolare la presenza di Maria alla nascita della Chiesa, fissiamo lo sguardo nella sua mirabile Maternità, che è per noi speranza e ispirazione sulle vie della missione ereditata dagli Apostoli – ereditata dopo il giorno della Pentecoste gerosolimitana.


6. Oh quanto è bello essere qui!


Quanto è bello che il Concilio Vaticano II, annunciando nel nostro secolo i “magnalia Dei”, ci abbia manifestato il posto particolare di Maria nel mistero di Cristo e insieme della Chiesa; e ci abbia indicato questo posto, seguendo fedelmente l’insegnamento degli antichi Concili e la luce ereditata dai grandi Padri della Chiesa e Maestri della fede.


“La Madre di Dio è figura della Chiesa, come già insegnava sant’Ambrogio, nell’ordine cioè della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo... Orbene, la Chiesa, la quale contempla l’arcana santità di Lei e ne imita la carità... diventa essa pure madre: poiché con la predicazione e il Battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio... Onde anche nella sua opera apostolica la Chiesa giustamente guarda a Colei, che generò Cristo concepito appunto dallo Spirito Santo e nato dalla Vergine per nascere e crescere anche nel cuore dei fedeli per mezzo della Chiesa” (Lumen Gentium, 63-65).


7. Ringraziamo lo Spirito Santo per il giorno della Pentecoste! Ringraziamolo per la nascita della Chiesa! Ringraziamolo perché a questa nascita fu presente la Madre di Cristo, che perseverava nella preghiera con la Comunità primitiva!


Ringraziamo per la Maternità di Maria che si è comunicata e continua a comunicarsi alla Chiesa! Ringraziamo per la Madre sempre presente nel cenacolo della Pentecoste! Ringraziamo perché possiamo chiamarla anche Madre della Chiesa!



III. Atto di affidamento


8. O Tu, che più di ogni altro essere umano sei stata affidata allo Spirito Santo, aiuta la Chiesa del tuo Figlio a perseverare nello stesso affidamento, perché possa riversare su tutti gli uomini gli ineffabili beni della Redenzione e della Santificazione, per la liberazione dell’intera creazione (cf. Rm 8,21).


O Tu, che sei stata con la Chiesa agli inizi della sua missione, intercedi per essa affinché, andando in tutto il mondo, ammaestri continuamente tutte le nazioni ed annunzi il Vangelo ad ogni creatura. La parola della Verità Divina e lo Spirito dell’Amore trovino accesso nei cuori degli uomini, i quali senza questa Verità e senza questo Amore non possono davvero vivere la pienezza della vita.


O Tu, che nel modo più pieno hai conosciuto la forza dello Spirito Santo, quanto ti è stato concesso di concepire nel Tuo seno verginale e di dare alla luce il Verbo Eterno, ottieni alla Chiesa che possa continuamente far rinascere dall’acqua e dallo Spirito Santo i figli e le figlie di tutta la famiglia umana, senza alcuna distinzione di lingua, di razza, di cultura, dando loro in tal modo il “potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).


O Tu, che sei così profondamente e maternamente legata alla Chiesa, precedendo sulle vie della fede, della speranza e della carità tutto il Popolo di Dio, abbraccia tutti gli uomini che sono in cammino, pellegrini attraverso la vita temporale verso gli eterni destini, con quell’amore che lo stesso Redentore divino, tuo Figlio, ha riversato nel tuo cuore dall’alto della croce. Sii la Madre di tutte le nostre vie terrene, perfino quando esse diventino tortuose, affinché tutti ci ritroviamo alla fine, in quella grande Comunità che il tuo Figlio ha chiamato ovile, offrendo per essa la sua vita come Buon Pastore.


O Tu, che sei la prima Serva dell’unità del Corpo di Cristo, aiutaci, aiuta tutti i fedeli che risentono così dolorosamente il dramma delle divisioni storiche del Cristianesimo, a ricercare con costanza la via dell’unità perfetta del Corpo di Cristo mediante la fedeltà incondizionata allo Spirito di Verità e di Amore, che è stato a loro dato a prezzo della Croce e della Morte del tuo Figlio.


O Tu, che sempre hai desiderato di servire! Tu che servi come Madre tutta la famiglia dei figli di Dio, ottieni alla Chiesa che, arricchita dallo Spirito Santo con la pienezza dei doni gerarchici e carismatici, prosegua con costanza verso il futuro per la via di quel rinnovamento che proviene da ciò che dice lo Spirito Santo e che ha trovato espressione nell’insegnamento del Vaticano II, assumendo in tale opera di rinnovamento tutto ciò che è vero e buono, senza lasciarsi ingannare né in una direzione né nell’altra, ma discernendo assiduamente tra i segni dei tempi ciò che serve all’avvento del Regno di Dio.


O Madre degli uomini e dei popoli, tu conosci tutte le loro sofferenze e le loro speranze, tu senti maternamente tutte le lotte tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre che scuotono il mondo – accogli il nostro grido rivolto nello Spirito Santo direttamente al tuo cuore ed abbraccia con l’amore della Madre e della Serva del Signore coloro che questo abbracciò più aspettano, e insieme coloro il cui affidamento tu pure attendi in modo particolare. Prendi sotto la tua protezione materna l’intera famiglia umana che, con affettuoso trasporto a te, o Madre, noi affidiamo.


S’avvicini per tutti il tempo della pace e della libertà, il tempo della verità, della giustizia e della speranza.


O tu, che mediante il mistero della tua particolare santità, libera da ogni macchia sin dal momento del tuo Concepimento, risenti in modo particolarmente profondo che “tutta la creazione geme e soffre... nelle doglie del parto” (Rm 8,22) mentre, “Sottomessa alla caducità”, “nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione” (Rm 6,20-21), contribuisci, senza sosta, alla “rivelazione dei figli di Dio”, che “la creazione stessa attende con impazienza” (Rm 8,19), per entrare nella libertà della loro gloria (cf. Rm 8,21).


O Madre di Gesù, glorificata ormai in cielo nel corpo e nell’anima quale immagine e inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura – qui sulla terra, fino a quando non verrà il giorno del Signore (cf. 2Pt 3,10) non cessare di brillare innanzi al Popolo pellegrinante di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione (cf. Lumen Gentium, 68).


Spirito Santo Dio! che con il Padre e il Figlio sei adorato e glorificato! Accetta queste parole di umile affidamento indirizzate a te nel cuore di Maria di Nazaret, tua Sposa e Madre del Redentore, che anche la Chiesa chiama sua Madre, perché sin dal cenacolo della Pentecoste da Lei apprende la propria vocazione materna! Accetta queste parole della Chiesa pellegrinante, pronunciate tra le fatiche e le gioie, tra le paure e le speranze, parole di affidamento umile e fiducioso, parole con cui la Chiesa affidata a te, Spirito del Padre e del Figlio, nel Cenacolo della Pentecoste per sempre, non cessa di ripetere insieme con te al suo Sposo divino: Vieni!

“Lo Spirito e la sposa dicono al Signore Gesù “Vieni”” (cf. Ap 22,17). “Così la Chiesa universale si presenta come un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Lumen Gentium, 4).

