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S. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione LIBERTATIS CONSCIENTIA, su libertà cristiana e liberazione, del 22 marzo 1986

Ultimo Aggiornamento: 15/05/2009 13:25
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15/05/2009 13:04

Capitolo terzo

Liberazione e libertà cristiana

Vangelo, libertà e liberazione

43. La storia umana, contrassegnata dall'esperienza del peccato, ci condurrebbe alla disperazione, se Dio avesse abbandonato la sua creatura a se stessa. Ma le promesse divine di liberazione e il loro vittorioso adempimento nella morte e risurrezione di Cristo sono il fondamento della "beata speranza", donde la comunità cristiana attinge la forza per agire risolutamente ed efficacemente al servizio dell'amore, della giustizia e della pace. Il Vangelo è un messaggio di libertà e una forza di liberazione, (31) che porta a compimento la speranza di Israele, fondata sulla parola dei Profeti. Questa si appoggia sull'azione di Jahvé che, prima ancora di intervenire come goèl, (32) liberatore, redentore, salvatore del suo popolo, lo aveva scelto gratuitamente in Abramo. (33)

I. La liberazione dell’Antico Testamento

L'Esodo e gli interventi liberatori di Jahvé

44. Nell'Antico Testamento l'azione liberatrice di Jahvé, che serve da modello e da riferimento per tutte le altre, è l'esodo dall'Egitto, "casa di schiavitù". Se Dio strappa il suo popolo da una dura schiavitù economica, politica e culturale, è al fine di farne, con l'alleanza del Sinai, "un regno di sacerdoti ed una nazione santa" (Es 19, 6). Dio vuol essere adorato da uomini liberi. Tutte le ulteriori liberazioni del popolo di Israele tendono a ricondurlo a questa pienezza di libertà, che non può trovare se non nella comunione col suo Dio.

L'avvenimento più grande e fondamentale dell'esodo, dunque, ha un significato insieme religioso e politico. Dio libera il suo popolo, gli dà una discendenza, una terra, una legge, ma all'interno di un'alleanza ed in vista di un'alleanza. Non si può, dunque, isolare per se stesso l'aspetto politico; è necessario considerarlo alla luce del disegno di natura religiosa, nel quale è integrato. (34)

La legge di Dio

45. Nel suo disegno salvifico Dio ha dato a Israele la sua legge. Essa conteneva, insieme con i precetti morali universali del Decalogo, delle norme cultuali e civili, che dovevano regolare la vita del popolo scelto da Dio per essere il suo testimone fra le nazioni.

In questo complesso di leggi, l'amore di Dio sopra ogni cosa (35) e del prossimo come se stessi (36) costituisce già il centro. Ma la giustizia, che deve regolare i rapporti tra gli uomini, e il diritto, che ne è l'espressione giuridica, appartengono anch'essi alla trama più caratteristica della legge biblica. I Codici e la predicazione dei Profeti, come anche i Salmi, si riferiscono costantemente all'una e all'altro, frequentemente considerati insieme. (37) È in questo contesto che si deve apprezzare la cura che la legge biblica ha per i poveri, i bisognosi, la vedova e l'orfano: si deve rendere a essi giustizia secondo l'ordinamento giuridico del popolo di Dio. (38) Esistono già, dunque, l'ideale e l'abbozzo di una società centrata sul culto del Signore e fondata sulla giustizia e sul diritto, animati dall'amore.

L'insegnamento dei Profeti

46. I Profeti non cessano di ricordare a Israele le esigenze della legge dell'alleanza. Essi denunciano nel cuore indurito dell'uomo la fonte delle ripetute trasgressioni e annunciano un'alleanza nuova, nella quale Dio cambierà i cuori imprimendovi la legge del suo Spirito. (39)

Annunciando e preparando questa era nuova, i Profeti denunciano con forza l'ingiustizia perpetrata contro i poveri; in loro favore essi si fanno i portavoce di Dio. Jahvé è il "ricorso" supremo dei piccoli e degli oppressi, e il Messia avrà come missione quella di prendere le loro difese. (40)

La condizione del povero è una condizione di ingiustizia, contraria all'alleanza. Per questo motivo la legge dell'alleanza lo protegge con dei precetti, che riflettono il medesimo atteggiamento tenuto da Dio, quando liberò Israele dalla schiavitù d'Egitto. (41) L'ingiustizia verso i piccoli e i poveri è un grave peccato, che rompe la comunione con Jahvé.