Così noi oggi ripetiamo: “Vieni”, confidando nella tua materna intercessione, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.
 
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07/05/2009 21:02

LETTERA APOSTOLICA
A CONCILIO CONSTANTINOPOLITANO I
DEL SANTO PADRE
PAPA GIOVANNI PAOLO II
PER IL 1600° ANNIVERSARIO
DEL I CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
E PER IL 1550° ANNIVERSARIO
DEL CONCILIO DI EFESO



Carissimi Fratelli nell'Episcopato,

I.

1. Mi spinge a scrivervi questa lettera, che è insieme una riflessione teologica e un invito pastorale, nato dal profondo del cuore, anzitutto la ricorrenza del XVI centenario del primo Concilio di Costantinopoli, celebrato appunto nel 381. Esso, come ho sottolineato fin dall'alba del nuovo anno nella Basilica di San Pietro, «dopo il Concilio di Nicea fu il secondo Concilio Ecumenico della Chiesa... al quale dobbiamo il "Credo" che è recitato costantemente nella liturgia. Un'eredità particolare di quel Concilio è la dottrina sullo Spirito Santo così proclamata nella liturgia latina: «"Credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem... qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur, qui locutus est per prophetas"» («L'Osservatore Romano», 2-3 gennaio 1981).

Queste parole ripetute nel «Credo» da tante generazioni cristiane avranno perciò quest'anno per noi un particolare significato dottrinale e affettivo, e ci ricorderanno i vincoli profondi che legano la Chiesa del nostro tempo - nella prospettiva ormai dell'avvento del terzo millennio della sua vita prodigiosamente ricca e provata, continuamente partecipe della Croce e della Risurrezione del Cristo, nella virtù dello Spirito Santo - a quella del quarto secolo, nell'unica continuità delle sue prime origini, e nella fedeltà all'insegnamento del Vangelo e alla predicazione apostolica.

Basta quanto enunciato per comprendere come l'insegnamento del Concilio Costantinopolitano I sia tuttora l'espressione dell'unica fede comune della Chiesa e di tutto il cristianesimo. Confessando questa fede - come facciamo ogni volta che recitiamo il «Credo» - e ravvivandola nella prossima commemorazione centenaria, noi vogliamo mettere in rilievo ciò che ci unisce con tutti i nostri fratelli, nonostante le divisioni avvenute nei secoli. Facendo questo a 1600 anni dal Concilio Costantinopolitano I, noi ringraziamo Dio per la Verità del Signore, che, grazie all'insegnamento di quel Concilio, illumina le vie della nostra fede, e le vie della vita in virtù della fede. In questa ricorrenza si tratta non soltanto di ricordare una formula di fede, che è in vigore da sedici secoli nella Chiesa, ma al tempo stesso di rendere sempre più presente al nostro spirito, nella riflessione, nella preghiera, nel contributo della spiritualità e della teologia, quella forza personale divina che da la vita, quel Dono ipostatico - «Dominum et Vivifcantem» - quella Terza Persona della Santissima Trinità che in questa fede viene partecipata dalle singole anime e dalla Chiesa tutta. Lo Spirito Santo continua a vivificare la Chiesa, e a spingerla sulle vie della santità e dell'amore. Come bene sottolinea Sant'Ambrogio, nell'opera «De Spiritu Sancto», «sebbene Egli sia inaccessibile per natura, tuttavia può essere ricevuto da noi grazie alla sua bontà; riempie tutto con la sua virtù, ma di lui partecipano soltanto i giusti; è semplice nella sua sostanza, ricco di virtù, presente in tutti, divide ciò che è suo per donarlo a ognuno ed è tutto intero in ogni luogo» (Sant'Ambrogio «De Spiritu Sancto», I, V, 72; ed. O. Faller, CSEL 79, Vindobonae 1964, p. 45).

2. Il ricordo del Concilio di Costantinopoli, che fu il secondo Concilio Ecumenico della Chiesa, rende consapevoli noi, uomini del cristianesimo del secondo millennio che sta per finire, di quanto fosse vivo, nei primi secoli del primo millennio, in mezzo alla crescente comunità dei credenti, il bisogno di intendere e di proclamare giustamente, nella confessione della Chiesa, l'inscrutabile mistero di Dio nella sua trascendenza assoluta: del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questo, ed altri contenuti chiave della verità e della vita cristiana, hanno prima di tutto attirato su di sé l'attenzione dei fedeli; pure intorno a tali contenuti sono nate numerose interpretazioni, anche divergenti, le quali esigevano la voce della Chiesa, la sua solenne testimonianza in virtù della promessa fatta da Cristo nel cenacolo: «Il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, ...vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26); Egli, lo Spirito di verità, «vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13).

Così, nel corrente anno 1981, dobbiamo in modo speciale ringraziare lo Spirito Santo perché in mezzo alle molteplici oscillazioni del pensiero umano, ha permesso alla Chiesa di esprimere la propria fede, pur nelle peculiarità espressive dell'epoca, in piena coerenza con la «verità tutta intera».

«Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti», così suonano le parole del simbolo di fede del primo Concilio di Costantinopoli nel 381 (Così citato per la prima volta negli Atti del Concilio Calcedonense, act. II: ed. E. Schwarts, «Acta Conciliorum Oecumenicorum, II Concilium universale Chalcedonense», Berolini et Lipsiae 1927-32, 1, 2, p. 80; cfr. anche «Conciliorum Oecumenicorum Decreta», Bologna 1973, p. 24), che ha illustrato il mistero dello Spirito Santo, della sua origine dal Padre, affermando così l'unità e l'uguaglianza nella divinità di questo Spirito Santo con il Padre e con il Figlio.

II.

3. Ricordando il XVI centenario del Concilio Costantinopolitano I non posso peraltro passare sotto silenzio un'altra significativa circostanza, che riguarda il 1981: quest'anno, infatti, ricorre anche il 1550° anniversario del Concilio di Efeso, celebrato nel 431. E' un ricordo che si pone come all'ombra del precedente Concilio, ma che riveste anch'esso una importanza particolare per la nostra fede, ed è sommamente degno di essere ricordato.