I "poveri di Jahvé"

47. Partendo da tutte le forme di povertà, di ingiustizia subìta, di afflizione, i "giusti" e i "poveri di Jahvé" fanno salire verso di lui la loro supplica nei Salmi. (42) Essi soffrono nel loro cuore per la schiavitù, cui il popolo "dalla dura cervice" si è ridotto a causa dei suoi peccati. Essi sopportano la persecuzione, il martirio, la morte, ma vivono nella speranza della liberazione. Al di sopra di tutto, pongono la loro fiducia in Jahvé, al quale raccomandano la loro causa. (43)

I "poveri di Jahvé" sanno che la comunione con lui (44) è il bene più prezioso, in cui l'uomo trova la vera libertà. (45) Per essi il male più tragico è la perdita di tale comunione. Per questo motivo la loro lotta contro l'ingiustizia acquista il suo più profondo significato e la sua efficacia nella volontà di essere liberati dalla schiavitù del peccato.

Alle soglie del Nuovo Testamento

48. Sulla soglia del Nuovo Testamento i "poveri di Jahvé" costituiscono le primizie di un "popolo umile e povero", che vive nella speranza della liberazione di Israele. (46)

Impersonando questa speranza, Maria oltrepassa la soglia dell'Antico Testamento. Ella annuncia con gioia l'avvento messianico e loda il Signore, che si prepara a liberare il suo popolo. (47) Nel suo cantico di lode alla divina misericordia l'umile Vergine, verso la quale si rivolge spontaneamente e con tanta fiducia il popolo dei poveri, canta il mistero della salvezza e la sua forza di trasformazione. Il senso della fede, così vivo nei piccoli, sa immediatamente riconoscere tutta la ricchezza soteriologica e insieme etica del Magnificat. (48)

II. Significato cristologico dell’Antico Testamento

Alla luce di Cristo

49. L'esodo, l'alleanza, la legge, la voce dei Profeti e la Spiritualità dei "poveri di Jahvé" raggiungono solamente nel Cristo il loro pieno significato.

La Chiesa legge l'Antico Testamento alla luce di Cristo morto e risorto per noi. Essa vede se stessa prefigurata nel popolo di Dio dell'antica alleanza, incarnato nel corpo concreto di una particolare nazione, politicamente e culturalmente costituita, che era inserita nella trama della storia come testimone di Jahvé davanti alle nazioni, fino al compimento del tempo delle preparazioni e delle figure. Nella pienezza dei tempi realizzatasi in Cristo, i figli di Abramo sono chiamati ad entrare con tutte le nazioni nella Chiesa di Cristo, per formare con esse un solo popolo di Dio, spirituale ed universale. (49)

III. La liberazione cristiana

La buona novella annunciata ai poveri

50. Gesù annuncia la buona novella del regno di Dio e chiama gli uomini alla conversione. (50) I "poveri sono evangelizzati" (Mt 11, 5): riprendendo la parola del Profeta, (51) Gesù rivela la sua azione messianica in favore di coloro che attendono la salvezza da Dio.

Più ancora, il Figlio di Dio, che si fece povero per amor nostro, (52) vuol essere riconosciuto nei poveri, in coloro che soffrono o sono perseguitati: (53) "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l'avete fatto a me" (Mt 25, 40). (54)

Il mistero pasquale

51. Ma è soprattutto con la forza del suo mistero pasquale che Cristo ci ha liberati. (55) Con la sua obbedienza perfetta sulla croce e con la gloria della risurrezione, l'Agnello di Dio ha tolto il peccato del mondo e ci ha aperto la via della definitiva liberazione.

Col nostro servizio e il nostro amore, ma anche con l'offerta delle nostre prove e sofferenze, noi partecipiamo all'unico sacrificio redentore di Cristo, completando in noi "quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo, ch'è la Chiesa" (Col 1, 24), nell'attesa della risurrezione dei morti.

Grazia, riconciliazione e libertà

52. Il centro dell'esperienza cristiana della libertà sta nella giustificazione per mezzo della grazia della fede e dei sacramenti della Chiesa. Questa grazia ci libera dal peccato e ci introduce nella comunione con Dio. Per mezzo della morte e della risurrezione di Cristo ci è offerto il perdono. L'esperienza della nostra riconciliazione col Padre è frutto dello Spirito Santo. Dio si rivela a noi come Padre di misericordia, davanti al quale ci possiamo presentare con totale fiducia.