Nello stesso simbolo noi recitiamo infatti, nel cuore della comunità liturgica che si prepara a rivivere i Divini Misteri: «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est: e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo». Il Concilio Efesino ebbe pertanto un valore soprattutto cristologico, definendo le due nature in Gesù Cristo, quella divina e quella umana, per precisare la dottrina autentica della Chiesa già espressa dal Concilio di Nicea nel 325, ma che era stata messa in pericolo dalla diffusione di differenti interpretazioni della verità già chiarita in quel Concilio, e specialmente di alcune formule usate nell'insegnamento nestoriano. In stretta connessione con queste affermazioni, il Concilio di Efeso ebbe inoltre un significato soteriologico, ponendo in luce che - secondo il noto assioma - «ciò che non è assunto non è salvato». Ma altrettanto strettamente congiunto col valore di quelle definizioni dogmatiche, era altresì la verità concernente la Vergine Santa, chiamata all'unica e irripetibile dignità di Madre di Dio, di «Theotokos», come è messo in solare evidenza principalmente dalle lettere di san Cirillo a Nestorio («Acta Conciliorum Oecumenicorum, I, Concilium universale Ephesinum»: ed E. Schwartz, I, 1, pp 25-28; cfr. anche «Conciliorum Oecumenicorum Decreta», Bologna 1973, pp. 40-44; 50-61) e dalla splendida «Formula unionis» del 433 («Acta Conciliorum Oecumenicorum», I, I, 4, pp 8s (A); cfr. anche «Conciliorum Oecumenicorum Decreta», Bologna 1973, pp. 69s ). E' stato tutto un inno innalzato da quegli antichi padri alla incarnazione del Figlio Unigenito di Dio, nella piena verità delle due nature nell'Unica persona: è stato un inno all'opera della salvezza, realizzata nel mondo per opera dello Spirito Santo: e tutto ciò non poteva non ridondare ad onore della Madre di Dio, prima cooperatrice della potenza dell'Altissimo, che l'ha adombrata nel momento dell'Annunciazione nel luminoso sopravvenire dello Spirito (cfr. Lc 1,35). E così compresero le nostre sorelle e i nostri fratelli di Efeso, che la sera del 22 giugno, giorno inaugurale del Concilio, celebrato nella Cattedrale della «Madre di Dio», acclamarono con quel titolo la Vergine Maria e portarono in trionfo i Padri al termine di quella prima sessione.

Mi sembra pertanto molto opportuno che anche quell'antico Concilio, il terzo della storia della Chiesa, sia da noi ricordato nel suo ricco contesto teologico ed ecclesiale. La Vergine santissima è Colei che, all'ombra della potenza della Trinità, è stata la creatura più strettamente associata all'opera della salvezza. L'incarnazione del Verbo è avvenuta sotto il suo cuore, per opera dello Spirito Santo. In Lei si è accesa l'aurora della nuova umanità che con Cristo si presentava nel mondo per portare a compimento il piano originario dell'alleanza con Dio, infranta dalla disobbedienza del primo uomo. «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine».

4. I due anniversari, sia pure a diverso titolo e con diversa rilevanza storica, ridondano ad onore dello Spirito Santo. Tutto ciò si è compiuto per opera dello Spirito Santo. Si vede quanto profondamente queste due grandi commemorazioni, a cui è doveroso fare riferimento nell'anno del Signore 1981, siano unite tra loro nell'insegnamento e nella professione della fede della Chiesa, della fede di tutti i cristiani. Fede nella Santissima Trinità: fede nel Padre, da cui provengono tutti i doni (cfr. Gc 1,17). Fede nel Cristo Redentore dell'uomo. Fede nello Spirito Santo. E, in questa luce, venerazione alla Madonna, che «acconsentendo alla parola divina diventò Madre di Gesù, e, abbracciando con tutto l'animo e senza impedimento alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo» e perciò «non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma... cooperò alla salvezza dell'uomo con libera fede e obbedienza» («Lumen Gentium», 56). Ed è tanto bello che, come Maria aspettò con questa fede la venuta del Signore, così, anche in questa fine de secondo millennio, essa sia presente a illuminare la nostra fede, in tale prospettiva di «avvento».

Tutto ciò è per noi fonte di immensa gioia, fonte di gratitudine per la luce di questa fede, mediante la quale partecipiamo agli inscrutabili misteri divini, facendone il contenuto vitale delle nostre anime, dilatando in esse gli orizzonti della nostra dignità spirituale e dei nostri destini umani. E perciò, anche questi grandi anniversari non possono rimanere per noi solamente un ricordo del lontano passato. Devono rivivere nella fede della Chiesa, devono risuonare con un'eco nuova nella sua spiritualità, devono anzi trovare la manifestazione esterna della loro sempre viva attualità per l'intera comunità dei credenti.

5. Scrivo queste cose prima di tutto a voi, miei amati e venerati fratelli nel servizio episcopale. Mi rivolgo, al tempo stesso, ai fratelli sacerdoti, i più stretti collaboratori nella vostra sollecitudine pastorale «in virtute Spiritus Sancti». Mi rivolgo ai fratelli e sorelle di tutte le famiglie religiose maschili e femminili, in mezzo alle quali dovrebbe essere particolarmente viva la testimonianza dello Spirito di Cristo ed altresì particolarmente cara la missione di Colei che ha voluto essere l'Ancella del Signore (cfr. Lc 1,38). Mi rivolgo infine a tutti i fratelli e sorelle del laicato della Chiesa, i quali, professandone la fede, insieme a tutti gli altri membri della comunità ecclesiale, tante volte e da tante generazioni rendono sempre vivo il ricordo dei grandi Concili. Sono convinto che essi accetteranno con gratitudine la rievocazione di queste date e di questi anniversari, specialmente quando insieme ci renderemo conto di quanto «attuali» siano, al tempo stesso, i misteri, ai quali i due Concili hanno dato una autorevole espressione già nella prima metà del primo millennio della storia della Chiesa.

Oso infine nutrire la speranza, che la commemorazione dei Concili di Costantinopoli e di Efeso, i quali sono stati l'espressione di fede insegnata e professata dalla Chiesa indivisa, ci faccia crescere nella reciproca comprensione con i nostri amati fratelli nell'Oriente e nell'Occidente, con i quali ancora non ci unisce la piena comunione ecclesiale, ma insieme ai quali cerchiamo nella preghiera, con umiltà e con fiducia, le vie all'unità nella verità. Che cosa, infatti, può meglio affrettare il cammino verso questa unità, quanto il ricordo e, insieme, la vivificazione di ciò che per tanti secoli è stato ill contenuto della fede professata in comune, anzi di ciò che non ha cessato di essere tale, anche dopo le dolorose divisioni che si sono verificate nel corso dei secoli?

III.

6. E' pertanto mia intenzione che questi avvenimenti siano vissuti nel loro profondo contesto ecclesiologico. Non dobbiamo infatti soltanto ricordare questi grandi anniversari come fatti del passato - ma rianimarli anche con la nostra contemporaneità, e collegarli in profondità con la vita e i compiti della Chiesa della nostra epoca, così come essi sono stati espressi nell'intero messaggio del Concilio della nostra epoca: Il Vaticano II. Quanto profondamente vivono in tale magistero le verità definite in quei Concili e quanto esse hanno pervaso il contenuto dell'insegnamento sulla Chiesa, che è centrale nel Vaticano II! Quanto sono sostanziali e costitutive per quest'insegnamento e, ugualmente, quanto intensamente queste fondamentali e centrali verità del nostro «Credo» vivono, per così dire una vita nuova e brillano con una luce nuova nell'insieme dell'insegnamento del Vaticano II!

Se il principale compito della nostra generazione, e può darsi anche delle generazioni future nella Chiesa, sarà di realizzare e di introdurre nella vita l'insegnamento e gli orientamenti di questo grande Concilio, quest'anno gli anniversari dei Concili Costantinopolitano I ed Efesino offrono l'opportunità di adempiere questo compito nel vivo contesto della verità che, attraverso i secoli, dura in eterno.

7. «Compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra (cfr. Gv 17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa, e perché i credenti avessero così per Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (cfr. Ef 2,18). Questi è lo Spirito che dà la vita, è una sorgente di acqua zampillante fino alla vita eterna (cfr. Gv 4,14; 7,38-39); per Lui il Padre ridà la vita agli uomini, morti per il peccato finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali (cfr. Rm 8,10-11). Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cfr. 1Cor 3,16; 6,19), e in essi prega e rende testimonianza della loro adozione filiale (cfr. Gal 4,6; Rm 8,15-16 e 26). Egli guida la Chiesa alla verità tutta intera (cfr. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel mistero, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cfr. Ef 4,11-12; 1Cor 12,4; Gal 5,22). Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo. Poiché lo Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù: "Vieni" (cfr. Ap 22,17). Così la Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"» («Lumen Gentium», 4): ecco il passo certamente più ricco, più sintetico, anche se non unico, il quale indica come, nella totalità dell'insegnamento del Vaticano II viva di una vita nuova e brilli con uno splendore nuovo la verità sullo Spirito Santo, alla quale 1600 anni fa ha dato così autorevole espressione il Concilio Costantinopolitano I.

Tutta l'opera di rinnovamento della Chiesa, che il Concilio Vaticano II ha così provvidenzialmente proposto e iniziato - rinnovamento che deve essere ad un tempo «aggiornamento» e consolidamento in ciò che è eterno e costitutivo per la missione della Chiesa - non può realizzarsi se non nello Spirito Santo, cioè con l'aiuto della sua luce e della sua potenza. Questo è importante, tanto importante, per tutta la Chiesa nella sua universalità, come pure per ogni Chiesa particolare nella comunione con tutte le altre Chiese particolari. Questo è importante anche per la via ecumenica all'interno del cristianesimo e per la sua via nel mondo contemporaneo, la quale deve svilupparsi nella direzione della giustizia e della pace. Questo è importante, anche per l'opera delle vocazioni sacerdotali o religiose e, al tempo stesso, per l'apostolato dei laici, come frutto di una nuova maturità della loro fede.

8. Le due formulazioni del simbolo Niceno-Costantinopolitano: «Et incarnatus est de Spiritu Sancto... Credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem» ci ricordano poi che la più grande opera compiuta dallo Spirito Santo, alla quale incessantemente tutte le altre si riferiscono, attingendo da essa come ad una sorgente, e proprio quella dell'incarnazione del Verbo Eterno, nel seno della Vergine Maria.

Cristo, Redentore dell'uomo e del mondo, è il centro della storia: «Gesù Cristo è lo stesso, ieri e oggi...» (Eb 13,8). Se i nostri pensieri e i nostri cuori permangono rivolti verso di Lui nella prospettiva del secondo millennio, che sta per chiudersi e che ci separa dalla sua prima venuta nel mondo, allora con ciò stesso essi si rivolgono verso lo Spirito Santo, per opera del quale è avvenuto il suo umano concepimento; e si rivolgono anche a Colei, dalla quale è stato concepito ed è nato: alla Vergine Maria. Proprio gli anniversari dei due grandi Concili dirigono quest'anno in modo speciale i nostri pensieri e i nostri cuori verso lo Spirito Santo e verso la madre di Dio, Maria. E se ricordiamo quanta gioia ed esultanza suscitò 1550 anni fa a Efeso la professione di fede nella maternità divina della Vergine Maria (Theotokos), comprendiamo allora che in quella professione di fede è stata insieme glorificata la particolare opera dello Spirito Santo: cioè quella che compongono sia l'umano concepimento e la nascita del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo, sia, sempre per opera dello stesso Spirito Santo, la maternità santissima della Vergine Maria. Questa maternità non solo è fonte e fondamento di tutta l'eccezionale santità di Maria e della sua particolarissima partecipazione a tutta l'economia della salvezza, ma stabilisce anche un permanente legame materno con la Chiesa, derivante dal fatto stesso che Essa è stata scelta dalla Santissima Trinità come Madre di Cristo, il quale è il Capo del Corpo, cioè della Chiesa» (Col 1,18). Questo legame si rivela particolarmente sotto la croce, dove Maria, «soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di Lui, ...dallo stesso Gesù morente in croce fu data quale madre al discepolo con queste parole: «Donna, ecco il tuo figlio» (cfr. Gv 19,26-27)» («Lumen Gentium», 58).

Il Concilio Vaticano II, poi, sintetizza felicemente la relazione inscindibile di Maria Santissima con Cristo e con la Chiesa: «Essendo piaciuto a Dio di non manifestare solennemente il mistero della salvezza umana prima di avere effuso lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli Apostoli prima del giorno della Pentecoste "perseveranti d'un sol cuore nella preghiera con le donne e Maria Madre di Gesù e i fratelli di Lui" (At 1,14), e anche Maria implorante con le sue preghiere il dono dello Spirito, che l'aveva già ricoperta nell'Annunciazione» («Lumen Gentium», 59). Con questa espressione il testo del Concilio unisce tra di loro i due momenti, nei quali la maternità di Maria è più strettamente legata all'opera dello Spirito Santo: dapprima, il momento dell'Incarnazione, e poi quello della nascita della Chiesa nel Cenacolo di Gerusalemme.

IV

9. Tutti questi grandi e importanti motivi, e il confluire di circostanze così significative persuadono pertanto a far sì che nell'anno in corso, doppiamente giubilare, si metta in particolare evidenza la solennità della Pentecoste in tutta la Chiesa.

Invito perciò a Roma in quel giorno tutte le Conferenze Episcopali della Chiesa Cattolica e i Patriarcati e Metropolie delle Chiese Orientali cattoliche, nella rappresentanza che piacerà loro di inviare, affinché insieme possiamo rinnovare quell'eredita che abbiamo ricevuto dal Cenacolo della Pentecoste e nella potenza dello Spirito Santo: è Lui infatti che ha mostrato alla Chiesa, nel momento della sua nascita, quella via che conduce a tutte le nazioni, a tutti i popoli e lingue, e al cuore di tutti gli uomini.

Trovandoci raccolti nell'unità collegiale come gli eredi della sollecitudine apostolica per tutte le Chiese (cfr. 2Cor 11,28) attingeremo all'abbondanza sorgiva dello stesso Spirito, che guida la missione della Chiesa sulle vie dell'umanità contemporanea alla fine del secondo millennio dopo l'Incarnazione del Verbo, per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria.

10. La prima parte della solennità ci riunirà, al mattino, nella Basilica di san Pietro in Vaticano per cantare con tutto il cuore il nostro Credo «in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem... qui locutus est per prophetas... Et unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam». A tanto ci spinge il 1600° anniversario del Concilio Costantinopolitano I: come gli Apostoli nel Cenacolo, come i Padri di quel Concilio ci riunirà Colui il quale «con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa» e «continuamente la rinnova» (cfr. «Lumen Gentium», 4).