Riconciliati con lui (56) e ricevendo quella pace di Cristo, che il mondo non può dare, (57) siamo chiamati ad essere artefici di pace (58) in mezzo a tutti gli uomini.

In Cristo noi possiamo vincere il peccato, e la morte più non ci separa da Dio; essa sarà finalmente distrutta al momento della nostra risurrezione, che è simile a quella di Gesù. (59) Anche il "cosmo", di cui l'uomo è il centro e il vertice, attende di essere "liberato dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8, 21). Fin da ora Satana è sconfitto; egli, che ha la potenza della morte, è stato ridotto all'impotenza dalla morte di Cristo. (60) Ci sono già dati dei segni, che anticipano la gloria futura.

Lotta contro la schiavitù del peccato

53. La libertà, portata da Cristo nello Spirito Santo, ci ha restituito la capacità, di cui il peccato ci aveva privato, di amare Dio al di sopra di tutto e di rimanere in comunione con lui.

Noi siamo liberati dall'amore disordinato di noi stessi, che è la fonte del disprezzo del prossimo e dei rapporti di dominio tra gli uomini.

Nondimeno, fino al ritorno glorioso del Risorto, il mistero di iniquità è sempre all'opera nel mondo. San Paolo ce ne fa avvertiti: "Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi" (Gal 5, 1). È, dunque, necessario perseverare e lottare per non ricadere sotto il giogo della schiavitù. La nostra esistenza è un combattimento spirituale per una vita da condurre secondo il Vangelo e con le armi di Dio. (61) Ma noi abbiamo ricevuto la forza e la certezza della vittoria sul male, vittoria dell'amore di Cristo, a cui nulla può resistere. (62)

Lo Spirito e la legge

54. San Paolo proclama il dono della nuova legge dello Spirito, in opposizione alla legge della carne o della concupiscenza, che inclina l'uomo al male e lo rende incapace a scegliere il bene. (63) Questa mancanza di armonia e questa debolezza interiore non aboliscono la libertà e la responsabilità dell'uomo, ma ne compromettono l'esercizio per il bene. È questo che fa dire all'Apostolo: "Non faccio il bene che voglio, e compio il male che non voglio" (Rm 7, 19). Giustamente, dunque, egli parla della "schiavitù del peccato" e della "schiavitù della legge", perché all'uomo peccatore appare opprimente la legge, che egli non può interiorizzare.

Tuttavia, san Paolo riconosce che la legge conserva il suo valore per l'uomo e per il cristiano, perché "essa è santa, e santo e giusto e buono è il comandamento" (Rm 7, 12). (64) Egli riafferma il Decalogo, mettendolo in rapporto con la carità, che ne è la vera pienezza. (65) Inoltre, egli sa bene che è necessario un ordine giuridico per lo sviluppo della vita sociale. (66) La vera novità da lui proclamata è che Dio ci ha donato suo Figlio "perché la giustizia della legge si adempisse in noi" (Rm 8, 4).

Lo stesso Signore Gesù ha enunciato i comandamenti della nuova legge nel discorso della montagna; col suo sacrificio offerto sulla croce e la sua gloriosa risurrezione ha vinto le potenze del peccato e ci ha ottenuto la grazia dello Spirito Santo, che rende possibile la perfetta osservanza della legge di Dio (67) e l'accesso al perdono, se ricadiamo nel peccato. Lo Spirito, che abita nei nostri cuori, è la fonte della vera libertà.

Col sacrificio di Cristo le prescrizioni cultuali dell'Antico Testamento sono state abrogate. Quanto alle norme giuridiche della vita sociale e politica di Israele, la Chiesa apostolica, quale regno di Dio inaugurato sulla terra, ha avuto coscienza di non esser più tenuta a osservarle. Ciò ha fatto comprendere alla comunità cristiana che le leggi e gli atti delle autorità dei diversi popoli, benché legittimi e degni di obbedienza, (68) tuttavia non avrebbero mai potuto, in quanto procedenti da esse, arrogarsi un carattere sacro. Alla luce del Vangelo molte leggi e strutture appaiono portare il segno del peccato, di cui prolungano l'oppressiva influenza nella società.


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