In tal modo la solennità della Pentecoste di quest'anno diventerà una sublime e riconoscente professione di quella fede nello Spirito Santo, Signore e Datore di vita, che in modo particolare dobbiamo a quel Concilio. E al tempo stesso, diventerà un'umile preghiera e un'ardente invocazione affinché questo stesso Spirito Santo ci aiuti a «rinnovare la faccia della terra», anche mediante l'opera di rinnovamento della Chiesa secondo il pensiero del Vaticano II. Che quest'opera si svolga in modo maturo e regolare in tutte le Chiese, in tutte le comunità cristiane; che essa si compia prima di tutto nelle anime degli uomini, perché non è possibile un vero rinnovamento senza una continua conversione a Dio. Chiederemo allo Spirito di Verità di rimanere, sulla via di questo rinnovamento, perfettamente fedeli a quel «parlare dello Spirito», che è per noi attualmente l'insegnamento del Vaticano II, di non lasciare questa via spinti da un certo riguardo verso lo spirito del mondo. Chiederemo inoltre a Colui che e «fons vivus, ignis, caritas» - acqua viva, fuoco, amore -, di permeare noi stessi e tutta la Chiesa, e infine la famiglia umana, di quell'amore che «tutto spera, tutto sopporta», e che «non avrà mai fine» (1Cor 13,7-8).

Non c'è alcun dubbio che, nella presente tappa della storia della Chiesa e dell'umanità, si senta un particolare bisogno di approfondire e di rianimare questa verità. Ce ne darà occasione, a Pentecoste, la commemorazione del 1600° anniversario del Concilio Costantinopolitano I. Che lo Spirito Santo accetti questa nostra manifestazione di fede. Accolga, nella funzione liturgica della solennità della Pentecoste, quest'umile aprirsi dei cuori a Lui, il Consolatore, nel quale si rivela e si realizza il dono dell'unità.

11. In una seconda parte della celebrazione, ci riuniremo quel giorno, nelle ore del tardo pomeriggio, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove la parte mattutina sarà completata con i contenuti, che offre alla nostra riflessione il 1550° anniversario del Concilio di Efeso. Ce lo suggerirà anche la singolare coincidenza che la Pentecoste cadrà quest'anno il 7 giugno, come già avvenne nel 431, e in quel giorno solenne, che era stato fissato per l'inizio delle sessioni (spostate poi al 22 giugno), cominciarono ad affluire a Efeso i primi gruppi di Vescovi.

Tali contenuti saranno tuttavia visti anch'essi attraverso l'apporto del Concilio Vaticano II, con un particolare riguardo al mirabile capitolo VII della Costituzione «Lumen Gentium». Così come il Concilio di Efeso, mediante l'insegnamento cristologico e soteriologico, permise di riconfermare la verità sulla Maternità Divina di Maria - la Theotokos - così il Vaticano II ci permette di ricordare che la Chiesa, la quale nasce nel Cenacolo gerosolimitano dalla potenza dello Spirito Santo, comincia a guardare a Maria come all'esempio della maternità spirituale della Chiesa stessa, e perciò come alla sua figura archetipa. In quel giorno Colei, che da Paolo VI fu chiamata anche Madre della Chiesa, irradia la sua potenza di intercessione sulla Chiesa-Madre e ne protegge quella spinta apostolica di cui questa tuttora vive, generando a Dio i credenti di tutti i tempi e di tutte le latitudini.

E perciò la liturgia pomeridiana della solennità di Pentecoste ci riunirà nella principale Basilica Mariana di Roma per ricordare in modo particolare, mediante tale atto, che nel cenacolo gerosolimitano gli Apostoli «erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con.... Maria, la Madre di Gesù...» (At 1,14), preparandosi alla venuta dello Spirito Santo. Similmente anche noi, in quel giorno così importante, desideriamo di essere assidui nella preghiera insieme con Colei la quale, secondo le parole della Costituzione dogmatica del Vaticano II sulla Chiesa, come Madre di Dio «è figura della Chiesa... nell'ordine della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo» («Lumen Gentium», 63). E così, perseverando nella preghiera insieme con Lei e pieni di fiducia in Lei, affideremo alla potenza dello Spirito Santissimo la Chiesa, e la sua missione tra tutte le nazioni del mondo di oggi e di domani. Noi infatti portiamo in noi stessi l'eredità di coloro, ai quali Cristo Risorto ha ordinato di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15).

Nel giorno di Pentecoste, riuniti nella preghiera insieme con Maria, la Madre di Gesù, essi si sono convinti di poter compiere questo ordine con la potenza dello Spirito Santo, disceso su di loro conformemente al preannunzio del Signore (cfr. At 1,8). In quello stesso giorno noi, loro eredi, ci stringeremo nello stesso atto di fede e di preghiera.

V

12. Diletti miei fratelli!

So che il Giovedì Santo voi rinnovate, nella comunità del presbiterio delle vostre diocesi, il memoriale dell'Ultima Cena, durante la quale il pane e il vino, mediante le parole di Cristo e la potenza dello Spirito Santo, sono diventati il corpo e il sangue del nostro Salvatore, cioè l'Eucaristia della nostra redenzione.

In quel giorno, o anche in altre occasioni opportune, parlate a tutto il Popolo di Dio di questi anniversari e avvenimenti importanti, affinché siano similmente ricordati e vissuti anche in ogni Chiesa locale e in ogni comunità della Chiesa, così come essi meritano, nel modo che sarà stabilito dai singoli Pastori, secondo le indicazioni delle rispettive Conferenze Episcopali e dei Patriarcati e Metropolie delle Chiese Orientali.

Nel desiderio vivissimo delle annunciate celebrazioni, mi è caro impartire a tutti voi, venerati e carissimi fratelli nell'Episcopato, e, insieme con voi, alle vostre singole comunità ecclesiali, la mia particolare benedizione apostolica.

Dato in Roma, presso san Pietro, il 25 marzo 1981, Solennità dell'Annunciazione del Signore, terzo anno del Pontificato.
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07/05/2009 21:04

Dalle "Omelie" di san Cirillo d'Alessandria.

"...per enunciare una professione di fede retta e irreprensibile basta confessare che la Vergine è Madre di Dio, Theotokos..."

Grande, profondo e veramente stupendo è questo mistero della religione, in cui gli stessi santi angeli desiderarono fissare lo sguardo. Dice infatti un discepolo del Signore a proposito di ciò che i santi profeti avevano predetto di Cristo salvatore del mondo: Ora vi sono state annunziate da coloro che vi hanno predicato il vangelo nello Spirito Santo mandato dal cielo, cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo. Quegli angeli, infatti, penetrando con la loro intelligenza questo grande divino mistero, quando Cristo apparve nella carne, resero grazie per noi cantando: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama. Come non avrebbero potuto traboccare di letizia vedendo nascere il Salvatore e il liberatore del mondo dalla Vergine quegli angeli che giubilano per un solo peccatore che si converte! Proprio così come afferma il Signore.

C'è anche la moltitudine degli spiriti beati, la quale esulta per noi. Quale è il motivo della loro gioia? L'incarnazione del Figlio unigenito, la sua nascita tra gli uomini, l'abisso della sua bontà, la grandezza della sua incomparabile amicizia per noi. La morte trionfante divorò la terra scrive il beato Isaia, ma aggiunge: Il Signore Dio ha asciugato le lacrime su ogni Volto. E in che modo ha asciugato le lacrime su ogni volto? Come ha ridotto al nulla l'antica maledizione e ha abbattuto il funesto potere della morte? Sarà il sapiente Paolo questa volta a comunicarcelo: Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la Vita. Che cosa vuol dire: ne è divenuto partecipe? Niente d'altro se non il fatto di essere nato tra di noi, da Maria, la santa Madre di Dio, nel sangue e nella carne,

Colui che della sua pienezza riempie il mondo volle umiliarsi fino all'annientamento. Si umiliò per noi, senza alcuna costrizione, assumendo anzi liberamente per noi la forma di schiavo, egli che per natura era libero; si fece uno di noi colui che sta al di sopra dì ogni creatura: si fece mortale, egli da cui prende vita ogni cosa. Egli infatti è il pane vivo che dà la vita al mondo. Si sottomise alla legge, lui che era al di sopra della legge, anzi addirittura il creatore della legge, essendo Dio. Si fece come uno di quelli la cui vita ha inizio, egli che era prima di tutti i secoli, anzi che degli stessi secoli è l'autore e il creatore. In qual modo si fece simile a noi? Assumendo, in modo davvero prodigioso, un corpo dalla Vergine: un corpo non privo di anima, come affermano alcuni eretici, ma informato da un'anima razionale. Uomo perfetto, dunque, nacque da donna, senza peccato: uomo vero, non semplice apparenza, senza però abdicare alla sua natura divina, o senza cessare di essere quello che era sempre stato, è e sarà: vero Dio.

Ne segue che per enunciare una professione di fede retta e irreprensibile basta confessare che la Vergine è Madre di Dio, Theotokos. Aggiungere che è anche la madre di un uomo non ha il minimo interesse Infatti ci hanno insegnato a credere in un solo Dio, anche dopo l'Incarnazione: un solo Dio, un solo mediatore tra Dio e gli uomini. Affermiamo ora con certezza che il Verbo di Dio si è fatto uomo, senza affatto mutarsi. E a proposito della sua natura corporea diciamo che la Vergine ha generato un corpo consustanziale al suo e al nostro. Proclamarla Madre di Dio pone in perfetto risalto questa verità: Maria non ha dato alla luce una divinità pura e semplice, ma il Verbo dì Dio unito alla carne. Il termine "Madre di Dio" non sopporta alcun altro significato, eccetto quello che gli diamo, in cui il concetto dell'Incarnazione è posto in piena luce.Concludiamo dunque: la Vergine è davvero Madre di Dio, perché ha messo al mondo in modo soprannaturale un solo Cristo che è partecipe della carne e del sangue e che sul piano umano procede dalla medesima sostanza che appartiene a sua madre e a noi. Sì, Cristo ha preso carne da Maria, Madre di Dio.

Luca 1,26-38

26 Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». 29 A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.

Luca 1,46-55

46 Allora Maria disse:
«L'anima mia magnifica il Signore
47 e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
48 perché ha guardato l'umiltà della sua serva.
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49 Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e
Santo è il suo nome:
50
di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono
.
51 Ha spiegato la potenza del suo
braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri
del loro cuore;
52 ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
53
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato a mani vuote i ricchi.
54
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia
,
55 come aveva promesso
ai nostri padri,
ad Abramo e alla
sua discendenza,
per sempre».
[Modificato da Cattolico_Romano 07/05/2009 21:05]
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07/05/2009 21:06

Dai "Discorsi" di S. Agostino, vescovo
Sermone 72/A, 7


Ecco, fratelli miei, ponete attenzione, ve ne scongiuro, a ciò che dice Cristo Signore stendendo la mano verso i suoi discepoli: Sono questi mia madre e i miei fratelli. E se uno farà la volontà del Padre mio che mi ha inviato, egli è mio fratello, mia sorella e mia madre (Mt 12,49-50). Non fece forse la volontà del Padre la vergine Maria, la quale per la fede credette, per la fede concepì, fu scelta perché da lei la salvezza nascesse per noi tra gli uomini, e fu creata da Cristo prima che Cristo fosse creato nel suo seno? Santa Maria fece la volontà del Padre e la fece interamente; e perciò vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo anziché madre di Cristo; vale di più, è una prerogativa felice essere stata discepola anziché madre di Cristo. Maria era felice poiché, prima di darlo alla luce, portò nel ventre il Maestro.

 Vedi se non è come dico. Mentre il Signore passava seguito dalle folle e compiva miracoli propri di Dio, una donna esclamò: Beato il ventre che ti ha portato! (Lc 11,27). Il Signore però, perché non si cercasse la felicità nella carne, che cosa rispose? Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Lc 11,28). È per questo dunque che anche Maria fu beata, poiché ascoltò la parola di Dio e la mise in pratica. Custodì la verità nella mente più che la carne nel ventre. La verità è Cristo, la carne è Cristo: Cristo verità nella mente di Maria, Cristo carne nel ventre di Maria; vale più ciò che è nella mente anziché ciò che si porta nel ventre. Santa è Maria, beata è Maria, ma più importante è la Chiesa che non la vergine Maria. Perché? Maria è una parte della Chiesa, un membro santo, eccellente, superiore a tutti gli altri, ma tuttavia un membro di tutto il corpo. Se è un membro di tutto il corpo, senza dubbio più importante di un membro è il corpo. Il capo è il Signore, e capo e corpo formano il Cristo totale. Che dire? Abbiamo un capo divino, abbiamo Dio per capo.

************************

Dalle "Meditazioni" di sant'Anselmo di Cantorbery.
E' stupendo contemplare Maria posta sulle altezze. Nulla eguaglia Maria; tranne Dio nulla è più grande di lei. A Maria Dio diede il Figlio suo unico, che dal suo seno aveva generato uguale a sé stesso e che amava come sé stesso; e da Maria plasmò il Figlio, non un altro, ma il medesimo, in modo che secondo la natura fosse l'unico e medesimo figlio comune di Dio e di Maria. Dio creò ogni creatura, e Maria generò Dio; Dio che aveva creato ogni cosa, si fece lui stesso creatura di Maria, e ha ricreato così tutto quello che aveva creato. E mentre aveva potuto creare tutte le cose dal nulla, dopo la loro rovina non volle restaurarle senza Maria. Dio dunque è il padre delle cose create, Maria la madre delle cose ricreate. Dio è padre della fondazione del mondo, Maria la madre della sua riparazione; poiché Dio ha generato colui per mezzo del quale tutto è stato fatto, e Maria ha partorito colui per opera del quale tutte le cose sono state salvate. Dio ha generato colui senza del quale niente assolutamente è, e Maria ha partorito colui senza del quale niente è bene. Davvero con te è il Signore. il quale volle che tutte le creature e lui stesso insieme, dovessero tanto a te.


Cielo, stelle, terra e fiumi, giorno e notte e tutte le creature sottoposte al potere dell'uomo o disposte per sua utilità, si rallegrano, o Signore, di essere stati per mezzo tuo in certo modo risuscitati allo splendore che avevano perduto, e di aver ricevuto una grazia nuova, inesprimibile. Erano tutte come morte le cose, poiché avevano perduto la dignità originale alla quale erano state destinate. Loro fine era di servire al dominio o alle necessità delle creature cui spetta di elevare la lode a Dio. Erano schiacciate dall'oppressione e avevano perso vivezza per l'abuso di coloro che si erano fatti servi degli idoli. Ma agli idoli non erano destinate. Ora invece, quasi risuscitate, si rallegrano di essere rette dal dominio e abbellite dall'uso degli uomini che lodano Dio. Hanno esultato come di una nuova e inestimabile grazia, sentendo che Dio stesso, lo stesso loro Creatore, non solo invisibilmente le regge dall'alto, ma anche. presente e visibile tra di loro, le santifica servendosi di esse. Questi beni così grandi sono venuti dal frutto benedetto del grembo benedetto di Maria benedetta.


Potrei essere pago, o Madre di Dio, di dire che i tuoi benefici riempiono l'universo quando invece penetrano negli inferì e svettano più alti del cielo? Per la pienezza della tua grazia anche le creature che erano negli inferi si rallegrano nella gioia di essere liberate, e quelle che sono sulla terra, gioiscono dì essere rinnovate. Invero per il medesimo glorioso Figlio della tua gloriosa verginità, esultano, liberati dalla loro prigionia, tutti i giusti che sono morti prima della sua morte vivificatrice, e gli angeli si rallegrano perché è rifatta nuova la loro città diroccata. 0 Donna piena e sovrabbondante di grazia. ogni creatura rinverdisce, inondata dal traboccare della tua pienezza. 0 vergine bella per il nostro sguardo, amabile a contemplarti, dolcissima da amare, tu superi ogni capacità del mio cuore.


Vergine santa, tu sei la madre della giustificazione e dei giustificati, della riconciliazione e dei riconciliati, madre della salvezza e dei salvati. Beata certezza e rifugio garantito! La madre di Dio è nostra madre. La madre del nostro unico motivo di sperare e temere è madre nostra. Madre benedetta ed esaltata non soltanto per te ma anche per noi, che vedo arrivarci per opera tua? Qualcosa di enorme, degno d'amore! Questa vista mi colma di una gioia inesprimibile. Se tu, Maria, sei madre di Dio, gli altri tuoi figli non sono forse suoi fratelli? Ma quali fratelli e di chi? Oserò proferire quel che fa esultare il mio cuore o tacerò per tema di sembrare presuntuoso? Eppure quel che credo così ardentemente, perché non proclamarne le lodi? Parlerò allora non per vanità ma per gratitudine. Infatti colui che nascendo da una madre, volle condividere la nostra natura e, restituendoci la vita, renderci figli della madre sua, proprio lui ci invita a riconoscerci suoi fratelli. Il nostro giudice è quindi nostro fratello. Il Salvatore del mondo è nostro fratello. In una parola, il nostro Dio si è fatto, grazie a Maria, nostro fratello.
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07/05/2009 21:08

Maria e la Chiesa, "Sponsa Verbi"

   http://www.stpauls.it/madre/0506md/0506md11.htm

Nella Comunità dei credenti non c’è solo l’elemento "petrino" [maschile, gerarchico], ma c’è anche quello "mariano" [femminile, carismatico] – Il ruolo di Maria, prototipo della Chiesa.

Nell’articolo del num. del mese scorso su "Maria, Stella della Pentecoste" [cfr. pp. 11-13], scrivevamo che nel Cenacolo della Pentecoste Maria con la sua fede ha atteso, insieme agli Apostoli, l’effusione dello Spirito da parte del Padre e del Figlio risorto, contribuendo a che l’atto trinitario dell’evento pentecostale raggiungesse la Chiesa nascente come soggetto pienamente articolato: nella Comunità cristiana non c’è solo l’elemento
"petrino" [maschile, gerarchico], ma c’è anche quello "mariano" [femminile, carismatico]. Dice al riguardo Hugo U. von Balthasar: "L’elemento mariano nella Chiesa abbraccia il petrino senza pretenderlo per sé; Maria è "Regina degli Apostoli" senza pretendere per sé poteri apostolici. Essa ha altro e di più" [cfr. Nuovi punti fermi, Milano 1980, pag. 181].
In prossimità della solennità dei Santi Pietro e Paolo, festa della Chiesa – il 29 Giugno prossimo – vogliamo approfondire questo concetto, anche per legare sempre più la riflessione su Maria Sposa e Madre del Verbo alla valenza ecclesiologica di questo titolo mariano.


"Sponsus Christus, Sponsa Ecclesia"

Nel suo saggio teologico Sponsa Verbi [Morcelliana Ed., 1969], lo stesso Hugo U. von Balthasar dà un’immagine della Chiesa diversa da quella comunemente intesa: "La Chiesa, in quanto Sposa di Cristo – scrive fin dalla Premessa alla sua opera – rimane velata nel mistero sponsale. È certo "popolo di Dio" che, come tale, per largo tratto manifesta, ma in ciò non si distingue dalla Sinagoga. La distinzione ha inizio con Maria, nella quale il Verbo si fa carne, con l’Eucaristia, carne e sangue di Gesù donati e offerti per unirci nella sua sostanza, con lo Spirito Santo, che viene spirato nell’armonia ecclesiale dal Figlio dell’uomo risorto".Il terzo capitolo della prima parte dell’opera tratta dell’identità della Chiesa, rispondendo all’interrogativo: Chi è la Chiesa [cfr. ibid., pp. 139-187].

E in tale contesto si sviluppa il paragrafo: Pietro, Maria [cfr. ibid., pp. 153-168]. 
"L’identità della Chiesa, cui rimanda il ministero del sacerdozio – scrive von Balthasar – non può esistere nella Chiesa ma soltanto nel Signore, come Capo e Sposo della Chiesa. E però, proprio per questo, questa identità deve essere riprodotta nella Chiesa stessa, poiché il Signore vuole che la sua Chiesa gli stia di fronte come una Sposa gloriosa e degna di sé.Qui interviene necessariamente nella Chiesa il principio mariano. Maria è quella soggettività che, nella sua maniera femminile e recettiva, può corrispondere pienamente alla soggettività maschile di Cristo mediante la grazia di Dio e l’adombramento del suo Spirito. In Maria la Chiesa che scaturisce da Cristo trova il suo centro personale e la piena realizzazione della sua idea ecclesiale. La sua fede che ama e spera, nella sua disponibilità femminile per lo Sposo divino, divino-umano, è coestensiva al principio maschile, inserito nella Chiesa, del ministero e del Sacramento, anche se non spetta al suo carattere femminile di esaurire comprendendolo, alla maniera dello Sposo, lo Spirito oggettivo ivi investito. Essa è non la Parola, però è la risposta adeguata che Dio s’attende dall’ambito creaturale e che vi viene prodotta nella sua grazia mediante la Parola.


A tal fine – prosegue l’analisi di Hugo U. von Balthasar – è certamente richiesta una grazia speciale, qualitativamente diversa dalla grazia degli altri fedeli, la quale elevi la risposta di tutta la Chiesa. La fede di Maria, come seno fecondo della Parola, è privilegiata in due dimensioni: per la sua origine essa è fede sorta da un "concepimento immacolato", per il suo fine essa è fede che deve diventare feconda non solo del corpo di Cristo, ma anche di lui stesso come Capo. Pertanto, quella fecondità che viene attribuita alla Chiesa come fecondità prototipica della nascita o generazione passiva dei membri [nel Battesimo] volge al loro attivo generare la vita di Cristo in sé e nella Chiesa.San Girolamo, In Mt. 9, 15; PL 26, 58, scrive: "Sponsus Christus, Sponsa Ecclesia est. De hoc sancto spiritualique connubio apostoli sunt procreati". [Allora], questa fecondità prototipica in Maria è così resa possibile, tanto che essa fa precisamente quello che fa la Chiesa: generare Cristo; ma lo fa ‘prototipicamente’, in quanto fa diventare carne in sé il Capo della Chiesa, il quale a sua volta produrrà la Chiesa. Il circolo ecclesiale, per il quale l’anima è nata da Cristo, è sopraelevato a circolo prototipico, nel quale Maria, preservata dal peccato originale mediante la grazia della Croce di Cristo, nell’ordine del Capo concepisce e genera Cristo. Se nel circolo ecclesiale l’immacolatezza oggettiva della Chiesa [l’"infallibilità di Pietro"] opera e presuppone sempre per la Chiesa un "essere stata purificata" mediante l’acqua e la Parola, e se la Chiesa diventa "Sposa nobile" solo in quanto realmente purificata, nel circolo mariano non si può parlare di tale purificazione. In Maria la Chiesa, pertanto, non è solo indefettibile ministerialmente e sacramentalmente […]; essa è anche immacolata personalmente e sta al di là della tensione tra realtà e ideale.


Come modello della Chiesa, a ragione Maria viene chiamata Sposa del Verbo Incarnato […]. Ella concepisce il Figlio come seme del Padre mediante l’opera dello Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio. Per questo, anche nell’ordine ecclesiale, l’attualizzazione dei Sacramenti sarà azione dello Spirito Santo, che depositerà nel seno delle anime il Verbo del Padre, generandolo e facendolo nascere.Ciò non impedisce alla Chiesa di essere Sposa del Verbo, poiché questa piena partecipazione del mondo creato alla divinità delle Tre Persone è opera e prolungamento del Verbo Incarnato. L’archetipo Maria ha proprio la missione di non permettere mai alla Chiesa di dimenticarsi della dimensione trinitaria del suo mistero sponsale, alla stessa maniera che anche Cristo, durante la sua permanenza sulla terra, le ha continuamente indicato di aprirsi alla vita del Dio Uno e Trino".

La maternità universale della Vergine Maria

Il ruolo di Maria Sposa e Madre della Chiesa – secondo la profonda analisi di Hugo U. von Balthasar sopra esposta – porta ad un’altra riflessione: in Maria la Chiesa dice il suo ‘sì’ a Dio per tutto il genere umano. [È il motivo per cui San Tommaso sosteneva che la Madre di Dio dice il suo ‘sì’ loco totius generis humani e non, ad esempio, loco totius Ecclesiae].Infatti – è la riflessione che segue di von Balthasar –, nella sua esistenza credente, come dentro un seno, viene portato il Verbo, per poter diventare carne […]. E se i Padri della Chiesa vedono realizzare il vero connubio tra Dio e l’uomo in Cristo stesso, nell’indissolubile unione delle sue due nature, questo però non è avvenimento puramente fisico, che avrebbe un carattere matrimoniale solo da parte di Dio e del suo intento, bensì un genuino mistero di reciproco amore mediante il consenso sponsale di Maria a nome di tutti gli esseri corporei creati.


Ne consegue, dunque, che nella carne di Maria si mira a "ogni carne" creata [cfr. Gv 17, 2], cui Dio vuole unirsi; ed essendo Maria caro ex qua, ella è insieme fides ex qua. L’unione ipostatica però è l’effetto e quindi l’ultimo sigillo indelebile di questo patto di fedeltà, sotto il cui segno in seguito sarà ogni promessa ecclesiastica di fedeltà: quella del Battesimo, quella del Matrimonio e quella della Verginità.Si adombra qui il grande tema della maternità universale di Maria.Continua ancora von Balthasar: Maria, generando il Figlio in maniera corporeo-spirituale, proprio per questo diventa la madre universale di tutti i credenti; infatti, la Chiesa come Corpo è da Cristo ed è il Cristo stesso. Maria non è il prototipo della Chiesa solo in virtù della sua fede verginale, essa lo è parimenti in virtù della sua fecondità, che non è certamente autonoma [come quella delle dèe della fecondità], ma puramente ministeriale, in funzione di servizio. Infatti, è Cristo che, mediante la sua Passione, crea la Chiesa, non Maria.
 
Tuttavia, essa ha partecipato come strumento a questa creazione in virtù dell’universalità e dell’illimitatezza del suo ‘sì’, che il Figlio può usare come mezzo plastico all’infinito, per ricavarne nuovi credenti rigenerati. La sua presenza presso la Croce, la sua solidarietà in mezzo all’abbandono della Croce, la sua funzione eterna di donna partoriente [cfr. Ap 12], mostrano quanto la sua dedizione venga universalizzata fino ad assurgere a principio universale del suo seno materno per ogni grazia cristiana generatrice.

L’"elemento mariano" nella Chiesa

L’immagine della Chiesa Comunità dei credenti veniva già nel Medioevo centrata marianamente, e portata in tal modo alla sua verità più intima.Fin dai tempi delle origini, come nucleo della vera Chiesa "senza macchia e senza ruga" valevano soprattutto gli Apostoli [che Origene definiva appunto: "vera Ecclesia", cfr. In Gen hom. 1,6]. Ma la Vergine Maria, come seno universale generatore, sta dietro la santità apostolica, e viene posto l’accento sul fatto che ella a Pentecoste riceve lo Spirito Santo in mezzo agli Apostoli; anzi, può comunicare in maniera del tutto reale la sua sapienza cristiana alla Chiesa apostolica.


Così il premonstratense belga Filippo di Harveng celebra instancabilmente la materna attività di Maria nei primi tempi della Chiesa, presentandola come "colei che genera gli Apostoli dalle tenebre dell’ignoranza, li educa e li forma, come la madre di tutti che tiene in mezzo a loro la presidenza e con la fermezza nella fede esorta i discepoli facilmente vacillanti" [cfr. H. Riedlinger, Die Makellosigkeit der Kirche in den lateinischen Hoheliedkommentaren des MA, p. 219].Questa "educazione degli Apostoli" da parte di Maria è stata vista fin da allora ancor più sulla linea dell’amore e della fedeltà ecclesiali che su quella del ministero; ma diventa progressivamente un trovar asilo dell’intero aspetto ministeriale della Chiesa nel seno materno di Maria che porta nella gestazione, genera e compie silenziosamente la funzione di Sposa e Madre del Verbo.L’umanità acquista così una partecipazione a ciò nel Cristo e nello spazio che è il suo spazio ["in Christo"] e che Egli prepara come Redentore: la Chiesa. E in quanto questo spazio risponde a Cristo in maniera femminile-sponsale trova in Maria la sua soggettività suprema, normativa. In quanto, infine, erompe l’unica grazia, Maria fa convergere tutti gli spiriti che in lei si aprono a Cristo e mediante Cristo al Santo Spirito di Dio in Tre Persone, che all’origine ricopre con la sua ombra Maria e dalla Pasqua e dalla Pentecoste inabita la Chiesa.Questo, in sintesi, è il misterioso profondo "elemento mariano" nella Chiesa.

Bruno Simonetto
[Modificato da Cattolico_Romano 07/05/2009 21:10]
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